IMMIGRAZIONE

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - SENTENZA 15 marzo 2018, n.11889
Va rimessa alle Sezioni Unite la questione sul seguente quesito: Se in tema di disciplina dell’immigrazione, le fattispecie disciplinate dall’art. 12, comma terzo, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 costituiscano circostanze aggravanti del delitto di cui all’art. 12, comma primo, del medesimo D.Lgs. ovvero figure autonome di reato. In eventualità siffatta se il delitto di cui all’art. 12, comma 3, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 integri un reato di pericolo o "a consumazione anticipata", che si perfeziona per il solo fatto di compiere atti diretti a procurare l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, in violazione della disciplina di settore, non richiedendo l’effettivo ingresso illegale dell’immigrato in detto territorio. |
CASUS DECISUS
La Corte d’appello di Brescia, con sentenza in data 5/11/2015, derubricava nei confronti di M.R. il reato originariamente ascrittogli (art. 12 comma 3 lett. d) d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 in quello previsto dall’art. 12 comma 1 d.lgs. 286/1998 cit. con conseguente riduzione della pena inflitta in primo grado, rideterminandola in quella di anni uno di reclusione ed Euro 20.000 di multa, con sospensione condizionale della sua esecuzione. La riqualificazione del fatto era avvenuta, poiché alcuno dei cittadini pakistani, in favore dei quali si contestava d’aver compiuto atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato, vi avesse fatto, effettivamente, accesso. . Il Tribunale di Mantova aveva, contrariamente, ritenuto l’imputato colpevole del delitto di cui all’art. 12 comma 3 lett. d) d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 per aver, in concorso con soggetti separatamente giudicati, compiuto atti diretti a procurare l’ingresso illegale in territorio italiano di tre cittadini pakistani. Ritenuta integrata l’ipotesi indicata (art. 12 comma 3 lett. d) d.lgs. cit.) esclusa la continuazione e concesse le circostanze attenuanti generiche aveva condannato M.R. alla pena di anni due mesi sei di reclusione ed Euro 100.000 di multa. La condotta era stata ritenuta per il concorso del M. - anche ponendo in essere la richiesta in favore dei cittadini pakistani di tre nulla osta - unitamente ad altri concorrenti, di cui uno anche definitivamente giudicato (F.C. ). La sentenza di primo grado aveva escluso, poi, la circostanza aggravante di cui al comma 3 bis d. Igs cit. e quella di cui al comma 3 lett. a) dell’art. 12 d.lgs. cit. Ricorre per cassazione il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Brescia e lamenta l’erronea applicazione dell’art. 12 commi 1 e 3 d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286. |
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - SENTENZA 15 marzo 2018, n.11889 - Pres. Bonito – est. Cairo Ritenuto in fatto 1. La Corte
d’appello di Brescia, con sentenza in data 5/11/2015, derubricava nei confronti
di M.R. il reato originariamente ascrittogli (art. 12 comma 3 lett. d) d.lgs.
25 luglio 1998 n. 286 in quello previsto dall’art. 12 comma 1 d.lgs. 286/1998
cit. con conseguente riduzione della pena inflitta in primo grado,
rideterminandola in quella di anni uno di reclusione ed Euro 20.000 di multa,
con sospensione condizionale della sua esecuzione. La riqualificazione del
fatto era avvenuta, poiché alcuno dei cittadini pakistani, in favore dei quali
si contestava d’aver compiuto atti diretti a procurare l’ingresso nel
territorio dello Stato, vi avesse fatto, effettivamente, accesso. 1.1. Il Tribunale
di Mantova aveva, contrariamente, ritenuto l’imputato colpevole del delitto di
cui all’art. 12 comma 3 lett. d) d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 per aver, in
concorso con soggetti separatamente giudicati, compiuto atti diretti a
procurare l’ingresso illegale in territorio italiano di tre cittadini
pakistani. Ritenuta integrata l’ipotesi indicata (art. 12 comma 3 lett. d)
d.lgs. cit.) esclusa la continuazione e concesse le circostanze attenuanti
generiche aveva condannato M.R. alla pena di anni due mesi sei di reclusione ed
Euro 100.000 di multa. La condotta era
stata ritenuta per il concorso del M. - anche ponendo in essere la richiesta in
favore dei cittadini pakistani di tre nulla osta - unitamente ad altri concorrenti,
di cui uno anche definitivamente giudicato (F.C. ). La sentenza di primo grado
aveva escluso, poi, la circostanza aggravante di cui al comma 3 bis d. Igs cit.
e quella di cui al comma 3 lett. a) dell’art. 12 d.lgs. cit. 2. Ricorre per
cassazione il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Brescia e
lamenta l’erronea applicazione dell’art. 12 commi 1 e 3 d.lgs. 25 luglio 1998
n. 286. Deduce che la Corte d’appello aveva riqualificato il delitto ascritto
in quello di cui all’art. 12 comma 1 d.lgs. 286/1998, aderendo all’orientamento
espresso da questa Suprema Corte nella decisione 40624/2014 e valorizzando il
fatto che nessuno dei tre cittadini pakistani avesse, poi, effettivamente fatto
ingresso nel territorio dello Stato. Si postulava che il comma terzo dell’art.
12 d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 integrasse un titolo autonomo di reato e non
una circostanza aggravante e che implicasse l’avvenuto ingresso nel territorio
dello Stato. Pertanto, là dove gli stranieri non avessero fatto ingresso nel
territorio dello Stato il reato configurabile, secondo l’indicata
interpretazione giurisprudenziale, sarebbe stato quello di cui all’art. 12
comma 1 d.lgs. 286/1998. Si tratta di un orientamento che, annota il
ricorrente, non risulta pienamente condivisibile, giacché nella descrizione dei
fatti tipici si prescinde dall’avvenuto e richiamato 'ingresso'. In
questa logica si segnala che alcun riferimento si opera all’effettivo accesso
nel territorio dello Stato ingresso nel caso contemplato dalla lettera e) e d);
ancora il riferimento alla persona trasportata previsto dalle lettere c) e d)
non imporrebbe, secondo il Procuratore impugnante, l’interpretazione indicata
poiché è possibile il caso di soggetti trasportati che, per varie ragioni, non
abbiano fatto ingresso nel territorio dello stato. La previsione di
cui alla lettera a), dell’art. 12 comma 3 d.lgs. cit., che richiama l’ingresso
o la permanenza nel territorio dello Stato, riguarda esclusivamente l’ipotesi
in cui il fatto coinvolge cinque o più persone. Né si sarebbe
potuto ritenere dirimente, nella logica dell’impugnante, il richiamo del comma
3 ter dell’art. 12 d.lgs cit., poiché risultano ampiamente prefigurabili
condotte volte ad introdurre più di cinque persone, al fine di destinarle alla
prostituzione o al fine di profitto, senza l’effettivo ingresso. Nell’interesse di
M.R. , in data 11/12/2017, è stata depositata memoria con cui si replica agli
argomenti posti a fondamento del ricorso del Procuratore generale presso la
Corte d’appello di Brescia e si ripercorre l’interpretazione giurisprudenziale
richiamata nella decisione; si insiste, affinché sia mantenuto come criterio
discretivo tra le due fattispecie di cui al comma 1 e 3 dell’art. 12 d.lgs
286/1998 l’ingresso o meno dello straniero nel territorio dello Stato. Osserva in diritto 1. Il ricorso
impone la rimessione della questione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618
cod. proc. pen. La questione di diritto sottoposta all’esame di questa Sezione
ha, infatti, dato luogo ad un contrasto di giurisprudenza, di cui v’è
segnalazione già nella Relazione dell’Ufficio del Massimario del 24 maggio 2017
(n. Rel. 45/17, anteriore, tuttavia, al deposito di: Sez. 1, n. 45734 del
31/03/2017, dep. 05/10/2017, Bouslim e altri, Rv. 271127). La tematica risulta
rilevante rispetto alla vicenda sub iudice per un duplice profilo. Da un lato,
la sua soluzione incide sulla qualificazione giuridica del fatto e, per altro
verso, riverbera le sue conseguenze sulle modalità di determinazione del
trattamento sanzionatorio, che risente irrimediabilmente dell’opzione
ermeneutica che si intenda prediligere sulla natura della fattispecie. 1.1. Nel regime
normativo pregresso, antecedente alla riforma attuata con la legge 15 luglio
2009, n. 94, si segnala che la giurisprudenza ha ritenuto la natura di
aggravante ad effetto speciale della disposizione di cui al comma 3, in
relazione alla disciplina precedente alle modifiche della legge 30 luglio 2002,
n. 189 (Sez. 1, 21 ottobre 2004, n. 44644, Ren, rv. 230187; Sez. 1, 4 dicembre
2000, n. 5360, Vishe, rv. 218087) e quella di autonoma fattispecie di reato, in
relazione all’assetto normativo successivo a tale novella legislativa (Sez. 1,
22 gennaio 2008, n. 7157, Karpeta, rv. 239304; Sez. 1, 25 gennaio 2006, n.
11578, Rufai Kuku, rv. 233873). Il nucleo centrale
della questione oggetto dell’odierno scrutinio si incentra sul se in tema di
disciplina dell’immigrazione, le fattispecie disciplinate dall’art. 12, comma
terzo, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 costituiscano circostanze aggravanti
del delitto 'base' di cui all’art. 12, comma primo, del medesimo
D.Lgs. ovvero integrino figure autonome di reato. Là dove, poi, si
ritenga che il delitto di cui all’art. 12, comma 3, del d.lgs. 25 luglio 1998,
n. 286 integri un titolo autonomo di reato si tratta di chiarire se esso, per
quanto qui rileva, rientri tra i fatti di pericolo o a cd. 'consumazione
anticipata', che si perfezionano per il solo fatto di compiere atti
diretti a procurare l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, in
violazione della disciplina di settore ovvero richieda l’effettivo ingresso
illegale dell’immigrato in detto territorio. 1.2. Sui temi
indicati si registrano pronunce contrastanti. Da un lato, si è,
invero, ritenuto che l’art. 12 comma 3 d.lgs. cit. integri una fattispecie
circostanziale aggravata 'per aggiunta' rispetto all’ipotesi di cui
all’art. 12 comma 1 d.lgs. cit. (Sez. 1, n. 14654 del 29/11/2016 Ud. (dep.
24/03/2017) Rv. 269538. Dall’altro, ricostruendo la struttura della fattispecie
come titolo autonomo di reato, un primo orientamento ha concluso ritenendo che
la fattispecie criminosa disciplinata dall’art. 12, comma 3, del d.lgs. 25
luglio 1998, n. 286 integri un reato di pericolo o 'a consumazione
anticipata', che si perfeziona per il solo fatto di compiere atti diretti
a procurare l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato in violazione
della disciplina di settore, non richiedendo l’effettivo ingresso illegale
dell’immigrato in detto territorio (Sez. 1, n. 45734 del 31/03/2017, Bouslim e
altri, Rv. 271127. Altra impostazione ha, contrariamente, affermato che le
condotte descritte ai commi terzo e terzo bis dell’art. 12 D. Lgs. 25 luglio
1998, n. 286, implichino l’effettivo ingresso dello straniero nel territorio
dello Stato, in violazione della disciplina di settore, presupposto invece non
richiesto ai fini dell’integrazione dell’ipotesi di reato di cui all’art. 12,
comma primo, del medesimo D.Lgs., che si configura come delitto a consumazione
anticipata. (Sez. 1, n. 40624 del 25/03/2014, Scarano, Rv. 259923). L’adesione all’una
o all’altra delle indicate opzioni interpretative induce conseguenze non
marginali, sia sul piano della qualificazione giuridica sia su quello, è ovvio,
della determinazione del trattamento sanzionatorio e risulta rilevante nello
scrutinio della presente vicenda processuale. Posta la natura di titoli
autonomi di reato delle fattispecie di cui ai commi 1 e 3 del d.lgs cit. e
individuato il criterio distintivo sul piano della tipicità, nell’elemento
dell’ingresso nel territorio, esso assume la valenza di un evento in senso
stretto, trasformando in definitiva il delitto in fatto di evento, che
segnerebbe il discrimine di applicazione tra la fattispecie di cui al comma 1 e
quella di cui al comma terzo, con conseguenze non irrilevanti sul piano della
individuazione del trattamento sanzionatorio, fortemente inasprito dal
legislatore nella ipotesi di cui al comma terzo della disposizione in esame,
rispetto a quella descritta dal primo comma. Ancora, un’opzione
che prediligesse la ricostruzione della fattispecie anzidetta, recuperandola
alla figura circostanziale, ammetterebbe il bilanciamento degli elementi
aggravatori con eventuali circostanze attenuanti, ben potendo interpretarsi il
divieto relativo, di cui al comma 3 quater dell’art. 12 d.lgs. cit., come
limitato alle sole ipotesi di maggiore lesività di cui ai commi 3 bis e 3 ter
della medesima disposizione, non includendo le circostanze enumerate dalla
lettera a) alla lettera e) del comma 3 dell’art. 12 d.lgs. 286/1998 che,
ricorrendo singolarmente, esprimerebbero una minore offensività della condotta
e non legittimerebbero la sottrazione al generale giudizio di bilanciamento,
tra circostanze eterogenee. I diversi profili
risultano tutti rilevanti nella presente vicenda processuale. Se si ritiene che
i commi 1 e 3 debbano essere interpretati come titoli autonomi di reato si
dovrà definire se il distinguo risieda o meno nell’avvenuto ingresso nel
territorio dello Stato da parte dello straniero, per definire quale debba essere
il trattamento sanzionatorio da applicare. Al contrario se si
ritenga che la condotta di cui al comma 3 dell’art. 12 sia una fattispecie
circostanziale aggravata di quella base di cui al comma 1 si dovrebbe
correttamente applicare il giudizio di bilanciamento con le circostanze
attenuanti generiche riconosciute in primo grado all’imputato, che
incontrerebbero il limite di cui al comma 3-quater nelle sole ipotesi di
aggravanti cumulative di cui al comma 3-bis e 3-ter del ridetto art. 12 d.lgs
cit.. 2. Venendo
all’esame specifico degli orientamenti segnalati si deve osservare quanto
segue. 2.1. In un primo
arresto le fattispecie disciplinate dall’art. 12, comma terzo, del D.Lgs. 25
luglio 1998, n. 286 sono state ritenute circostanze aggravanti del delitto di
cui all’art. 12, comma primo, del medesimo D.Lgs. e non figure autonome di
reato. Rispetto
all’ipotesi delittuosa 'base', le fattispecie di cui all’art. 12,
comma terzo, del D.Lgs. n. 286 del 1998 si porrebbero in rapporto di specialità
'per aggiunta', prevedendo, appunto, un trattamento sanzionatorio più
severo con riferimento a fatti che accentuano la lesività della condotta (Sez.
1, n. 14654 del 29/11/2016 Ud. (dep. 24/03/2017), Y e altro, Rv. 269538). Sulla natura
circostanziale o autonoma di una figura criminis, in generale ed in assenza di
espresse indicazioni legislative, si osserva nella decisione in esame, che il
canone principale di differenziazione sia rappresentato dal criterio di
specialità (art. 15 cod. pen.). L’elemento circostanziale si pone in rapporto
di species ad genus rispetto alla fattispecie base e ne costituirebbe una
specificazione. Le Sezioni Unite di questa Corte avrebbero valorizzato il
criterio strutturale come principale canone interpretativo per la distinzione
tra elementi essenziali e circostanziali (Sez. U, n. 26351 del 26/06/2002,
Fedi; Sez. U, n. 4694 del 27/10/2011, dep. 2012, Casani; Sez. U, n. 35737 del
24/06/2010, Rico). Proprio il
criterio strutturale nell’ipotesi prevista dall’art. 12, comma 3, d.lgs. 286
del 1998 apparirebbe, secondo l’arresto in esame, univoco nell’indirizzare
verso la natura circostanziale della fattispecie ivi descritta. Il profilo
descrittivo della condotta, con una tecnica di redazione normativa abbastanza
insolita, replica esattamente la condotta del delitto base. Non muta alcuno
degli elementi strutturali essenziali della condotta e il fatto-base risulta
integrato 'per aggiunta' esclusivamente attraverso l’inserimento dei
dati specializzanti, elencati avvalendosi della tecnica d’enumerazione
letterale progressiva (ingresso di più di cinque persone; pericolo di vita per
il trasportato; sottoposizione a trattamento inumano o degradante; fatto
commesso da tre o più persone; disponibilità di armi). Seguirebbero,
indi, nella struttura della disposizione, i commi 3-bis e 3-ter che hanno
ancora natura circostanziale in funzione d’aggravamento, secondo la stessa
definizione che ne opera l’art. 12 comma 3 quater del d.lvo. 286/1998. I criteri
interpretativi c.d. ausiliari, tra cui la collocazione sistematica - che,
valorizza l’incorporazione del fatto in un’unica norma incriminatrice - la
lettura teleologica, trattandosi di fattispecie a presidio del medesimo bene
giuridico, sono altri referenti che supporterebbero l’ipotesi del 'fatto
unico', variamente ed alternativamente circostanziato. L’identità
descrittiva tra condotte e l’inserimento dei dati specializzanti (lettere a) b)
c) d) e)), in funzione della caratterizzazione dell’incremento della lesività
della medesima condotta base, risponderebbero alla tecnica di incriminazione
tipicamente selettiva degli elementi circostanziali. Né secondo il ragionamento
svolto nella decisione potrebbe valere l’insolita tecnica di redazione
dell’incriminazione, ad escludere l’affermata natura circostanziale soluzione
che resta preferibile perché predilige un’opzione che non frammenta il nucleo
di offensività identico in più ipotesi di reato, attraverso aspetti accessori
di sola specificazione. Non si è, d’altro
canto, ritenuto di poter assegnare al lessico formale impiegato nella
descrizione della fattispecie un significato dirimente. La clausola di riserva
che figura sia nel primo che nel terzo comma dell’art. 12 d.lgs cit. ben
potrebbe rientrare in una tecnica di normazione insolita, poco attenta alle
forme espressive e, dunque, non per cio’ solo involgere che i due modelli di
incriminazione integrino titoli autonomi di reato. La valorizzazione
del solo profilo letterale non varrebbe, ancora, a indirizzare nella
interpretazione testé detta, attraverso il richiamo del riferimento ai
'fatti' di cui al comma 1 e 3, per convalidare l’ipotesi che si
tratti di titoli autonomi. Cio’ perché, comunque, residuerebbe spazio per
ritenere, nonostante il lessico normativo, che quei 'fatti'
rileverebbero come ipotesi 'non circostanziate' nel paradigma di cui
al comma 1 dell’art. 12 cit. e come ipotesi circostanziate in quella di cui al
comma 3 ed esprimerebbero i primi la natura di un titolo autonomo di reato ed i
secondi quella di una semplice fattispecie circostanziale. Né rilievo decisivo
avrebbe il previsto regime di operatività delle circostanze attenuanti (diverse
dagli artt. 98 e 114 cod. pen.) contemplato al comma 3-quater della norma in
esame, che si conforma ad una logica precisa. La disposizione, infatti,
potrebbe egualmente mantenere un significato di deroga alla regola generale di
bilanciamento, di cui all’art. 69 cod. pen. (con le due sole eccezioni) deroga
operativa nelle sole ipotesi di cui ai commi 3-bis e 3-ter, nell’ottica della
necessità di attuare un trattamento di maggiore rigore, nei soli casi in cui
concorrano congiuntamente più circostanze di cui al comma 3 o le ipotesi di cui
alle lettere a) e b) del comma 3-ter, per il maggiore spessore lesivo che
essere conferirebbero alla fattispecie concreta. Concorrendo, pertanto, solo
una tra le circostanze indicate tra le lettere da a) ad e) del comma terzo del
citato art. 12 sarebbe ingiustificata la deroga al principio di bilanciamento e
troverebbe piena espansione e applicazione il meccanismo di cui all’art. 69
cod. pen.. 2.2. Altro
orientamento disattende la natura circostanziale dell’ipotesi di cui al comma 3
dell’art. 12 d.lgs. 286/1998 rispetto al delitto di cui al comma 1 d.lgs. cit.
e collega le rispettive fattispecie ad autonome figure di reato. Nel solco di
ricostruzione siffatta si enucleano, tuttavia, due distinte opzioni
interpretative. 2.2.1. La prima ritiene che in tema di
disciplina dell’immigrazione, le condotte descritte ai commi terzo e terzo bis
dell’art. 12 D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, implicano l’effettivo ingresso
dello straniero nel territorio dello Stato, in violazione della disciplina di
settore, presupposto invece non richiesto ai fini dell’integrazione
dell’ipotesi di reato di cui all’art. 12, comma primo, del medesimo D.Lgs., che
si configura come delitto a consumazione anticipata (Sez. 1 del 25 marzo 2014,
n. 40624, Scarano, rv. 259923). Si ritiene, in
definitiva, che le condotte descritte nella seconda parte del comma 3 dell’art.
12 d.lgs. n. 286 del 1998, implichino l’avvenuto ingresso dell’immigrato nel
territorio dello Stato, in violazione della disciplina di settore, mentre, ai
fini della integrazione del delitto di cui al comma 1 del citato articolo, che
si configura come reato a consumazione anticipata, sono sufficienti 'atti
diretti a procurare l’ingresso illegale' dello straniero, ossia anche
attività che, finalisticamente ed univocamente orientate a conseguire tale
scopo, non siano riuscite a conseguirlo. Le fattispecie previste al comma 3,
sono introduttive, quindi, secondo tale giurisprudenza, di un titolo autonomo
di reato e non di circostanze aggravanti, così che l’ipotesi delittuosa di cui
al comma 1 del citato articolo, potrà ritenersi aggravata, per espressa
indicazione legislativa, solo ove sussistano le specifiche condizioni di cui al
comma 3-ter (Sez. 1 del 25 marzo 2014, n. 40624, Scarano, rv. 259922). A sostegno di tale
soluzione ermeneutica l’orientamento de quo pone un duplice ordine di
considerazioni: - il massiccio
incremento sanzionatorio relativo alle ipotesi di cui al comma terzo
dell’art.12, trova una giustificazione solo se rapportato da una effettiva
violazione della disciplina di settore e, dunque, dall’avvenuto ingresso
abusivo dei cittadini stranieri nel territorio dello Stato, mentre non sarebbe
ragionevole, nel sistema, una sua previsione in relazione al mero tentativo
punibile. - l’attuale testo
del comma 3-ter, nel descrivere le ulteriori ipotesi di aggravanti ad effetto
speciale, fa riferimento in modo distinto alle ipotesi di cui al comma 1 e al
comma 3 dell’art. 12 del Testo Unico sull’immigrazione. 2.2.2. La seconda
che, da ultimo, pur condivisa la natura di tiolo autonomo di reato ritiene che
la fattispecie criminosa disciplinata dall’art. 12, comma 3, del d.lgs. 25
luglio 1998, n. 286 integra un reato di pericolo o 'a consumazione
anticipata', che si perfeziona per il solo fatto di compiere atti diretti
a procurare l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato in violazione
della disciplina di settore, non richiedendo l’effettivo ingresso illegale dell’immigrato
in detto territorio (Sez. 1, n. 45734 del 31/03/2017, Bouslim e altri, Rv.
271127). La decisione
richiamati gli interventi di riforma attuati prima con la L. 30 luglio 2002, n.
189, art. 1, sull’art. 12 del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e, poi, con la
legge 94 del 2009 ha spiegato come inizialmente l’elemento differenziale tra le
due fattispecie fosse il fine di trarre un ingiusto profitto che qualificava il
dolo e, successivamente, la previsione di specifiche condotte. Contrariamente,
la struttura del reato (che presenta evidenti analogie con la norma sul
tentativo) non era mutata e la fattispecie criminosa dell’art. 12 comma 3
corrisponderebbe ancora ad un reato di pericolo o a consumazione anticipata,
che si perfeziona per il solo fatto di compiere atti diretti a procurare
'ingresso'. Nessun elemento sorreggerebbe la tesi sviluppata da Sez.
1, in precedenza richiamata, n. 40624 del 2014, circa la necessità per la
realizzazione del reato dell’effettivo ingresso. Non sarebbero, invero, valorizzabili
i fatti di cui alle lettere da b) ad e), che connotano condotte compatibili
anche con attività che non hanno determinato un effettivo ingresso e nemmeno
quelli descritti alla lett. a), che, per vero, solo ad un superficiale
approccio sembrerebbero postulare la necessità dell’ingresso effettivo. In
realtà, l’ipotesi della permanenza (alternativa all’ingresso) non rivestirebbe
un rilievo autonomo, ma puo’ ricollegarsi egualmente o a un ingresso che è
illecito in origine e tale rimane, o a un pregresso ingresso lecito, sorretto
da valido permesso, che sia divenuto in seguito illecito (scadenza o altro).
Neanche l’argomento del divario delle pene tra il primo e il terzo comma
potrebbe condurre ad un diverso convincimento, a fronte di una discrezionalità legislativa
che risulterebbe correttamente esercitata per la gravità delle condotte
descritte. 3. Alla luce di
quanto premesso la questione va rimessa alle Sezioni Unite sul seguente
quesito: Se in tema di disciplina dell’immigrazione, le fattispecie disciplinate
dall’art. 12, comma terzo, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 costituiscano
circostanze aggravanti del delitto di cui all’art. 12, comma primo, del
medesimo D.Lgs. ovvero figure autonome di reato. In eventualità siffatta se il
delitto di cui all’art. 12, comma 3, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 integri
un reato di pericolo o 'a consumazione anticipata', che si perfeziona
per il solo fatto di compiere atti diretti a procurare l’ingresso dello
straniero nel territorio dello Stato, in violazione della disciplina di
settore, non richiedendo l’effettivo ingresso illegale dell’immigrato in detto
territorio. P.Q.M. Rimette la
questione alle Sezioni Unite. |