PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (REATI CONTRO LA -ARTT. 314-356 C.P.)


CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - SENTENZA 23 aprile 2018, n.18077
Non integra il reato di abuso di ufficio la condotta del direttore generale di un ente che emana una nota diretta a vanificare una riduzione dello stipendio già disposta nei suoi confronti dal commissario straordinario dell’ente medesimo, poiché a tale atto non può essere riconosciuta natura abusiva. |
CASUS DECISUS
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Palermo, a seguito di appello proposto nell’interesse dell’indagato S.U. avverso la ordinanza cautelare emessa il 6.11.2017 emessa dal G.I.P. del Tribunale di Agrigento con la quale è stata applicata al predetto la misura della sospensione da un pubblico ufficio o servizio, ha confermato la decisione con la quale sono stati riconosciuti a carico del predetto gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui all’art. 323 cod. pen. e la misura applicata. Il ricorrente è accusato di aver, quale direttore generale dell’IACP di Agrigento, in concorso con il funzionario responsabile dell’ufficio del personale dello stesso Ente, abusato del proprio ufficio per molteplice violazione di legge ed emanando il provvedimento in data 14.10.2013 diretto a vanificare una riduzione dello stipendio già disposta nei suol confronti con provvedimento emesso il 25.9.2013 dal Commissario Straordinario dell’ente e che formava pure oggetto di un nuovo contratto di lavoro (stipulato il 29.11.2013), procurando a sé un ingiusto vantaggio patrimoniale pari alle somme retributive non spettantigli e corrispondenti all’ammontare della retribuzione di posizione illegittimamente percepita e già formalmente decurtata del suo stipendio. Avverso la ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore. |
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - SENTENZA 23 aprile 2018, n.18077 - Pres. Fidelbo – est. Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza
in epigrafe il Tribunale di Palermo, a seguito di appello proposto
nell’interesse dell’indagato S.U. avverso la ordinanza cautelare emessa il
6.11.2017 emessa dal G.I.P. del Tribunale di Agrigento con la quale è stata
applicata al predetto la misura della sospensione da un pubblico ufficio o
servizio, ha confermato la decisione con la quale sono stati riconosciuti a
carico del predetto gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui
all’art. 323 cod. pen. e la misura applicata. 2. Il ricorrente è
accusato di aver, quale direttore generale dell’IACP di Agrigento, in concorso
con il funzionario responsabile dell’ufficio del personale dello stesso Ente,
abusato del proprio ufficio per molteplice violazione di legge ed emanando il provvedimento in data 14.10.2013 diretto a
vanificare una riduzione dello stipendio già disposta nei suoi confronti con
provvedimento emesso il 25.9.2013 dal Commissario Straordinario dell’ente e che
formava pure oggetto di un nuovo contratto di lavoro (stipulato il
29.11.2013), procurando a sé un ingiusto vantaggio patrimoniale pari alle somme
retributive non spettantigli e corrispondenti all’ammontare della retribuzione
di posizione illegittimamente percepita e già formalmente decurtata del suo
stipendio. 3. Avverso la
ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato
deducendo: 3.1. Violazione
della legge processuale e penale con riferimento alla omessa valutazione dei
motivi di impugnazione in relazione alla ritenuta gravità indiziaria. Il
Tribunale ha omesso di considerare le deduzioni difensive in ordine alla natura
accompagnatoria e non ordinatoria della nota incriminata ed alla legittimità
del superamento dei limiti massimi della posizione di retribuzione senza
considerare se dalla violazione della determinazione del Commissario
Straordinario - che disponeva la riduzione dello stipendio del ricorrente - ne
sia derivato un ingiusto vantaggio piuttosto che il 'dovuto'. 3.2. Violazione di
legge penale e processuale in ordine alla ritenuta sussistenza della gravità
indiziaria a carico del ricorrente. L’assunto secondo il quale il ricorrente
avrebbe concretato un esercizio arbitrario delle proprie ragioni attraverso la
nota da lui emanata non è sufficiente ai fini della integrazione del reato
ipotizzato, essendosi dovuto verificare anche la gravità indiziaria in ordine
alla ingiustizia del vantaggio patrimoniale costituito dall’assegno ad
personam. 3.3. Violazione di
legge penale e processuale e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta
sussistenza dell’elemento psicologico del reato, pur avendo dato atto dei dubbi
interpretativi in ordine al quadro normativo di riferimento e, pertanto, non
avendo dato contezza della intenzionalità da parte del ricorrente - attraverso
la formulazione della nota a sua firma - del perseguimento di un ingiusto
profitto. La considerazione della previsione da parte del contratto individuale
di lavoro della corresponsione dell’assegno ad personam doveva far ritenere la
nota del Direttore Generale rispondente al quadro giuridico e, pertanto, far
escludere l’elemento soggettivo del reato. 3.4. Violazione
della legge processuale penale in ordine alla ritenuta sussistenza delle
esigenze cautelari con riferimento alla intervenuta sospensione della
corresponsione dell’assegno ad personam, incomprensibilmente ritenuta
ininfluente dai Tribunale rispetto ai tempi procedimentali che avevano fatto
conoscere al ricorrente la esistenza del procedimento a suo carico. Considerato in
diritto 1. Il ricorso è
fondato sull’assorbente motivo della insussistenza dell’elemento oggettivo del
reato. 2. Il Tribunale,
avallando la ipotesi di accusa, ha fatto leva sulla nota n. 10079/13 del
14.10.2013 sottoscritta dal ricorrente ed indirizzata al M. , responsabile
dell’ufficio del personale, assumendo la sua natura dispositiva e la abusività
funzionale sotto i due profili: quello della consapevole violazione della
disposizione del Direttore generale che aveva disposto la riduzione dello
stipendio 'adottando una determinazione ad esso contraria che, di fatto,
ne ha vanificato tutti gli effetti di risparmio della spesa pubblica' e
quello della mancata astensione dalla sua funzione di p.u. in presenza di un
interesse proprio. Così - prosegue il Tribunale - pur potendosi rivolgere alla
autorità giudiziaria per tutelare il proprio interesse alla retribuzione ha
realizzato una sorta di 'esercizio arbitrario delle proprie ragioni'
attraverso le funzioni rivestite. Inoltre - oltre alla generica osservazione
sulle diverse opzioni interpretative del quadro normativo di riferimento ha
ritenuto le questioni giuridiche sollevate dalla difesa una intempestiva ed
irrituale giustificazione, fondando la conferma della gravità indiziaria sotto
il profilo oggettivo e soggettivo (v. pg. 5 del provvedimento impugnato) sul
dovere - violato - del ricorrente di dare attuazione alla disposizione della
riduzione dello stipendio, sul suo obbligo - parimenti violato - di astenersi
da qualsiasi disposizione contraria nonché sull’obbligo non rispettato di dare
concreta esecuzione del nuovo contratto individuale di lavoro e l’onere di
adire, eventualmente l’A.G. per dimostrare la legittimità del precedente
importo stipendiale. 3. Ritiene questo
Collegio che è errato l’assunto dei Giudici di merito secondo il quale la nota
emessa dal S. in data 14.10.2013 costituisca atto abusivo e, pertanto,
integrante la condotta criminosa provvisoriamente ascritta al ricorrente. 4. A fronte della
specifica deduzione difensiva in sede di appello (v. pg. 4 dell’appello) circa
la natura accompagnatoria e non ordinatoria della nota in questione, il
Tribunale ha dato per scontata la natura provvedimentale dell’atto con il quale
il S. ha trasmesso il provvedimento commissariale di riduzione del suo
stipendio indicando contestualmente che risultava applicabile nella fattispecie
'l’art. 30 del CCNL 98/2001 che prevede il mantenimento 'ad
personam' della differenza di retribuzione'. E, ovviamente, il tema
dell’abusività della nota in questione non può ritenersi assorbito dalle
considerazioni svolte dagli stessi Giudici di merito circa il mantenimento del
livello stipendiale - nonostante il provvedimento commissariale e la stipula
del nuovo contratto - ascrivibile ai pedissequi provvedimenti del M. , essendo
ipotizzata l’autonoma, anche se concorrente, condotta abusiva del S. . 5. Ebbene, è da
risalente orientamento affermato che l’abusività criminosa consiste in un atto
o fatto di potere del pubblico ufficiale che si ponga in contrasto con le norme
che regolano l’attività amministrativa al fine di assicurarne la conformità
all’interesse pubblico (Sez. 5, n. 8043 del 02/05/1983, Amitrano, Rv. 160498),
dovendo sussistere, ai fini della abusività criminosa, una necessaria
correlazione tra l’atto e le funzioni del pubblico ufficiale. 6. Detto orientamento
è stato ribadito da Sez. 6 n. 42836 del 02/10/2013, Sgroi, rv 256687 secondo la
quale 'se è vero che la nozione di 'atto di ufficio' comprende
una vasta gamma di comportamenti umani, effettivamente o potenzialmente
riconducibili all’incarico del pubblico ufficiale, e quindi non solo il
compimento di atti di amministrazione attiva, la formulazione di richieste o di
proposte, l’emissione di pareri, ma anche la tenuta di una condotta meramente
materiale o il compimento di atti di diritto privato (Sez. 6, n. 38698 del
26/09/2006, Moschetti ed altri, Rv. 234991), purtuttavia indefettibile
correlazione deve esservi tra lo svolgimento delle funzioni o del servizio e
l’atto abusivo affinché questo formi un 'quid' giuridicamente
rilevante nella sua riferibilità alla pubblica amministrazione, capace di
produrre conseguenze giuridiche. (Sez. 6, n. 10896 del 02/04/1992, Bronte ed
altri, Rv. 192874). Costituisce, invero, jus receptum che l’abuso richiesto per
la integrazione della fattispecie criminosa in esame deve intendersi come
esercizio del potere per scopi diversi da quelli imposti dalla natura della
funzione; sicché, mancando l’elemento dell’esercizio del potere è da escludere
la configurabilità del reato (Sez. 6, n. 5118 del 25/02/1998, Percoco, Rv. 211709;
Sez. 2, n. 7600 del 09/02/2006, Scalerà ed altro, Rv. 233234; Sez. 6, n. 6489
del 04/11/2008, Andreotti, Rv. 243051; Sez. 6, n. 5895 del 09/01/2013, Verdini
e altro, Rv. 254892)'. Ancora, è stato
ritenuto che non sussiste il delitto di abuso di ufficio quando la condotta del
pubblico ufficiale sia stata posta in essere al di fuori dello svolgimento
delle funzioni o del servizio, anche se in contrasto di interessi con
l’attività di istituto (Sez. 6, n. 1269 del 05/12/2012, Marrone e altri, Rv.
254228). Infine, ancorché
nella presente vicenda si tratti di una autonoma e concorrente condotta
criminosa, è stato affermato - in linea con quanto appena detto - che non è
configurabile nella mera 'raccomandazione' o nella
'segnalazione' una forma di concorso morale nel reato di abuso di
ufficio, in assenza di ulteriori comportamenti positivi o coattivi che abbiano
efficacia determinante sulla condotta del soggetto qualificato, atteso che la
'raccomandazione', come fatto a sé stante, non ha un’efficacia causativa
sul comportamento del soggetto attivo, il quale è libero di aderire o meno alla
segnalazione secondo il suo personale apprezzamento (Sez. 6, n. 35661 del
13/04/2005, Berardini ed altri, Rv. 232073). 7. Ritiene il
Collegio che, nel caso di specie, la correlazione dell’atto incriminato con le
funzioni ricoperte dal ricorrente non solo non è stata in alcun modo
giustificata, ma risulta vieppiù insussistente non potendo essa essere
riconosciuta solo per la provenienza soggettiva dell’atto. Cosicché non può
essere riconosciuta natura abusiva - perché non espressione dell’esercizio del
potere - alla nota del S. che alcuna disposizione ha impartito al suo
destinatario, in quanto - nel trasmettere la nota commissariale di riduzione
dello stipendio che lo riguardava - si è limitato a prospettare la ricorrenza
di una condizione a suo favore senza con ciò esprimere una attività di ufficio,
né - tantomeno - determinare alcun vincolo in capo al destinatario in ordine
all’esercizio dei poteri a questi spettantigli. 8. Erronea,
quindi, è sotto l’aspetto esaminato la ritenuta sussistenza dell’elemento
oggettivo del reato ipotizzato a carico del ricorrente e l’accoglimento del
motivo di ricorso nei termini appena detti assorbe ogni altra questione
dedotta. 9. Ne consegue
l’annullamento senza rinvio della ordinanza impugnata e di quella genetica
emessa dal GIP del Tribunale di Agrigento. P.Q.M. Annulla senza
rinvio l’ordinanza impugnata nonché il provvedimento emesso in data 6 novembre
2017 dal G.i.p. del Tribunale di Agrigento. |