PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (REATI CONTRO LA -ARTT. 314-356 C.P.)


CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - SENTENZA 29 giugno 2018, n.24156
Il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, sostanziandosi nella ricezione di indebite prestazioni di emolumenti e previdenze maturate periodicamente, non si configura come reato permanente né come un reato istantaneo ad effetti permanenti, bensì come un reato a consumazione prolungata, giacché il soggetto agente, sin dall’inizio, ha la volontà di realizzare un evento destinato a protrarsi nel tempo. Ne consegue che il momento consumativo del reato di cui all’art. 316 - ter cod. pen. coincide con quello della cessazione dei pagamenti, perdurando il reato fino a quando non vengono interrotte le riscossioni e, pertanto, è applicabile la confisca per equivalente in relazione all’importo complessivamente illegittimamente fruito dall’agente, anche nel caso di reato posto in essere prima all’entrata in vigore della legge n. 190 del 6 novembre 2012, purchè l’ultimo rateo sia stato riscosso sotto la vigenza della nuova normativa. |
CASUS DECISUS
La Corte di appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del Tribunale di Paola del 20 maggio 2014, riqualificati i fatti come fattispecie prevista dall’art. 316-ter cod. pen., confermava la condanna dell’imputata al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile INPS, perché quale delegata alla riscossione della pensione di invalidità civile e della indennità di accompagnamento della madre, aveva omesso di comunicare il decesso della genitrice, procurandosi così l’ingiusto profitto della riscossione dei ratei di pensione e dell’indennità di accompagnamento per il complessivo importo di Euro 59.027,00, con corrispondente danno per l’ente pubblico erogatore. Pertanto, l’imputata ricorreva in Cassazione, denunciando l’erroneità della disposta confisca per equivalente dell’immobile, costituente quota di un antico immobile di famiglia, indiviso tra più fratelli, estranei al reato, e, quindi la legittimità del provvedimento ablatorio in quanto avente ad oggetto un bene che non costituisce profitto né prezzo del reato. La intervenuta riqualificazione del reato imponeva alla Corte di appello la revoca della confisca dell’immobile tenuto conto che per il reato di cui all’art. 316 - ter cod. pen. era consentita, fino alla data del 14 novembre 2012, solo la confisca del prezzo del reato e non anche del profitto del reato, nozione nella quale non rientrava il bene in sequestro, trattandosi di un bene di famiglia indiviso tra i coeredi. |
ANNOTAZIONE
Una donna, dopo la morte della madre, ha continuato ad intascare pensione e accompagnamento della genitrice per un importo di quasi 60000 euro: può l’INPS confiscare beni corrispondenti al profitto del reato commesso prima della riforma della normativa in materia, che ha previsto la confisca di beni corrispondenti al profitto del reato? Per dare risposta a tale interrogativo la Suprema Corte evidenzia che in tema di prescrizione il momento consumativo del reato di cui all’art. 316 - ter cod. pen. coincide con quello della cessazione dei pagamenti, perdurando il reato fino a quando non vengono interrotte le riscossioni. In tali casi, vertendosi della ricezione di indebite prestazioni di emolumenti e previdenze maturate periodicamente, non si configura un reato permanente né un reato istantaneo ad effetti permanenti, bensì un reato a consumazione prolungata, giacché il soggetto agente, sin dall’inizio, ha la volontà di realizzare un evento destinato a protrarsi nel tempo. In tali casi, dunque, perdurando il reato fino alla riscossione dell’ultimo rateo, ed il danno addirittura incrementandosi, ai fini della confisca, la consumazione del reato coincide con la cessazione dei pagamenti. Facendo applicazione di tale principio alla fattispecie in esame nella quale è incontestato che l’imputata ha percepito l’ultimo rateo di pensione - relativo al mese di dicembre 2012 - nel gennaio 2013, devono ritenersi del tutto legittime le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di appello che, ritenuto il reato ancora perdurante al momento di entrata in vigore della legge n. 190 del 6 novembre 2012, ha disposto la confisca del profitto del reato, in relazione all’importo complessivamente illegittimamente fruito dall’imputata, confisca che si atteggia a confisca cd. diretta della somma di denaro già oggetto di sequestro preventivo e quale confisca per equivalente (ovvero per valore corrispondente) dell’immobile di proprietà dell’imputata. |
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - SENTENZA 29 giugno 2018, n.24156 - Pres. Paoloni – est. Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di
appello di Catanzaro, su appello dell’imputata e della parte civile INPS, in
riforma della sentenza del Tribunale di Paola del 20 maggio 2014, riqualificati
i fatti come fattispecie prevista dall’art. 316-ter cod. pen., ha rideterminato
in mesi quattro di reclusione la pena inflitta a C.A.S. . Ha confermato la
condanna dell’imputata al risarcimento del danno in favore della costituita
parte civile INPS, rimettendone la liquidazione al giudice civile. Ha, infine,
confermato la confisca della somma di Euro 20.791,05 e di un immobile di
proprietà dell’imputata per un valore equivalente alla somma di Euro 38.235,95,
quale importo complessivamente pari alla somma di cui si era appropriata l’imputata. 2. La C. , quale
delegata alla riscossione della pensione di invalidità civile e della indennità
di accompagnamento della madre, aveva omesso di comunicare il decesso della
genitrice, avvenuto il (OMISSIS) , procurandosi così l’ingiusto profitto della
riscossione dei ratei di pensione e dell’indennità di accompagnamento fino al
dicembre 2012, per il complessivo importo di Euro 59.027,00, con corrispondente
danno per l’ente pubblico erogatore. 3. Propongono
ricorso per la cassazione della sentenza, con motivi di seguito sintetizzati ai
sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., l’imputata e la parte civile. 4. L’imputata
denuncia l’erroneità della disposta confisca per equivalente dell’immobile,
costituito da due vani ed accessori, e costituente quota di un antico immobile
di famiglia, indiviso tra più fratelli, estranei al reato, del valore catastale
di Euro 100,00, e, quindi la legittimità del provvedimento ablatorio in quanto
avente ad oggetto un bene che non costituisce profitto né prezzo del reato. La
intervenuta riqualificazione del reato imponeva alla Corte di appello la revoca
della confisca dell’immobile tenuto conto che per il reato di cui all’art. 316
- ter cod. pen. era consentita, fino alla data del 14 novembre 2012, solo la
confisca del prezzo del reato e non anche del profitto del reato, nozione nella
quale non rientra il bene in sequestro, trattandosi di un bene di famiglia
indiviso tra i coeredi. La motivazione della Corte di merito, sul punto, è
generica e disposta in violazione degli artt. 2, 322-ter cod. pen. e 321 cod.
proc. pen. poiché la confisca avrebbe dovuto essere limitata al profitto
conseguito dal reato soltanto per la parte conseguita nel periodo successivo al
novembre del 2012, data di entrata in vigore della legge n. 190, avendo la C.
riscosso nel dicembre 2012 l’ultimo rateo di pensione. 5. La parte civile
INPS, denuncia: 5.1 la mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza
impugnata e vizi di travisamento della prova documentale e delle norme di legge
(artt. 2, 74, 538, 539 cod. pen. e 2033 e 2036 cod. civ.). Rileva la erroneità
della decisione, nella parte in cui ha disatteso il primo motivo di appello
proposto dalla parte civile volto a conseguire la condanna al risarcimento dei
danni nell’ammontare risultate dagli atti acquisiti e, cioè l’importo dei ratei
riscossi dalla C. - pacificamente risultante dai prospetti allegati
all’informativa - e che è quantificabile sulla base di una mera operazione
aritmetica, importo che la Corte ha contraddittoriamente ritenuto accertato ai
fini penali ma non anche ai fini della condanna civile rinviando, ai fini delle
attività satisfattive, ad un’ipotetica e futura restituzione da parte dello
Stato, a cui favore le somme sono state confiscate, e, peraltro, rimettendone
la quantificazione al giudice civile, in violazione del disposto di cui
all’art. 538 cod. proc. pen.; 5.2 erronea
applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 240, 316 ter, 322 -
ter cod. pen e 321 cod. proc. pen.. La Corte ha erroneamente qualificato la
disposta confisca della somma di denaro (Euro 20.971,05), come confisca per
equivalente, poiché, invece, ogniqualvolta il profitto di uno dei reati di cui
all’art. 322-ter cod. pen. sia costituito da danaro, il giudice, attesa la
fungibilità del bene che ne costituisce oggetto, deve disporre la confisca
diretta. Di conseguenza le somme, previa revoca della disposta confisca in
primo grado, andavano considerate di appartenenza dell’Istituto ricorrente,
perché profitto del reato, al quale andavano restituite; 5.3. inosservanza
o erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 322- ter,
316, 321 e 324 comma 4 cod. proc. pen. poiché la Corte non ha accolto la
richiesta di sequestro conservativo dell’immobile di proprietà dell’imputata
sulla base dell’erroneo presupposto che la misura del sequestro preventivo e
della confisca per equivalente erano prevalenti sulla richiesta di sequestro
conservativo, a garanzia delle obbligazioni civili derivanti da reato,
richiesto dalla parte civile. Considerato in
diritto 1. I ricorsi
dell’imputata e della parte civile devono essere rigettati perché infondati. 2. Ai fini della
disamina delle censure sollevate con i ricorsi sia dell’imputata che della
parte civile è necessario premettere brevi nozioni sulla natura della confisca
e delle sue species alle quali, per vero non in termini univoci, è pervenuta la
giurisprudenza di questa Corte. 3.
Imprescindibile, ai fini della ricostruzione dello statuto della confisca, e di
quella del profitto di reato in particolare, è la natura della misura in esame
che, anche alla stregua delle coordinate sovranazionali rivenienti dalla
giurisprudenza della Corte EDU, non costituisce pena accessoria, ma ha
carattere eminentemente sanzionatorio e misura ablatoria, con finalità
ripristinatoria, diretta o per equivalente, a seconda dell’oggetto del profitto
(Sez. 3, n. 43397 del 10/09/2015, Lombardo, Rv. 265093; Sez. 3, n. 6047 del
27/09/2016, dep. 2017, Zaini, Rv. 268829). 4. Controversa, in
presenza di cd. profitto accrescitivo è la natura - diretta ovvero per
equivalente - della confisca che abbia per oggetto somme di denaro. Secondo un
più recente orientamento, in vero, in relazione a somme depositate su conto
corrente e per le quali vi era prova della non provenienza dal reato si è
affermato che in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, la
natura fungibile del denaro non consente la confisca diretta delle somme
depositate su conto corrente bancario del reo, ove si abbia la prova che le
stesse non possono in alcun modo derivare dal reato e costituiscano, pertanto,
profitto dell’illecito (Sez. 3, n. 8995 del 30/10/2017, dep. 2018, P.M. in
proc. Barletta e altro, Rv. 272353). 5. Il principio
ora richiamato è contrastato dal quell’orientamento giurisprudenziale, secondo
il quale, qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato
sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia
comunque la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in
considerazione della natura fungibile del bene, destinato a confondersi con le
altre disponibilità economiche del reo, non necessita della prova del nesso di
derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il
reato (Sez. 5, n. 23393 del 29/03/2017 - dep. 12/05/2017, P.M. in proc. Garau,
Rv. 270134), conclusione, questa direttamente riveniente dalla nota sentenza
Lucci resa da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015,
Lucci, Rv. 264437). 6. In materia di
reati contro la pubblica amministrazione, ed incentrando l’attenzione
dell’interprete sulla natura fungibile del denaro, questa Corte, in più
occasioni, ha affermato che qualora il profitto tratto da uno dei reati
indicati nell’art. 322 ter cod. pen. sia costituito dal danaro, il giudice -
attesa la fungibilità del bene - deve disporre la confisca obbligatoria del
profitto in forma specifica, ai sensi della prima parte del comma primo del
citato art. 322 ter, e non la confisca per equivalente ai sensi della seconda
parte del predetto comma (Sez. 7, n. 50482 del 12/11/2014, Castellani, Rv.
261199; Sez. 6, n. 21327 del 04/03/2015, Antonelli, Rv. 263482; Sez. 2, n.
21228 del 29.4.2014, Riva Fire S.p.A., Rv. 259717), principio ribadito anche in
materia di responsabilità da reato degli enti (Sez. 6, n. 2336 del 07/01/2015,
Pretner Calore, Rv. 262082). In altri termini il denaro sottoposto a vincolo di
indisponibilità deve soltanto corrispondere al valore della somma formata dal
prezzo o dal profitto del reato, non occorrendo accertare alcun nesso
pertinenziale tra il reato contestato e il cespite monetario da sottoporre a
futura confisca (v. in termini: Sez. 3, n. 1261 del 25.9.2012, dep. 2013,
Marseglia, Rv. 254175) e, qualora il profitto tratto da taluno dei reati per i
quali è prevista la confisca per equivalente sia costituito da denaro,
l’adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le
somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità
dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere
all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non
sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare. 7. Come già
anticipato nel ritenuto in fatto, in materia di reati contro la pubblica
amministrazione, solo con la legge n. 190 del 6 novembre 2012, pubblicata nella
G.U. del 13 novembre 2012 ed entrata in vigore il 28 novembre 2012, fu inserita
nella disposizione di cui all’art. 322 ter. comma 1, ult. parte, cod. pen. la
previsione della confisca per equivalente del profitto del reato (....la
confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore
corrispondente a tale prezzo e profitto) ma tale previsione non è affatto di
ostacolo, secondo la ricostruzione dell’imputata ricorrente, a ritenere
illegittima la conferma della confisca, già disposta in primo grado ai sensi
dell’art. 240 cod. pen. e con riguardo al reato di cui all’art. 640 bis cod.
pen. in origine contestato, una volta che il reato ascritto alla C. sia stato
qualificato come delitto di cui all’art. 316-ter cod. pen., sull’assunto che la
confisca per equivalente non era prevista, in relazione a detta fattispecie
incriminatrice, con riguardo al profitto del reato. Secondo la tesi della
ricorrente C. , l’affermata natura sanzionatoria della confisca ne consente
l’adozione, come per il trattamento punitivo, solo con riguardo alle condotte
commesse dopo la entrata in vigore della legge n. 190 del 2012, e, nel caso,
con riferimento all’ultimo rateo di pensione riscosso dall’imputata. 8. Tale assunto si
rivela, tuttavia, infondato atteso che questa Corte ha già avuto modo di
precisare, in tema di prescrizione, che il momento consumativo del reato di cui
all’art. 316 - ter cod. pen. coincide con quello della cessazione dei pagamenti
(Sez. 2, n. 48820 del 23/10/2013, Brunialti, Rv. 257431; Sez. 3, n. 6809 del
08/10/2014 - dep. 2015, P.G. in proc. Sauro e altri, Rv. 26254901) perdurando
il reato fino a quando non vengono interrotte le riscossioni. In tali casi,
vertendosi della ricezione di indebite prestazioni di emolumenti e previdenze
maturate periodicamente, non si configura un reato permanente né un reato
istantaneo ad effetti permanenti, bensì un reato a consumazione prolungata,
giacché il soggetto agente, sin dall’inizio, ha la volontà di realizzare un
evento destinato a protrarsi nel tempo. In tali casi, dunque, perdurando il
reato fino alla riscossione dell’ultimo rateo, ed il danno addirittura
incrementandosi, ai fini della confisca, la consumazione del reato coincide con
la cessazione dei pagamenti. Facendo applicazione di tale principio alla
fattispecie in esame nella quale è incontestato che l’imputata ha percepito
l’ultimo rateo di pensione - relativo al mese di dicembre 2012 - nel gennaio
2013, devono ritenersi del tutto legittime le conclusioni alle quali è
pervenuto il giudice di appello che, ritenuto il reato ancora perdurante al
momento di entrata in vigore della legge n. 190 del 6 novembre 2012, ha
disposto la confisca del profitto del reato, in relazione all’importo
complessivamente illegittimamente fruito dalla C. , confisca che si atteggia a
confisca cd. diretta della somma di denaro già oggetto di sequestro preventivo
- misura non contestata dalla C. attraverso il ricorso - e quale confisca per
equivalente (ovvero per valore corrispondente), dell’immobile di proprietà
dell’imputata. La diversa qualificazione, del reato ovvero della natura della
confisca, non ridonda a danno dell’imputata, quale reformatio in peius della
sentenza di primo grado, poiché ciò che rileva è l’effetto derivante dalla
misura applicata, che resta immutato, rientrando nei poteri del giudice la
corretta qualificazione giuridica della misura, come diretta ovvero per
equivalente (Sez. 6, n. 13844 del 02/12/2016, dep. 2017, Aracu e altri, Rv.
270372). 9. Solo
labialmente, e con l’odierno ricorso, la C. ha allegato che l’immobile oggetto
di confisca costituisce oggetto di proprietà indivisa con i fratelli,
circostanza che non di per sé ostativa alla disposta misura che può riguardare,
nella loro interezza, anche i beni in comproprietà con un terzo estraneo al reato,
qualora essi siano indivisibili o sussistano inderogabili esigenze per
impedirne la dispersione o il deprezzamento, essendo altrimenti assoggettabile
alla misura cautelare soltanto la quota appartenente all’indagato (Sez. 3, n.
29898 del 27/03/2013, Giorgiani, Rv. 256438), circostanze queste che possono
essere oggetto di verifica in sede di esecuzione. 10. Le
considerazioni fin qui svolte offrono le coordinate per la disamina dei motivi
di ricorso proposti dalla parte civile che va rigettato per la infondatezza
delle questioni devolute, per alcuni aspetti manifesta. 11. È
manifestamente infondato e indeducibile il terzo motivo di ricorso con il quale
viene direttamente impugnato il rigetto della richiesta di sequestro
conservativo avente ad oggetto l’immobile di proprietà dell’imputata avanzata
dalla parte civile, poiché in tema di sequestro conservativo è ammesso il
riesame contro l’ordinanza applicativa, ma non è previsto alcun rimedio nei
confronti del provvedimento di diniego del sequestro, scelta legislativa che
non può ritenersi limitativa dei diritti della parte danneggiata dal reato che,
mediante l’esercizio dell’azione civile, ha la possibilità di una tutela
primaria e diretta delle sue pretese) (Sez. 2, n. 23086 del 14/05/2015,
Consorzio Di Casalpalocco, Rv. 263999), azione civile che, nel caso, è stata
già esperita e pervenuta alla condanna generica al risarcimento dei danni nei
confronti dell’INPS. 12. Anche gli
ulteriori motivi di ricorso proposti dalla parte civile si rivelano infondati. 13. Secondo un
risalente orientamento di questa Corte la parte civile non è legittimata ad
impugnare la sentenza con la quale l’imputato è stato condannato, anche
nell’ipotesi in cui al fatto sia stata data una qualificazione giuridica
diversa rispetto a quella contenuta nell’imputazione e oggetto della
costituzione di parte civile, potendo, al più sollecitare l’impugnazione del
pubblico ministero, che potrà rigettare l’istanza con decreto motivato (Sez. 3,
n. 11429 del 02/10/1997, Palmieri, Rv. 209643; Sez. 4, n. 13220 del 27/10/2000,
Arancio, Rv. 218687). Da altro orientamento si sostiene, invece, che, ferma la
legittimazione, sussiste l’interesse della parte civile ad impugnare ai fini
civili la sentenza di condanna che dia al fatto una diversa qualificazione giuridica
allorché da quest’ultima possa derivare una differente quantificazione del
danno da risarcire, cui si pervenga tenendo conto anche della gravità del reato
e dell’entità del patema d’animo sofferto dalla vittima (Sez. 4, n. 39898 del
03/07/2012, Giacalone, Rv. 254672; Sez. 5, n. 12139 del 14/12/2011 - dep. 2012,
Martinez, Rv. 252164; Sez. 5, n. 4303 del 04/12/2002, Gunnella, Rv. 223769;
Sez. 5, n. 8577 del 26/01/2001, Chieffi, Rv. 218427). 14. Nel caso in
esame la proposta impugnazione della parte civile, pur in presenza di sentenza
con la quale si è intervenuti sulla qualificazione giuridica del fatto, non
investe affatto detto profilo ma involge questioni direttamente afferenti al
diniego di liquidazione del danno, insistendo sulla possibilità di computo del
danno corrispondente ai ratei pensionistici riscossi dalla C. , affermazione
che, tuttavia, non si confronta affatto con le conclusioni alle quali è
pervenuta la sentenza impugnata ove si assume non dimostrato (cfr. pag. 3 della
sentenza impugnata) il danno conseguenza, ovvero ulteriore, subito dall’ente
Previdenziale ai fini della quantificazione del danno subito. 15. Non merita
miglior sorte il secondo motivo di ricorso. Ritiene il Collegio erroneo il
presupposto in forza del quale la parte civile rivendica l’assegnazione diretta
delle somme in quanto di sua appartenenza perché profitto del reato. 16. Correttamente,
invece, alla stregua delle coordinate tracciate al punto 3. la Corte di merito
ha ritenuto ostativa all’accoglimento della richiesta la natura obbligatoria
della disposta confisca, natura che corrisponde alla finalità sanzionatoria
dell’istituto, in relazione all’accertata condotta di reato e, in senso lato,
riparatoria e ripristinatoria ma non anche funzionale e servente a soddisfare
le richieste della parte civile che, non a caso, aveva richiesto, ai fini della
soddisfazione delle proprie pretese risarcitorie, la revoca della disposta
confisca e l’assegnazione delle somme. 17. Se è vero,
infatti, che in presenza di accertata integrale restituzione delle somme alla
persona offesa non vi è materia per l’applicazione della confisca (in questo
senso confronta Sez. 3, n. 10120 del 01/12/2010 Rv. 249752 proprio in
fattispecie che aveva ad oggetto, la avvenuta restituzione all’INPS delle somme
indebitamente percepite sull’assunto che la restituzione elimina in radice lo
stesso oggetto sul quale dovrebbe incidere la confisca e fa venir meno lo scopo
che con essa si intende perseguire, pena una inammissibile duplicazione
sanzionatoria a carico del reo), non può, per contro, sostenersi che la
confisca diretta, in presenza di costituzione di parte civile, implichi
l’assegnazione alla parte civile della somma che costituisca profitto del
reato, venendo, per tale via, ad annullarsi la natura sanzionatoria
dell’istituto in esame. 18. A tal fine non
appare rilevante, come invece sostenuto nella sentenza impugnata, il rischio di
una duplicazione di conseguenze patrimoniali sfavorevoli per gli imputati a
causa della previsione di cui all’art. 322-ter cod. pen., che impone la
confisca dei beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato o di beni
di valore corrispondente, e la funzione del risarcimento del danno correlata
alla costituzione di parte civile nel processo. La funzione dell’istituto della
confisca e quello del risarcimento del danno sono, infatti, nettamente
differenziate tra di loro poiché l’istituto della confisca vuole evitare che il
reo tragga un vantaggio economico dal reato; non opera a vantaggio della
vittima e anche nel caso in cui sia disposto in forma diretta ha natura
specificamente sanzionatoria (come innanzi accennato) mentre il secondo, mira
specificamente al ristoro del danneggiato e prescinde dall’esistenza di
vantaggi conseguiti dal reo, che potrebbero anche non essersi realizzati. La
costituita parte civile, assume la posizione di vittima e non vi sono ragioni
per escludere l’applicabilità della previsione di cui all’art. 185, secondo
comma, cod. pen., fermo restando, come innanzi accennato, l’apprezzamento
riservato al giudice di merito, per individuare il concreto contenuto del danno
non patrimoniale e l’adozione, ai fini del perseguimento del ristoro del danno
subito, delle procedure di legge a tanto preposte, e che non possono essere
superate mediante la retrocessione alla parte civile della somma di denaro
confiscata. 19. Al rigetto
delle impugnazioni segue per legge la condanna delle ricorrenti al pagamento
delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi
e condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese processuali. |