INVIOLABILITÀ DEI SEGRETI (REATI CONTRO LA –ARTT. 616-623-BIS)



CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 4 novembre 2020, n.30735
Gli artt. 617-bis e 617-quater c.p. richiedono entrambi che le condotte in essi descritte siano attuate "fraudolentemente", ossia con modalità tali da rendere non percettibile o riconoscibili le condotte stesse, che avvengono all’insaputa del soggetto che è parte della comunicazione. Ne consegue che, se l’agente ha reso manifesta la volontà di installare lo strumento che consente di intercettare la comunicazione e quindi di procedere all’intercettazione delle comunicazioni, prima che l’azione sia posta in essere, il reato è escluso. |
CASUS DECISUS
La Corte di appello di Roma confermava la sentenza del 31 maggio 2017 del Tribunale di Roma che aveva affermato la penale responsabilità dell’imputato per i delitti di cui all’art. 616 c.p.p., commi 1 e 4, artt. 617-bis e 617-quater c.p., tutti unificati dal vincolo della continuazione, per aver installato e configurato un programma informatico tramite il quale egli fraudolentemente aveva intercettato e preso cognizione di messaggi, fotografie e e-mail indirizzate alla moglie, per poi utilizzarne il contenuto nella causa civile intentata innanzi al Tribunale di Roma. Avverso detta sentenza l’imputato ricorreva in Cassazione, denunciando, tra gli altri motivi, la violazione dell’art. 15, art. 616 c.p., commi 1 e 4, artt. 617-bis e 617-quater c.p. e la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato assorbimento dei reati di cui agli artt. 616 e 617-bis c.p. nel delitto previsto dall’art. 617-quater c.p. |
ANNOTAZIONE
Un uomo installa un programma informatico che gli consente di intercettare quanto inviato alla casella di posta elettronica della moglie e poi utilizza tale materiale nel giudizio civile contro la moglie: di quale reato risponde? Nell’occasione la Suprema Corte evidenzia che le fattispecie punite dagli artt. 616 e 617-quater c.p. hanno ambiti operativi ben definiti dalla diversa configurazione dell’oggetto materiale della condotta, anche indipendentemente dalle specifiche connotazioni modali che la caratterizzano nell’art. 617-quater e che invece non sono previste nell’art. 616. Infatti, mentre nell’ambito dell’art. 617-quater c.p. il termine corrispondenza non comprende ogni forma di comunicazione, ma assume un significato più ristretto, riferibile alla comunicazione nel suo momento "dinamico" ossia in fase di trasmissione - come si ricava anche dai termini impiegati per definire la condotte alternative a quella di intercettazione, ossia "impedisce" e "interrompe" -, nell’art. 616 c.p., il termine "corrispondenza" risulta invece funzionale ad individuare la comunicazione umana nel suo profilo "statico" e cioè il pensiero già comunicato o da comunicare fissato su supporto fisico o altrimenti rappresentato in forma materiale, come si ricava anche in questo caso dai termini impiegati per descrivere le altre condotte tipizzate alternativamente a quella di illecita cognizione (sottrarre, distrarre, sopprimere e distruggere). Nel caso di specie, secondo la ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito, l’imputato ha intercettato le e-mail che venivano inviate alla moglie nel momento in cui la loro trasmissione era in corso, cosicché, in applicazione del principio sopra esposto, non risulta applicabile l’art. 616, comma 1, c.p., nè il comma 4 della medesima disposizione, che si riferisce alla divulgazione della corrispondenza di cui al comma 1, ossia di quella "statica". Nè può ritenersi sussistente il reato di cui all’art. 617-quater c.p., comma 2 che punisce la divulgazione del contenuto della comunicazione intercettata, poiché a tal fine è necessario che la divulgazione del contenuto della comunicazione intercettata avvenga mediante "qualsiasi mezzo d’informazione al pubblico", mentre nel caso di specie la divulgazione è avvenuta mediante la produzione delle e-mail in un giudizio di separazione personale dei coniugi pendente tra l’imputato e la persona offesa, modalità che è inidonea a rivelare il contenuto della comunicazione alla generalità dei terzi. Deve, quindi, concludersi per la penale irrilevanza, nel caso di specie, della successiva divulgazione delle comunicazioni già oggetto di intercettazione. La Corte precisa che nella fattispecie in esame non si configurano i reati di cui agli artt. 617-bis e 617-quater c.p., perché richiedono entrambi che le condotte in essi descritte siano attuate "fraudolentemente", ossia con modalità tali da rendere non percettibile o riconoscibili le condotte stesse, che avvengono all’insaputa del soggetto che è parte della comunicazione; se l’agente ha reso manifesta la volontà di installare lo strumento che consente di intercettare la comunicazione e quindi di procedere all’intercettazione delle comunicazioni (nella fattispecie in esame per controllare la navigazione della figlia), prima che l’azione sia posta in essere, il reato è escluso. |
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 4 novembre 2020, n.30735 - Pres. Zaza – est. Romano Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di
appello di Roma ha confermato la sentenza del 31 maggio 2017 del Tribunale di
Roma che ha affermato la penale responsabilità di P.G. per i delitti di cui
all’art. 616 c.p.p., commi 1 e 4, artt. 617-bis e 617-quater c.p., tutti
unificati dal vincolo della continuazione, e, applicate le attenuanti
generiche, lo ha condannato alla pena di mesi otto e giorni venti di
reclusione, nonché al risarcimento del danno in favore della moglie F.F. ,
costituitasi parte civile. In particolare, al P. si contesta di avere installato
e configurato un programma informatico tramite il quale egli fraudolentemente
aveva intercettato e preso cognizione di messaggi, fotografie e e-mail
indirizzate alla moglie (capo a), nonché di avere preso cognizione di
comunicazioni pervenute alla moglie tramite posta elettronica per poi
utilizzarne il contenuto nella causa civile intentata innanzi al Tribunale di
Roma (capo b). 2. Avverso detta sentenza ricorre P.G. , a mezzo dei
suoi difensori, chiedendone l’annullamento ed affidandosi a cinque motivi. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la
violazione dell’art. 51 c.p. in relazione all’art. 616 c.p., commi 1 e 4,
dell’art. 192 c.p.p. e dell’art. 9, par. 2, lett. f), regolamento U.E. n. 679
del 2016, nonché la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione. Con il primo motivo di appello il P. aveva dedotto che
erroneamente il Tribunale non aveva applicato la causa di giustificazione di
cui all’art. 51 c.p. in relazione al delitto di cui all’art. 616 c.p., commi 1
e 4, per la violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza, in quanto
l’imputato aveva commesso il fatto allo scopo di difendersi innanzi
all’autorità giudiziaria. Sul punto la Corte territoriale ha affermato che
l’imputato non si è limitato a produrre in giudizio una corrispondenza privata
di cui aveva occasionalmente preso conoscenza, ma ha fraudolentemente carpito
la corrispondenza attraverso l’installazione di uno specifico programma e tale
comportamento, in quanto violava uno dei diritti fondamentali della persona,
non poteva trovare giustificazione nell’esercizio del diritto di difesa. Tuttavia, tale motivazione appare in contrasto con
quanto asserito nei due precedenti paragrafi della motivazione. In essi si
afferma che la captazione fraudolenta della corrispondenza, avvenuta attraverso
la installazione del programma informatico a ciò diretto, non lascia dubbi
sulla sussistenza materiale dei reati e sul dolo, emergendo evidente la volontà
dell’imputato di venire a conoscenza della corrispondenza elettronica della
moglie, poiché altrimenti non si sarebbe spiegata la installazione del server
che consentiva la captazione. La captazione non può trovare giustificazione
nell’esigenza di controllare la figlia minore, poiché detta esigenza non
giustifica la sottoposizione a controllo anche della corrispondenza della
moglie in un periodo in cui era in corso la separazione giudiziale. La Corte,
tuttavia, ha affermato pure che la consulenza tecnica del Pubblico ministero
non era stata in grado di stabilire a quanto tempo prima risalisse la installazione
e da quanto tempo venisse attuata l’illecita captazione. Questo rilievo
contrasta con la intenzione dell’imputato di carpire fraudolentemente la
corrispondenza della moglie e rende la motivazione carente ed illogica, perché
se non è possibile stabilire a quando risalisse l’istallazione del programma
informatico, neppure può ritenersi smentita la tesi difensiva e quindi non può
ritenersi provata oltre ogni ragionevole dubbio la natura fraudolenta della
captazione. Nella stessa sentenza impugnata si afferma che la
istallazione del programma informatico rispondeva ad un’esigenza di tutela
della figlia minore che era comune ad entrambi i genitori. Nè poteva in contrario obiettarsi che l’esigenza di
tutelare la minore non giustificasse che anche la corrispondenza della moglie
fosse oggetto di intercettazione, in quanto il programma informatico non
consentiva di distinguere tra i diversi utilizzatori del computer sul quale era
stato installato. Inoltre, l’art. 9, par. 2, lett. f), regolamento U.E.
n. 679 del 2016 prevede che il divieto di trattamento dei dati personali
stabilito dell’art. 9, par. 1, dello stesso regolamento non si applichi ove il
trattamento sia necessario per accertare, esercitare, difendere un diritto in
sede giudiziaria. Del resto, evidenzia il ricorrente, questa Suprema
Corte ha già affermato che la nozione di giusta causa, ai sensi dell’art. 616
c.p., comma 2, non è fissata dalla legge e la sua identificazione è rimessa al
giudice, che deve valutare la liceità, sotto il profilo etico e sociale, dei
motivi che hanno indotto il soggetto a tenere un certo comportamento (Sez. 5,
n. 52075 del 29/10/2014, Lazzarinetti, Rv. 263226; Sez. 5, n. 8838 del
10/07/1997, Reali, Rv. 208613). In particolare, secondo il ricorrente, il giudice deve
operare un bilanciamento tra contrapposti interessi ed assolvere se la
rivelazione risulti necessaria. In tal senso si è già espressa questa Corte di
cassazione laddove ha affermato che la produzione di documenti ottenuti
illecitamente, tramite la lesione di un diritto fondamentale, può essere
scriminata per giusta causa, ai sensi dell’art. 616 c.p., comma 2, laddove
costituisca l’unico mezzo per contestare le pretese della controparte e
l’imputato riesca a dar prova della circostanza (Sez. 5, n. 35383 del 29/03/2011,
Solla, Rv. 250925). 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta
violazione dell’art. 616 c.p.p., commi 1 e 4, artt. 617-bis e 617-quater c.p.
nonché carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in
ordine alla sussistenza dei reati previsti dalle disposizioni appena citate. A fronte del secondo motivo di appello, diretto a
contestare la sussistenza dei reati ascritti al ricorrente, la Corte
territoriale aveva sostenuto che era irrilevante che l’imputato avesse
acquistato i computer installati nell’abitazione coniugale e che sempre egli
avesse creati gli account della figlia e della moglie, in quanto era comunque
stato accertato che il computer sul quale era avvenuta l’intercettazione era
usato dalla moglie che esclusivamente tramite esso apriva, leggeva ed inviava
la sua corrispondenza elettronica. Tale assunto era illogico a fronte dell’affermazione,
anch’essa contenuta in motivazione, che la consulenza tecnica del Pubblico
ministero non era stata in grado di stabilire a quanto tempo prima risalisse la
installazione e da quanto tempo venisse attuata l’illecita captazione e che al
momento della denuncia era già pendente il giudizio per la separazione
personale dei coniugi e tale circostanza dimostrava il dolo. Se il giudice non era in grado di stabilire l’epoca di
installazione del programma informatico, questa poteva essere avvenuta anche
prima della crisi coniugale ed esclusivamente allo scopo di tutelare la figlia
minorenne. Risultava, quindi, violato l’art. 192 c.p.p. e la
Corte di appello aveva omesso di motivare la propria decisione, nonostante lo
specifico motivo di appello. 2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la
violazione dell’art. 15, art. 616 c.p., commi 1 e 4, artt. 617-bis e 617-quater
c.p. e la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione
in ordine al mancato assorbimento dei reati di cui agli artt. 616 e 617-bis
c.p. nel delitto previsto dall’art. 617-quater c.p.. Con l’atto di appello era stato invocato detto
assorbimento, ma la Corte territoriale aveva risposto che quest’ultimo delitto
non presentava elementi di specialità rispetto agli altri che quindi concorrono
con esso e non ne sono assorbiti. In particolare, i giudici di secondo grado
avevano affermato che andava disattesa la tesi secondo la quale i tre reati
sarebbero in rapporto di continenza perché la realizzazione dell’uno sarebbe
stata impossibile senza la realizzazione dell’altro. Il ricorrente sostiene che poiché la corrispondenza
informatica è tale se viene inoltrata e ricevuta per mezzo di un sistema
informatico, la Corte di appello ha violato l’art. 15 c.p. poiché il bene
giuridico tutelato dagli artt. 616, 617-bis e 617-quater c.p. era il medesimo
ed identico era l’oggetto delle varie norme, che regolavano la stessa materia. Sostiene il P. che la Corte di cassazione ha affermato
che il reato progressivo è un reato complesso in senso lato e il rapporto di
continenza deve essere stabilito in via interpretativa dal giudice e
l’assorbimento del reato minore in quello maggiore ha luogo solo laddove sia
impossibile realizzare il reato maggiore senza realizzare quello minore e, nel
caso di specie, non avrebbero potuto essere contestate al P. le violazioni di
cui agli artt. 616 e 617-quater c.p. se non fosse stato installato il software
riferibile al delitto di cui all’art. 617-bis c.p.. Le Sezioni Unite hanno affermato che in caso di
concorso di norme penali che regolano la stessa materia, il criterio di
specialità (art. 15 c.p.) richiede che, ai fini della individuazione della
disposizione prevalente, il presupposto della convergenza di norme può
ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le norme
stesse, alla cui verifica si deve procedere mediante il confronto strutturale
tra le fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi
costitutivi che concorrono a definirle (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010 - dep.
2011, Giordano, Rv. 248864). Conseguentemente, in applicazione dei principi sopra
esposti, doveva ritenersi operante l’assorbimento. 2.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce, ai
sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), la violazione degli artt. 157,
159 e 160 c.p. e dell’art. 129 c.p.p.. I reati erano ormai estinti per prescrizione già nel
momento in cui era stata pronunciata la sentenza di appello. I reati erano stati contestati come commessi in data
12 agosto 2011 e conseguentemente il termine massimo di prescrizione, essendo
pari ad anni sette e mesi sei, era maturato in data 12 febbraio 2019. La
sentenza di appello era stata emessa il 7 maggio 2019. Inoltre, non essendo stato possibile collocare nel
tempo l’installazione del software che consentiva l’intercettazione dei
messaggi, andava applicato il principio in dubio pro reo anche al termine
iniziale della prescrizione. 2.5. Con il quinto motivo il ricorrente si duole della
violazione dell’art. 539 c.p.p. e della mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione in ordine alla condanna generica al risarcimento
del danno ed al riconoscimento della provvisionale in favore della parte
civile. Per la condanna generica al risarcimento del danno era
necessario che fosse accertata la potenzialità lesiva del fatto ed il nesso
causale tra il reato ed il pregiudizio lamentato dalla parte civile, mentre nel
caso di specie la sentenza non motivava su detti presupposti. Inoltre era la stessa persona offesa che aveva voluto
la installazione del software allo scopo di controllare la figlia minore. Considerato in diritto 1. Il ricorso appare fondato per le ragioni di seguito
esposte. 2. Deve preliminarmente rilevarsi l’insussistenza, nel
caso di specie, del delitto di divulgazione di corrispondenza di cui all’art.
616 c.p., commi 1 e 4. Nel processo di legittimità, dalla disposizione di cui
all’art. 609 c.p.p., comma 2, deriva che la Corte possa rilevare la sussistenza
dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 129 c.p.p. solo se dalla sentenza
impugnata emergano elementi che depongano in maniera evidente in tal senso,
costituendo tale condizione necessaria espressione dei limiti di cognizione
propri di tale giudizio (Sez. 3, n. 394 del 25/09/2018 - dep. 2019, Gilardi,
Rv. 27456701). (Conforme n. 109 del 1968, Rv. 108484). La questione sulla qualificazione giuridica del fatto
rientra tra quelle su cui la Corte di cassazione può decidere ex art. 609
c.p.p. e, pertanto, può essere dedotta per la prima volta in sede di giudizio
di legittimità, purché l’impugnazione non sia inammissibile e per la sua
soluzione non siano necessari accertamenti di fatto (Sez. 2, n. 17235 del
17/01/2018, Tucci, Rv. 272651; Sez. 1, n. 13387 del 16/05/2013 - dep. 2014,
Rossi, Rv. 259730; Sez. 2, n. 45583 del 15/11/2005, De Juli, Rv. 232773). In particolare, è necessario che la diversa
qualificazione giuridica del fatto sia possibile sulla base della stessa
motivazione della sentenza impugnata. Peraltro, quando, come nel caso di specie, ricorre una
doppia conforme, avendo la Corte di appello richiamato la motivazione della
sentenza di primo grado e adottato gli stessi criteri di valutazione delle
prove e di ricostruzione del fatto, le due sentenze possono essere lette
congiuntamente, integrandosi reciprocamente e dando vita ad risultato organico
ed inscindibili. Pertanto, ai fini della qualificazione giuridica del
fatto e dell’art. 129 c.p.p. questa Corte di cassazione può fondarsi anche
sulla motivazione della sentenza di primo grado e sull’accertamento del fatto
in essa contenuto. Secondo quanto accertato dal giudice di primo grado e
confermato dalla Corte di appello, l’odierno ricorrente ha utilizzato un
programma informatico che gli consentiva di intercettare quanto veniva inviato
alla casella di posta elettronica della moglie. Il programma entrava in
funzione quando la moglie si connetteva ad internet riprendendo e filmando i
contenuti dei messaggi di posta elettronica che venivano inviati al computer
dell’imputato, che poteva visionarli in diretta. In sostanza, il P. , tramite
detto programma, era in grado di intercettare le e-mail inviate dalla o alla
moglie durante la loro trasmissione. Deve allora osservarsi che le fattispecie punite dagli
artt. 616 e 617-quater c.p. hanno ambiti operativi ben definiti dalla diversa
configurazione dell’oggetto materiale della condotta, anche indipendentemente
dalle specifiche connotazioni modali che la caratterizzano nell’art. 617-quater
e che invece non sono previste nell’art. 616. Mentre nell’ambito dell’art. 617-quater c.p. il
termine corrispondenza non comprende ogni forma di comunicazione, ma assume un
significato più ristretto, riferibile alla comunicazione nel suo momento
'dinamico' ossia in fase di trasmissione - come si ricava anche dai
termini impiegati per definire la condotte alternative a quella di
intercettazione, ossia 'impedisce' e 'interrompe' -, nell’art.
616 c.p., il termine 'corrispondenza' risulta invece funzionale ad
individuare la comunicazione umana nel suo profilo 'statico' e cioè
il pensiero già comunicato o da comunicare fissato su supporto fisico o
altrimenti rappresentato in forma materiale, come si ricava anche in questo caso
dai termini impiegati per descrivere le altre condotte tipizzate
alternativamente a quella di illecita cognizione (sottrarre, distrarre,
sopprimere e distruggere) (vedi in proposito Sez. 5, n. 12603 del 02/02/2017,
Segagni, Rv. 26951701 che pone a raffronto l’art. 616 c.p. e l’art. 617 c.p.). Nel caso di specie, secondo la ricostruzione del fatto
operata dai giudici del merito, il P. ha intercettato le e-mail che venivano
inviate alla moglie e che a questa venivano inviate nel momento in cui la loro
trasmissione era in corso, cosicché, in applicazione del principio sopra
esposto, non risulta applicabile l’art. 616, comma 1, c.p., nè il comma 4 della
medesima disposizione, che si riferisce alla divulgazione della corrispondenza
di cui al comma 1, ossia di quella 'statica'. Nè può ritenersi sussistente il reato di cui all’art.
617-quater c.p., comma 2 che punisce la divulgazione del contenuto della
comunicazione intercettata, poiché a tal fine è necessario che la divulgazione
del contenuto della comunicazione intercettata avvenga mediante 'qualsiasi
mezzo d’informazione al pubblico', mentre nel caso di specie la
divulgazione è avvenuta mediante la produzione delle e-mail in un giudizio di
separazione personale dei coniugi pendente tra l’imputato e la persona offesa,
modalità che è inidonea a rivelare il contenuto della comunicazione alla
generalità dei terzi (vedi Sez. 5, n. 11965 del 30/01/2018, C, Rv. 272669, che
per lo stesso motivo ha escluso l’applicabilità del comma 2 dell’art. 617
c.p.). Deve, quindi, concludersi per la penale irrilevanza,
nel caso di specie, della successiva divulgazione delle comunicazioni già
oggetto di intercettazione. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere
annullata senza rinvio relativamente al reato di cui al capo b) perché il fatto
non sussiste. Il primo motivo di ricorso resta assorbito. 3. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si
lamenta la illogicità della motivazione, è fondato. Gli artt. 617-bis e 617-quater c.p. richiedono
entrambi che le condotte in essi descritte siano attuate
'fraudolentemente', ossia con modalità tali da rendere non
percettibile o riconoscibili le condotte stesse, che avvengono all’insaputa del
soggetto che è parte della comunicazione; se l’agente ha reso manifesta la
volontà di installare lo strumento che consente di intercettare la
comunicazione e quindi di procedere all’intercettazione delle comunicazioni,
prima che l’azione sia posta in essere, il reato è escluso. L’odierno ricorrente ha sostenuto con il suo appello
(vedi 3 e 4 dell’atto di appello) che l’installazione del programma che
consentiva l’intercettazione delle attività di navigazione in internet era
conosciuta alla moglie, in quanto attuata di comune accordo molti anni prima
allo scopo di controllare la navigazione su internet della figlia minore per
impedire che la stessa potesse utilizzare il computer per accedere a contenuti
inappropriati, considerata la sua età; il programma informatico installato non
consentiva di distinguere tra i vari utenti del sistema. La Corte di appello, nel rigettare la tesi difensiva,
afferma che la natura fraudolenta dell’installazione del programma keylogger e
della successiva attività di intercettazione emerge dall’intento dell’imputato
di venire a conoscenza della corrispondenza elettronica privata della moglie,
non potendo la intercettazione della corrispondenza informatica della moglie,
peraltro attuata in un periodo in cui tra i due coniugi pendeva il giudizio di
separazione personale, trovare giustificazione nell’intento di controllare l’attività
informatica della figlia minore. Tuttavia, la stessa Corte di appello afferma
contraddittoriamente che non è possibile stabilire quando sia stato installato
detto programma e quando sia iniziata l’attività di intercettazione,
circostanza, questa, che confligge con le ragioni addotte dalla stessa Corte di
appello per affermare che le condotte di cui agli artt. 617-bis e 617-quater
c.p. sono state attuate fraudolentemente e che sussiste il dolo dei delitti
contemplati dalle disposizioni appena citate, non risultando esclusa la
finalità indicata dal ricorrente. 4. Stante la fondatezza del ricorso in ordine ai
delitti contestati al capo a), deve rilevarsi, ai sensi dell’art. 129 c.p.p.,
comma 1, che i reati sono ormai estinti per prescrizione. Non ricorrendo la evidenza di alcuna delle ipotesi di
cui all’art. 129 c.p.p., comma 2, in relazione a tali delitti, la sentenza
impugnata deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali. Quanto agli effetti civili, in relazione ai reati di
cui al capo a), la sentenza deve essere annullata con rinvio al giudice civile
competente per valore in grado di appello, che provvederà alla regolamentazione
tra le parti delle spese processuali del grado di legittimità. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso restano
assorbiti. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata
relativamente al reato di cui all’art. 616 c.p. perché il fatto non sussiste.
Annulla la stessa sentenza senza rinvio agli effetti penali relativamente agli
altri reati per essere gli stessi estinti per prescrizione e con rinvio agli
effetti civili al giudice civile competente per valore in grado di appello. In
caso di dìffusìone del presente provvedimento omettere le generalità e gli
altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto
imposto dalla legge. |