CONCORSO
ENTI AND PUBBLICI
PUBBLICO IMPIEGO


CORTE COSTITUZIONALE - SENTENZA 23 luglio 2013, n.227
1. È dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 54 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 9 agosto 2012, n. 16 (Interventi di razionalizzazione e riordino di enti, aziende e agenzie della Regione). per violazione degli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, nonché dell’art. 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia). 2. È ingiustificato il mancato ricorso allo strumento del concorso pubblico, quale forma generale e ordinaria di reclutamento del personale della pubblica amministrazione in relazione a norme regionali di generale ed automatico reinquadramento del personale di enti di diritto privato nei ruoli di Regioni o enti pubblici regionali. E ciò si spiega perché il trasferimento da una società partecipata dalla Regione alla Regione o ad altro soggetto pubblico regionale si risolve in un privilegio indebito per i soggetti beneficiari di un siffatto meccanismo, in violazione dell’art. 97 Cost. 3. L’art. 31 del d.lgs. n. 165 del 2001, laddove dispone esplicitamente l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ. nell’ambito del lavoro pubblico, si riferisce al transito di funzioni e dipendenti da enti pubblici ad altri soggetti (pubblici o privati), non anche alla cessione di funzioni da parte di soggetti privati in favore di enti pubblici. In tali ipotesi, infatti, l’automatico trasferimento dei lavoratori presuppone un passaggio di status – da dipendenti privati a dipendenti pubblici (ancorché in regime di lavoro privatizzato) – che non può avvenire in assenza di una prova concorsuale aperta al pubblico. Coerentemente, il trasferimento automatico di personale ai sensi dell’art. 31 del d.lgs. n. 165 del 2001 è stato riconosciuto solamente nei casi di passaggio di funzioni da un ente pubblico ad un altro e non già, come nella specie, da una società di diritto privato, ancorché in mano pubblica, all’amministrazione della Regione. 4. L’esigenza di risorse umane che scaturisce dall’assunzione di funzioni già affidate dalla Regione ad una società in house poi posta in liquidazione non può costituire valido motivo per disattendere il principio secondo cui la natura comparativa e aperta della procedura è elemento essenziale del concorso pubblico, sicché deve escludersi la legittimità costituzionale di procedure selettive riservate, che escludano o riducano irragionevolmente la possibilità di accesso dall’esterno, violando il carattere pubblico del concorso. 5. Il previo superamento di una qualsiasi “selezione pubblica”, presso qualsiasi “ente pubblico”, è requisito troppo generico per autorizzare una successiva stabilizzazione senza concorso, perché esso non garantisce che la previa selezione avesse natura concorsuale e fosse riferita alla tipologia e al livello delle funzioni che il personale successivamente stabilizzato è chiamato a svolgere, cosicché la garanzia del concorso pubblico non può che riguardare anche l’ipotesi di mera trasformazione di un rapporto contrattuale a tempo indeterminato in rapporto di ruolo, allorché l’accesso al suddetto rapporto non di ruolo non sia a sua volta avvenuto mediante una procedura concorsuale. 6. Perché si possa derogare eccezionalmente al pubblico concorso, ove ciò sia maggiormente funzionale al buon andamento dell’amministrazione e ricorrano straordinarie esigenze d’interesse pubblico, è necessario che la legge stabilisca preventivamente le condizioni per l’esercizio del potere di assunzione e subordini la costituzione del rapporto a tempo indeterminato all’accertamento di specifiche necessità funzionali dell’amministrazione, prevedendo procedure di verifica dell’attività svolta; il che presuppone che i soggetti da assumere abbiano maturato tale esperienza all’interno della pubblica amministrazione e non alle dipendenze di datori di lavoro esterni. Inoltre, la deroga dev’essere contenuta entro determinati limiti percentuali, in modo da non precludere del tutto la possibilità di accesso della generalità dei cittadini ai suddetti posti pubblici. |
PRECEDENTI
Conforme | Difforme |
Corte Cost., n. 167 del 2013; Id., n. 225 del 2010; Id., n. 215 del 2009; Id., n. 203 del 2004. |
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE COSTITUZIONALE - SENTENZA 23 luglio 2013, n.227 - Pres. Gallo – red. Mazzella SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale
dell’art. 54 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 9 agosto 2012, n.
16 (Interventi di razionalizzazione e riordino di enti, aziende e agenzie della
Regione), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso
notificato il 15-17 ottobre 2012, depositato in cancelleria il 18 ottobre 2012
ed iscritto al n. 157 del registro ricorsi 2012. Visto l’atto di costituzione della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia; udito nell’udienza pubblica del 4 giugno
2013 il Giudice relatore Luigi Mazzella; uditi l’avvocato dello Stato Alessandro De
Stefano per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico
Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
Ritenuto in fatto 1. – Con ricorso notificato il 15-17
ottobre 2012, depositato in cancelleria il 18 ottobre 2011 e iscritto al n. 157
del registro ricorsi dell’anno 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri
ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli
articoli 3, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, nonché all’art. 4 della
legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia), dell’art. 54 della legge della Regione Friuli-Venezia
Giulia 9 agosto 2012, n. 16 (Interventi di razionalizzazione e riordino di
enti, aziende e agenzie della Regione). 1.1. – Premette il ricorrente che la legge
regionale n. 16 del 2012, all’art. 54 intitolato «Disposizioni in materia di
personale», dispone, al comma 1, che «Il personale della società [Gestione
Immobili Friuli-Venezia Giulia s.p.a.] con rapporto di lavoro a tempo
indeterminato in essere alla data di cessazione della gestione liquidatoria,
regolato dal Contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto del
commercio e servizi, previa verifica della sussistenza dei requisiti per
accedere ai ruoli dell’Amministrazione regionale ed eventuale prova selettiva,
è trasferito, con decorrenza dalla data prevista dalla deliberazione di cui
all’art. 53, comma 1, alla Regione; con deliberazione della Giunta regionale,
da adottarsi su proposta dell’Assessore alla funzione pubblica, autonomie
locali e coordinamento delle riforme, di concerto con l’Assessore alle finanze,
patrimonio e programmazione, sono definiti i criteri per la collocazione del
personale delle categorie e posizioni economiche della Regione e il trattamento
spettante. Con lo stesso provvedimento il personale viene assegnato alla
Direzione centrale competente in materia di patrimonio». La riportata norma,
pertanto, dispone l’inserimento del personale della menzionata società nel
personale della Regione «previa verifica della sussistenza dei requisiti per
accedere ai ruoli dell’Amministrazione regionale ed eventuale prova selettiva». 1.2. – Tale norma, ad avviso del
ricorrente, si pone in contrasto con gli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, della
Costituzione ed eccede, inoltre, dalle competenze statutarie. 1.2.1. – Il contrasto con gli artt. 3 e 97
Cost. deriverebbe dal fatto che la previsione dispone un inquadramento
riservato del personale nell’organico della Regione, senza esperimento delle
procedure concorsuali pubbliche. La norma, difatti, disponendo detto
inquadramento sulla base della mera verifica della sussistenza dei requisiti
per accedere ai ruoli dell’Amministrazione regionale e di una «eventuale prova
selettiva», configurerebbe, in buona sostanza, una fattispecie di inquadramento
riservato senza concorso che, in quanto tale, violerebbe il principio
costituzionale dell’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni
mediante concorso pubblico nonché i principi di ragionevolezza, efficienza e
buon andamento della pubblica amministrazione, principi sanciti dagli artt. 3 e
97 Cost. Rammenta il ricorrente che il fatto che il
principio del concorso pubblico, in quanto meccanismo strumentale al canone di
efficienza della pubblica amministrazione, costituisca la forma generale ed
ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego è stato costantemente
affermato dalla Corte costituzionale (sentenze n. 127 del 2011, n. 59 del 2005,
n. 205 e n. 39 del 2004). Con la precisazione che «la facoltà del legislatore
di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico deve essere
“delimitata in modo rigoroso” (fra le più recenti, sentenze n. 100 e n. 9 del
2010). Simili deroghe possono infatti considerarsi legittime solo quando
funzionali esse stesse alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione e
ove ricorrano “peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee
a giustificarle” (sentenza n. 293 del 2009)» (sentenza n. 195 del 2010), e,
sulla base di tale rilevazione, che «deve escludersi la legittimità di
arbitrarie restrizioni alla partecipazione alle procedure selettive», poiché
«al concorso pubblico deve riconoscersi un ambito di applicazione ampio, tale
da non includere soltanto le ipotesi di assunzione di soggetti precedentemente
estranei alle pubbliche amministrazioni, ma anche i casi di nuovo inquadramento
di dipendenti già in servizio (sentenze n. 150 del 2010, n. 293 del 2009, n.
205 del 2004)» (sentenza n. 90 del 2012). 1.2.2. – Il contrasto con l’art. 117,
terzo comma, Cost. deriverebbe dal fatto che, nell’ottica del coordinamento
della finanza pubblica, la norma dispone in difformità dalle disposizioni
normative vigenti in materia di vincoli assunzionali, costituiti dall’art. 1,
commi 557 e 562, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2007) e dall’art. 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133,
secondo i quali, ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al
rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, gli enti sottoposti al patto di
stabilità interno debbono assicurare la riduzione complessiva delle spese di
personale, «garantendo il contenimento della dinamica retributiva e
occupazionale» (art. 1, comma 557, della legge n. 296 del 2006) e, altresì, è
vietata l’assunzione di personale a qualsiasi titolo per gli enti nei quali
l’incidenza delle spese di personale sia pari o superiore al 50 per cento (art.
76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008). Al riguardo, sarebbe dirimente che
l’art. 4 dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, pur
attribuendo alla Regione una potestà legislativa molto ampia, non prevede la
materia del coordinamento della finanza pubblica, per la quale, quindi, la
Regione, ancorché nel rispetto della sua autonomia, sarebbe tenuta ad osservare
i principi fondamentali fissati dalle norme statali. 2. – Con memoria depositata il 21 novembre
2012 si è costituita la Regione Friuli-Venezia Giulia, chiedendo il rigetto del
ricorso, in quanto inammissibile ed infondato, e rinviando a separata memoria
l’illustrazione delle relative ragioni. 3. – Con memoria depositata il 14 maggio
2013 la Regione Friuli-Venezia Giulia ha argomentato ampiamente nel senso
dell’inammissibilità ed infondatezza delle avverse censure e concluso per il
rigetto del ricorso. 3.1. – Quanto all’inammissibilità ed
infondatezza della questione promossa in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.,
la Regione Friuli-Venezia Giulia ritiene che la fattispecie de qua sia del
tutto particolare e che ad essa non siano applicabili i principi che regolano
ordinariamente l’assunzione in una pubblica amministrazione, versandosi,
invero, in una semplice ipotesi di riorganizzazione dell’ente pubblico, ove la
Regione rialloca al proprio interno funzioni già svolte da una propria società
strumentale in house. La norma impugnata, in sintesi, darebbe applicazione al
principio di cui all’art. 31 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali
sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni),
in base al quale, «nel caso di trasferimento o conferimento di strutture, ad
altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali
soggetti si applicano l’articolo 2112 del codice civile e si osservano le
procedure di informazione e di consultazione di cui all’articolo 47, commi da l
a 4, della legge 29 dicembre 1990, n. 428». Proprio in virtù di tali
considerazioni, la Corte costituzionale avrebbe fatto salva una norma
legislativa pugliese che trasferiva il personale in servizio a tempo
indeterminato presso l’Autorità d’ambito per la gestione del servizio idrico
pugliese (ATO Puglia) all’Autorità idrica pugliese (sentenza n. 226 del 2012). L’orientamento volto a limitare l’utilizzo
delle società pubbliche strumentali – prosegue la resistente – è un
orientamento della legislazione statale, che in vario modo ha previsto lo
scioglimento delle società pubbliche, ha limitato l’affidamento ad esse di
incarichi o ha vietato la loro costituzione (vedi, da ultimo, l’art. 4 del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la
revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché
misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario»,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135). In
particolare, lo scioglimento porrebbe un problema oggettivo di tutela dei
lavoratori, che non potrebbero subire la cessazione del loro rapporto di lavoro
in un modo che non trovi giustificazione nel sistema. Una società in house,
infatti, costituisce, come pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza
della Corte di giustizia dell’Unione europea, una longa manus dell’ente pubblico,
una sua semplice variante organizzativa, sicché – argomenta la Regione
Friuli-Venezia Giulia – qualora per mutamento della decisione dell’ente
pubblico circa la forma organizzativa della gestione di una determinata
attività dovesse cessare il rapporto di lavoro del personale ad essa addetto
nella precedente forma organizzativa, si avrebbe nella sostanza un
licenziamento per factum principis, non previsto, né consentito, nella
legislazione sul rapporto di lavoro. E proprio per scongiurare tale iniqua conseguenza
la legge regionale impugnata avrebbe disposto la continuità del rapporto di
lavoro, onde evitare che la scelta di non gestire più una funzione tramite
società in house provocasse la perdita dei posti di lavoro. D’altronde, più che di cessazione delle
attività già proprie della società in house e dell’organizzazione aziendale
preposta allo svolgimento di esse, si dovrebbe parlare di una riorganizzazione
dell’ente territoriale, con riallocazione delle funzioni in capo ad esso, come
reso palese, ad avviso della resistente, dall’art. 53, comma l, e dall’art. 54,
comma l, ultimo periodo, della legge regionale n. 16 del 2012. La cessazione
del rapporto di lavoro, in simili casi, costituirebbe una conseguenza abnorme,
tant’è che anche nel diritto del lavoro il trasferimento d’azienda non implica
il licenziamento dei dipendenti (art. 2112 cod. civ.). Del resto, la
considerazione unitaria, proprio ai fini del personale, dell’ente pubblico e
delle sue società in house, risulterebbe dalla stessa legislazione statale
(art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 133 del 2008; art. l, comma 557-bis, della legge n. 296 del
2006). Più in generale, il comma 2-bis dell’art.
18 del d.l. n. 112 del 2008 – introdotto dall’art. 19 del decreto-legge 1°
luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della
partecipazione italiana a missioni internazionali), convertito, con
modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 – sancisce che le limitazioni
disposte per le pubbliche amministrazioni si applichino anche «alle società a
partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di
affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano
funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non
industriale né commerciale, ovvero che svolgano attività nei confronti della
pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura
pubblicistica». Inoltre, l’equiparazione dell’ente esterno
all’amministrazione di riferimento sarebbe stata disposta anche nello specifico
settore della mobilità. Con la realizzazione, mediante le disposizioni
dell’art. 33 del d.lgs. n. 165 del 2001, di «un rafforzamento del principio per
cui – in caso di esubero – l’esternalizzazione comporta la procedura di
mobilità collettiva del relativo personale, incentivando così indirettamente il
trasferimento dei dipendenti coinvolti presso il soggetto affidatario del
servizio o dell’attività» (Sezione di controllo per la Lombardia, Indagine
sulle esternalizzazioni negli enti locali della Regione Lombardia, approvata
con deliberazione n. 1051 del 13 dicembre 2010, pag. 7). E, da ultimo, anche
l’accesso alle società in house avviene tramite prove equiparabili a pubblici concorsi,
ai sensi dell’art. 7 del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento in
materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma
dell’articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) e dell’art.
18, comma 1 e (in particolare per le società strumentali) comma 2, del d.l. n.
112 del 2008. In conclusione, ad avviso della
resistente, il personale di una società in house fa parte già secondo la
legislazione statale del personale complessivo dell’amministrazione di
riferimento, a prescindere dalla personalità giuridica separata della società,
operante verso i terzi, ma non verso tale amministrazione, che esercita sulla
società un controllo analogo a quello esistente nei confronti dei propri
uffici. Né sarebbe legittimo e ragionevole considerare personale dell’ente
pubblico i dipendenti delle società ai fini dei limiti alle assunzioni e non
considerarlo più personale dell’ente ai fini delle regole sull’accesso. La
liquidazione della Gestione Immobili Friuli-Venezia Giulia s.p.a. sarebbe stata
fatta in ossequio all’orientamento statale sopra visto e solo sul presupposto
di poter continuare a beneficiare dell’esperienza e della specializzazione dei
dipendenti a tempo indeterminato della società. Tant’è che l’art. 52, comma 2,
lettera d), della legge regionale n. 16 del 2012 prevede la «salvaguardia dei
livelli occupazionali» fra i criteri della liquidazione. 3.1.1. – In buona sostanza, l’impugnazione
del solo art. 54 della legge regionale n. 16 del 2012 – e non anche del suo
art. 52, comma 2, lettera d), che condiziona la liquidazione alla tutela dei
livelli occupazionali – determinerebbe, anzitutto, l’inammissibilità del
ricorso per contraddittorietà, in quanto vertente su una norma che non può
essere staccata dal resto della disciplina, perché il mantenimento dei livelli
occupazionali condiziona lo stesso scioglimento della società. 3.1.2. – In subordine, anche volendo
ammettere l’applicabilità del principio del concorso pubblico ai rapporti tra
società in house ed ente pubblico, nel caso di specie sussisterebbero i
presupposti per una deroga a tale principio, come consentito dallo stesso art.
97, terzo comma, Cost. Infatti, la Regione non aveva nuove funzioni da assegnare,
né l’esigenza di aumentare le risorse di personale in un certo settore. In tali
casi, sarebbe stato inevitabile cercare nuovi dipendenti tramite il concorso
pubblico. Nella fattispecie in esame, invece, sarebbe stata attuata una
riorganizzazione volta a «perseguire obiettivi di contenimento della spesa
pubblica e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative» (art. 52
della legge regionale n. 16 del 2012), sulla base delle indicazioni del
legislatore statale. In una simile evenienza, caratterizzata dalla
riallocazione all’interno della Regione, con la liquidazione della società in
house, delle medesime funzioni già svolte dai dipendenti di quest’ultima,
sostiene la difesa regionale che la perdita dell’esperienza e della
specializzazione acquisite da tale personale in oltre un decennio nuocerebbe al
buon andamento dell’amministrazione e renderebbe inopportuno bandire nuovi
concorsi pubblici i cui vincitori dovrebbero acquisire da zero l’esperienza nel
settore in questione (la gestione degli immobili pubblici). La liquidazione
della società senza trasferimento del personale implicherebbe la sostanziale
paralisi delle funzioni fino alla maturazione della necessaria professionalità
in capo ai vincitori del concorso. 3.1.3. – In ulteriore subordine, rammenta
la Regione Friuli-Venezia Giulia che, anche nelle interpretazioni più
restrittive, è comunque sempre ammesso il trasferimento dalla società in house
all’amministrazione di riferimento per alcune tipologie di personale, ed in
particolare per il personale originariamente trasferito o comunque transitato
dall’amministrazione alla società partecipata e per i dipendenti reclutati
dalla società in house in presenza delle procedure selettive previste dalla
legge, per la medesima posizione alla quale il trasferimento si riferisce
(sentenza n. 225 del 2010) e che la legge regionale censurata prevede il
trasferimento «previa verifica della sussistenza dei requisiti per accedere ai
ruoli dell’Amministrazione regionale». Dunque, rispetto a quanto disposto dalla
legge, la censura sarebbe generica, in quanto non spiegherebbe per quale
ragione quanto ivi disposto non sarebbe sufficiente, ed eccessiva, in quanto la
richiesta dichiarazione di illegittimità costituzionale renderebbe impossibile
il trasferimento alla Regione anche in eventuali ipotesi in cui esso fosse,
ancorché nel quadro di una interpretazione restrittiva, pienamente ammissibile
ed anzi dovuto, in relazione a veri e propri diritti del dipendente. 3.2. – Quanto alla non fondatezza della
questione promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., rileva la
Regione Friuli-Venezia Giulia che la Gestione Immobili Friuli-Venezia Giulia
s.p.a. è una società strumentale della Regione, per cui l’onere finanziario
relativo al personale è già posto a carico del bilancio regionale (art. 3 della
legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 12 febbraio 1998, n. 3, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale ed annuale della
Regione – legge finanziaria 1998»). Dunque, la norma impugnata non
determinerebbe un aumento delle spese per il personale, ma una riduzione di
esse, prevedendo il trasferimento dei soli dipendenti a tempo indeterminato. 3.2.1. – Espone la resistente che nel 2012
la società aveva complessivamente quindici dipendenti, tra i quali due
dirigenti (uno dei quali a tempo determinato). Essendo stata disposta
l’eliminazione del posto di dirigente amministrativo attualmente ricoperto da
un dipendente a tempo indeterminato e la conferma della «riduzione stabile dei
costi d’esercizio, con particolare riferimento ai costi del personale», degli
attuali quindici dipendenti solo undici sarebbero destinati al trasferimento
nel ruolo regionale (di cui nessun dirigente). L’operazione comporterebbe,
dunque, una riduzione del costo del personale pari al 43% con riferimento al
2011 e pari circa al 45,5% con riferimento al 2012. Sicché, non vi sarebbe
alcuna violazione dell’art. 1, comma 557, della legge n. 296 del 2006. Anzi, vi
sarebbe l’attuazione di due dei criteri direttivi da esso fissati, ossia della
«riduzione dell’incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al
complesso delle spese correnti» (lettera a) e della «razionalizzazione e
snellimento delle strutture burocraticoamministrative, anche attraverso
accorpamenti di uffici con l’obiettivo di ridurre l’incidenza percentuale delle
posizioni dirigenziali in organico» (lettera b). 3.2.2. – Quanto al dedotto contrasto con
l’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, la questione sarebbe del tutto infondata,
perché nella Regione Friuli-Venezia Giulia le spese per il personale sarebbero
rimaste al di sotto del 50 per cento delle spese correnti (dato relativo al
2011 risultante dalla attestazione del 13 maggio 2013, allegata al ricorso sub
n. 2); né, del resto, il ricorso affermerebbe o dimostrerebbe il contrario. A
parte ciò, il carattere di principio fondamentale del suddetto articolo sarebbe
stato affermato dal ricorrente sulla base di richiami ad un precedente della
Corte costituzionale che ha riconosciuto il rango di principio fondamentale di
coordinamento finanziario a diverse norme statali, rilevando che esse «pongono
obiettivi di riequilibrio, senza, peraltro, prevedere strumenti e modalità per
il perseguimento dei medesimi» (sentenza n. 108 del 2011): il che varrebbe per
altre norme oggetto di quella sentenza, ma non certo per l’art. 76, comma 7,
primo periodo, del d.l. n. 112 del 2008, che pone un divieto, direttamente
operante e non suscettibile di svolgimento da parte regionale, e che dunque non
può assumere il rango di diretto parametro di legittimità costituzionale della
legge regionale. Le enunciazioni della citata sentenza, insomma, condurrebbero
a riconoscere il carattere di principio fondamentale alle norme che limitano la
spesa per il personale nel suo complesso, e che lasciano spazio alle Regioni
per la scelta delle misure da adottare, non alle norme che pongono vincoli
puntuali all’interno di quel complesso, limitando sottovoci di spesa. E una
norma che vieta le assunzioni in certi casi sarebbe da considerare certamente
dettagliata (sono citate, in proposito, le sentenze n. 88 del 2006 e n. 390 del
2004). 3.2.3. – Infine, la Regione Friuli-Venezia
Giulia evidenzia di concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza
pubblica nei modi previsti dalla legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di
stabilità 2011) e nel rispetto del principio dell’accordo. Lo Stato ha,
infatti, già definito (con l’art. l, commi 152 e seguenti, della legge n. 220
del 2010) i modi in cui la predetta Regione concorre al risanamento della
finanza pubblica, con norme che hanno recepito il Protocollo d'intesa tra lo
Stato e la Regione Friuli-Venezia Giulia, sottoscritto a Roma il 29 ottobre
2010, e la stessa Corte costituzionale ha stabilito che altre Regioni ad
autonomia speciale non sono soggette ai vincoli finanziari posti dallo Stato
(nella specie, dal d.l. n. 78 del 2010), sulla base di norme e considerazioni
adattabili anche alla situazione della Regione Friuli-Venezia Giulia (sentenze
n. 215, n. 173 e n. 151 del 2012, con cui la Corte ha stabilito che tali
vincoli non si applicano alla Regione Valle d’Aosta dopo la già citata legge n.
220 del 2010, dato che essa concorre all’assolvimento degli obblighi finanziari
nei modi previsti dalla medesima legge all’art. 1, comma 132, che varrebbe sia
per la Valle d’Aosta sia per il Friuli-Venezia Giulia come previsto dall’art.
1, comma 136, della stessa legge). In termini generali, i rapporti finanziari
Stato-Regione ad autonomia speciale sarebbero ispirati al principio della
determinazione consensuale, come confermato da numerosi precedenti della Corte
costituzionale intervenuti sul punto (tra le altre, sentenza n. 82 del 2007).
In tale prospettiva, «la previsione normativa del metodo dell’accordo tra le
Regioni a statuto speciale e il Ministero dell’economia e delle finanze, per la
determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonché dei relativi
pagamenti, deve considerarsi un’espressione della descritta autonomia
finanziaria e del contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei
limiti alla spesa imposti dal cosiddetto “patto di stabilità” (sentenza n. 353
del 2004)» (sono citate anche le sentenze n. 133 del 2010, n. 74 del 2009, n.
98 del 2000 e n. 39 del 1984). Questo principio, sul piano della legislazione
ordinaria, avrebbe poi trovato svariate concretizzazioni, come quella di cui
all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di
federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione).
L’art. l, comma 155, della legge n. 220 del 2010 prevede, poi, la
determinazione concordata del patto di stabilità fra Stato e Regione
Friuli-Venezia Giulia ed è quella – a parere della resistente – la sede in cui
andrebbero definiti i limiti alle spese regionali. Sicchè, lo Stato non
potrebbe vincolare unilateralmente la spesa regionale, tanto più per voci
specifiche di spesa. In conclusione, la norma impugnata è
frutto, ad avviso della Regione FriuliVenezia Giulia, del legittimo esercizio
della propria competenza primaria in materia di «ordinamento degli Uffici e
degli Enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del
personale ad essi addetto» (art. 4, n. l, dello statuto speciale).
Considerato in diritto 1. – Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
promosso questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 54 della legge
della Regione Friuli-Venezia Giulia 9 agosto 2012, n. 16 (Interventi di
razionalizzazione e riordino di enti, aziende e agenzie della Regione), per
violazione degli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, nonché
dell’art. 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia). 2. – La norma impugnata dispone che «1. Il
personale della società [Gestione Immobili Friuli-Venezia Giulia s.p.a.], con
rapporto di lavoro a tempo indeterminato in essere alla data di cessazione
della gestione liquidatoria, regolato dal Contratto collettivo nazionale di
lavoro del comparto del commercio e servizi, previa verifica della sussistenza
dei requisiti per accedere ai ruoli dell’Amministrazione regionale ed eventuale
prova selettiva, è trasferito, con decorrenza dalla data prevista dalla
deliberazione di cui all’articolo 53, comma 1, alla Regione; con deliberazione
della Giunta regionale, da adottarsi su proposta dell’Assessore alla funzione
pubblica, autonomie locali e coordinamento delle riforme, di concerto con
l’Assessore alle finanze, patrimonio e programmazione, sono definiti i criteri
per la collocazione del personale nelle categorie e posizioni economiche della
Regione e il trattamento spettante. Con lo stesso provvedimento il personale viene
assegnato alla Direzione centrale competente in materia di patrimonio.». 2.1. – In primo luogo, il censurato art.
54 si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., perché, disponendo
l’immissione del personale di detta società nell’organico della Regione sulla
base della mera verifica della sussistenza dei requisiti per accedere ai ruoli
dell’amministrazione regionale e di una «eventuale prova selettiva»,
configurerebbe una fattispecie di inquadramento riservato senza concorso che,
in quanto tale, violerebbe il principio costituzionale dell’accesso agli
impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso pubblico, nonché i
principi di ragionevolezza, efficienza e buon andamento della pubblica
amministrazione, principi sanciti dagli artt. 3 e 97 Cost., tenuto conto che –
come chiarito dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 90 del 2012, n. 150
del 2010, n. 293 del 2009 e n. 205 del 2004 – «al concorso pubblico deve
riconoscersi un ambito di applicazione ampio, tale da non includere soltanto le
ipotesi di assunzione di soggetti precedentemente estranei alle pubbliche
amministrazioni, ma anche i casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in
servizio». 3. – Preliminarmente, dev’essere rigettata
l’eccezione d’inammissibilità proposta dalla Regione Friuli-Venezia Giulia per
non avere il ricorrente attratto nell’ambito delle censure, altresì, l’art. 52,
comma 2, lettera d), della legge regionale n. 16 del 2012, che condiziona la
liquidazione della società Gestione Immobili Friuli-Venezia Giulia alla tutela
dei livelli occupazionali. Invero, la succitata disposizione indica
la salvaguardia dei livelli occupazionali tra i criteri di massima che ispirano
gli indirizzi operativi che la Giunta regionale è autorizzata ad impartire in
vista della partecipazione all’assemblea straordinaria per la messa in
liquidazione della società. Tale previsione, ancorché verosimilmente concepita
in funzione del successivo passaggio del personale della società nei ruoli
dell’amministrazione regionale, non è inestricabilmente collegata con
l’impugnato art. 54, che regola tale passaggio, ma presenta un’autonoma portata
dispositiva, consistente nella tendenziale conservazione del posto ai
lavoratori dipendenti della Gestione Immobili Friuli-Venezia Giulia s.p.a.
nella fase propedeutica alla sua messa in liquidazione, in modo da evitare che
già nel corso del suddetto periodo tale personale potesse essere licenziato.
Per contro, il trasferimento del medesimo personale alla Regione, che forma
oggetto dell’impugnato art. 54, è destinato ad operare con decorrenza (successiva)
dalla data prevista dalla ulteriore deliberazione di cui all’art. 53, comma 1,
con cui la Giunta, sulla base del bilancio iniziale di liquidazione, «fissa i
termini e le modalità del passaggio alla Direzione centrale competente in
materia di patrimonio, delle competenze e delle funzioni già in capo alla
società con riferimento alle attività affidate dall’Amministrazione regionale». Ne consegue che la previsione, peraltro di
massima, della salvaguardia dei livelli occupazionali nel periodo antecedente
alla data della liquidazione della società non doveva essere necessariamente
attinta dalle censure focalizzate dal ricorrente sul trasferimento automatico
del personale alla Regione prescritto dal legislatore regionale, ben potendo
sopravvivere, senza contraddizioni di sorta, alla richiesta caducazione della
sola norma, l’impugnato art. 54, appunto, che detto trasferimento ha stabilito.
Difatti, a riprova della reciproca autonomia delle due disposizioni, la
garanzia occupazionale programmaticamente divisata in costanza del processo di
liquidazione risulta compatibile anche con meccanismi diversi da quello,
specificamente stigmatizzato, contemplato dalla norma impugnata. 4. – Nel merito, la questione è fondata. 4.1. – Nella giurisprudenza costituzionale
è stata più volte sancita l’indefettibilità del concorso pubblico come canale
di accesso pressoché esclusivo nei ruoli delle pubbliche amministrazioni, «in
linea con il principio di uguaglianza e i canoni di imparzialità e di buon
andamento [...] ex artt. 3 e 97 Cost.» (ex plurimis, sentenza n. 28 del 2013).
Già in passato questa Corte ha ritenuto ingiustificato il mancato ricorso a
detta forma, generale e ordinaria, di reclutamento del personale della pubblica
amministrazione in relazione a norme regionali di generale ed automatico
reinquadramento del personale di enti di diritto privato nei ruoli di Regioni o
enti pubblici regionali (che, come quella in oggetto, non assicuravano il
previo espletamento di alcuna procedura selettiva di tipo concorsuale). E ciò si
spiega perché il trasferimento da una società partecipata dalla Regione alla
Regione o ad altro soggetto pubblico regionale si risolve in un privilegio
indebito per i soggetti beneficiari di un siffatto meccanismo, in violazione
dell’art. 97 Cost. (sentenza n. 62 del 2012; nello stesso senso, sentenze n.
310 e n. 299 del 2011, nonché sentenza n. 267 del 2010). 4.2. – Neppure la regola che la resistente
ritiene di poter trarre dall’art. 31 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme
generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni) consente di prescindere dall’esigenza di pari condizioni di
accesso di tutti i cittadini e di selezione dei migliori. L’art. 31 predetto,
laddove dispone esplicitamente l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ.
nell’ambito del lavoro pubblico, si riferisce al transito di funzioni e
dipendenti da enti pubblici ad altri soggetti (pubblici o privati), non anche
alla cessione di funzioni – come nel caso previsto dalla legge regionale
censurata – da parte di soggetti privati in favore di enti pubblici. In tali
ipotesi, infatti, «l’automatico trasferimento dei lavoratori presuppone un
passaggio di status – da dipendenti privati a dipendenti pubblici (ancorché in
regime di lavoro privatizzato) – che [...] non può avvenire in assenza di una
prova concorsuale aperta al pubblico (in tal senso, sent. n. 226 del 2012)»
(sentenza n. 167 del 2013). Coerentemente, il trasferimento automatico di
personale ai sensi dell’art. 31 del d.lgs. n. 165 del 2001 è stato riconosciuto
solamente nei casi di passaggio di funzioni da un ente pubblico ad un altro e
non già, come nella specie, da una società di diritto privato, ancorché in mano
pubblica, all’amministrazione della Regione (sentenza n. 226 del 2012). L’esigenza di risorse umane che scaturisce
dall’assunzione di funzioni già affidate dalla Regione ad una società in house
poi posta in liquidazione (come la Gestione Immobili Friuli-Venezia Giulia
s.p.a.) non può, dunque, costituire valido motivo per disattendere il principio
secondo cui «la natura comparativa e aperta della procedura è elemento
essenziale del concorso pubblico, sicché deve escludersi la legittimità
costituzionale di “procedure selettive riservate, che escludano o riducano
irragionevolmente la possibilità di accesso dall’esterno”, violando il
carattere pubblico del concorso (in tal senso, sentenze n. 293 del 2009 e n.
100 del 2010)» (sentenza n. 225 del 2010). 4.2.1. – La stessa delibera della Corte
dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, richiamata nella
memoria della resistente (Indagine sulle esternalizzazioni negli enti locali
della Regione Lombardia, approvata con deliberazione n. 1051 del 13 dicembre
2010), ha invero puntualmente circoscritto le ipotesi in cui i dipendenti delle
società in house possano vantare un diritto alla riammissione nei ruoli della
pubblica amministrazione, facendole coincidere con i soli casi di scioglimento
delle predette società e di consecutiva riacquisizione, da parte delle
strutture interne dell’ente territoriale, dei servizi pubblici precedentemente
affidati all’esterno. E ciò, sempreché tali lavoratori fossero stati
originariamente trasferiti o transitati dall’ente pubblico di pregressa
appartenenza alle società partecipate o, comunque, da queste selezionati in
conformità al principio sancito dall’art. 97 Cost. Il diritto all’inserimento
nell’organico dell’ente dev’essere, invece, correlativamente escluso in capo ai
dipendenti illo tempore assunti da società controllate senza il ricorso a
procedure selettive pubbliche “equivalenti”. Orbene, non risulta in alcun modo che a
siffatte procedure sia mai stato sottoposto il personale interessato dalla
normativa censurata. La difesa regionale, infatti, non ha chiarito le concrete
modalità d’ingresso di detto personale nei ranghi della società Gestione
Immobili Friuli-Venezia Giulia, limitandosi a citare la legislazione che
prevede procedure di selezione “paraconcorsuali”, nel rispetto dei principi di
trasparenza, pubblicità e imparzialità, di cui all’art. 35, comma 3, del d.lgs.
n. 165 del 2001, anche per il reclutamento dei dipendenti di società a
partecipazione pubblica totale o di controllo (art. 18, commi 1 e,
segnatamente, 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante
«Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria», convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
art. 7 del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168, recante «Regolamento in materia di
servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell’articolo 23-bis,
comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133»). Norma statale,
quest’ultima, oltre tutto successiva alla legge regionale che ha promosso la
costituzione (con atto del 25 luglio 2000) della società in questione (legge
della Regione Friuli-Venezia Giulia 12 febbraio 1998, n. 3, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale ed annuale della
Regione – legge finanziaria 1998», art. 3). 4.2.2. – Né è sufficiente ipotizzare che
vi sia stata una procedura selettiva purchessia, atteso che questa Corte ha già
stabilito e oggi ribadisce che «il previo superamento di una qualsiasi
“selezione pubblica”, presso qualsiasi “ente pubblico”, è requisito troppo
generico per autorizzare una successiva stabilizzazione senza concorso, perché
esso non garantisce che la previa selezione avesse natura concorsuale e fosse
riferita alla tipologia e al livello delle funzioni che il personale
successivamente stabilizzato è chiamato a svolgere» (sentenza n. 225 del 2010,
che richiama le sentenze n. 293 del 2009 e n. 100 del 2010), «cosicché la
garanzia del concorso pubblico non può che riguardare anche l’ipotesi di mera
trasformazione di un rapporto contrattuale a tempo indeterminato in rapporto di
ruolo, allorché [...] l’accesso al suddetto rapporto non di ruolo non sia a sua
volta avvenuto mediante una procedura concorsuale» (sentenze n. 215 del 2009 e
n. 203 del 2004). 4.3. – Non rileva neppure che si possa
eccezionalmente derogare alla regola del pubblico concorso quando lo
scostamento dalla stessa si presenti a sua volta maggiormente funzionale al
buon andamento dell’amministrazione e ricorrano straordinarie esigenze
d’interesse pubblico (sentenza n. 52 del 2011). E’ necessario, perché ciò possa
avvenire, che la legge stabilisca preventivamente le condizioni per l’esercizio
del potere di assunzione e subordini la costituzione del rapporto a tempo
indeterminato all’accertamento di specifiche necessità funzionali
dell’amministrazione, prevedendo procedure di verifica dell’attività svolta; il
che presuppone che i soggetti da assumere abbiano maturato tale esperienza
all’interno della pubblica amministrazione e non alle dipendenze di datori di
lavoro esterni (sentenza n. 215 del 2009). Inoltre, la deroga dev’essere
contenuta entro determinati limiti percentuali, in modo da non precludere del
tutto la possibilità di accesso della generalità dei cittadini ai suddetti posti
pubblici (sentenza n. 108 del 2011). La norma censurata non è conforme ai
predetti principi. La difesa regionale non ha fornito elementi precisi che
possano indurre a ritenere più adeguato al fine del buon andamento
dell’amministrazione regionale il reclutamento diretto dei dipendenti già utilizzati
dalla disciolta società in house (peculiarità delle attività svolte,
professionalità particolarmente elevate o specializzate, et similia), facendo
esclusivo assegnamento, per la dimostrazione dell’assunto, sulla ratio di
tutela dei lavoratori occupati nella società in liquidazione. Tale motivazione,
però, in quanto ricollegabile ad un interesse specifico degli stessi dipendenti
beneficiari dell’inserimento immediato nei ruoli dell’amministrazione
regionale, non può essere considerata idonea a giustificare una deviazione dal
principio generale del pubblico concorso (sentenze n. 52 del 2011 e n. 195 del
2010), che è posto a tutela di tutti i cittadini che aspirino a ricoprire
pubblici uffici. 4.3.1. – In ogni caso, lo strumento
prescelto dal legislatore regionale, ossia il trasferimento automatico del
personale della disciolta società Gestione Immobili Friuli-Venezia Giulia
(previa una prova selettiva solo eventuale) alle dipendenze
dell’amministrazione regionale, risulta del tutto sproporzionato. E ciò in
quanto l’area delle eccezioni alla regola del concorso, a tutto voler
concedere, dev’essere rigorosamente delimitata e non può risolversi in una
indiscriminata e non previamente verificata immissione in ruolo di personale
esterno attinto da bacini predeterminati. Sicché, le scarne ed incerte garanzie
approntate dalla norma impugnata (ricognizione dei requisiti per accedere ai
ruoli dell’amministrazione regionale ed ipotetica prova selettiva) si palesano
inidonee ad assicurare una seria verifica delle capacità professionali dei
lavoratori reclutati dalla Regione all’esterno, seppure provenienti da una
società privata strumentale facente parte del suo apparato cosiddetto
“parallelo”. 4.4. – In conclusione, in mancanza di un
concorso pubblico, l’accesso del personale proveniente dalla Gestione Immobili
Friuli-Venezia Giulia s.p.a. all’impiego di ruolo presso l’amministrazione
regionale, senza alcuna certezza di un serio filtro selettivo, si pone in
contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., donde l’illegittimità costituzionale
dell’art. 54 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 16 del 2012. 5. – L’accoglimento della questione sotto
il dedotto profilo della violazione dell’obbligo del pubblico concorso consente
di ritenere assorbite le ulteriori censure prospettate dal ricorrente.
Per Questi Motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 54 della legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia 9 agosto 2012, n. 16 (Interventi di
razionalizzazione e riordino di enti, aziende e agenzie della Regione). |