Giu Alla Corte Costituzionale il rilascio dell'originale della sentenza necessaria per proporre giudizio di ottemperanza
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - ORDINANZA 2 marzo 2021 N. 1765
Annotazione
Il Consiglio di Stato ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 66, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986, in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che la disposizione di cui al comma 1 non si applica al rilascio dell'originale o della copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale, che debba essere utilizzato per proporre l’azione di ottemperanza innanzi al giudice amministrativo.

Testo della sentenza
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - ORDINANZA 2 marzo 2021 N. 1765
Pubblicato il 02/03/2021

N. 01765/2021 REG.PROV.COLL.

N. 04211/2020 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 4211 del 2020, proposto dal Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; 


contro

l’avvocato Andrea Abbamonte, rappresentato e difeso da sé medesimo e dall’avvocato Monica Mazziotti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dei difensori, in Roma, via degli Avignonesi, n. 5; 
la Camera Amministrativa Romana, in persona del legale rappresentante p.t., non costituitosi in giudizio; 

e con l'intervento di

ad opponendum:
della Camera Amministrativa e Comunitaria della Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Maria D’Angiolella e Fabrizio Perla, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luigi Maria D'Angiolella in Roma, via Sistina, n. 121; 

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Napoli, n. 1229 del 2020, resa tra le parti;


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’avvocato Andrea Abbamonte;

Visto l’atto di intervento ad opponendum;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2021 – tenutasi in videoconferenza da remoto ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020 – il consigliere Silvia Martino;

Vista l’istanza di passaggio in decisione depositata dall’avv. Andrea Abbamonte ai sensi e per gli effetti delle suddette disposizioni;


1. Con ricorso proposto innanzi al TAR per la Campania, l’avvocato Andrea Abbamonte esponeva che a seguito della proposizione di un ricorso ex art. 702 bis c.p.c. innanzi al Tribunale di Napoli - con il quale aveva richiesto l’accertamento e la condanna del Comune di Ceppaloni al pagamento dei compensi professionali maturati per il patrocinio dell’Ente in alcuni giudizi innanzi allo TAR Campania, sede di Napoli – il Tribunale ordinario, in data 31 maggio 2018, aveva adottato un’ordinanza decisoria di accoglimento, con la quale aveva condannato il medesimo Comune di Ceppaloni al pagamento della complessiva somma di euro 13.302,68 per l’attività professionale espletata in suo favore, nonché al pagamento delle spese di lite.

L’ordinanza, munita di formula esecutiva, era stata notificata in data 16 – 18 luglio 2018 al Comune.

Poiché l’ordinanza non era stata impugnata nel termine previsto dalla legge, la stessa era passata in giudicato.

Il Comune di Ceppaloni non aveva provveduto a conformarsi al giudicato di cui sopra.

Il ricorrente, pertanto, essendo decorsi anche i termini di cui all’art. 14 del d.l. n. 669/1996, aveva proposto innanzi al TAR un giudizio di ottemperanza al giudicato di cui alla suddetta ordinanza emessa ex art. 702 ter c.p.c. dal Tribunale di Napoli, con ricorso notificato in data 29 gennaio 2019 (RG. n. 609/2019, TAR Campania, Sede di Napoli).

In pari data l’avvocato Abbamonte aveva provveduto a richiedere all’Ufficio Cronologico e Repertorio del Tribunale civile di Napoli il rilascio del certificato di non proposta impugnazione, quale condizione di procedibilità del giudizio di ottemperanza suindicato.

Tuttavia il funzionario preposto al servizio presso l’Ufficio Cronologico e Repertorio del Tribunale di Napoli aveva rappresentato di non poter rilasciare il richiesto certificato, perché da un controllo effettuato non risultavano pagati gli oneri di registrazione dell’ordinanza di cui si chiedeva accertarsi il passaggio in giudicato.

Al riguardo, il predetto Ufficio aveva richiamato una circolare interna del Tribunale di Napoli - a firma del Coordinatore del Settore civile dell’11 gennaio 2019 – con la quale si era stabilito di sospendere e non evadere tutte le richieste di certificazione di passaggio in giudicato o di non proposta impugnazione, sino al pagamento dell’imposta di registro della relativa decisione giurisdizionale, con riferimento alle richieste inerenti le procedure esecutive da proporsi a mezzo di giudizi amministrativi di ottemperanza.

In tal senso la circolare rinviava ad una nota interna del Ministero della Giustizia prot. n. 0139212/U del 25 settembre 2015, nella parte in cui rileva che:

“[...] la previsione dell’esclusione dell’obbligo di previa registrazione della sentenza nel caso di richiesta di copia ad uso esecuzione è stata introdotta nell’ordinamento da una sentenza della Corte Costituzionale (cfr. sent. 6 dicembre 2002 n. 522), in relazione alla quale non è possibile effettuare alcuna interpretazione estensiva ad una ipotesi (quella del giudizio amministrativo di ottemperanza) solo in parte equiparabile a quello esecutivo civile […]”.

L’avvocato Abbamonte aveva pertanto provveduto a depositare innanzi al TAR per la Campania, in data 12 febbraio 2019, il surrichiamato ricorso per l’ottemperanza notificato in data 29 gennaio 2019, versando in atti un’autocertificazione attestante la mancata impugnazione dell’ordinanza di cui era invocata l’ottemperanza, nonché copia della suddetta circolare del Tribunale di Napoli (attestante il mancato rilascio della certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c.).

1.1. Con ulteriore ricorso al medesimo TAR, egli chiedeva poi l’annullamento:

- del silenzio - rifiuto formatosi in ordine alla richiesta avanzata al Tribunale di Napoli, Ufficio Cronologico e Repertorio, in data 29 gennaio 2019, di rilascio del certificato ex art. 124 disp att. c.p.c. in relazione all’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. resa dal Tribunale di Napoli nel giudizio R.G. 39165/2016 in data 31 maggio 2018, notificata al Comune di Ceppaloni in data 18 luglio 2019, con riferimento al procedimento giurisdizionale di esecuzione della suddetta ordinanza a mezzo giudizio di ottemperanza instaurato innanzi al TAR per la Campania;

- della circolare del Tribunale di Napoli dell’11 gennaio 2019, con cui era stato disposto di sospendere le richieste di rilascio di certificazione di passaggio in giudicato/non proposta impugnazione ex art. 124 disp att. c.p.c. con riferimento ai giudizi di esecuzione a mezzo giudizio amministrativo di ottemperanza ex art. 112 c.p.a. fino al pagamento dell'imposta di registro, ai sensi dell’art. 66 del d.P.R. n. 131 del 1986; 

- nonché di ogni ulteriore atto presupposto, preparatorio, connesso, conseguente o consequenziale, comunque lesivo degli interessi del ricorrente, ivi compresa la nota del Ministero della Giustizia prot. n. 0139212/U del 25 settembre 2015.

1.2. All’uopo, il ricorrente deduceva:

I. Violazione e falsa applicazione dell’art. 66 del d.P.R. n. 131 del 26 aprile 1986 s.m.i. come interpretato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 522 del 6 dicembre 2002 – Violazione dell’art. 124 disp. att. c.p.c. – Violazione e falsa applicazione art. 7, comma 7, l. n. 825 del 1971 – art. 24 Cost. – Illogicità ed irragionevolezza dell’azione amministrativa – Sviamento.

Il ricorrente evidenziava che, con la sentenza della Corte Costituzionale n. 522 del 2002, era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 66, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986 nella parte in cui non prevede che la disposizione di cui al comma 1 (“I soggetti indicati nell’art. 10, lettere b) e c), possono rilasciare originali, copie ed estratti degli atti soggetti a registrazione in termine fisso da loro formati o autenticati solo dopo che gli stessi sono stati registrati, indicando gli estremi della registrazione, compreso l'ammontare dell'imposta, con apposita attestazione da loro sottoscritta”) non si applica al rilascio dell’originale o della copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale che debba essere utilizzato per procedere all’esecuzione forzata. 

Secondo la Corte costituzionale, l’inadempimento dell’obbligo di versamento dell’imposta di registro non può compromettere lo svolgimento e la conclusione del processo di cognizione, in quanto, per effetto del bilanciamento da operarsi tra l’interesse fiscale alla riscossione e quello all’attuazione della tutela giurisdizionale, il primo può ritenersi adeguatamente soddisfatto dall’obbligo che grava sul cancelliere di informare l’Ufficio finanziario dell’esistenza dell’atto non registrato affinché quest’ultimo Ufficio possa procedere alla riscossione di quanto dovuto.

Il ricorrente sosteneva che tale indirizzo sarebbe stato applicabile anche al giudizio di ottemperanza, oggi disciplinato dall’art. 112 c.p.a., in quanto procedimento giurisdizionale di esecuzione, del tutto assimilabile a quello civile ed in conformità al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui si tratta di un rimedio alternativo e concorrente rispetto all’esecuzione forzata civile.

Sotto un secondo profilo, egli lamentava altresì che l’Ufficio del Tribunale di Napoli aveva violato il principio di cui all’art. 91 del c.p.c., in base al quale spetta alla parte soccombente - quindi all’ente locale convenuto - il pagamento delle spese processuali, in cui rientrerebbe anche l’imposta di registrazione della sentenza, la quale è riscossa per la fruizione del servizio pubblico dell’amministrazione della giustizia.

Gli atti impugnati avrebbero cioè operato l’ingiustificata ed illegittima “inversione” dell’obbligo di adempimento dell’imposta di registro, obbligando il creditore/parte vittoriosa del procedimento giurisdizionale al pagamento delle spese di registrazione, quale condicio sine qua non, per poter esercitare l’azione giurisdizionale esecutiva a mezzo giudizio di ottemperanza.

II. L’avvocato Abbamonte, in via gradata, eccepiva altresì l’illegittimità costituzionale dell’art. 66, comma 2, del d.P.R. n. 131/1986 nella parte in cui non prevede che la disposizione di cui al comma 1 non si applica al rilascio dell’originale o della copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale, che debba essere utilizzato per procedere all’esecuzione, con riferimento al giudizio amministrativo di ottemperanza ai sensi dell’art. 112 c.p.a., deducendone il contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.

2. Nella resistenza del Ministero della Giustizia, e con l’intervento ad adiuvandum della Camera Amministrativa e Comunitaria della Campania, il TAR ha accolto il ricorso “con conseguente annullamento degli atti impugnati e con obbligo, quale effetto conformativo, per l’intimata amministrazione di provvedere al rilascio della certificazione richiesta alla luce dei princìpi di diritto espressi”.

In particolare, il primo giudice ha sostenuto che, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 66 del d.P.R. n. 131/1986, così come interpretato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 522/2002, non può non farsi rientrare nella fase dell’esecuzione forzata – in relazione alla quale non trova applicazione il primo comma dell’art. 66 - anche il giudizio di ottemperanza ex art. 112, comma 2, lett. c), del c.p.a. volto all’esecuzione di sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario recanti condanne pecuniarie a carico di amministrazioni pubbliche

3. La sentenza è stata impugnata dal Ministero della Giustizia, rimasto soccombente.

3.1. L’appello è affidato al seguente complesso mezzo di gravame:

I. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 65, comma 1, 66, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 e 112 e ss. c.p.a.

La deroga invocata dalla parte appellata alle disposizioni in rubrica, relativa all’esecuzione forzata civile, deriva da una sentenza ‘additiva’ della Corte Costituzionale; pertanto, secondo l’appellante, il TAR non avrebbe potuto procedere all’interpretazione analogica delle disposizioni in rubrica, indipendentemente dal fatto che anche il giudizio di ottemperanza possa avere la finalità di consentire l’esecuzione di un titolo giudiziale.

L’art. 66, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986 pone un principio di carattere generale volto a tutelare il diritto dell’erario alla riscossione dell’imposta di registro nel peculiare caso degli atti giudiziari. 

Secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità, le norme di esenzione totale o parziale da un debito tributario debbono ritenersi di “stretta interpretazione”. 

Pertanto, le previsioni derogatorie di cui al cit. art. 66, comma 2, non possono essere estese ad un’ipotesi non esplicitamente contemplata, in considerazione del divieto di interpretazione analogica stabilito dall’art. 14 delle disposizioni preliminari del codice civile.

L’appellante ha poi sottolineato che il ricorso in ottemperanza dinanzi al g.a. non può qualificarsi come una fase di prosecuzione del giudizio ordinario, al pari dei rimedi processuali dell’appello, del ricorso per Cassazione e della revocazione.

Inoltre, per quanto siffatto giudizio possa essere utilizzato anche al fine di eseguire i provvedimenti emessi dal giudice ordinario, esso non può essere totalmente equiparato all’esecuzione forzata civile.

In tale senso, il Ministero appellante ha richiamato, in particolare, la natura “polisemica” di tale rimedio operata dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Adunanza plenaria, decisione 15 gennaio 2013, n. 2). 

Inoltre, la scelta dello strumento processuale, mediante il quale ottenere soddisfazione delle proprie pretese, spetta esclusivamente al libero apprezzamento del creditore; con l’ulteriore conseguenza che, da tale scelta, deriverebbe ex se l’onere per la parte ricorrente di provvedere alla previa registrazione del provvedimento, così come previsto in via generale dal d.P.R. n. 131 del 1986.

La questione di costituzionalità prospettata sarebbe pertanto manifestamente infondata, rientrando nelle discrezionalità del legislatore la scelta delle fattispecie di esclusione dall’onere di pagamento del tributo.

4. Si è costituito, per resistere, l’avvocato Andrea Abbamonte, il quale ha riproposto, in primo luogo, il secondo profilo del primo motivo assorbito dal TAR relativo alla violazione del principio di cui all’art. 91 c.p.c.

4.1. In subordine, l’appellato ha nuovamente dedotto l’illegittimità costituzionale dell’art. 66, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986 per violazione degli articoli 3 e 24 Cost. 

5. E’ intervenuta, ad opponendum, la Camera amministrativa e comunitaria della Campania, significando che il comportamento dell’Amministrazione giudiziaria di cui di verte “impedisce o ostacola illegittimamente l’attività professionale e della clientela in una fattispecie che peraltro già è segnata da ritardi ed inefficienze delle PP.AA. nel dare esecuzione alle sentenze”.

6. L’appellato ha depositato una ulteriore memoria, in vista della pubblica udienza del 14 gennaio 2021, all’esito della quale il gravame è stato trattenuto in decisione ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020.

7. In via preliminare, il Collegio rileva che, per effetto dell’appello del Ministero e della riproposizione dei motivi del ricorso di primo grado il cui esame è stato assorbito dal TAR, è riemerso in appello l’intero thema decidendum, sicché, per comodità espositiva, saranno prese in esame direttamente le censure poste a sostegno del ricorso proposto in prime cure (cfr., ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, sentenza, n. 7325 del 2020; id., sez. IV, n. 1130 del 2016; id., sez. V, n. 5865 del 2015; id., sez. V, n. 5868 del 2015).

8. Nell’ordine logico delle questioni viene in rilievo il secondo profilo del primo motivo articolato in primo grado, con cui è stata dedotta la violazione dell’art. 91 c.p.c.

Il motivo è infondato. 

Il diniego impugnato in primo grado non ha violato le disposizioni che regolano la soccombenza nel processo, essendo rimasto impregiudicato il relativo accertamento contenuto nell’ordinanza pronunciata dal Tribunale civile di Napoli, di cui l’avvocato Abbamonte ha domandato l’esecuzione in sede giurisdizionale amministrativa innanzi allo stesso TAR per la Campania (col ricorso RG. n. 609/2019).

Va peraltro rilevato che, in tema di imposta di registro sugli atti giudiziari, costituisce presupposto del tributo, ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 131 del 1986, l’esistenza di un titolo giudiziale soggetto a registrazione.

In particolare, la suddetta disposizione prevede che sono soggetti ad imposta gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere. 

Secondo l’art. 57, “oltre ai pubblici ufficiali, che hanno redatto, ricevuto o autenticato l'atto, e ai soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati al pagamento dell'imposta le parti contraenti, le parti in causa, coloro che hanno sottoscritto o avrebbero dovuto sottoscrivere le denunce di cui agli articoli 12 e 19 e coloro che hanno richiesto i provvedimenti di cui agli articoli 633, 796, 800 e 825 del codice di procedura civile”.

La giurisprudenza ha chiarito che “l’art. 57, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986, nella parte in cui prevede che sono tenute al pagamento dell'imposta di registro le parti in causa, deve intendersi riferito a tutti coloro che abbiano preso parte al giudizio, nei confronti dei quali la pronuncia giurisdizionale si è espressa nella parte dispositiva e la cui sfera giuridica sia in qualche modo interessata dagli effetti di tale decisione, in quanto la finalità di detta norma è quella di rafforzare la posizione dell'erario nei confronti dei contribuenti in vista della proficua riscossione delle imposte, salvo il diritto per ciascuno di essi di rivalersi nei confronti di colui che è civilmente tenuto al pagamento” (Cass. Civ., Sez. trib, ord. n. 29158 del 13 novembre 2018).

Pertanto, poiché, secondo la consolidata giurisprudenza, tra le spese giudiziarie da porre a carico della parte soccombente - ai sensi dell’articolo 91 del c.p.c. - va compresa l’imposta di registrazione della sentenza (cfr. Cass. civ., Sez. II, 27 ottobre 2004, n. 20821; Cons. Stato, Sez. IV, sentenza n. 1117 del 18 febbraio 2019), ne consegue che il soggetto che abbia nel frattempo provveduto in concreto all’adempimento dell’obbligazione tributaria potrà comunque far valere il suo diritto al rimborso. 

9. Ai fini dell’esame del primo profilo del primo motivo di ricorso articolato in primo grado, va rilevato che l’art. 66 del citato d.P.R., al comma 1, stabilisce il divieto per i cancellieri ed i segretari degli organi giurisdizionali di rilasciare originali, copie ed estratti degli atti soggetti a registrazione in termine fisso, da essi formati o autenticati, se non dopo la registrazione degli stessi, con relativo pagamento dell'imposta, prevedendo, al secondo comma, tassative eccezioni al divieto di rilascio di copia di atti, nelle more della registrazione. 

A tali deroghe, previste dal legislatore, si sono aggiunte quelle rispettivamente introdotte:

- dalla sentenza della Corte costituzionale n. 522 del 2002, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 66, del d.lgs. n. 131 del 1986 “nella parte in cui non prevede che la disposizione di cui al comma 1 non si applica al rilascio dell'originale o della copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale, che debba essere utilizzato per procedere all'esecuzione forzata”;

- dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 198 del 2010 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del medesimo art. 66 “nella parte in cui non prevede che la disposizione di cui al comma 1 non si applichi al rilascio di copia dell'atto conclusivo (sentenza o verbale di conciliazione) della causa di opposizione allo stato passivo fallimentare, ai fini della variazione di quest'ultimo”.

9.1. Il TAR, con la sentenza impugnata, ha sostenuto che nella fattispecie dell’“esecuzione forzata” – in relazione alla quale il primo comma dell’art. 66 non trova applicazione (per effetto della citata declaratoria di incostituzionalità) – rientra, in virtù di una lettura costituzionalmente orientata, anche il giudizio di ottemperanza.

Al riguardo, deve tuttavia convenirsi con l’Avvocatura dello Stato che quella operata dal primo giudice è in realtà una integrazione analogica e non una interpretazione estensiva della disposizione quale risultante dalla richiamata sentenza della Corte Costituzionale n. 522 del 2002. 

L’interpretazione estensiva, benché in astratto non preclusa per le norme derogatorie o eccezionali, rimane comunque circoscritta alle ipotesi in cui il “plus” di significato, che si intenda attribuire alla norma interpretata, non riduca la portata della norma costituente la regola con l’introduzione di nuove eccezioni (cfr. Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2018, n. 4657). 

Nel caso di specie, la regola generale posta dall’art. 66, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986 è quella secondo cui la copia di un atto soggetto a registrazione può essere rilasciata solo dopo che l’atto è stato registrato, con il versamento dell’imposta.

Il comma 2 della medesima disposizione prevede poi le eccezioni alla regola, tra cui, come rilevato, quella relativa al rilascio dell’originale o della copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale che debba essere utilizzato per procedere all’esecuzione forzata, è stata introdotta nell’ordinamento sulla base di una sentenza della Corte Costituzionale.

Le statuizioni del TAR, sia pure ispirate al canone dell’interpretazione costituzionalmente conforme, comportano l’introduzione di una ulteriore eccezione, relativa al giudizio di ottemperanza, con ulteriore restrizione dell’ambito di applicazione della disciplina generale.

In ogni caso, l’interpretazione estensiva della fattispecie “esecuzione forzata” di una sentenza, o altro provvedimento giurisdizionale, non risulta possibile per due ulteriori ordini di ragioni.

In primo luogo, la regula iuris di cui il TAR ha operato un’interpretazione estensiva è la risultante di una sentenza additiva della Corte Costituzionale.

Attraverso questa tipologia di sentenze la Corte identifica (con valenza erga omnes) la soluzione costituzionalmente necessaria del problema costituito dalla specifica omissione legislativa rilevata dal giudice a quo

In tal modo, la sentenza della Corte (salvo che in relazione alle c.d. “additive” di principio) non richiede quindi un ulteriore intervento interpretativo dei giudici comuni o del legislatore, avendo, per le ragioni evidenziate, capacità “autoapplicativa” e unidirezionale.

Nel caso in esame, la fattispecie oggetto del giudizio a quo riguardava l’omissione legislativa relativa alla mancata inclusione, tra le ipotesi derogatorie contemplate dall’art. 66 del d.lgs. n. 131 del 1986, del rilascio dell’originale o della copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale che debba essere utilizzato per procedere all’esecuzione forzata, ed è quindi solo a tale a fattispecie che è riferita, a giudizio del Collegio, la portata innovativa della pronuncia n. 522 del 2002.

La predetta pronuncia non ha, infatti, anche i caratteri di una c.d. “additiva di principio” e non consente quindi al giudice comune di rimediare direttamente alle ulteriori lacune che gli vengano prospettate o che egli stesso individui, sia pure nel medesimo tessuto normativo già inciso dalla richiamate declaratorie di incostituzionalità. 

In secondo luogo, l’azione di ottemperanza per conseguire l’attuazione delle sentenze dell’autorità giudiziaria ordinaria (ovvero degli altri provvedimenti ad esse equiparati) di condanna della p.a., al pagamento di una somma di denaro, non è un mero duplicato né comunque condivide la stessa natura dell’esecuzione forzata civile.

Essa è infatti caratterizzata dall’esercizio di una giurisdizione estesa al merito, la quale consente di adeguare l’azione esecutiva alla situazione concreta e alla statuizione del giudice (Corte Cost., sentenza n. 406 del 1998).

Anche rispetto a questo tipo di pronunce, possono pertanto trovare applicazione le peculiarità funzionali del giudizio amministrativo, caratterizzate da potenzialità sostitutive e intromissive nell’azione amministrativa, non comparabili con i poteri del giudice dell’esecuzione nel processo civile (sentenza n. 406 del 1998, cit.).

Vero è che le due tipologie di azioni convergono verso lo stesso fine di giustizia, sicché appare logico ritenere che, come rilevato dal TAR nella fattispecie in esame, anche l’azione di ottemperanza non possa essere condizionata dall’adempimento di un onere fiscale.

Tuttavia all’integrazione di tale lacuna ordinamentale non è possibile procedere attraverso l’interpretazione analogica, in ragione del già evidenziato carattere derogatorio, rispetto alla disciplina generale, delle fattispecie regolate dal secondo comma dell’art. 66 del d.P.R. n. 131 del 1986.

Si rende pertanto necessaria, a giudizio del Collegio, una ulteriore sentenza additiva della Corte Costituzionale, in ossequio al principio di certezza del diritto e con valenza erga omnes.

10. In ordine alla rilevanza della questione, va ricordato che per le sentenze e gli altri provvedimenti equiparati del giudice ordinario il passaggio in giudicato è un presupposto indefettibile per agire in sede di ottemperanza, ai sensi dell’art. 112, comma 2, lett. c) del codice del processo amministrativo, il quale, all’uopo, dispone altresì che “Unitamente al ricorso è depositato in copia autentica il provvedimento di cui si chiede l'ottemperanza, con l’eventuale prova del suo passaggio in giudicato” (art. 114, comma 2, c.p.a.).

La giurisprudenza amministrativa è consolidata nel ritenere che la mancata prova dell’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza azionata mediante ricorso per ottemperanza rende inammissibile il medesimo ricorso, non essendo all’uopo sufficiente una autocertificazione del ricorrente, o del suo difensore (ex multis, TAR Campania, Napoli, Sez. II, 30 giugno 2020, n. 2716; TAR Veneto, Sez. I, 23 gennaio 2020, n. 82; TAR Toscana, Sez. I, 9 novembre 2018, n. 1449; Cons. Stato, Sez. IV, 12 dicembre 2016, n. 522; id., Sez. V, 11 dicembre 2015, n. 5645).

Sicché, il creditore, che per il soddisfacimento della sua pretesa reputi necessario agire mediante il giudizio di ottemperanza innanzi al giudice amministrativo, deve procurarsi una copia della sentenza (o provvedimento equiparato) del giudice ordinario da eseguire, munita dell’attestazione del suo passaggio in giudicato.

L’art. 66 del d.P.R. n. 131 del 1986 - dopo avere stabilito al comma 1 che i cancellieri ed i segretari degli organi giurisdizionali e gli altri soggetti indicati nell’articolo 10, lettere b) e c), possono rilasciare originali, copie ed estratti degli atti soggetti a registrazione in termine fisso da loro formati o autenticati solo dopo che gli stessi sono stati registrati – elenca al comma 2 cinque ipotesi di deroga, tra cui quella secondo cui il primo comma non si applica “agli originali, copie ed estratti di sentenze e altri provvedimenti giurisdizionali, o di atti formati dagli ufficiali giudiziari e dagli uscieri, che siano rilasciati per la “prosecuzione” del giudizio” (lett. a).

La fattispecie in esame non è però ascrivibile né a questa né alle ulteriori previsioni derogatorie, siccome integrate dalle richiamate pronunce della Corte Costituzionale.

La questione di costituzionalità è quindi dirimente, in quanto il suo accoglimento comporterebbe il rigetto dell’appello del Ministero della Giustizia, mentre, per converso, il suo rigetto determinerebbe l’accoglimento dell’appello.

11. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, le ragioni poste a base delle decisioni della Corte Costituzionale n. 522 del 2002 e n. 198 del 2010, sono invocabili anche nella fattispecie in esame.

In particolare, la decisione n. 522 del 2002 muove dalla considerazione che la legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), ha imposto al legislatore delegato, come principio direttivo, di eliminare “ogni impedimento fiscale al diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi” (articolo 7, n. 7). 

In attuazione di tale principio, l’articolo 63 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (Disciplina dell’imposta di registro), il cui contenuto è poi sostanzialmente confluito nell’articolo 65 del d.P.R. n. 131 del 1986, ha soppresso il divieto di utilizzazione in giudizio di atti non registrati previsto dalla disciplina precedente, stabilendo, in luogo dello stesso, l’obbligo del cancelliere di inviarli all'ufficio del registro.

La Corte prosegue osservando che “Il legislatore della riforma ha pertanto ritenuto che la situazione di inadempimento dell'obbligazione relativa all’imposta di registro, emergente in occasione del processo di cognizione, non può avere l’effetto di precluderne lo svolgimento e la conclusione.

È chiaro il giudizio di valore così espresso, per cui, nel bilanciamento tra l’interesse fiscale alla riscossione dell'imposta e quello all’attuazione della tutela giurisdizionale, il primo è ritenuto sufficientemente garantito dall'obbligo imposto al cancelliere di informare l’ufficio finanziario dell’esistenza dell'atto non registrato, ponendolo così in grado di procedere alla riscossione. Discipline di contenuto sostanzialmente identico sono state introdotte - sia pure in tempi diversi - per le imposte di successione, di bollo e sul valore aggiunto”.

Considerando il bilanciamento fra i due interessi, alla luce del principio secondo cui la garanzia della tutela giurisdizionale posta dall’articolo 24, primo comma, Cost. comprende anche la fase dell’esecuzione forzata, la quale è diretta a rendere effettiva l’attuazione del provvedimento giurisdizionale, la scelta compiuta dalla disposizione di cui si tratta è stata ritenuta dalla Corte irragionevole e contrastante con l’art. 24 della Costituzione.

Essa infatti comporta che “la valutazione di bilanciamento fra l'interesse all'effettività della tutela giurisdizionale e quello alla riscossione dei tributi sia effettuata, per i due tipi di processo, in modo irragionevolmente diverso: l’inadempimento dell’obbligazione tributaria - che pure non ha precluso lo svolgimento del processo di cognizione fino all’emanazione della sentenza (o di altro provvedimento esecutivo) ed ha determinato solo la comunicazione da parte del cancelliere all'ufficio del registro degli atti non registrati - impedisce poi che alla sentenza (o al provvedimento esecutivo) sia data attuazione mediante l’esercizio della tutela giurisdizionale in via esecutiva”.

I suddetti principi, ad avviso del Collegio, si possono considerare applicabili anche al caso di specie, in cui l’inadempimento dell’obbligazione tributaria, da un lato, impedisce la piena attuazione attraverso il giudizio di ottemperanza della tutela del diritto accertato giurisdizionalmente, dall’altro, determina una discriminazione tra creditori in base alle rispettive disponibilità economiche.

Il diritto al processo – come rilevato nella decisione dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato con richiamo agli orientamenti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo - comprende anche il diritto all’esecuzione del giudicato (decisione n. 2 del 2013).

Vero è che, rispetto alle sentenze del giudice ordinario e ai provvedimenti equiparati che recano condanne al pagamento di somme di denaro, il creditore della pubblica amministrazione ha la possibilità di promuovere, senza più alcuna preclusione derivante dall’assolvimento degli oneri fiscali, anche l’esecuzione forzata.

Tuttavia, poiché i due procedimenti sono non già semplicemente alternativi, ma complementari, il fatto che l’esperimento di uno dei due sia più oneroso può costituire un vulnus al diritto della parte vittoriosa di far valere pienamente le proprie ragioni nella fase esecutiva, attraverso tutti i mezzi previsti dall’ordinamento per il raggiungimento dello scopo, nonché ad esso più adeguati, in base alla situazione concreta e alle statuizioni del giudice (Corte Cost., sentenza n. 406 del 1998, cit.).

Ciò può indurre ad escludere altresì che, come sostenuto dall’Avvocatura dello Stato, possa rientrare nella discrezionalità del legislatore attribuire prevalenza all’interesse alla riscossione delle imposte, poiché tale discrezionalità incontra comunque un limite insuperabile con riferimento alle ipotesi in cui, come nella specie, “il divieto sia palesemente irragionevole” (Corte Cost., sentenza n. 198 del 2010).

12. In definitiva, quanto appena argomentato giustifica la valutazione di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 66, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986, in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che la disposizione di cui al comma 1 non si applica al rilascio dell'originale o della copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale, che debba essere utilizzato per proporre l’azione di ottemperanza innanzi al giudice amministrativo.

Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, affinché si pronunci sulla questione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), relativamente all’appello n. 4211 del 2020, così provvede:

1) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo dell’art. 66, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986 - in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione - nella parte in cui non prevede che la disposizione di cui al comma 1 non si applica al rilascio dell’originale o della copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale, che debba essere utilizzato per proporre l’azione di ottemperanza innanzi al giudice amministrativo;

2) dispone la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;

3) rinvia ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese di lite all’esito del giudizio incidentale promosso con la presente pronuncia;

4) ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2021 – tenutasi in videoconferenza da remoto - con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Luca Lamberti, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere, Estensore

Michele Pizzi, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Silvia Martino Luigi Maruotti
 
 
 

IL SEGRETARIO