Giu Natura pubblicistica degli atti unilaterali d'obbligo
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. II - SENTENZA 6 aprile 2021 N. 2773
Massima
Gli atti unilaterali d’obbligo associati alla concessione ad aedificandum non si esauriscono nel modulo negoziale, in quanto non svolgono una funzione autonoma ma servente ai fini del rilascio del titolo; e ciò in disparte l’oggetto dell’obbligo di parte privata, ora consistente nella diretta realizzazione delle opere di urbanizzazione ora nella cessione di un’area ora, infine, nella costituzione di una servitù di uso pubblico.

Testo della sentenza
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. II - SENTENZA 6 aprile 2021 N. 2773
Pubblicato il 06/04/2021

N. 02773/2021REG.PROV.COLL.

N. 01444/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1444 del 2013, proposto dalla società Immobiliare Roana S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Raffaele Bucci e Paolo Fiorilli, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato Paolo Fiorilli in Roma, via Cola di Rienzo, n. 180,

contro

il Comune di Roana, in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Sabina Ciccotti e Piercarlo Mantovani, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Sabina Ciccotti in Roma, via Lucrezio Caro, n. 62,

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Veneto (Sezione I), n. 1450 del 27 novembre 2012, resa inter partes, concernente lo scomputo di opere di urbanizzazione.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Roana;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2021 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con l. 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70) il consigliere Giovanni Sabbato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto innanzi al T.a.r. per il Veneto, la società Immobiliare Roana S.r.l. (di seguito la società) aveva chiesto quanto segue:

a) la declaratoria di nullità degli atti d’obbligo sottoscritti dalla ricorrente in sede di rilascio di alcuni titoli edilizi; 

b) l’accertamento del diritto della ricorrente allo scomputo dagli oneri urbanistici corrisposti del valore delle opere direttamente realizzate e delle servitù costituite; 

c) la condanna dell’Amministrazione al pagamento di quanto dovuto.

2. A sostegno dell’azione la società aveva dedotto l’insussistenza del potere dell’Amministrazione di pretendere, in occasione del rilascio di talune concessioni edilizie tra il 1992 ed il 1997, gli atti unilaterali coi quali la società si assumeva obblighi ad essa non spettanti nei confronti del Comune di Roana e/o aveva costituito servitù gratuite di uso pubblico, atti d’obbligo da reputare quindi nulli per violazione dell’art. 1418 c.c.; in via subordinata chiedeva la restituzione di quanto versato a titolo di oneri di urbanizzazione in uno alla esecuzione delle relative opere.

3. Costituitasi l’Amministrazione comunale in resistenza, il Tribunale amministrativo adìto (Sezione I) ha accolto limitatamente il ricorso e, per l’effetto, ha condannato il Comune al pagamento in favore della società del solo importo di £ 22.677.692 (€ 11,712,05), con interessi e rivalutazione fino al soddisfo, ed ha compensato le spese di lite.

4. In particolare, il T.a.r. ha ritenuto che:

- non ricorre la prospettata nullità degli atti d’obbligo in quanto conformi alla previsione di cui all’art. 11 della legge n. 10/77, la quale fonda il potere dell’Amministrazione comunale di imporre a colui che intende eseguire un intervento edilizio il pagamento di un contributo di urbanizzazione, così come di consentirgli di realizzare direttamente le opere di urbanizzazione necessarie e propedeutiche al rilascio della concessione edilizia;

- non ricorre la prospettata causa di inammissibilità del ricorso per mancata impugnativa della norma regolamentare dettata con la deliberazione consiliare 31 luglio 1987 n. 176, laddove consente all’Amministrazione di subordinare il rilascio della concessione edilizia al pagamento degli oneri di urbanizzazione in aggiunta all’esecuzione delle opere di urbanizzazione, stante il potere del giudice amministrativo di disapplicare le fonti secondarie contrastanti con la legge ordinaria e la Costituzione;

- il limite che si pone all’assunzione da parte promittente di impegni patrimoniali più onerosi rispetto a quelli astrattamente previsti dalla legge consiste nel divieto della doppia imposizione cosicché non è consentito all’Amministrazione esigere il pagamento degli oneri urbanistici in aggiunta all’esecuzione delle opere urbanistiche pena l’obbligo di restituzione del quantum non dovuto;

- tale evenienza trova riscontro soltanto in relazione “alla concessione n. 4902/91 rilasciata dal Comune per la realizzazione di un fabbricato residenziale”.

5. Avverso tale pronuncia la società ha interposto appello, notificato il 13 febbraio 2013 e depositato il 27 febbraio 2013, lamentando, attraverso due motivi di gravame (pagine 6-25), quanto di seguito sintetizzato:

I) erroneità della sentenza in quanto, contrariamente a quanto affermato dal T.a.r., il citato art. 11 non attribuisce all’Amministrazione il potere di imporre l’esecuzione delle opere di urbanizzazione così come non può trovare applicazione l’art. 28 della legge 1150/1942, riguardando la diversa fattispecie della lottizzazione convenzionata, di tal che gli atti unilaterali d’obbligo rilasciati ob torto collo dall’appellante sono da considerare nulli, per invalidità derivata, perché inerenti a prestazioni non dovute;

II) il Comune sarebbe quindi tenuto, in applicazione dell’art. 2041 c.c., al pagamento del controvalore delle opere di urbanizzazione realizzate, pari a £ 210.442.227 (o a diversa somma, se contestata, da quantificarsi a mezzo CTU), oltre a interessi legali dal giorno della richiesta (25 novembre 1993) al soddisfo; anche a voler ritenere insussistente la prospettata ipotesi di nullità e pertanto configurabile soltanto un diritto, ex art. 2033 c.c., alla restituzione di quanto versato in addizione agli oneri di urbanizzazione, il computo di tale importo sarebbe erroneo essendo ben superiore a quello quantificato dal T.a.r. e pari a £ 169.250.337 (€ 87.410,50).

6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado e quindi la condanna dell’Amministrazione comunale al pagamento del dovuto.

7. In data 3 marzo 2014, il Comune di Roana si è costituito con memoria, al fine di resistere, evidenziando che tutti gli atti impugnati si fondano sui previ regolamenti comunali e sulla l. r. n. 61/85, riproponendo l’eccezione di inammissibilità della domanda ex art. 2041 c.c. (siccome articolata solo nel corso del giudizio di primo grado); ha altresì controdedotto nel senso del difetto di prova dell’utilitas e dell’erronea quantificazione del controvalore delle opere di urbanizzazione, realizzate peraltro in un importo superiore a quello indicato in prime cure.

8. In vista della trattazione nel merito del ricorso entrambe le parti hanno svolto difese scritte (l’appellante anche in replica) insistendo per le rispettive conclusioni sia in rito che nel merito; in particolare l’appellante ha evidenziato che per le aree in questione era consentito l’intervento diretto e che la sostanza delle domande proposte in primo grado, pur non essendo richiamati gli artt. 2041 e 2033 c.c., sarebbe identica così formulando istanza istruttoria per accertare il valore reale delle opere di urbanizzazione realizzate indebitamente. 

9. La causa, chiamata per la discussione alla udienza pubblica svoltasi con modalità telematica del 16 febbraio 2021, è stata ivi trattenuta in decisione.

10. L’appello è infondato.

10.1 L’appellante mira alla restituzione delle somme impiegate per la realizzazione delle opere di urbanizzazione in quanto si sarebbero aggiunte ai relativi oneri comunque corrisposti. Per raggiungere tale obiettivo invoca innanzitutto la declaratoria di nullità dei provvedimenti amministrativi recanti le contestate imposizioni nonché dei relativi atti di obbligo, assumendo che l’Amministrazione non aveva il potere di imporli, con conseguente nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c. Il giudice di prime cure ha argomentato, nel disattendere tale domanda, osservando che “gli atti in questione non sono assolutamente contrari a norme imperative, ma anzi perfettamente conformi alla prescrizione di cui all’art. 11 della legge n. 10/1977 (oggi art. 16 del DPR n. 380/2001) secondo cui “il concessionario può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione con le modalità e le garanzie stabilite dal comune””. Tale norma, si ritiene da parte del T.a.r., risulta decisiva anche laddove si volesse optare per una lettura della vicenda di tipo pubblicistico, che riconfiguri l’atto d’obbligo quale elemento del titolo abilitativo, del quale quindi ne costituisce parte integrante, in quanto la rilevata sussistenza del potere amministrativo esercitato consentirebbe di escludere in radice la fattispecie tipica della nullità per difetto di attribuzione come scolpita dall’art. 21 septies della legge n. 241/90. Osserva a sua volta parte appellata che il rilascio dei titoli edilizi non sarebbe frutto di alcuna imposizione da parte del Comune quanto della presa d’atto da parte del richiedente di realizzare le opere di urbanizzazione di cui se ne è assunto liberamente i relativi oneri pur di rendere possibile l’edificazione. Valorizza poi l’art. 9 della legge regionale n. 61/85, il quale ha peraltro un contenuto generale, laddove statuisce che “sono in ogni caso da ritenere ammissibili in diretta attuazione del Piano Regolatore Generale gli interventi sul patrimonio edilizio esistente, di cui alle lettere a), b), c) e d), dell’art. 31 della L. 5 agosto 1978, n. 457, e quelli di completamento su parti del territorio già dotate delle principali opere di urbanizzazione primaria e secondaria”. L’ammissibilità degli interventi diretti non esclude, di certo, la pregiudiziale necessità delle opere di urbanizzazione (nel caso di specie strade e parcheggi) per consentire il reperimento degli standard e pertanto ben potrebbe essere il richiedente il titolo obbligato a realizzarli.

10.2 Parte appellante, nel riproporre le argomentazioni già formulate in prime cure, torna a dedurre che non sono suscettibili di applicazione nel caso di specie sia l’art. 11 della legge n. 10/77 sia l’art. 28 della legge n. 1150/1942: non il primo perché stabilisce che il privato “può obbligarsi a realizzare” le opere di urbanizzazione, usando così una formula lessicale che lascia intendere come il Comune non possa imporne l’esecuzione, potere che invece sarebbe implicito se il legislatore avesse utilizzato la diversa locuzione “può essere obbligato”; non il secondo per il fatto che esso riguarda la diversa fattispecie della lottizzazione convenzionata e non quella della edificazione diretta. 

10.3 La soluzione della controversia all’esame del Collegio richiede di stabilire se la possibilità di condizionare il rilascio del permesso di costruire alla realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo postuli la necessità della pianificazione attuativa o riguardi anche le aree per le quali sia consentito l’intervento diretto pur in assenza di talune opere di urbanizzazione. Parte appellante infatti nelle premesse del suo gravame rimarca che il Comune, ai fini del rilascio delle concessioni edilizie ivi descritte (ben 10, a decorrere dal 25 febbraio 1992 distribuite in quattro serie) aveva “imposto” alla società l’assunzione dell’obbligo di realizzare direttamente le opere di urbanizzazione della zona e/o di costituire servitù di uso pubblico su alcuni mappali di sua proprietà. Tale imposizione sarebbe comprovata testualmente dal fatto che tutti i relativi atti unilaterali d’obbligo menzionano le concessioni edilizie quali “subordinate” alla loro stipula.

10.4 La disamina della questione, che pertanto richiede di verificare il possibile fondamento normativo del potere esercitato dall’Amministrazione, non può prescindere dal necessario inquadramento nel panorama ordinamentale degli atti unilaterali d’obbligo associati alla concessione ad aedificandum, inquadramento reso problematico dalla loro natura composita, che li rende astrattamente riconducibili sia all’alveo civilistico, ove si valorizzi una prospettiva negoziale, che a quello pubblicistico, ove si ponga in luce il loro carattere accessivo al provvedimento edilizio. 

Tende a prevalere, in sede pretoria, la seconda impostazione. 

Ha infatti osservato di recente la Sezione (sentenza 19 gennaio 2021, n. 579) che “gli atti d’obbligo, tuttavia, proprio in quanto “unilaterali” presentano peculiarità tali da aver meritato nel tempo un autonomo spazio nel dibattito dottrinario e giurisprudenziale. Essi, cioè, pur appartenendo al più ampio genus degli atti negoziali e dispositivi coi quali il privato assume obbligazioni, si caratterizzano per essere teleologicamente orientati al rilascio del titolo edilizio nel quale sono destinati a confluire. E' stato pertanto affermato che essi non rivestono un’autonoma efficacia negoziale, ma incidono tramite la stessa sul provvedimento cui sono intimamente collegati, tanto da divenirne un “elemento accidentale”, mutuando la terminologia di cui alla nota sistematica civilistica che distingue tra essentialia e accidentalia negotii (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 2013, n. 5628; Cass., Sez. Un., 11 luglio 1994, n. 6527; id. 20 aprile 2007, n. 9360 […] I più recenti arresti convergono piuttosto sulla accentuazione della funzione di individuazione convenzionale del contenuto di un provvedimento che l'amministrazione andrà ad emettere a conclusione del procedimento preordinato all'esercizio della funzione urbanistico-edilizia, appunto. Si è perciò affermato che la convenzione, stipulata tra un Comune e un privato costruttore, con la quale questi, al fine di conseguire il rilascio di un titolo edilizio, si obblighi ad un facere o a determinati adempimenti nei confronti dell'ente pubblico (quale, ad esempio, la destinazione di un'area ad uno specifico uso, cedendola), non costituisce un contratto di diritto privato, ma neppure ha specifica autonomia e natura di fonte negoziale del regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, configurandosi come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento finale, dal quale promanano poteri autoritativi della pubblica amministrazione”.

Si lascia quindi preferire un’impostazione pubblicistica, che, ponendo in luce il carattere accessivo dell’atto unilaterale d’obbligo, consente di escludere che esso si esaurisca nel modulo negoziale non avendo una funzione autonoma quanto servente ai fini del rilascio del titolo; e ciò in disparte l’oggetto dell’obbligo di parte privata, ora consistente nella diretta realizzazione delle opere di urbanizzazione ora nella cessione di un’area ora, infine, nella costituzione di una servitù di uso pubblico. 

10.5 Ne consegue che la soluzione della questione prospettata deve essere escogitata secondo il paradigma normativo dell’art. 21 nonies della legge n. 241/90, e la prospettata nullità deve essere verificata non guardando all’atto unilaterale d’obbligo nella sua potenziale veste negoziale quanto invece valorizzandone il profilo teleologico che lo attrae alla piattaforma provvedimentale. 

Da tanto deriva che è proprio la dimensione funzionale che deve guidare la ricerca del suo fondamento legale non traducendosi in una sorta di obbligo a contrarre quanto nella inserzione, nella rinnovata complessità del provvedimento abilitativo, di un elemento accidentale che risponde all’esigenza propria dell’Amministrazione di assicurare una completa ed esauriente urbanizzazione consentendo così quella edificazione privata altrimenti preclusa. L’intervento del privato a tali fini assume quindi una valenza surrogatoria e di supplenza della mano pubblica, che ben si inquadra in quella consensualità del potere che storicamente si è affermata in materia urbanistica prima con la lottizzazione convenzionata, quindi con l’ampio e multiforme fenomeno della perequazione urbanistica. Calato in siffatto contesto, l’atto unilaterale d’obbligo non solo perde quella carica autoritativa di cui l’appellante discorre, auspicando la ricerca di un suo specifico referente normativo, quanto riflette una dimensione funzionale che lo atteggia ad elemento propedeutico al rilascio del titolo edilizio invece che un atto a sé stante frutto di una determinazione eteroimposta. Deve quindi concludersi sul punto nel senso che la deduzione di nullità per difetto assoluto di attribuzione non trova riscontro ab origine in quanto è lo stesso potere autoritativo che non si configura nel caso di specie, assumendo l’atto unilaterale d’obbligo il valore di atto strumentale al rilascio del titolo edilizio che, in disparte ogni altra considerazione, è atto emesso su istanza di parte. L’assunzione dei compiti di completamento dell’urbanizzazione dell’area consente infatti il rilascio della concessione edilizia cui mira il privato, rilascio altrimenti precluso da tale mancanza. L’assunzione quindi libera e non coartata dell’obbligo di eseguire le opere di urbanizzazione – in disparte ogni riferimento alla disciplina localmente vigente - consente di ritenere la vicenda di causa attratta alla norma di cui all’art. 11 della legge n. 10/77 (ora art. 16 del testo unico edilizia) la cui formula lessicale (“può obbligarsi”) riflette proprio quella carica volontaristica che, come detto, connota la fattispecie accessiva al rilascio del titolo edilizio. Ad opinare diversamente, il fatto che il legislatore discorra espressamente di subordinazione all’atto d’obbligo del rilascio del titolo solo in caso di lottizzazione convenzionata non significa che esso non abbia cittadinanza anche nel caso della edificazione diretta, ovverosia non mediata dalla necessaria pianificazione attuativa, proprio in considerazione del suo fondamento volontaristico che è associato alla stessa domanda edificatoria, stante l’ineludibile (e non contestata) necessità vuoi di realizzare ab initio vuoi di completare le opere di urbanizzazione già esistenti ma ancora insufficienti. In altre parole gli atti unilaterali d’obbligo non mutano natura a seconda che si tratti o meno di una lottizzazione convenzionata cosicché essi sono comunque sostenuti dalla volontà del richiedente il titolo. La necessità di subordinare il suo rilascio alla realizzazione di parte delle opere di urbanizzazione si palesa allo stesso modo sia nel caso di un’area vergine che già parzialmente urbanizzata cosicché, pur a voler enfatizzare la necessità di rinvenire un preciso referente normativo nel panorama ordinamentale in grado di suffragare la “tipicità” degli atti unilaterali d’obbligo ai fini del rilascio dei titoli ad aedificandum in aree suscettibili di edificazione diretta, può essere valorizzato a tale scopo (anche) l’art. 28 della legge n. 1150/1942. La valorizzata natura volontaristica dell’impegno di parte privata consente, per altro verso, di escludere ogni possibile violazione del principio di riserva di legge in materia di imposizioni tributarie, tanto più che, come meglio si dirà al capo che segue, è la stessa nozione di tributo che non emerge nel caso di specie. 

11. L’appello in esame pone tuttavia un profilo pregiudiziale, che attiene alla possibile violazione del divieto di jus novorum, in quanto parte appellata eccepisce che la corrispondente domanda in prime cure non era stata articolata espressamente invocando l’applicazione dell’art. 2041 c.c., di cui sarebbe fatta menzione soltanto in sede d’appello. L’eccezione impone di stabilire se all’identificazione delle domande concorrano sia il petitum che la causa petendi. Per questo vale osservare che (Cons. Stato, sez. V, 14 maggio 2020, n. 3051), applicando i criteri di identificazione delle azioni (identità delle parti, delle causae petendi e del petitum), la diversità delle causae petendi (ossia, dei motivi di ricorso) implica anche la diversità delle azioni esercitate e la diversità delle domande giudiziali introdotte nei due giudizi. Sono, quindi, da qualificare come domande nuove e di conseguenza inammissibili le domande sollevate per la prima volta in questo giudizio con le quali si invoca l’applicazione dell’art. 2041 c.c. 

11.1 La domanda sarebbe comunque da respingere perché essa si fonda sulla prospettata nullità degli atti unilaterali d’obbligo, che invece, per le ragioni anzidette, è da escludere. 

11.2 Non può quindi che essere disattesa la domanda di restituzione, a norma dell’art. 2041 c.c., di quanto corrispondente al valore delle opere di urbanizzazione realizzate in favore del Comune siccome pari all’arricchimento senza causa e che sarebbe pari ad € 210.442.227 oltre accessori. Va, di conserva, assorbita l’ulteriore questione di inammissibilità della domanda per la differenza in aumento rispetto al minore importo richiesto a tale titolo col ricorso di prime cure.

12. Non resta che stabilire se può altrimenti configurarsi il diritto a ricevere quanto versato in eccedenza rispetto agli oneri di urbanizzazione venendosi così ad esaminare l’ulteriore domanda dell’appellante, accolta questa volta dal T.a.r. ma nei limiti dell’importo di € 11,712,05 con interessi e rivalutazione fino al soddisfo, avendo rilevato la violazione del divieto di doppia imposizione fiscale.

Secondo una recepita opinione giurisprudenziale, gli oneri di urbanizzazione per il rilascio di una concessione edilizia vanno “intesi quali oneri che l’ente locale affronta per le opere indispensabili, affinché l’area acquisti attitudine al recepimento dell’insediamento del tipo assentito e per le quali l’area acquista un beneficio economicamente rilevante” (cfr. Cons. Stato, sez. II, 8 maggio 2020, n. 2894). 

12.1 Ora, non vi è dubbio che, in disparte la possibile o meno qualificazione di tali importi in termini di debito tributario, generalmente riservata ai costi di costruzione, non può essere considerata giuridicamente dovuta qualsivoglia prestazione resa due volte dal soggetto obbligato, risultando sicuramente uno dei due versamenti sine causa e pertanto meritevole di restituzione. 

12.2 Va quindi esaminata nel merito la domanda dell’appellante, avanzata in via subordinata, di restituzione di quanto versato, nel preteso ammontare di € 87.410,50, per il mancato scomputo dalle pretese contributive del valore delle opere realizzate e/o asservite, dovendosi verificare se ne sussistono i presupposti in relazione a ciascuna delle concessioni edilizie rilasciate in suo favore.

Giova premettere che il T.a.r., con la sentenza impugnata, è pervenuto alla quantificazione del valore delle opere di urbanizzazione realizzate e non scomputate (nell’anzidetto importo di £ 22.677.692) tenendo conto della somma di £ 63.866.587, indicata nell’atto d’obbligo n. 83967 del 28 agosto 1997, ove l’appellante ha quantificato “l’importo complessivo delle opere realizzate + cessione/vincolo delle aree” detratti gli importi già scomputati (£ 11.886.105 per la concessione edilizia prot. n. 4902/91 e £ 29.302.790 per la concessione edilizia n. 7538/7322).

Orbene, per quanto riguarda l’intervento noto come “BLOCCO A“ e “BLOCCO B”, parte appellante sostiene che il rilascio della relativa concessione edilizia n. 1242/91 sarebbe stato preceduto da un atto unilaterale d’obbligo con la conseguente realizzazione di opere di urbanizzazione per l’importo di £ 105.383,750 non scomputate, con la conseguenza che sarebbe caduto in errore il T.a.r. nel ritenere che il rilascio di tale concessione sia stato subordinato al solo pagamento degli oneri di urbanizzazione: in effetti, come ammesso da parte appellata, il rilascio di questo titolo edilizio è stato preceduto dall’atto d’obbligo Rep. 68.386 del 31 marzo 1992 con il contributo definito e versato di £ 46.081.995 + £ 2.580.620 per la Variante, ma occorre pur sempre verificare se le opere di urbanizzazione, preventivate nell’importo di £ 105.383.750, sia state effettivamente realizzate, circostanza questa contestata da parte appellata.

Questa, per vero, controdeduce ai rilievi di controparte evidenziando anche che:

- per quanto attiene all’intervento noto come condominio “ROSS”, il rilascio della relativa concessione edilizia prot. n. 4902/91 del 16 gennaio 1992 e successiva variante C.E. prot. n. 4902/91 del 1° dicembre 1992 sul mappale n. 1456 non era subordinato ad un atto unilaterale d’obbligo, essendo previsto semplicemente il versamento degli oneri e costi di costruzione per l’importo di £ 11.921.829;

- per quanto attiene all’intervento (C.E. prot. n. 4902/91 del 22 novembre 1993) di demolizione di un edificio agricolo (stalla più fienile) con la successiva ricostruzione di un manufatto a destinazione residenziale, per il rilascio di questa concessione la società ha sottoscritto l’atto d’obbligo Rep. 73.684 dell’11 novembre 1993 ma il Comune ha scomputato la quota afferente all’edificio demolito e ricostruito per l’importo di £ 11.886.105 pari alla differenza tra il contributo definito (£ 44.655.688) e quello versato (£ 32.769.583);

- per quanto riguarda la C.E. prot. n. 4745/3540 pratica edilizia n. 00129/994 in data 21 aprile 1995, per tale titolo edilizio non erano previsti contributi da versare;

- per quanto riguarda la costruzione di un edificio residenziale denominato “Podame 4” in via Nuova, sui mapp. 1601-1602-1604-1605, assentita con la C.E. prot. n. 7538/7322 del 19 luglio 1995, il rilascio del titolo edilizio è stato preceduto dall’atto d’obbligo rep. 78.413 del 4 luglio 1995 ma, a fronte di un contributo per OO.UU. pari a £ 34.231.130 (oneri primari più secondari), sono stati versati solo £ 4.928.340, scomputando quindi £ 29.307.290 in quanto pari a £ 9.607.290 oltre a £ 19.695.500 per OO.UU realizzate in precedenza.

Orbene, in disparte ogni altra considerazione, assume rilievo dirimente il fatto che, con il richiamato atto d’obbligo rep. 83.967 del 20 agosto 1997, correttamente evidenziato dal T.a.r. (§ 6), la stessa appellante ha preso atto, a fini ricognitivi, delle opere di urbanizzazione complessivamente realizzate, quantificandone il relativo valore nell’importo di £ 63.866.587 e che l’appellante non contesta in questa sede limitandosi ad evidenziare che esso è al netto (e non al lordo) delle somme già scomputate. Di essa dovrebbe quindi tenersi conto nella sua interezza, senza potersi detrarre gli importi precedentemente oggetto di scomputo. 

L’appellante pretende, quindi, l’importo di € 87.410,50 pari alla sommatoria di £ 105.383.750 e di £ 63.866.587. 

La domanda non è meritevole di accoglimento avuto riguardo alle contestazioni rese da parte appellata in ordine all’effettiva realizzazione delle opere di urbanizzazione in maniera riduttiva rispetto a quanto preventivato, tant’è che la garanzia fideiussoria prestata dalla società copriva l’importo massimo di £ 50.000.000. La pretesa, in parte qua, dell’appellante non è assistita da adeguati elementi di riscontro adducendosi a suo sostegno il preventivo delle opere di urbanizzazione che nessuna attitudine probatoria può avere rispetto a quanto effettivamente realizzato. Non vi è poi in atti alcun riscontro probatorio in ordine al fatto che l’importo di € 63.866.587, di cui all’atto d’obbligo del 20 agosto 1997, non includa anche le opere di urbanizzazione relative all’intervento edilizio di cui alla concessione edilizia n. 1242/91 (cd. Blocco “A” e Blocco “B”) nonché gli importi già scomputati (£ 11.886.105 in relazione alla C.E. prot. n. 4902/91 del 22 novembre 1993 e £ 29.307.290 in relazione alla C.E. prot. n. 7538/7322 del 4 luglio 1995).

Invero, per la natura di diritto soggettivo della posizione giuridica azionata, vale il principio secondo cui l’onere della prova incombe ei qui dicit cosicché residua quale effettivo importo del dovuto, la somma di £ 22.677.692 (€ 11,712,05), che è quella stabilita dal giudice di prime cure. 

13. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.

14. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo il criterio della soccombenza, sono liquidate nella misura stabilita in dispositivo secondo i parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (n.r.g. 1444/2013), lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune di Roana, delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%) se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con sede in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 16 febbraio 2021, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Giancarlo Luttazi, Consigliere

Giovanni Sabbato, Consigliere, Estensore

Francesco Frigida, Consigliere

Roberto Politi, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giovanni Sabbato Gianpiero Paolo Cirillo
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO