Giu Alla Corte di Giustizia il principio del ne bis in idem e le sanzioni per condotte illecite che integrano pratiche commerciali scorrette
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - ORDINANZA 07 gennaio 2022 N. 68
Casus Decisus
Una nota causa automobilistica impugnava la sanzione pecuniaria imposta dall'Autorità garante della concorrenza per commercializzazione, da parte delle società, di veicoli diesel nei quali era stato installato un sistema di ricircolo del gas di scarico (un software) idoneo ad alterare la rilevazione dei livelli di emissione di ossidi di azoto (NOx) dei veicoli durante i test per il controllo delle emissioni inquinanti ai fini dell’omologazione. Inoltre, veniva contestata la diffusione di messaggi promozionali che, nonostante l’utilizzo del predetto strumento di alterazione, contenevano indicazioni circa l’attenzione delle società al livello delle emissioni inquinanti e la conformità dei suddetti veicoli ai parametri di legge relativi alle suddette emissioni. Il TAR rigettava il gravame, sicché la società agiva dinanzi al Consiglio di Stato, il quale rinvia ex art. 267 TFUE alla CGUE per risolvere le questioni che si andranno ad esplicitare. Sono rimesse alla Corte di Giustizia dell'Unione europea le questioni: a) se le sanzioni irrogate in tema di pratiche commerciali scorrette, ai sensi della normativa interna attuativa della direttiva 2005/29/CE, siano qualificabili alla stregua di sanzioni amministrative di natura penale; b) se l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea vada interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che consente di confermare in sede processuale e rendere definitiva una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei confronti di una persona giuridica per condotte illecite che integrano pratiche commerciali scorrette, per le quali nel frattempo è stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico in uno Stato membro diverso, laddove la seconda condanna sia divenuta definitiva anteriormente al passaggio in giudicato dell’impugnativa giurisdizionale della prima sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale; c) se la disciplina di cui alla Direttiva 2005/29, con particolare riferimento agli artt. 3 paragrafo 4 e 13 paragrafo 2 lett. e), possa giustificare una deroga al divieto di “ne bis in idem” stabilito dall’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (successivamente incorporata nel Trattato sull’Unione Europea dall’ art. 6 TUE) e dell’art. 54 della convenzione di Schengen.

Testo della sentenza
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - ORDINANZA 07 gennaio 2022 N. 68 Hadrian Simonetti

Pubblicato il 07/01/2022

N. 00068/2022 REG.PROV.COLL.

N. 08184/2019 REG.RIC.           

https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/stemma.jpgREPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 8184 del 2019, proposto da


 

[Omissis], in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Tommaso Salonico, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza del Popolo, 18;


 

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Associazione Cittadinanza Attiva Onlus, non costituito in giudizio;

e con l'intervento di

ad opponendum:
Codacons (Coordinamento delle Associazioni A Tutela dei Diritti degli Utenti e dei Consumatori), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gino Giuliano, Carlo Rienzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Carlo C/O Codacons Rienzi in Roma, viale Giuseppe Mazzini n. 73;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sez. I, n. 6920/2019, pubblicata in data 31 maggio 2019 con cui è stato rigettato il ricorso di [omissis] nel giudizio iscritto al n. di RG 12293/2016


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2021 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Salonico Tommaso, dello stato Francesco Sclafani e Cristina Adducci per delega dell'avvocato Carlo Rienzi;


 

FATTO

Con l’appello in esame le società odierne appellanti impugnavano la sentenza n. 6920 del 2019 del Tar Lazio, recante rigetto dell’originario gravame, proposto dalle stesse [omissis] e [omissis] avverso il provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato n. [omissis], adottato nell'adunanza del [omissis] e notificato alle ricorrenti in data 8 agosto 2016, con cui l'Autorità ha condannato in solido le ricorrenti al pagamento di una sanzione pecuniaria pari ad euro cinque milioni per aver posto in essere una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, comma 2, 21, comma 1, lettera b), e 23, comma 1, lettera d), del d. lgs. 6 settembre 2005 n. 206.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello:

- insufficiente controllo giurisdizionale, violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in ordine al primo motivo di ricorso (“violazione e falsa applicazione dell’art. 20, comma 2, del codice del consumo con riferimento alla commercializzazione dei veicoli interessati, eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione, manifesto errore di valutazione nonché per falso supposto in fatto”), avendo il Tar omesso di esercitare quel sindacato intrinseco e per la mancata dimostrazione da parte dell’Autorità dell’idoneità della pratica, contestata come contraria alla diligenza professionale, a falsare in misura apprezzabile il comportamento dei consumatori ed in ogni caso la mancata confutazione dei numerosi elementi di prova contrari depositati;

- analoghi vizi in ordine al secondo motivo di ricorso (“violazione e falsa applicazione dell’art. 23, comma 1, lettera d) del codice del consumo da parte dell’autorità con riferimento all’asserito mancato rispetto da parte delle società delle condizioni dell’omologazione ricevuta. 26ï52 eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione, manifesto errore di valutazione nonché per falso supposto in fatto”), posto che il Provvedimento ha fondato l’accertamento nuovamente sulla violazione del divieto di installazione del c.d. impianto di manipolazione e non sulla dimostrazione di avere asserito falsamente che le auto interessate avessero ottenuto l’omologazione o di avere rispettato le condizioni dell'omologazione, come richiede la norma che si ritiene violata;

- analoghi motivi in ordine al terzo motivo di ricorso (“violazione e falsa applicazione dell’art. 21, comma 1, lettera b), del codice del consumo con riferimento alla diffusione da parte delle società di c.d. “green claim” o “environmental claim”, eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione, manifesto errore di valutazione nonché per falso supposto in fatto”), in quanto la sentenza ha riconosciuto un’omissione di informazioni essenziali per il consumatore del tutto irrilevante ai fini della valutazione dei motivi di ricorso posto che il Provvedimento non ha contestato la violazione dell’art. 22 del Codice del Consumo che vieta le omissioni ingannevoli, e l’Autorità non ha adempiuto all’onere di “…compiere una effettiva valutazione sulla verità dei claim, la cui mancanza comporta una apodittica e illegittima individuazione delle violazioni di cui agli artt. 20, 21, comma 1, lett. b) del Codice del consumo;

- analoghi vizi in ordine al quarto motivo di ricorso (“violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 689/1981, degli artt. 19, 20, comma 2, 21, comma 1, lett. b), 23, comma 1, lett. d) e 27, comma 9, del codice del consumo, eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione”), avendo erroneamente ritenuto legittima l’irrogazione di un’unica sanzione in solido a [omissis] e a [omissis] a fronte dell’assenza di comportamenti addebitabili a quest’ultima;

- analoghi vizi in ordine ai motivi aggiunti (“illegittimità sopravvenuta del provvedimento per violazione del principio del ne bis in idem di cui agli artt. 50 della carta dei diritti fondamentali dell’Ue e 54 della convenzione di applicazione dell'accordo di Shengen del 14 giugno 1985 relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni”), avendo errato il Tar nel non ritenere possibile che una pronuncia di un organo giurisdizionale di Stato estero, sia pure aderente all’Unione, possa interferire su un provvedimento precedente di autorità amministrativa indipendente;

- analoghi vizi in ordine al quinto motivo di ricorso ed al secondo dei motivi aggiunti “violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 27, comma 9, del codice del consumo e art. 11 della legge n. 689/1981 da parte dell’autorità nel provvedimento impugnato nella parte relativa alla quantificazione della sanzione, illegittimo mancato riconoscimento dell'opera svolta dalle società per la eliminazione o attenuazione delle conseguenze della asserita violazione ai fini della quantificazione della sanzione irrogata, abuso di potere per carenza istruttoria, mancata riduzione della sanzione irrogata in ossequio al principio di proporzionalità”, in ordine all’illegittimità e gravità della sanzione, irrogata come unica ed in solido ad imprese che rivestono un diverso ruolo con riguardo alla pratica contestata;

- possibile rinvio pregiudiziale alla corte di giustizia dell’unione europea ex art. 267 tfue, in ordine ai seguenti quesiti: “Se un provvedimento amministrativo, pronunciato a conclusione di un procedimento iniziato precedentemente ad un procedimento penale vertente sui medesimi fatti e nei confronti del medesimo soggetto, la cui legittimità è oggetto di appello davanti ad un giudice nazionale, debba essere annullato ove sia sopravvenuta la conclusione definitiva del menzionato procedimento penale ad opera di un giudice di un altro stato membro, pur avviato successivamente, ed eseguito il pagamento della sanzione ivi irrogata. Ciò al fine di non violare il divieto di “ne bis in idem” stabilito dall’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (successivamente incorporata nel Trattato sull’Unione Europea dall’ art. 6 TUE) e dell’art. 54 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985); Se l’art. 3, paragrafo 4, della Direttiva 2005/29 il quale dispone che in caso di contrasto tra le disposizioni della direttiva in materia pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori ed altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici, possa giustificare una deroga al divieto di “ne bis in idem” stabilito dall’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (successivamente incorporata nel Trattato sull’Unione Europea dall’ art. 6 TUE) e dell’art. 54 della convenzione di Schengen”.

L’autorità si costituiva in giudizio e, replicando su tutte le censure dedotte, chiedeva il rigetto dell’appello.

Con atto di intervento ad opponendum si costituiva in giudizio l’associazione Codacons, chiedendo il rigetto dell’appello.

Alla pubblica udienza del 2 dicembre 2021, in vista della quale le parti depositavano memorie, la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. Esposizione sommaria dell’oggetto della controversia e dei fatti rilevanti.

1.1 Il procedimento confluito nel provvedimento impugnato in prime cure prendeva le mosse in seguito al ricevimento di alcune circostanziate segnalazioni formulate da quattro associazioni di consumatori (Associazione Codici, Movimento Difesa del Cittadino, Codacons e Confconsumatori) ed alle conseguenti verifiche effettuate d’ufficio. L’Autorità odierna appellata quindi comunicava a [omissis] e a [Omissis] l’avvio di un procedimento sanzionatorio per la violazione degli articoli 20, comma 2, 21, comma 1, lettera b), 23, comma 1, lett. d), d.lgs. 209 del 2005 (c.d. codice del consumo).

I profili di scorrettezza ipotizzati riguardavano la commercializzazione da parte delle società, a partire dal 2009, di veicoli diesel nei quali era stato installato un sistema di ricircolo del gas di scarico (un software) idoneo ad alterare la rilevazione dei livelli di emissione di ossidi di azoto (NOx) dei veicoli durante i test per il controllo delle emissioni inquinanti ai fini dell’omologazione. Inoltre, veniva contestata la diffusione di messaggi promozionali che, nonostante l’utilizzo del predetto strumento di alterazione, contenevano indicazioni circa l’attenzione delle società al livello delle emissioni inquinanti e la conformità dei suddetti veicoli ai parametri di legge relativi alle suddette emissioni.

1.2 All’esito del procedimento, l’Autorità, con il provvedimento n. 26137 del 4 agosto 2016 accertava la pratica commerciale scorretta ipotizzata in sede di avvio istruttorio, irrogando in solido alle società una sanzione pecuniaria di € 5.000.000.

In particolare, l’Autorità riteneva che la condotta in questione: a) è contraria alla diligenza professionale, anche in ragione dell’importanza dell’operatore e del suo posizionamento nel mercato, ai sensi dell’art. 20, comma 2, del Codice del Consumo in quanto il professionista ha installato sugli autoveicoli diesel EA 189 EU 5 del Gruppo [omissis] un sistema di ricircolo dei gas di scarico (il “sistema EGR”) illecito e contrario alla normativa comunitaria sulle omologazioni, allo scopo di alterare i risultati dei test sulle emissioni inquinanti previsti dal parametro Euro, in particolare, per quel che riguarda il livello delle emissioni di NOx; b) è scorretta e contraria all’articolo 23, comma 1, lettera d), del Codice del Consumo in quanto - per mezzo dell’installazione del suddetto sistema EGR - il professionista non ha rispettato le condizioni dell’autorizzazione, dell’accettazione o dell’approvazione ricevuta, con riferimento alla procedura di omologazione dei veicoli; c) è ingannevole ai sensi dell’art. 21, comma 1, lettera b), del Codice del Consumo, in ragione dei green claims utilizzati nelle brochure pubblicitarie diffuse tramite internet e la rete di concessionari e rivenditori, in presenza dei quali il consumatore è indotto a ritenere di trovarsi di fronte ad un produttore di autoveicoli – tra i maggiori in assoluto al mondo - con una particolare sensibilità ambientale e una specifica attenzione al livello delle emissioni inquinanti, per il quale la tutela dell’ambiente rappresenterebbe un obiettivo di primaria importanza.

1.3 Così ricostruita la fattispecie, occorre esaminare i vizi di appello con cui la società nella sostanza ripropone essenzialmente i motivi di prime cure, contestando le argomentazioni svolte su ogni singolo punto dal Tar.

1.4 Fra le censure dedotte assume particolare rilievo, in specie in ordine alla richiesta di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, la questione dedotta con il quinto motivo di appello (da p. 35 a p. 46) in termini di illegittimità sopravvenuta del provvedimento dell’AGCM per violazione del principio del ne bis in idem di cui agli artt. 50 della carta dei diritti fondamentali dell’Ue e 54 della convenzione di applicazione dell'accordo di Shengen del 14 giugno 1985 relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, assumendosi che avrebbe errato il Tar nel non ritenere possibile che una pronuncia di un organo giurisdizionale di Stato estero, sia pure aderente all’Unione, possa interferire su un provvedimento precedente di autorità amministrativa indipendente, in specie laddove, come nel caso di specie, divenuto definitivo in epoca anteriore quello qui controverso.

La questione è rilevante – quanto alla posizione di [OMISSIS] - nella misura in cui, sulla scorta di quanto sin qui allegato e dimostrato dalle parti, le restanti censure dedotte con i primi quattro motivi dell’appello appaiono al Collegio prive di apprezzabili elementi di fondatezza; si rivelano infatti condivisibili, per quanto ad un non definitivo esame, le motivate argomentazioni del Giudice di primo grado quanto: (i) alla sufficienza del requisito della coscienza e volontà della condotta contra legem di [omissis], senza che occorra la dimostrazione della colpa o del dolo in chi ha commesso l’infrazione; (ii) al fatto storico, incontroverso e incontrovertibile, che la stessa [OMISSIS] avesse ammesso e riconosciuto il grave errore a suo tempo commesso; (iii) al fatto che tale errore fosse consistito nell’adozione di un sistema che determinava uno scostamento tra i risultati di emissione allo scarico ottenuti al banco di prova e le condizioni di guida reali, nei termini più specificamente evidenziati nel prosieguo al punto 1.5; (iiii) all’idoneità di tale errore, indubbiamente grave anche perché protrattosi per diversi anni, ad inficiare il rapporto di fiducia verso il (e a condizionare il comportamento economico del) singolo consumatore, in particolare in ordine alla attendibilità dei dati tecnici del veicolo e alla sua sostenibilità ambientale, nel quadro di un illecito che come noto è di pericolo e per il quale è dunque sufficiente la potenziale lesività; (iiiii) alla riconducibilità delle condotte alla previsione di cui all’art. 23, comma 1, lett. d) del Codice del consumo italiano di cui al d.lgs. 206/2005, quindi ad un’ipotesi di pratica considerata in ogni caso ingannevole.

Sulla scorta di tali evidenze neppure persuasiva appare la critica di fondo, sviluppata lungo tutto l’atto di appello, in ordine ad un asserito insufficiente controllo giurisdizionale che inficerebbe la sentenza di primo grado, quale si ricaverebbe dall’esito, di diverso segno, registratosi in taluni giudizi svoltisi dinanzi ai giudici civili e penali sempre italiani; l’argomento è infatti agevolmente controvertibile sul rilievo che le caratteristiche e l’oggetto dei giudizi sono naturalmente diversi e sull’evidenza che la casistica, in particolare quella dei giudizi civili, mostra in più di un caso esiti conformi alle conclusioni raggiunte dall’AGCM sul piano amministrativo, come riportato dalla difesa erariale.

Tutto ciò premesso, assume rilevanza – almeno in chiave prudenziale - la questione della prospettata necessità di interrompere il procedimento in corso relativo alla sanzione non ancora divenuta definitiva, in quanto ancora sub iudice, sulla scorta della giurisprudenza Cedu (cfr. ad es. sentenza 27 novembre 2014, Lucky dev).

1.5 Dall’esame della documentazione in atti emerge infatti che, nelle more del giudizio di primo grado, il 13 giugno 2018, la Procura di Braunschweig notificava a [OMISSIS] il provvedimento con il quale irrogava a quest’ultima una sanzione pari a 1 miliardo di Euro, all’esito di un procedimento avente ad oggetto la “manipolazione dei gas di scarico dei motori diesel del gruppo [omissis] del tipo EA 189, nonché di veicoli con il motore EA 288 sul mercato statunitense, rispetto ai quali è emerso dalle indagini che le norme sulle emissioni sono state aggirate”.

In particolare, per quanto rileva ai fini di causa, tale provvedimento ha accertato una violazione da parte di [OMISSIS] delle sezioni 130 § 1, 9 § 2 punto 2 OWiG (la legge tedesca sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche), che sanzionano la negligente violazione dell’obbligo di supervisione in attività ed imprese, in relazione alla mancata supervisione sull’installazione di “meccanismo di commutazione”/“switching logic software” su 10.7 milioni di veicoli a livello mondiale, compresi i circa 700 mila veicoli venduti in Italia, oggetto del Provvedimento qui impugnato in prime cure, ossia di un meccanismo di riconoscimento del ciclo di prova che è in grado di riconoscere quando un veicolo svolge un test sul banco di prova (precedentemente memorizzato nel software) e causa, in corrispondenza nel motore, determinate modalità operative… classificato come un impianto di manipolazione vietato.

1.5.1 La Procura ha altresì accertato che la carente supervisione sullo sviluppo e installazione del software di cui sopra è una delle concause di ulteriori violazioni commesse a livello mondiale da parte di [OMISSIS] tra il 2007 e il 2015, che riguardano la richiesta di omologazione, la promozione dei veicoli e la loro vendita al dettaglio. Ulteriori effetti della carente supervisione accertati dalla Procura sono individuati nella commercializzazione e pubblicizzazione dei veicoli interessati che, nonostante la presenza del software vietato, sarebbero stati presentati al pubblico quali veicoli con una tecnologia diesel ecologica, ovvero quali veicoli con emissioni particolarmente basse e/o particolarmente “puliti” e contenenti specifici riferimenti a specifiche garanzie in merito al carattere ecologico e al rispetto dell’ambiente, ivi compreso il riferimento ad un cosiddetto “pacchetto clean diesel” e/o ad una speciale “responsabilità ambientale” che costituiva espressione della responsabilità ambientale del Gruppo [omissis], che verrebbe dimostrata anche dagli acquirenti comprando il veicolo.

1.5.2 È stata quindi sanzionata anche la distribuzione e vendita dei veicoli equipaggiati con tale software ai clienti finali, per un totale di circa 10,7 milioni di veicoli 13ï52 venduti su base globale menzionando espressamente i circa 700 mila veicoli venduti nel territorio italiano.

Nel provvedimento risulta altresì chiarito che “se singoli veicoli equipaggiati con i motori interessati (EA 189, EA 288 Gen. 3 NAR) non dovessero essere inclusi in tale elenco, essi vengono considerati comunque inclusi nella sanzione di cui alla presente decisione. Tali vendite singole e/o la relativa commercializzazione, nonché l’immatricolazione dei singoli veicoli, rientrano nella fattispecie complessivamente sanzionata”.

Veniva quindi irrogata la sanzione pecuniaria massima prevista dalla legge per un totale di Euro 1 miliardo.

1.5.3 L’Ordinanza Ingiunzione sin qui riassunta è divenuta definitiva in data 13 giugno 2018 avendo l’odierna appellante [OMISSIS] formalmente rinunciato al proprio diritto di impugnazione (nonché pagato la sanzione il successivo 18 giugno 2018).

1.6 Nel caso di specie, se il Tar Lazio non ha attribuito l’invocata rilevanza alla predetta sopravvenienza, parte appellante, nel formulare un duplice motivo di appello sul punto, ha prodotto alcune decisioni europee che sono giunte a conclusioni opposte, come nel caso della Corte di Cassazione spagnola e del Tribunale di primo grado di Bruxelles (cfr. documenti nn. 65 e 66 di parte appellante), che hanno posto fine a procedimenti interni vertenti sulle conseguenze dell’installazione del dispositivo vietato su vetture del gruppo [omissis], riconoscendo che [OMISSIS] era stata già sanzionata dalla Procura di Braunschweig per i medesimi fatti nonostante la diversità degli interessi giuridici tutelati dalle norme nazionali e quella tedesca.

1.6.1 In particolare, il Tar Lazio ha rilevato che [OMISSIS] è stata sanzionata in Germania sulla base esclusiva di una previsione nazionale sulla “responsabilità amministrativa” delle persone giuridiche che non troverebbe fondamento normativo nella disciplina dell’Unione e che sanziona il mancato adempimento, da parte dei soggetti aventi posizione apicale all’interno della società, degli obblighi di supervisione e vigilanza volti a prevenire la commissione di illeciti da parte di altri soggetti riconducibili alla società stessa, a differenza di quanto operato dall’AGCM in Italia, mediante un provvedimento di applicazione della disciplina nazionale in materia di pratiche commerciali scorrette.

1.6.2 Questo Collegio si deve interrogare su tale rilievo: infatti, non solo la responsabilità delle persone giuridiche è, sotto diversi profili, una realtà giuridica anche del nostro ordinamento e di quello europeo, ma per la giurisprudenza penale prevalente (cfr. ad es. Cassazione penale sez. I - 10/01/2020, n. 11664), la nozione di “stessi fatti", utile ai fini del divieto del bis in idem europeo, comprende un insieme di fatti collegati tra loro in maniera inscindibile, a prescindere dalla loro qualificazione giuridica; sul punto, inoltre, assumono rilievo preminente i criteri dettati in materi di verifica dei presupposti del principio del ne bis in idem, su cui infra.

1.7 Attesa l’analogia, se non l’identità, della condotta posta a fondamento del provvedimento adottato dall’autorità regolatoria italiana ed impugnato in prime cure rispetto a quella oggetto di sanzione con la predetta ordinanza ingiunzione tedesca (comprensiva del mercato italiano, imputato in via solidale e meramente consequenziale verso la distributrice italiana), si pone dunque in termini di rilevanza pregiudiziale la questione sollevata con la censura sopra riassunta; a ciò si accompagna anche l’identità soggettiva principale – in relazione a [OMISSIS] – della parte colpita dalle due sanzioni.

1.8 Al riguardo, a conferma dell’omogeneità delle condotte, in entrambi i casi risultano sanzionati i comportamenti concernenti: da un lato la commercializzazione da parte delle società, a partire dal 2009, di veicoli diesel nei quali era stato installato un sistema di ricircolo del gas di scarico (un software) idoneo ad alterare la rilevazione dei livelli di emissione di ossidi di azoto dei veicoli durante i test per il controllo delle emissioni inquinanti ai fini dell’omologazione; dall’altro lato la pubblicizzazione dei veicoli interessati che, nonostante la presenza del software vietato, contenevano indicazioni circa l’attenzione delle società al livello delle emissioni inquinanti e la conformità dei suddetti veicoli ai parametri di legge relativi alle suddette emissioni.

2. I presupposti del rinvio pregiudiziale.

2.1 Sempre in via pregiudiziale, a fronte della pacifica qualificazione del Consiglio di Stato quale giudice di ultima istanza, va richiamata la giurisprudenza della Corte di giustizia (cfr. da ultimo Grande sezione 6 ottobre 2021) a mente della quale l’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno deve adempiere il proprio obbligo di sottoporre alla Corte una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevata dinanzi ad esso, a meno che constati che tale questione non è rilevante o che la disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte o che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione s’impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi.

La configurabilità di siffatta eventualità deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione.

2.2 Nel caso di specie, in primo luogo la questione appare rilevante, in specie con riferimento alla condotta di [OMISSIS] già sanzionata per i medesimi fatti con l’ordinanza ingiunzione predetta, sulla duplice considerazione che, per quanto si è già osservato al punto 1.4, sotto ogni altro e diverso profilo il provvedimento dell’AGCM parrebbe immune dalle censure dedotte quanto alla sussistenza dell’infrazione ovvero dell’illecito, e che, sul piano delle conseguenze (di tale illecito), l’eventuale estensione della giurisprudenza citata in tema di ne bis in idem potrebbe comportare l’impossibilità di portare a compimento l’iter di definitività della sanzione ancora controversa nel presente giudizio.

In secondo luogo, se per un verso le disposizioni di principio evocate dalla parte appellante sono già state fatte oggetto di interpretazione da parte della Corte di giustizia, per un altro verso ciò non risulta avvenuto, in termini analoghi alla presente controversia, in relazione alle sanzioni irrogate avverso pratiche commerciali scorrette.

In terzo luogo, non risulta esservi la necessaria totale evidenza in un senso o nell’altro; piuttosto, emerge chiaro il rischio di divergenti conclusioni proprio laddove, come nel caso di specie, la condotta illecita contestata abbia avuto effetti immediati sull’intero mercato europeo.

3. La disciplina europea.

3.1 Sul versante della disciplina europea rilevante, in linea generale assumono rilievo le seguenti norme di principio: l’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, a mente del quale “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”; l’art. 54 della convenzione di Schengen, a mente del quale “una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una Parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un’altra Parte contraente a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge dello Stato contraente di condanna, non possa più essere eseguita”.

3.2 In linea particolare, a fronte della natura della sanzione irrogata con il provvedimento impugnato in prime cure, assume rilievo la normativa di cui alla direttiva 2005\29: sia ex art. 3 paragrafo 4 secondo cui “In caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici”; sia ex art. 13 paragrafo 2, laddove statuisce che “Stati membri assicurano che, ai fini dell'irrogazione delle sanzioni, si tenga conto dei seguenti criteri, non esaustivi e indicativi, ove appropriati: …e) sanzioni inflitte al professionista per la stessa violazione in altri Stati membri in casi transfrontalieri in cui informazioni relative a tali sanzioni sono disponibili attraverso il meccanismo istituito dal regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio”.

4. La disciplina nazionale.

4.1 Per ciò che concerne il contenuto delle disposizioni nazionali rilevanti nel caso di specie, la disciplina applicata dall’Autorità, fa riferimento alle cc.dd. "pratiche commerciali scorrette", che designa le condotte che formano oggetto del divieto generale sancito dall'art. 20 del d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206 (Codice del consumo), in attuazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 maggio 2005, n. 2005/29/Ce. La finalità perseguita dalla direttiva europea consiste nel garantire, a termini del suo considerando 23, un elevato livello comune di tutela dei consumatori procedendo ad un'armonizzazione completa delle norme relative alle pratiche commerciali sleali delle imprese, ivi compresa la pubblicità sleale, nei confronti dei consumatori.

Per "pratiche commerciali" - assoggettate al titolo III della parte II del Codice del consumo - si intendono tutti i comportamenti tenuti da professionisti che siano oggettivamente "correlati" alla "-promozione, vendita o fornitura-" di beni o servizi a consumatori, e posti in essere anteriormente, contestualmente o anche posteriormente all'instaurazione dei rapporti contrattuali. La condotta tenuta dal professionista può consistere in dichiarazioni, atti materiali, o anche semplici omissioni.

Quanto ai criteri in applicazione dei quali deve stabilirsi se una determinata pratica commerciale sia o meno "scorretta", il comma 2 dell'art. 20 del Codice del consumo stabilisce in termini generali che una pratica commerciale è scorretta se "è contraria alla diligenza professionale" ed "è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori".

4.2 Nella trama normativa, la definizione generale si scompone tuttavia in due diverse categorie di pratiche scorrette: le pratiche ingannevoli (di cui agli art. 21 e 22) e le pratiche aggressive (di cui agli art. 24 e 25).

Il legislatore ha inoltre analiticamente individuato una serie di specifiche tipologie di pratiche commerciali (le c.d. "liste nere") da considerarsi sicuramente ingannevoli e aggressive (art. 23 e 26, cui si aggiungono le previsioni "speciali" di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 21 e all'art. 22-bis), senza che si renda necessario accertare la sua contrarietà alla "diligenza professionale" nonché dalla sua concreta attitudine "a falsare il comportamento economico del consumatore".

Il carattere ingannevole di una pratica commerciale dipende dalla circostanza che essa non sia veritiera in quanto contenente informazioni false o che, in linea di principio, inganni o possa ingannare il consumatore medio, in particolare, quanto alla natura o alle caratteristiche principali di un prodotto o di un servizio e che, in tal modo, sia idonea a indurre detto consumatore ad adottare una decisione di natura commerciale che non avrebbe adottato in assenza di tale pratica. Quando tali caratteristiche ricorrono cumulativamente, la pratica è considerata ingannevole e, pertanto, deve essere vietata.

La condotta omissiva - per essere considerata ingannevole - deve avere ad oggetto "informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno" per prendere una decisione consapevole (art. 22). 4.3 Al riguardo, va rimarcato che, in tutte le ipotesi in cui la pratica commerciale integri gli estremi di un "invito all'acquisto" - locuzione che comprende le comunicazioni commerciali - debbono considerarsi sempre e comunque "rilevanti" le informazioni relative alle "caratteristiche principali del prodotto" (art. 22, comma 4, lettera "; cfr. anche l'articolo 7, paragrafo 4, della direttiva europea). In assenza di tali informazioni, un invito all'acquisto si considera quindi ingannevole (CGUE, sentenza del 12 maggio 2011, Ving Sverige, C-122/10, EU:C:2011:299, punto 24).

5. I principi in tema di ne bis in idem applicati alla fattispecie in esame.

5.1 Così individuati gli elementi di riferimento della fattispecie, occorre richiamare i principi vigenti espressi in ordine al principio del ne bis in idem di cui alla normativa di principio sopra riportata.

5.2 Secondo la giurisprudenza europea (cfr. ad es. Corte giustizia UE , grande sezione , 20/03/2018, n. 537), l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea dev'essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che consente di celebrare un procedimento riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei confronti di una persona per condotte illecite che integrano una manipolazione del mercato, per le quali è già stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico, nei limiti in cui tale condanna, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva.

5.2.1 Nel caso di specie, se la sanzione penale tedesca risulta integrare gli estremi della seconda tipologia di pronuncia, quella oggetto della presente controversia parrebbe qualificabile in termini di sanzione amministrativa pecuniaria di natura “penale” nei confronti di una persona per condotte illecite che integrano una manipolazione del mercato. A quest’ultimo riguardo, infatti, secondo la giurisprudenza europea la sanzione amministrativa ha natura penale laddove, come nel caso di specie, sia proporzionata non al solo danno da risarcire, avendo non soltanto lo scopo di risarcire il danno causato dall'illecito, ma perseguendo anche una finalità repressiva e presenta, pertanto, natura “penale”.

5.2.2 La stessa Corte edu, al fine di evitare quella che è stata definita la “truffa delle etichette”, impone di guardare al di là dell’inquadramento formale e di cercare la realtà della procedura in questione (cfr. Cedu 27 febbraio 1980, caso Deweer); assume dunque rilievo la circostanza che la previsione sanzionatoria si rivolga ad una generalità di soggetti, non sia quindi una sanzione disciplinare, e che abbia contenuto afflittivo ed una funzione deterrente.

Nel caso di specie le sanzioni irrogate in termini di pratica commerciale scorretta paiono muoversi in tale ambito (v. Cons. St., VI, 6 dicembre 2021, n. 8155), al pari di quelle in materia di concorrenza su cui la Corte di giustizia risulta essersi già espressa. Occorre pertanto formulare un primo quesito in ordine alla natura della sanzione irrogata, ai fini qui in esame.

5.3 In linea generale, infatti, la giurisprudenza europea ha già evidenziato che il principio del ne bis in idem, quale sancito all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, si applica a violazioni del diritto della concorrenza e vieta che un'impresa sia condannata o perseguita nuovamente a causa di un comportamento anticoncorrenziale per il quale è stata sanzionata o per il quale è stata dichiarata non responsabile da una precedente decisione non più impugnabile. Per contro, tale principio non trova applicazione quando un'impresa è perseguita e sanzionata separatamente e in modo indipendente da un'autorità garante della concorrenza di uno Stato membro e dalla Commissione europea per violazioni dell' articolo 102 TFUE relative a mercati di prodotto o mercati geografici distinti o quando un'autorità garante della concorrenza di uno Stato membro è privata della sua competenza in applicazione dell' art. 11, par. 6, prima frase, del regolamento (CE) n. 1/2003 (cfr. Corte giustizia UE , sez. VIII , 25/02/2021 , n. 857 e sez. IV , 04/03/2020 , n. 10). Lo stesso principio mira quindi ad evitare che un'impresa sia nuovamente condannata o perseguita, il che presuppone che tale impresa sia stata condannata o dichiarata non responsabile da una precedente decisione non più impugnabile

5.3.1 Nel caso di specie, peraltro, il principio appena richiamato non appare risolutivo, sia per la diversità delle sanzioni irrogate (penale in Germania, amministrativa - eventualmente di natura penale - in Italia) sia per la parziale identità del mercato di riferimento, avendo la sanzione penale riguardato sia soggettivamente (quanto alla stessa [OMISSIS]) sia oggettivamente (avendo compreso nella contestazione le migliaia di auto vendute nel mercato italiano) anche le condotte contestate dall’autorità italiana.

5.4 Ancora in linea generale, la giurisprudenza europea (cfr. Corte giustizia UE, grande sezione, 20/03/2018 , n. 537) ha statuito che il principio del ne bis in idem, garantito dall' articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, conferisce ai soggetti dell'ordinamento un diritto direttamente applicabile nell'ambito di una controversia come quella oggetto del procedimento principale. Tale principio non è infatti accompagnato da alcuna condizione ed è perciò immediatamente applicabile.

È stato quindi evidenziato come l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea osti ad una normativa nazionale che consente di celebrare un procedimento riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei confronti di una persona per condotte illecite che integrano una manipolazione del mercato, per le quali è già stata pronunciata una condanna penale definitiva, nei limiti in cui tale condanna, tenuto conto del danno causato alla società, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva.

L' art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea dovrebbe essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che consente di celebrare un procedimento riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei confronti di una persona per condotte illecite che integrano una manipolazione del mercato, per le quali è già stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico, nei limiti in cui tale condanna, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva.

5.4.1 Nel caso di specie peraltro, se per un verso la sanzione amministrativa italiana risulta irrogata (ben) prima di quella penale tedesca, per un altro verso la seconda è divenuta definitiva anteriormente alla prima.

Peraltro, per ciò che concerne il dato temporale appena richiamato, peculiare della presente controversia, se per un verso la sanzione penale tedesca è divenuta definitiva anteriormente a quella qui controversa, stante la pendenza della presente impugnativa, per un altro verso la giurisprudenza della Cedu ha statuito che “l’articolo 4 del Protocollo n. 7 non precludeva lo svolgimento di più procedimenti concorrenti prima della pronuncia della decisione definitiva. Vi sarebbe stata tuttavia violazione se un procedimento fosse proseguito successivamente alla data in cui l’altro procedimento si era concluso con decisione definitiva” (cfr. Cedu sentenza 27 novembre 2014, Lucky dev vs Svezia cit.).

5.5 Inoltre, emergono dubbi sull’idoneità, quantomeno in parte qua, della sanzione penale irrogata in Germania ad essere efficace, proporzionata e dissuasiva anche in relazione alle condotte sanzionate in Italia.

In proposito, la giurisprudenza europea adita dal Giudice italiano (cfr. Corte giustizia UE , grande sezione , 20/03/2018 , n. 524) ha già avuto modo di statuire che l' articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea , letto alla luce dell'articolo 4 del protocollo n. 7 Cedu , che afferma il principio del ne bis in idem, non è di ostacolo a una normativa nazionale, come quella italiana, in virtù della quale è possibile avviare procedimenti penali a carico di una persona per omesso versamento Iva, qualora a tale persona sia già stata inflitta, per i medesimi fatti, una sanzione amministrativa definitiva, qualificata come penale alla luce del medesimo articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Ciò vale però a condizione che tale normativa sia volta ad un obiettivo di interesse generale tale da giustificare un simile cumulo di procedimenti e di sanzioni, nonché preveda norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato di cui si tratti. Questo è quanto affermato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea che ipotizza, dunque, in ambito tributario la possibilità del cumulo delle sanzioni amministrative e penali nel caso di omesso versamento di imposte, ma condiziona tale cumulo alla verifica che gli effetti che si determinano non risultino eccessivi rispetto alla gravità del reato commesso e che, perseguendo un interesse generale, non violi il principio di proporzionalità.

Sempre in linea generale la giurisprudenza europea (Corte giustizia UE sez. IV, 03/04/2019, n.617) ha statuito che un'autorità nazionale garante della concorrenza può infliggere una sanzione a un'impresa, nell'ambito di un'unica decisione, per violazione del diritto interno e del diritto dell'Unione senza che ciò costituisca una violazione del principio del ne bis in idem. Le autorità nazionali competenti devono però garantire che le ammende siano applicate nel rispetto del principio di proporzionalità

5.5.1 Peraltro, la fattispecie oggetto della presente controversia si caratterizza per la irrogazione delle due diverse sanzioni da parte di autorità distinte, appartenenti a differenti Stati membri; pur a fronte della analogia delle condotte contestate, aventi ad oggetto, giova ribadirlo, la commercializzazione e pubblicizzazione di autoveicoli dotati di sistemi antiinquinamento alterati.

Circa l'identità dei fatti materiali, intesi come esistenza di un insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro, che hanno condotto all'assoluzione o alla condanna definitiva dell'interessato, nel caso di specie la contestata contraffazione ha riguardato tutta la produzione e commercializzazione. Si rinvia in proposito a quanto rilevato sopra, ai punti 1.7 e 1.8 della motivazione.

5.6 Ciò considerato, risulta che la normativa nazionale di cui al procedimento principale parrebbe consentire, nella prospettazione accolta dal Tar e contestata in appello, di consolidare un procedimento riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale, ai sensi dell'articolo 50 della Carta, nei confronti di un soggetto per condotte illecite che integrano una manipolazione del mercato per le quali è già stata pronunciata a suo carico una condanna penale definitiva. Pertanto si pone la seconda questione, oggetto del secondo quesito, se un simile concorso e cumulo di procedimenti e di sanzioni possa costituire una limitazione del diritto garantito dal principio dettato dal predetto articolo 50.

5.7 La giurisprudenza europea ha altresì dichiarato che una limitazione del principio del ne bis in idem garantito dall'articolo 50 della Carta può essere giustificata sulla base dell'articolo 52, paragrafo 1, della medesima.

Ai sensi dell'articolo 52, paragrafo 1, primo periodo, della Carta, eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla stessa Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. A termini del secondo periodo del suddetto paragrafo, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni a tali diritti e libertà solo qualora siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

5.7.1 Nel caso di specie, si pone pertanto l’ulteriore questione, oggetto del terzo quesito, se le norme del codice del consumo applicate, attuative della direttiva 2005/29 e miranti alla tutela del consumatore, possano quindi rilevare ai sensi dell’art. 52 predetto.

Dalla giurisprudenza emergono una serie di requisiti sulla cui base eventuali limitazioni dell'art. 50 Carta possono reputarsi ammessi. In particolare, esse devono tendere ad un obiettivo di interesse generale tale da giustificare il cumulo sanzionatorio; devono essere previste da regole chiare e precise, tali cioè da rendere prevedibile il ricorso al doppio binario sanzionatorio; devono garantire un coordinamento tra procedimenti, in modo da limitare il più possibile gli oneri supplementari che il ricorso ad un simile sistema può generare; devono rispettare il principio di proporzionalità della pena.

5.7.2 Se in linea di fondo emerge un obiettivo di interesse generale di tutela dei consumatori europei, nella specie l’autorità odierna appellata ha inteso sanzionare i comportamenti contestati in ordine al mercato italiano, sanzionando peraltro anche la “casa madre” per fatti che in seguito sono risultati posti a base della sanzione irrogata nello Stato di appartenenza.

Al riguardo, nel caso in esame emergono i seguenti ulteriori elementi: pare mancare una regola chiara e certa nel senso di rendere prevedibile il doppio binario, anche in considerazione del fatto che altrimenti opinando [OMISSIS] potrebbe essere chiamata a rispondere dei fatti in tutti i paesi europei; non è previsto alcun coordinamento fra i procedimenti indicati; in tema di proporzionalità, infine, nel caso di specie alla gravità della condotta contestata si accompagna una sanzione irrogata nella misura massima in entrambi i casi.

La risoluzione della questione dovrebbe tenere nel dovuto conto anche le caratteristiche di fondo del giudizio amministrativo italiano (non dissimili da quelle proprie del giudizio della Corte di giustizia UE sugli atti “amministrativi” delle istituzioni europee, essendo entrambi “debitori” del modello “francese”), dove la legittimità del provvedimento impugnato è controllata dal giudice in relazione alla data di adozione del provvedimento; in altri termini, quel che può giustificare una pronuncia di accoglimento del ricorso è l’illegittimità originaria del provvedimento impugnato, che nel caso di specie, almeno sotto il profilo del ne bis in idem, non sarebbe in discussione, dal momento che alla data di adozione del provvedimento dell’AGCM del 2016 nessuna altra sanzione era stata ancora mai applicata nei confronti di [OMISSIS].

Nel demandare alla CGUE la questione, questo Collegio reputa utile osservare anche come – a fronte della novità e della sopravvenienza costituita dalla condanna inflitta a [OMISSIS] in Germania nel 2018 – la stessa [OMISSIS] avrebbe potuto (e ancora potrebbe) sollecitare alla AGCM italiana l’avvio di un procedimento amministrativo di secondo grado, ovvero di riesame, richiedendo in particolare un provvedimento di (parziale) revoca di quello del 2016, motivando la propria richiesta proprio in nome del principio del ne bis in idem. Ove poi l’AGCM non avesse dato corso a tale richiesta e fosse rimasta inerte, il privato avrebbe potuto agire con il rito del silenzio ai sensi dell’art. 31 del codice del processo amministrativo.

Si ipotizza la revoca parziale, anziché integrale, del provvedimento originario, in quanto, a ben considerare, ad essere comunque interessato dal sopraggiungere della sanzione in Germania del 2018 non dovrebbe essere l’intero provvedimento dell’AGCM del 2016 ma solo quella parte (del dispositivo di esso: in particolare la lett. b) in cui è contenuta la sanzione pecuniaria di natura “penale”. Si dovrebbe intendere quindi che, laddove accerta l’illecito e ne vieta la diffusione o continuazione (sub. lett. a), non vi sono ragioni (non almeno legate all’emergere della sanzione in Germania) per affermare che, per tale parte, il provvedimento AGCM sia (divenuto) illegittimo.

6. Per il complesso delle ragioni che precedono la Sezione ritiene, dunque, che le questioni prospettate siano tali da meritare il rinvio pregiudiziale alla CGUE, con la formulazione dei seguenti quesiti:

a) se le sanzioni irrogate in tema di pratiche commerciali scorrette, ai sensi della normativa interna attuativa della direttiva 2005/29/Ce, siano qualificabili alla stregua di sanzioni amministrative di natura penale;

b) se l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea vada interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che consente di confermare in sede processuale e rendere definitiva una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei confronti di una persona giuridica per condotte illecite che integrano pratiche commerciali scorrette, per le quali nel frattempo è stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico in uno stato membro diverso, laddove la seconda condanna sia divenuta definitiva anteriormente al passaggio in giudicato dell’impugnativa giurisdizionale della prima sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale;

c) se la disciplina di cui alla Direttiva 2005/29, con particolare riferimento agli articoli 3 paragrafo 4 e 13 paragrafo 2 lett. e), possa giustificare una deroga al divieto di “ne bis in idem” stabilito dall’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (successivamente incorporata nel Trattato sull’Unione Europea dall’ art. 6 TUE) e dell’art. 54 della convenzione di Schengen.

7. Ai sensi delle “raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale”, pubblicate in GUUE del 8 novembre 2019, vanno trasmessi in copia alla Cancelleria della Corte di Giustizia dell’Unione europea, mediante plico raccomandato:

- gli atti ed i provvedimenti impugnati con i ricorsi di primo grado;

- il ricorso di primo grado;

- la sentenza del T.a.r. Lazio, sede di Roma, appellata;

- gli appelli proposti dalle parti ricorrenti;

- tutte le memorie difensive depositate da tutte parti nel giudizio di appello;

- la presente ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

7.1 In applicazione dell’art. 79 cod. proc. amm. e delle predette Raccomandazioni, il presente giudizio rimane sospeso nelle more della definizione del procedimento incidentale di rinvio e ogni ulteriore decisione, anche in ordine al regolamento delle spese processuali, è riservata alla pronuncia definitiva.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), non definitivamente pronunciando, dispone, a cura della Segreteria, la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nei sensi e con le modalità di cui in motivazione, per la risoluzione delle questioni pregiudiziali indicate nella parte motiva della presente decisione; riservata ogni altra decisione, anche sulle spese, sospende il giudizio

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2021 con l'intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente FF

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere, Estensore

Thomas Mathà, Consigliere

 
   

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

Davide Ponte

 

Hadrian Simonetti

 

   

 

   

 

   

IL SEGRETARIO