Giu Rilascio del provvedimento di riconoscimento della cittadinanza italiana e potere discrezionale di valutazione dell'Amministrazione
TAR LAZIO di ROMA, sez. V Bis - SENTENZA 15 giugno 2022 N. 8027
Massima
L’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest'ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato. Infatti, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino; il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione.

Testo della sentenza
TAR LAZIO di ROMA, sez. V Bis - SENTENZA 15 giugno 2022 N. 8027

Pubblicato il 15/06/2022

N. 08027/2022 REG.PROV.COLL.

N. 09498/2017 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9498 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Chiara Ventura, con domicilio eletto ex art. 25, comma 1, lett. a), cod. proc. amm., presso la Segreteria dell’intestato tribunale in Roma, via Flaminia, n. 189;

contro

Ministero dell’Interno, Ufficio Territoriale del Governo Brescia, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

del provvedimento in data -OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS- di diniego della concessione di cittadinanza;

 

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo Brescia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 6 giugno 2022 il dott. Enrico Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del provvedimento prot. n. -OMISSIS-, emesso dal Ministero dell’Interno in data -OMISSIS-, con il quale è stata rigettata la domanda di cittadinanza italiana presentata dal sig. -OMISSIS- ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, risultando a carico del richiedente un decreto penale emesso in data -OMISSIS- dal g.i.p. presso il Tribunale di Brescia per guida in stato di ebrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche, non autodichiarato nella domanda di cittadinanza.

Avverso il diniego impugnato si lamenta in via principale il vizio di eccesso di potere per difetto e/o insufficiente motivazione, difetto di istruttoria e violazione del principio del giusto procedimento, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 7 della legge n. 241/1990, avendo il Ministero dell’Interno elencato nella parte motiva del provvedimento una serie di dati di fatto senza alcun ulteriore approfondimento in ordine alla situazione contingente del ricorrente, tenuto conto, altresì, del lungo lasso di tempo intercorso (quasi 4 anni) dalla presentazione dell’istanza di cittadinanza.

S lamenta, altresì, la violazione e falsa applicazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 3, 97 e 41 della Costituzione, anche con riferimento agli artt. 29, 32 e 38 della Costituzione medesima, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, illogicità ed irragionevolezza, atteso che la mancata concessione della cittadinanza si fonderebbe su una palese discriminazione del ricorrente, basata solo sul fatto della sua condizione di cittadino straniero.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con atto di mera forma.

All’udienza di smaltimento del giorno 6 giugno 2022, la causa è passata in decisione.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Sul punto il Collegio osserva quanto segue in merito alla natura del provvedimento di concessione della cittadinanza alla luce della giurisprudenza in materia, di recente sintetizzata dalla Sezione (T.A.R. Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), secondo cui l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della L. n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa.

Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell'istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo; si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999; sez. IV n. 798/1999; n. 4460/2000; n. 195/2005; sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08; sez. VI, n. 3006/2011; Sez. III, n. 6374/2018; n. 1390/2019, n. 4121/2021; TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012; n. 3920/2013; 4199/2013).

L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.

Se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato.

In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.

In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest'ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis, TAR Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227/2021; n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568/2009; Cons. St., sez. III, n. 4121/2021; n. 8233/2020; n. 7122/2019; n. 7036/2020; n. 2131/2019; n. 1930/2019; n. 657/2017; n. 2601/2015; sez. VI, n. 3103/2006; n.798/1999).

Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo, ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.

Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino; il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione (ex multis, Cons. St., Sez. IV n. 6473/2021; Sez. VI, n. 5913/2011; n. 4862/2010; n. 3456/2006; TAR Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012).

Applicando le suesposte coordinate giurisprudenziali al caso di specie, il Collegio ritiene infondate le censure formulate con il ricorso, avendo l’Amministrazione valutato in maniera non manifestamente illogica la situazione del ricorrente, risultando a carico di quest’ultimo comportamenti di diversa tipologia e posti in essere in diverse epoche storiche, che sono indici sintomatici di inaffidabilità e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile in primis dal rispetto delle regole di civile convivenza e dalla rigorosa, sicura osservanza delle leggi vigenti nell’ordinamento giuridico italiano, a prescindere dagli esiti dei relativi procedimenti penali.

E ciò coerentemente all’indirizzo accolto dall’intestato Tribunale, secondo cui ai fini della valutazione in ambito amministrativo della condotta e dell’inserimento sociale dell’interessato, “le valutazioni volte all’accertamento di una responsabilità penale si pongono su di un piano assolutamente differente e autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell'adozione di un provvedimento amministrativo, con la possibilità che le risultanze fattuali oggetto della vicenda penale possano valutarsi negativamente, sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali penali” (ex multis, T.A.R. Lazio, Sez. I ter, nn. 10323/2021, 3345/2020, 347/2019, 6824/2018, Sez. II, n. 1833/2015).

Occorre d’altra parte considerare che la dichiarazione non veritiera fatta dal ricorrente in sede di domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana, in ordine alla sussistenza di eventuali condanne penali irrevocabili, è suscettibile di determinare la reiezione della domanda anche a prescindere dalla sussistenza del reato di falso, ai sensi dell’art. 75 del d.P.R. n. 445/2000, ed è comunque indicativa di una non compiuta integrazione, e conoscenza dei principi che informano anche il procedimento in questione, che il richiedente ha il dovere di acquisire (cfr. T.A.R. Lazio - Roma, sez. I Ter, 31/08/2020 n. 9289).

Non può infine condurre a diverse conclusioni la riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Brescia in data -OMISSIS-, essendo intervenuta successivamente all’emanazione del diniego impugnato.

Le considerazioni che precedono impongono la reiezione delle doglianze proposte con il ricorso.

Le spese del giudizio seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Brescia, che si liquidano in complessivi € 1.000,00 (mille/00), oltre oneri ed accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2022 con l’intervento dei magistrati:

 

 

Dauno Trebastoni, Presidente

Enrico Mattei, Consigliere, Estensore

Ida Tascone, Referendario