Giu Clausola penale e accordi pubblico/privato ex art. 11 L. 241/1990
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - SENTENZA 20 luglio 2022 N. 6309
Massima
Ai sensi dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, il contenuto dell’accordo può ricomprendere anche una clausola penale, il cui importo, ove eccessivamente oneroso, può essere diminuito dal giudice ex art. 1384 c.c., alla luce del principio generale di buona fede.

Testo della sentenza
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - SENTENZA 20 luglio 2022 N. 6309

Pubblicato il 20/07/2022

N. 06309/2022REG.PROV.COLL.

N. 02651/2015 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2651 del 2015, proposto dal Comune di OMISSIS , in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Francesca Mazzonetto, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone n. 44;

contro

la società OMISSIS s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Danni Livio Lago, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alessandro Ardizzi in Roma, via Golametto, n. 4;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. OMISSIS, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della società OMISSIS s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 maggio 2022 il consigliere Michele Conforti e uditi per le parti gli avvocati Francesca Mazzonetto e Livio Lago Danni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1. Giunge all’esame del Consiglio di Stato l’appello proposto dal Comune di OMISSIS avverso la sentenza del T.a.r. per il Veneto n. OMISSIS, che ha accolto l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 685/2013, proposta dalla società OMISSIS s.p.a..

2. Si riassumono i fatti salienti del giudizio.

2.1. In data 19 ottobre 2006, il Comune di OMISSIS e la società OMISSIS s.p.a. hanno stipulato una convenzione edilizia, con la quale la società si è impegnata alla realizzazione di alcune opere di urbanizzazione, entro tre anni dal rilascio del permesso di costruire da parte dell’ente.

2.2. In data 20 giugno 2007, è stato rilasciato il suddetto titolo edilizio, ma alla data del 25 giugno 2010, i lavori non venivano portati a compimento.

2.3. In data 22 luglio 2011, a seguito delle sollecitazioni del Comune e all’intimazione che l’ente avrebbe proceduto ad applicare la penale prevista dalla clausola 2, paragrafo 2, della convenzione, l’avvocato difensore pro tempore della società inviava una missiva nella quale contestava l’imputabilità del ritardo nell’ultimazione dei lavori, adducendo alcune giustificazioni al riguardo.

2.3. Successivamente, in data 15 giugno 2013, il Comune ha domandato al competente T.a.r. l’emanazione di un decreto ingiuntivo, per l’importo di euro 211.484,84, a titolo di penale dovuta per l’inadempimento dell’obbligo di consegna dei lavori entro il termine che l’ente riteneva previsto dall’art. 2 della convenzione, e per un’ulteriore somma pari ad euro 12.630,00, spettanti a titolo di oneri di urbanizzazione a seguito della sottoscrizione dell’atto unilaterale d’obbligo da parte dell’impresa.

2.4. Il T.a.r. ha emanato il decreto ingiuntivo n. 685/2013, avverso il quale la società ha proposto opposizione.

2.5. Nel relativo giudizio, si è costituito il Comune che ha insistito per la dovutezza delle somme ingiunte.

3. Con la sentenza n. 1191/2014 il T.a.r. ha accolto l’opposizione, ha revocato il decreto ingiuntivo n. 685/2013 e ha compensato le spese del processo.

3.1. Segnatamente il T.a.r., facendo applicazione dei criteri di cui agli artt. 1362 e ss., e, precipuamente, del canone ermeneutico letterale, ha affermato che l’art. 2 della convenzione non ancorasse il ritardo e, dunque, la penale, all’ultimazione dei lavori, bensì, ad un diverso termine, quello di “consegna delle opere ultimate”, testualmente previsto dalla clausola della convenzione, e non coincidente con il termine di ultimazione dei lavori.

3.2. Secondo il T.a.r. “il criterio letterale impone di ritenere dovuta la penale soltanto nel caso in cui, una volta ultimate e collaudate le opere, queste ultime non siano state effettivamente consegnate, circostanze queste ultime non ancora verificatesi”, mentre la garanzia per la mancata ultimazione delle opere sarebbe stata fornita dalla polizza fideiussoria “a prima richiesta” prestata dalla società.

3.3. Non è stata ritenuta dirimente, infine, la circostanza che, con la missiva del 22 luglio 2011, a firma del precedente avvocato della società, quest’ultima avrebbe giustificato il ritardo nell’esecuzione e nella consegna delle opere, facendo riferimento al caso fortuito, in quanto la suddetta missiva dimostrerebbe soltanto che “…un inadempimento ai termini di conclusione delle opere era venuto in essere, circostanza quest'ultima che ben differente dal ritenere applicabile una clausola penale”. Le dichiarazioni, inoltre, non potrebbero neppure essere qualificate come confessione stragiudiziale in quanto non provenienti dalla società opponente o da un soggetto titolato a rappresentare la società, non risultando dimostrato l'esistenza di un mandato a confessare di cui agli art. 2731 e 2735 del codice civile.

4. Avverso la sentenza di primo grado ha proposto appello il Comune.

4.1. Con il primo motivo di appello, il Comune impugna la sentenza, deducendosi l’errata applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss. e, conseguentemente, l’errata interpretazione dell’art. 2 della convenzione intercorsa con la società.

Si ribadisce che, secondo la richiamata clausola convenzionale, il ritardo e, dunque, la clausola penale vanno computati dalla scadenza del termine triennale per l’ultimazione dei lavori, non essendo stato previsto, nella suddetta convenzione, alcun termine per la consegna.

Questa interpretazione non sarebbe preclusa, così come statuito erroneamente dal T.a.r., secondo l’appellante, dalla sussistenza di una polizza fideiussoria a garanzia dell’adempimento degli obblighi derivanti dal contratto.

In subordine, si osserva che, anche a voler ancorare il termine dal quale la penale è dovuta ad un momento successivo (ad es., al collaudo), la consegna non sarebbe ancora avvenuta a causa della condotta inadempiente della società appaltatrice. Conseguentemente, il T.a.r. avrebbe dovuto diminuire l’ammontare della penale, ma comunque riconoscerla.

4.2. Con il secondo motivo di appello, il Comune contesta la parte della sentenza che non ha riconosciuto valore confessorio alla nota del 22 luglio 2011, inviata dal precedente avvocato difensore della società al Comune, “in nome e per conto” della società rappresentata e della sua legale rappresentante.

4.3. Il 25 maggio 2015, si è costituita in giudizio la società appellata, resistendo all’appello.

4.4. Con la memoria del 20 aprile 2022, il Comune si è riportato alle doglianze già esposte nell’appello, mentre la società appellata, con la memoria del 23 aprile 2022, ha eccepito, in via pregiudiziale, l’inammissibilità dell’appello, per avere domandato il Comune, nella memoria di costituzione del nuovo difensore, del 8 luglio 2017, il “rigetto del ricorso”, nonché l’inammissibilità delle doglianze formulate ai paragrafi “2” e “3” del primo motivo di appello, per violazione dell’art. 104 c.p.a. Nel merito, la società ha domandato la reiezione dei due motivi di appello e, in subordine, la riduzione della penale manifestamente eccessiva, in quanto “la pretesa penale supera allo stato di oltre 5 (cinque) volte l’importo massimo garantito per la realizzazione delle opere di urbanizzazione del PIRUEA”.

4.5. Il 5 maggio 2022, il Comune ha depositato una memoria di replica.

5. All’udienza del 26 maggio 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.

6. Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni pregiudiziali di inammissibilità, formulate dalla società appellata.

6.1. Le eccezioni sono infondate.

6.2. Quanto a quella argomentata con riferimento all’erronea indicazione del petitum, il Collegio rileva che il nuovo difensore, nel costituirsi nel giudizio di appello, sia incorso in un evidente errore materiale, corretto nei successivi scritti difensivi.

6.2.1. In nessun modo, le conclusioni rassegnate nella memoria di costituzione del nuovo difensore rendono l’azione proposta in giudizio incerta o perplessa e, in ragione di ciò, inammissibile.

6.2.2. La prima eccezione va pertanto respinta.

6.3. Quanto all’opposta violazione dell’art. 104 c.p.a., il Collegio rileva che il senso complessivo della doglianza formulata con il primo motivo di appello rispecchia quelle che sono state le allegazioni compiute dalle parti nel primo grado del giudizio, cosicché l’eccezione formulata non merita accoglimento.

6.3.1. La seconda eccezione va pertanto respinta.

7. Esaurita la disamina delle eccezioni pregiudiziali, il Collegio ritiene di procedere all’esame del merito della controversia, che verte, principalmente, sull’interpretazione di una clausola dell’accordo ex art. 11 legge n. 241/1990, intercorso tra il Comune e la società indicata in epigrafe.

7.1. La clausola contrattuale da analizzare è l’art. 2, rubricato “Opere di urbanizzazione – Tempi di esecuzione – Sanzioni”, il cui tenore testuale è il seguente: “La Ditta si impegna entro 120 giorni a presentare richiesta del permesso di costruire per le opere di cui al precedente articolo 1, ad iniziare entro 180 giorni dalla data di notifica del permesso di costruire e ad ultimare entro 3 anni dalla data di inizio, salvo ritardi dovuti a causa di forza maggiore o indipendenti dalla Ditta.

Per ogni giorno di ritardo nella consegna delle opere ultimate nei termini stabiliti verrà applicata nei confronti della ditta una penalità di euro 300,00 (trecento/00) giornaliera.

L’inizio e l’ultimazione dei lavori sono determinati mediante verbale redatto in contraddittorio fra il Comune e la Ditta”.

7.2. Per procedere all’interpretazione della clausola andranno applicati i criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., i quali, oltre che per l’interpretazione dei contratti, degli atti unilaterali (in quanto compatibili, ai sensi dell’art. 1324 cod. civ.), dei provvedimenti amministrativi (nei limiti della compatibilità), devono applicarsi anche agli accordi di cui all’art. 11 della L. n. 241 del 1990, in ragione del richiamo, da parte del comma secondo della suddetta disposizione, ai “principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti per quanto compatibili” (Cons. Stato, Sez. IV, 19 febbraio 2019, n. 1150; Sez. IV, 3 dicembre 2015 n. 5510; Sez. IV, 16 giugno 2015, n. 2997; Sez., IV, 17 dicembre 2014, n. 6164; Sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4812).

7.2.1. In particolare, per decidere l’appello proposto dal Comune, andrà fatta applicazione dell’art. 1362 c.c., il quale prevede che “Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole.

Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto”.

7.2.2. Sull’applicazione di questa disposizione non v’è unanimità di orientamenti nella giurisprudenza della Corte di Cassazione.

7.2.2.1. In base ad un primo orientamento, infatti, “Nell'interpretazione del contratto, […], il carattere prioritario dell'elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell'art. 1362 cod. civ. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l'indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell'accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti” (Cass. civ., Sez. I, ord., 07 ottobre 2021, n. 27232; si cfr., inoltre, ex aliis, Sez. III, ord., 17 novembre 2021, n. 34795; Sez. I, ord., 02 luglio 2020, n. 13595).

7.2.2.2. In base ad un secondo orientamento, invece, “i canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia, in forza del quale il criterio del senso letterale delle parole, di cui all'art. 1362, comma 1, c.c. è prevalente, potendo risultare assorbente di eventuali ulteriori e successivi criteri interpretativi” (Cass. civ., Sez. lavoro, 26 ottobre 2021, n. 30135; si cfr., inoltre, ex aliis; Sez. lavoro, ord., 25 gennaio 2022, n. 2173; Sez. lavoro, ord., 03 novembre 2021, n. 31422; Sez. V, ord., 21 settembre 2021, n. 25459).

7.2.2.3. Invero, anche l’orientamento che prefigura la priorità gerarchica del criterio letterale afferma che la regola compendiata dal brocardo “in claris non fit interpretatio” non trova applicazione quando le espressioni letterali utilizzate, benché chiare, non siano “univocamente intellegibili” oppure il loro significato risulti “ambiguo” (Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 06 aprile 2022, n. 11182; Cass. civ., Sez. II, Ord., 11 novembre 2021, n. 33451).

7.3. La clausola in esame è sussumibile nel novero delle eccezioni dianzi indicate, in ragione dell’oscurità che viene ad ingenerarsi per l’uso nella medesima proposizione del riferimento, da un lato, alla “consegna delle opere ultimate” e, dall’altro, all’ultimazione delle opere “nei termini stabiliti”.

7.3.1. Infatti, il primo dei due riferimenti linguistici appena individuati induce l’interprete verso il significato auspicato dalla società e ritenuto corretto dal T.a.r., ossia di disancorare l’applicazione della penale dall’ultimazione dei lavori, per collegarla alla fase, ulteriore e diversa, della “consegna”, successiva alla fase della “verifica” e del “collaudo”, a loro volta successive all’ultimazione materiale dei lavori.

7.3.2. Diversamente, l’altra espressione contenuta nella proposizione di cui si compone la clausola conduce l’interprete a giudicare condivisibile l’interpretazione prospettata dalla società appellante, perché l’espressione “nei termini stabiliti” implica necessariamente di doversi riferire al periodo precedente, nel quale detti termini sono stati prefissati e disciplinati dalle parti dell’accordo, con riferimento, quanto al termine che interessa, all’ultimazione dei lavori (“…ultimare entro 3 anni dalla data di inizio”).

7.4. Risulta, pertanto, necessario indagare quale sia stata la “comune intenzione delle parti” anche in considerazione del “loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto” (art. 1362 c.c.).

7.4.1. Procedendo a questo scrutinio, il Collegio ritiene che l’appello del Comune sia fondato e vada accolto.

7.4.2. Invero, l’art. 2 della convenzione disciplina, come esplicitato dalla rubrica “Opere di urbanizzazione – Tempi di esecuzione – Sanzioni”, i tempi di esecuzione dei lavori pattuiti e le relative penalità.

7.4.3. In particolare, nell’interpretazione della seconda clausola contrattuale enunciata dall’art. 2 assume rilievo la prima clausola, nella quale si disciplinano i tempi di ultimazione delle opere, e che viene posta antecedentemente alla seconda clausola su un piano logico prima ancora che “tipografico”: se la prima clausola prevede i “tempi di esecuzione” delle “opere di urbanizzazione”, la seconda ne determina le “sanzioni”, le quali non possono che essere logicamente e giuridicamente collegate al mancato rispetto di quei termini individuati nella clausola precedente.

7.4.4. Mediante un’interpretazione sistematica delle clausole, procedendo da quella delle due che non risulta ambigua, si chiarisce, dunque, anche il significato di quella che, per le motivazioni prima esposte, non risulta “univocamente intellegibile”.

7.5. Ad ulteriore riprova che questa sia l’interpretazione preferibile induce anche il canone ermeneutico prospettato dal secondo comma dell’art. 1362 c.c.

7.5.1. Il Consiglio condivide l’assunto del T.a.r., secondo cui la missiva del precedente legale della società non costituisce un’efficace confessione stragiudiziale, rispetto all’inadempimento contestato dal Comune e rispetto ai criteri di applicazione della penale convenuta nell’accordo.

7.5.2. Nondimeno, il Collegio ritiene che questa circostanza possa essere valorizzata per trarre, ai sensi dell’art. 1362, comma 2, c.c., un ulteriore elemento che rafforza l’interpretazione precedentemente fornita della clausola contrattuale, in quanto è altamente improbabile secondo l’id quod plerumque accidit che il legale abbia agito di sua spontanea iniziativa e senza consultarsi con la cliente (art. 2729 c.c.) e in quanto in questa missiva il legale, in nome e per conto della società, in verosimile accordo con la cliente, enuncia alcune giustificazioni del ritardo che evidenziano un’interpretazione contrattuale consentanea a quella prospettata dal Comune e diversa da quella invece opposta dalla medesima società nel giudizio incardinatosi innanzi al T.a.r. e ivi accolta.

7.5.3. Quanto alla circostanza che il legale non potesse “validamente” (rectius, efficacemente) compiere una confessione in danno del cliente, si evidenzia come, in materia di dichiarazioni sfavorevoli su un diritto indisponibile, da parte di chi ne è titolare, la Corte di Cassazione ha evidenziato che quanto dichiarato, pur non valendo come confessione, può comunque rilevare ai sensi dell’art. 2729 c.c. (Cass. civ., Sez. II, 18 aprile 2000, n. 4974; Sez. II, 15 maggio 1997, n. 4284).

A fortiori, il Collegio ritiene che, nel caso di specie, in considerazione della richiamata circostanza che il legale agiva su mandato del cliente, verosimilmente dopo essersi consultato con quest’ultimo, si possa valorizzare quanto rappresentato nella missiva per trarre argomenti di prova, circa la reale e comune intenzione delle parti consacrata nella clausola penale di cui al secondo periodo dell’art. 2.

7.5.4. Invero, non esclude la sussistenza dell’inadempimento e la spettanza della penale la tesi difensiva della società, che, sia in primo grado che nel giudizio innanzi a questo Consiglio, ha altresì cercato di dimostrare la non imputabilità dell’inadempimento, sottolineando che il ritardo nell’ultimazione dei lavori è dipeso da una crisi di liquidità finanziaria, originata dall’aver dovuto versare un’ingente somma di denaro, nell’ambito di un procedimento di concordato preventivo che ha coinvolto una società della quale era socia.

7.5.4.1. A tale riguardo, il Collegio osserva che, per costante giurisprudenza, la non imputabilità dell’inadempimento, quale fattore che esclude la responsabilità del debitore, consiste in un evento inevitabile e imprevedibile, non imputabile a negligenza dell'obbligato e non prevenibile dallo stesso, nonostante l’adozione di ogni misura idonea ad assicurare il puntuale adempimento dell’obbligazione (Cass. Civ., sez. VI, 12 marzo 2015, n. 5015; sez. I, 16 luglio 2014, n. 16276; sez. III, 27 ottobre 2014, n. 20787; Cons. Stato, Sez. III, 25 novembre 2015, n. 5359) e non in una mera difficoltà, quale, ad esempio, quella di carattere finanziario (Cass. civ., Sez. lavoro, 20 gennaio 2009 n. 1399).

7.5.4.2. La giustificazione allegata dalla società non presenta quelle caratteristiche richieste dalla giurisprudenza citata, per escludere l’imputabilità dell’inadempimento.

7.6. In conclusione, dunque, in riforma della sentenza di primo grado, va dichiarata la spettanza del credito scaturente dall’applicazione della clausola penale convenuta tra le parti.

8. La società appellante ha però contestato il quantum della pretesa comunale, eccependo la manifesta eccessività della penale, in relazione all’interesse che il Comune aveva all’adempimento.

8.1. In questo senso, la società appellata ha argomentato che i lavori convenuti avevano un importo di circa 40.000,00 euro ed essi erano stati eseguiti per un importo di 35.000,00 euro.

8.2. Queste affermazioni non risultano contestate dal Comune.

8.3. Si premette che, ai sensi del citato art. 11 della legge n. 241 del 1990, agli accordi sostitutivi dei provvedimenti amministrativo si applicano “ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili”.

La questione che si pone in questa sede è se possa trovare applicazione la disciplina del codice civile relativa alla clausola penale.

Ai sensi dell’art. 1382 cod. civ., “la clausola, con cui si conviene che, in caso d’inadempimento o di ritardo nell’adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l’effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore”.

L’art. 1384 c.c. dispone che “La penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l'obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l'ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento”.

E’ controversa la natura giuridica della clausola penale.

Limitando l’analisi a quanto rileva ai fini della risoluzione della presente controversia, un orientamento minoritario, sostenuto in dottrina, ritiene che la clausola penale abbia funzione punitiva. Si tratterebbe di una fattispecie tipizzata di “pena privata” con attribuzione legale all’autonomia negoziale delle parti di inserire la clausola in esame nell’ambito del singolo contratto.

L’orientamento prevalente, seguito dalla giurisprudenza civile, ritiene, invece, che la clausola penale abbia una funzione compensativa del risarcimento del danno, costituendo un rimedio di autotutela negoziale attuato mediante la determinazione forfettaria del danno risarcibile. Si tratta di un potere espressione della cd. giustizia contrattuale, che ha lo scopo di riequilibrare, alla luce della buona fede in funzione di integrazione cogente del regolamento contrattuale (cfr. art 1374 cod. civ.), le contrapposte posizioni negoziali. Se la clausola penale avesse avuto esclusivamente una funzione punitiva non sarebbe stata coerente la previsione di un potere riduttivo finalizzato ad assicurare l’equilibrio economico-giuridico dell’assetto negoziale.

In particolare, la Cassazione ha affermato che “…il potere di controllo [sull’ammontare della clausola penale e il correlato potere di riduzione di quell’ammontare che si profili manifestamente eccessivo] appare attribuito al giudice non nell'interesse della parte ma nell'interesse dell'ordinamento, per evitare che l'autonomia contrattuale travalichi i limiti entro i quali la tutela delle posizioni soggettive delle parti appare meritevole di tutela…

Può essere affermato allora che il potere concesso al giudice di ridurre la penale si pone come un limite all'autonomia delle parti, posto dalla legge a tutela di un interesse generale, limite non prefissato ma individuato dal giudice di volta in volta, e ricorrendo le condizioni previste dalla norma, con riferimento al principio di equità” (Cass. civ., Sez. Un., 13 settembre 2005, n. 18128).

8.4. Per poter procedere alla disamina dell’eccezione, risulta preliminare che il Collegio valuti l’applicabilità del potere riduttivo di cui all’art. 1384 c.c., relativamente alle stipulazioni sussumibili nel genus degli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento, di cui all’art. 11 legge n. 241/1990, considerato che, come sopra sottolineato, in ragione del richiamato comma 3, oggetto dell’applicazione innanzi al Giudice amministrativo non sono le singole norme contenute nelle disposizioni del codice civile, ma i principi che da esse possono inferirsi.

8.5. Non ignora il Collegio che in alcuni precedenti del Consiglio di Stato si è affermato che il potere di riduzione disciplinato all’art. 1384 c.c. non è applicabile rispetto a penali previste in stipulazioni fra l’amministrazione e il privato (Cons. Stato, sez. IV, 21 ottobre 2019 n. 7149; sez. V, 21 agosto 2019 n. 5776; sez. IV, 15 maggio 2017, n. 2257; sez. IV, 03 dicembre 2015 n. 5510; Sez. III, 29 maggio 1979, n. 296; pur essendovene, invece, altri in cui questo potere si assume, più o meno esplicitamente, come ammissibilmente esercitabile da parte del Giudice amministrativo, cfr. Cons. Stato, sez. V, 25 luglio 2018, n.4539, riguardante alcune penali irrogate per il mancato raggiungimento della percentuale del 58% di raccolta differenziata, per mancato rispristino delle isole ecologiche e per inadempienze ex art. 94 CSA e non “nell'esecuzione di un rapporto contrattuale, ma nella violazione - in sede di concreta attuazione - di provvedimenti autoritativi”; Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 2011, n. 4256, che non fa applicazione del potere riduttivo, ma per ragioni di merito, diverse dai profili di applicabilità dell’art. 1384 c.c. agli accordi amministrativi).

8.6. Invero, il Collegio rileva che, nelle pronunce più recenti di questo Consiglio, si è stabilito che la disciplina prevista dall’art. 1384 c.c. non si applica agli accordi sostitutivi di provvedimento di cui all'art. 11 della Legge n. 241/1990, in ragione della funzione “sanzionatoria” che, nelle specifiche vicende decise, svolgeva la previsione della “penale”.

8.6.1. Nella vicenda decisa con la sentenza n. 7149/2019, si è ritenuto, in un caso riguardante, come nella vicenda in esame, la realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo, che la penale era stata pattuita per garantire la tempestiva ed esatta effettuazione delle opere e, come espressamente rilevato dal precedente di Sezione, in quel caso, si è affermato che “l'istituto della "penale", presente nelle ipotesi di esercizio di potere amministrativo ampliativo della sfera giuridica dei privati (non solo, dunque, nelle ipotesi di esercizio di potere concessorio, ma anche autorizzatorio), ha certamente natura sanzionatoria e salvaguarda il raggiungimento delle finalità di pubblico interesse sottese all'esercizio del potere”.

8.6.2. Nella sentenza n. 5776/2019, in una vicenda riguardante una convenzione urbanistica relativa ad un piano per gli insediamenti produttivi, stipulata ai sensi dell’art. 27, legge 22 ottobre 1971 n. 865, il Collegio decidente ha escluso la sussistenza del potere riduttivo in capo al Giudice amministrativo, richiamando la “natura sanzionatoria” della clausola penale, che “salvaguarda il raggiungimento delle finalità di pubblico interesse sottese all’esercizio del potere”, unitamente a profili concernenti l’insindacabilità degli apprezzamenti di “merito” delle scelte discrezionali dell’amministrazione.

8.6.3. Nella sentenza n. 2257/2017, riguardante una convenzione di edilizia convenzionata stipulata ai sensi dell’art. 35, legge 22 ottobre 1971 n. 865, il Collegio ha fatto espressamente riferimento al potere sanzionatorio dell’amministrazione, previsto e disciplinato dalla medesima disposizione, e alla “natura di sanzione, riconosciuta alla penale di cui all’art. 9 della Convenzione”, e ha perciò escluso la riduzione della penale.

8.6.4. Nella sentenza n. 5510/2015, riguardante una vicenda relativa all’inosservanza dei livelli di servizio della Convenzione di concessione della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento e intrattenimento, si è affermato, per giustificare l’esclusione dell’applicazione dell’art. 1384 c.c., che: “Nel rapporto concessorio (ed in particolare, nel caso della concessione cd. traslativa, di esercizio di funzioni o servizi pubblici), il perseguimento del pubblico interesse del quale l'amministrazione è fatta titolare avviene anche per il tramite dell'attività del privato, di modo che - laddove questo non si conformi alle regole imposte dal provvedimento concessorio e dalla convenzione a questo accessiva - l'irrogazione della penale prevista costituisce appunto sanzione per una condotta tenuta o un evento prodotto non conformi al pubblico interesse”.

8.6.5. Nelle fattispecie esposte, l’attribuzione di una funzione sanzionatoria ha condotto a ritenere non esercitabile un potere riduttivo in ragione dell’entità dell’inadempimento o del danno prodotto proprio perché la finalità è esclusivamente punitiva e non compensativa. A tale conclusione si è pervenuti, nella maggior parte dei casi sopra esaminati, in ragione della previsione di una specifica base legale della clausola penale che ha consentito la sua qualificazione come “sanzione” anche in ragione dei peculiari interessi pubblici da tutelare. In tali fattispecie, si è affermato che il potere di riduzione presuppone l’applicazione del diverso “metodo di giudizio” fondato sul principio di proporzionalità [Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2017, n. 2257; sez. VI, 27 ottobre 2011 n. 5785; 12 luglio 2011 n. 4202; 4 aprile 2011 n. 2099]). In alcuni casi (come in quello deciso da Cons. Stato, Sez. IV, 21 ottobre 2019, n. 7149), pur non sussistendo una base legale, si è ugualmente affermato che la clausola penale, applicata in presenza di accordi pubblici, ha valenza punitiva.

8.7. Nel caso oggetto del presente giudizio, per converso, in mancanza di una espressa previsione di legge, il Collegio ritiene non possano applicarsi i principi sopra riportati.

8.7.1. Nella vicenda in esame, infatti, la previsione della penale non riveste “la natura formale di sanzione”, né costituisce l’“esplicazione di quegli specifici poteri di vigilanza e controllo sulla corretta gestione del servizio pubblico”, poiché costituisce il modo per quantificare il danno da ritardo nella realizzazione delle opere di urbanizzazione da parte del titolare del titolo edilizio che ha assunto su di sé questo onere economico, invece di corrispondere il relativo tantundem pecuniario all’ente locale.

8.7.2. Il Collegio ritiene che, quando la funzione causale che la penale svolge nell’ambito di un accordo sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 11 legge n. 241/1990 (nel quale si iscrive la convenzione edilizia stipulata tra le parti nel caso in esame), al di là del nomen juris prescelto dalle parti, è quella di tecnica di liquidazione forfettaria ed anticipata del danno, correlata, esclusivamente o principalmente, ad aspetti ed interessi economici, il potere riduttivo si applichi, in quanto trattasi di un rimedio contrattuale che risponde all’esigenze di giustizia contrattuale sopra riportate.

È bene ribadire che il Collegio, per le ragioni esposte, non condivide il precedente sopra riportato (sentenza n. 7149 del 2019, cit.) che ha assegnato valenza sanzionatoria alla clausola penale in assenza di espresse e specifiche indicazioni normative.

In questa diversa prospettiva, assegnando alla clausola penale una funzione compensativa, è coerente

prevedere un potere riduttivo che valuti l’entità delle conseguenze dannose.

8.8. In ragione di quanto finora esposto, si può dunque ammissibilmente procedere all’applicazione della norma enunciata dall’art. 1384 c.c., in quanto trattasi di un potere che è corollario e manifestazione di principi in materia di diritto delle obbligazioni e dei contratti.

8.9. Il Collegio ritiene che l’eccezione formulata dalla società appellata vada accolta e la penale vada ridotta in considerazione dell’ammontare dei lavori appaltati (euro 40.000,00), della circostanza che essi sono stati quasi ultimati, allorquando si è verificato l’inadempimento sub specie di ritardo nell’adempimento (risultano pagati euro 35.000,00 di lavori in favore dell’impresa appaltatrice), e, infine, in considerazione del fatto che l’amministrazione disponeva di un ulteriore rimedio per procedere alla loro ultimazione e non ha azionato quel rimedio (l’escussione della polizza fideiussoria, prevista dall’art. 8 dell’accordo), dimostrando così uno scarso interesse all’adempimento (cfr. art. 1384, ultima parte, c.c.).

8.10. In considerazione di queste circostanze, la penale, liquidata dal T.a.r. nella somma pari ad euro € 211.484,84, va ridotta ad euro 5.000,00 che costituisce l’ammontare del debito della società nei confronti del Comune. Su questa somma sono dovuti gli interessi legali a partire dalla data in cui è maturato l’obbligo di corrispondere la somma, coincidente con la scadenza del termine triennale entro cui i lavori avrebbero dovuto essere conclusi e l’opera consegnata, sino al saldo.

9. In conclusione, va confermata la revoca del decreto ingiuntivo n. 685 del 18 giugno 2013, emesso dal T.a.r. per il Veneto, già disposta in primo grado, mentre va accolto l’appello del Comune, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, con rideterminazione della somma dovuta a titolo di penale, in applicazione del potere riduttivo di cui all’art. 1384 c.c.

10. L’accoglimento parziale dell’appello del Comune giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello n.r.g. 2651 del 2015, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, condanna la società OMISSIS s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento della somma di euro 5.000,00, oltre interessi legali da calcolarsi come in motivazione, in favore del Comune di OMISSIS .

Compensa le spese dell’intero giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2022 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Vincenzo Lopilato, Presidente FF

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere

Nicola D'Angelo, Consigliere

Michele Conforti, Consigliere, Estensore