Giu Computo delle distanze legali tra edifici: sulle sporgenze dei fabbricati
TAR CAMPANIA di NAPOLI - SENTENZA 29 luglio 2022 N. 5119
Massima
In tema di distanze legali tra edifici o dal confine, mentre non sono a tal fine computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, di finitura od accessoria di limitata entità, come le mensole, le lesene, i cornicioni, le grondaie e simili, invece, rientrano nel concetto civilistico di costruzioni, le parti dell'edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d. aggettanti) che, se pur non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato.

Testo della sentenza
TAR CAMPANIA di NAPOLI - SENTENZA 29 luglio 2022 N. 5119

 

Pubblicato il 29/07/2022

N. 05119/2022 REG.PROV.COLL.

N. 03705/2021 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3705 del 2021, proposto da
Di Muccio Andrea, rappresentato e difeso, dagli avvocati Antonio Nunziante e Maria Celeste Cafaro con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Edmundo Carrino in Napoli, al Centro Direzionale Isola E5, e domicilio digitale, come da p.e.c. studionunziante@legalmail.it ;

contro

- Comune di Piedimonte Matese, in persona del Commissario Prefettizio, non costituito in giudizio:
- Ministero dei Beni Ambientali e Culturali - Soprintendenza Archeologia Belle Arti
e Paesaggio per le Province di Caserta e Benevento, ciascuno in persona del rispettivo rappresentante legale pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz 11;

nei confronti

 

e con l'intervento di

M.P.T. Immobiliare S.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Maurizio Ricciardi Federico, con domicilio digitale come da p.e.c.: ricciardi.federico.m@avvocatopec.com;

per l’annullamento, previa sospensione:

a) dell’ordinanza n. 3 del 4.08.2021, con la quale il Dirigente del Settore Territorio e Ambiente, ha ordinato la sospensione dei lavori, consistenti nella realizzazione di un piano soprelevato e ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi; b) di ogni atto presupposto connesso e consequenziale, per quanto di ragione;


 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Cultura e di Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Caserta e Benevento;

Visto l’atto di intervento ad opponendum di M.P.T. Immobiliare S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Vista l’ordinanza n. 1753 del 14 ottobre 2021di questa Sezione;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 aprile 2022 il dott. Vincenzo Cernese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO

Con ricorso, notificato il 09-10.09.2021 e depositato l’11.09.2021, Di Muccio Andrea - nella dedotta qualità di proprietario del lotto di terreno sito nel Comune di Piedimonte Matese, identificato in catasto al foglio 19 particelle 5074 e 5471, ricadente in un’area classificata dal vigente strumento urbanistico come ZTO D – Industriale - riferisce, in fatto, che:

- su detto lotto, previa acquisizione di regolare titolo abilitativo edilizio, veniva edificato un manufatto, destinato ad attività produttiva compatibilmente con le categorie d’uso consentite in base alla classificazione urbanistica e, successivamente presentata un’istanza volta ad ottenere il rilascio di un Permesso di Costruire in variante alla originaria Concessione Edilizia (rectius PDC), per la realizzazione di una soprelevazione di pertinenza del manufatto destinato ad attività produttiva e destinato ad alloggio del custode;

- l’intervento, si colloca nella zona “D – Industriale” del vigente Programma di Fabbricazione disciplinata dalle seguenti prescrizioni, integrate con quanto stabilito dal Consiglio Comunale con propria deliberazione n. 146 del 15/11/1980: indice di fabbricazione territoriale: 1,05 mc/mq; indice di fabbricazione fondiaria: 1,50 mc/mq; indice di copertura: 1/2 mq/mq (art. 7 delle norme di attuazione della zona D approvate con delibera del C.C. n. 146 del 15/11/1980: “Il rapporto massimo tra la superficie coperta e la superficie netta del lotto - già depurata della quota per strade e parcheggi - non potrà essere superiore a 0,65”); altezza massima: 12,00 m; distanza minima tra i fronti: 10,00 m (art. 8 delle norme di attuazione della zona D approvate con delibera del C.C. n. 146 del 15/11/1980); distanza minima dai confini: 5,00 m o in aderenza (art. 8 delle norme di attuazione della zona D approvate con delibera del CC n. 146 del 15/11/1980);

- prescrizioni di zona: “Gli insediamenti produttivi sono consentiti secondo le norme di attuazione del Piano Regolatore del Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale di Caserta (Decreti P.C.M. del 06/01/1969 e 28/07/1970);

- ai sensi dell’art. 6 delle norme di attuazione della zona D approvate con delibera del C.C. n. 146 del 15/11/1980, nei lotti è consentita l’edificazione di edifici di abitazione nella misura massima del 20% del volume edificabile per il personale addetto alla vigilanza, alla manutenzione o ai servizi di emergenza. È consentito, in deroga al limite del 20%, il raggiungimento, comunque, del volume di 350 mc oltre a 80 mc per ogni componente del nucleo familiare della persona che usufruisce dell’alloggio oltre i primi quattro”;

- nell'ambito del vigente Piano Territoriale Paesistico, approvato con D.M. 04/09/2000, l'area oggetto dell’intervento è ubicata nella zona R.U.A. (zona di recupero urbanistico edilizio e di restauro paesistico ambientale), zona nella quale l'attività edilizia, oltre a rispettare gli indici ed i parametri urbanistici di cui al vigente Programma di Fabbricazione, è sottoposta all'osservanza delle norme di tutela paesaggistica di cui all'art. 18 del predetto Piano Territoriale Paesistico, norme che al punto 3 sanciscono una serie di divieti e limitazioni mentre, al punto 4, elencano tutta una serie di interventi ammissibili;

- la normativa sancisce il rispetto dei punti di vista panoramici, il rispetto della geomorfologia e dell’andamento naturale del terreno nonché il rispetto delle caratteristiche tipologiche e compositive tradizionalmente connesse con le destinazioni funzionali dei manufatti ed il medesimo P.T.P. prescrive, inoltre, il limite di altezza delle nuove costruzioni in 10,00 m dal piano di campagna all’imposta della copertura a tetto;

- il lotto di terreno interessato dall’intervento è ubicato all’esterno:

a) della perimetrazione del Parco regionale del Matese di cui alla legge regionale 01/09/1993 e relativa delibera di attuazione n. 60 del 12/02/1999 (v. stralcio planimetrico in TAV. 1);

b) della perimetrazione del Piano Stralcio per l’Assetto idrogeologico - Rischio Frane adottato dall’Autorità di Bacino (v. stralcio planimetrico in TAV. 1);

- l’ambito di intervento è, altresì, collocato all’esterno della delimitazione del centro abitato ai sensi dell’art. 17 della legge 765/67 approvata con delibera della G.M. n. 526 del 28/11/1967;

- all’esterno del perimetro urbano approvato dalla Regione Campania – Assessorato all’Urbanistica- con delibera della G.R. n. 1158 del 28/02/1974;

- all’esterno della delimitazione del centro edificato ai sensi dell’art.18 della legge 865/71 approvata con delibera del C.C. n. 28 del 03/02/1978 resa esecutiva dal Co.Re.Co. nella seduta del 10/03/1978 prot. n. 1868;

- all’interno della delimitazione del centro abitato approvata con delibera del C.C. n. 29 del 22/02/1994 resa esecutiva dal Co.Re.Co. nella seduta del 31/03/1994 prot. n.1387/S;

- il progetto assentito otteneva la prescritta autorizzazione paesaggistica, non ricorrendo, nel caso di specie, particolari ragioni ostative, anche in considerazione della classificazione urbanistica e della posizione del lotto, collocato all’esterno del perimetro urbano e del centro edificato a condizione che: “a) il manto di copertura venisse realizzato con coppi e canali di argilla evitando la finitura antichizzata prevista in progetto; b) il rivestimento del muro di calcestruzzo armato fosse realizzato in pietra calcarea locale, posata in opera in conci regolari senza stilatura di giunti; la ringhiera metallica fosse tinteggiata di colore grigio antracita e le pareti in legno dei locali fossero intonacate”.

Date tali premesse e preso atto che, nonostante quanto da ultimo rilevato ed, inoltre, che, nel pieno corso della esecuzione degli interventi edilizi, legittimamente assentiti, il Comune di Piedimonte Matese, sulla base delle asserzioni del confinante, giammai compiutamente e concretamente, verificate ed accertate, con l’ordinanza dirigenziale n. 3 del 4.08.2021, ribadito che trattasi di opere realizzate eseguite in parziale difformità del permesso di costruire (art. 34 del d.P.R. 380 del 2001 e ss.mm.ii.) aveva intimato la sospensione dei lavori e contestualmente ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi per aver riscontrato in corso d’opera talune difformità ivi meglio descritte, Di Muccio Andrea, nella spiegata qualità, propone la formale impugnativa in epigrafe.

Con atto depositato in data 08.10.2021, la società M.P.T. Immobiliare - originariamente in giudizio quale controinteressata - è intervenuta in giudizio ad opponendum, ritenendo lesiva della sua proprietà l’attività edilizia posta in essere dalla ricorrente, che aveva inciso (invadendola con un diverso e consistente aggetto) sulla colonna d’aria sovrastante il terreno di proprietà della M.P.T., creando non pochi pericoli per la sicurezza del sottostante autolavaggio e, quindi, per la privata e pubblica incolumità; pertanto legittimamente il Comune avrebbe intimato il ripristino dello stato dei luoghi, e conseguentemente chiedendo il rigetto del ricorso, sì come inammissibile, improcedibile ed infondato e fatta salva ogni altra tutela innanzi al giudice ordinario.

Con l’ordinanza in epigrafe questa Sezione ha accolto l’istanza cautelare.

Alla pubblica udienza del 27 aprile 2022 il ricorso è stato ritenuto in decisione.

DIRITTO

In rito va esaminata l’eccezione sollevata dal ricorrente di irricevibilità dell’atto di costituzione della Soc. MPT sulla base dell’asserita titolarità di un contro-interesse processualmente rilevante.

L’eccezione va accolta tant’è che la stessa MPT, con atto di intervento ad opponendum, notificato alle ore 23.00 dell’ultimo giorno utile, muta la qualificazione di soggetto titolare di una posizione di contro interesse processualmente rilevante a quello di mero interventore.

Sul punto l’originaria controinteressata, poi, interveniente in giudizio, fa discendere dal rapporto di vicinorietà e dalla circostanza di aver formulato un’istanza di accesso agli atti e compulsato l’azione repressivo sanzionatoria, una posizione di contro interesse processualmente rilevante.

Inoltre, nel merito, sostiene che l’addebito in capo al Di Muccio per l’abuso commesso trova(va) ulteriore conferma anche nella perizia tecnica redatta dal geom. Z. che esaltava, altresì, l’elusione da parte del Di Muccio delle prescrizioni sovrintendentizie. Come rimarcato nell’allegata relazione peritale atteso che il parere espresso dalla Soprintendenza riportato nella Autorizzazione Paesaggistica prot. 2871A.T. 14835/46 del 18/11/2015 specificava che: “il manto di copertura sia realizzato con coppi o canali di argilla, evitando la finitura anticata prevista dal progetto”. Tale parere sarebbe in linea con quanto disposto dall’art 7 “Norme e disposizioni generali per tutte le zone” delle Norme di Attuazione del Piano Territoriale Paesistico del Matese con la conseguenza che il mancato rispetto della prescrizione imposta dalla Soprintendenza confluito nel successivo provvedimento di Autorizzazione Paesaggistica costituirebbe una difformità sostanziale rispetto alla norma stabilita dal piano particolareggiato sovracomunale impositivo del vincolo paesaggistico sull’area di intervento

Tuttavia, in contrario ed in linea con le più recenti acquisizioni giurisprudenziali, il riconoscimento della qualifica di controinteressato in senso tecnico (ossia di litisconsorte necessario) è subordinato alla sussistenza di due elementi: uno di carattere formale ossia, ai sensi dell’art. 41 c.p.a., la sua espressa menzione nel provvedimento impugnato; ed uno sostanziale, ossia la titolarità di un interesse qualificato alla conservazione del provvedimento impugnato.

Con particolare riferimento all'impugnativa dell'ordine di demolizione, va considerato che di norma nell'impugnazione di un'ordinanza di demolizione non sono configurabili controinteressati nei confronti dei quali sia necessario instaurare un contraddittorio, anche nel caso in cui sia palese la posizione di vantaggio che scaturirebbe per il terzo dall'esecuzione della misura repressiva ed anche quando il terzo avesse provveduto a segnalare all'amministrazione l'illecito edilizio da altri commesso.

Ora nel caso di specie, difetta anzitutto il requisito formale della espressa menzione nel provvedimento gravata della parte che rivendica la posizione di contro interesse processualmente rilevante; ma difetta altresì il requisito sostanziale pure dell’eventuale vantaggio che deriverebbe dalla conservazione del provvedimento impugnato.

E sotto tale profilo di indagine è sufficiente avere riguardo alle contestazioni che l’amministrazione procedente ha mosso nei confronti della parte ricorrente.

Il fatto che le opere oggetto di ripristino non si pongano anche in violazione del diritto di proprietà del terzo trova immediato riscontro negli atti impugnati, laddove si evidenziano una pluralità di rilievi di ordine essenzialmente edilizio ed urbanistico ( il ripristino è stato ordinato illegittimamente per la modifica della distribuzione interna degli spazi, per il diverso posizionamento delle finestre, per la sussistenza di un cornicione che non viene neppure correlata alla possibile violazione di diritti dei terzi nonché alla diversa copertura realizzata e non ultimata rispetto all’autorizzazione paesaggistica, tutte valutazioni che non pongono in rilievo alcuna potenziale violazione del diritto di proprietà del terzo).

Peraltro, pur volendo esaminare un profilo che esorbita dalla sfera di cognizione del Giudice Amministrativo, se non nei limiti di una palese (non ricorrente nel caso di specie) violazione delle prescrizioni edilizie ed urbanistiche, come già diffusamente evidenziato nel ricorso introduttivo, pure la realizzazione del cornicione non contemplato nel progetto assentito, non configura alcun pregiudizio all’integrità del diritto di terzi, comunque tutelabile.

Al riguardo, rientrano nel concetto civilistico di costruzioni, le parti dell'edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d. aggettanti) che, se pur non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato.

Nel caso di specie, la realizzazione di un cornicione avente funzione meramente ornamentale non appare incidere sull’assetto territoriale e paesaggistico in cui si inserisce l’intervento (tenuto conto anche della destinazione - zona industriale -) .

Analoghe considerazioni valgono in ordine alla contestata realizzazione di vedute illegittime.

Anzitutto va osservato che i lavori in questione, come evidenziato, non sono ultimati, per cui ogni valutazione definitiva sulla sussistenza o meno di illegittimità va compiuta ad ultimazione delle opere.

Trattasi poi di profili esorbitanti dalla sfera di cognizione del Giudice Amministrativo.

E ciò anche a prescindere dalla circostanza, non dirimente, rappresentata dalla ricorrente e cioè che sul lotto confinante risultano essere realizzati interventi abusivi sanzionati da un’ordinanza di demolizione giammai ottemperata.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte deve pertanto ritenersi assolutamente inconferente la dedotta eccezione.

Pertanto, al di là del conclamato generico interesse al rispetto della legalità, atteso che l’interesse che muove la MPT alla eliminazione delle opere contestate afferisce alla sfera civilistica dei rapporti, la sua costituzione in qualità di terzo interveniente non è ammissibile.

Ciò posto, nel merito, il ricorso è fondato nei termini di cui appresso.

Con l’unica articolata censura è dedotta la violazione di legge (art. 34 bis d.P.R. 380/2001; art. 22 d.P.R 380/2001; art. 2 d.P.R. 31/2017 Allegato A), oltre alla insussistenza dei presupposti, al difetto di istruttoria e motivazione, alla irragionevolezza ed illogicità dell’azione amministrativa, al riguardo - preso atto che il provvedimento gravato risulta essere essenzialmente basato sulla riscontrata lievi difformità degli interventi edilizi - peraltro non ancora ultimati - rispetto al titolo edilizio ed all’autorizzazione paesaggistica già rilasciati - rilevandosi che:

- come si evince dal contenuto della stessa determinazione amministrativa sottoposta allo scrutinio di legittimità, risulta per tabulas che gli interventi edilizi, oggetto di contestazione, non fossero, al momento, come non lo sono, allo stato, ancora ultimati, come risulta, altrettanto pacifico ed incontestabile che il titolo edilizio rilasciato fosse e sia tuttora valido ed efficace e che, pertanto, tutti i rilievi mossi, a carico della parte ricorrente, riguardino opere non ancora ultimate;

- rispetto a tali interventi, tuttavia, l’amministrazione resistente ha ritenuto che le difformità riscontrate legittimassero l’adozione di un provvedimento di sospensione e repressivo sanzionatorio addirittura reale, senza operare alcuna valutazione sulla effettiva consistenza e sulla rilevanza ai fini della determinazione assunta, sul punto essendo anzitutto opportuno soffermarsi, preliminarmente, sulla effettiva consistenza e natura degli interventi edilizi che l’amministrazione resistente ha ritenuto non solo di sospendere ma addirittura di sanzionare con l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi;

- dato per pacifico che gli interventi edilizi non risultavano e non risultano essere ultimati, trattasi di opere che per natura non sono inidonee: a) ad incidere sui parametri urbanistici e sulle volumetrie assentite; b) a modificare la destinazione d'uso e la categoria edilizia; c) ad alterare la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42/2004 (non ricorrendo né l’una né l’altra delle due condizioni); d) a violare le prescrizioni eventualmente contenute nel permesso di costruire (peraltro non oggetto di contestazione, non fosse altro per insussistenza dei presupposti);

- in sostanza, l’intervento edilizio in corso d’opera risulta essere pienamente conforme, fatta eccezione per le modifiche irrilevanti di lieve entità, al progetto assentito ed all’autorizzazione paesaggistica rilasciata, contenente le sole prescrizioni sopra riportate;

- lo stesso dicasi per la contestazione relativa alla diversa distribuzione degli spazi della porzione di piano terra destinata ad attività produttiva e concessa in locazione, che in ragione del regime autorizzativo cui è subordinata (mera CIL - comunicazione di inizio lavori), non era e non può essere assoggettata alla misura repressivo sanzionatoria reale;

- ed infatti la diversa distribuzione degli ambienti interni mediante eliminazione e spostamenti di tramezzature, purché (come nel caso di specie) non interessi le parti strutturali dell’edificio, costituisce attività di manutenzione straordinaria soggetta al semplice regime della comunicazione di inizio lavori, originariamente in forza dell’art. 6, comma 2, ed ora dell’art. 6 bis del d. p. r. n. 380/01, che disciplina gli interventi subordinati a c.i.l.a, con la conseguenza che l’omessa comunicazione non può giustificare l’irrogazione della sanzione demolitoria che presuppone il dato formale della realizzazione dell’opera senza il prescritto titolo abilitativo;

- quando invece questo stesso intervento interessi parti strutturali del fabbricato, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. a), del d. p. r. n. 380/2001, la disciplina applicabile è quella della segnalazione certificata di inizio attività, la cui mancanza comporta, parimenti, l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria;

- ora, sulla base della premessa sopra svolta, che trova pacifico riscontro nelle emergenze istruttorie, laddove la descrizione delle opere contestate è di per sé sufficiente a disvelare la effettiva entità degli interventi eseguiti in difformità, deve pacificamente escludersi la configurabilità, nel caso di specie, di variazioni essenziali o che assumano una qualsivoglia rilevanza sotto il profilo urbanistico, come pure sotto il profilo della compatibilità paesaggistica;

- ciò conduce anzitutto a ritenere che si tratta di quegli scostamenti dai parametri autorizzati de minimis, cioè di misura talmente contenuta da non potere essere considerati un illecito edilizio, a tal riguardo, sicuro rilievo assumendo il richiamo alla prescrizione normativa di cui all’art. art. 34 bis, comma 1, DPR 380/2001 secondo cui “il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo”;

- la disposizione conferma che la discordanza tra quanto realizzato e quanto evidenziato dal titolo abilitativo, se contenuta nella misura del 2%, come già precedentemente evidenziato, non comporta abuso e contiene altresì un elemento di novità, in quanto, la tolleranza può riguardare oltre alle altezze, distanze, volumetrie, superfici anche ‘ogni altro parametro’, riferimento che deve intendersi rivolto ad ogni altra prescrizione cui devono attenersi le ‘singole unità immobiliari’;

- con il secondo comma dell’art. 34 bis è stato inserito il concetto di tolleranza esecutiva per irregolarità geometriche, collocazione di impianti e opere interne, modifiche di finiture di minima entità. Infatti, la norma dispone che, “fuori dei casi di cui al comma 1, con riguardo agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, sono da considerare tolleranze esecutive le irregolarità geometriche (dimensioni finestre, balconi, sporti di gronda, fuori squadro, etc.”;

- ora è fuor di dubbio che la mera irrilevante alterazione, in fase peraltro di esecuzione degli interventi, delle dimensioni di una o più finestre, come pure degli spazi interni, non sia suscettibile ( per l’assoluta inconsistenza ) neppure di essere computata ai fini del calcolo di quella soglia del 2%, normativamente prescritta che addirittura consente di incidere su parametri ben più rilevanti di quelli cui invece sicuramente non sono destinate ad incidere le opere in questione;

- le considerazioni sopra svolte assumono rilevanza anche sotto il profilo della compatibilità paesaggistica, laddove se è vero come è vero che l’intervento ex novo in corso di realizzazione necessitava della preventiva valutazione di impatto da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, è altrettanto vero che la tipologia delle opere in contestazione è tale da escludere che le stesse siano assoggettabili in astratto come in concreto, all’acquisizione di un nuovo parere;

- invero, la tolleranza del 2 per cento delle misure progettuali, già presente in campo edilizio (articolo 34 del Dpr 380 del 2001) è stata estesa anche all’ambito paesaggistico in quanto a prevederlo è il Dpr 31 del 13 febbraio 2017, che ha individuato gli interventi (in tutto 31) da escludere dall'autorizzazione paesaggistica ed altri da sottoporre alla procedura semplificata;

- secondo la novità introdotta nel nuovo regolamento, non sono da considerare abusivi dal punto di vista paesaggistico, le opere e gli interventi edilizi che, dotati del relativo nulla osta del soprintendente, siano stati realizzati discostandosi - entro il limite del 2 per cento - dalle misure previste nel progetto autorizzato ai fini paesaggistici e relative a cinque parametri: altezza, distacchi, cubatura, superficie coperta o traslazioni dell'area di sedime;

- la novità relativa alla tolleranza del 2 per cento è contenuta nell'allegato A al DPR richiamato, al punto A.31; sigla che indica l'ultima voce dell'elenco degli interventi realizzabili senza autorizzazione paesaggistica;

- dunque, gli interventi edilizi in questione non necessitavano e non necessitano neppure di ulteriore nulla osta paesaggistico trattandosi pacificamente (già solo tenendo solo conto della descrizione risultante dal provvedimento sanzionatorio gravato) di «opere e interventi edilizi eseguiti in variante a progetti autorizzati ai fini paesaggistici che non eccedono il due per cento delle misure progettuali quanto ad altezza, distacchi, cubatura, superficie coperta o traslazioni dell'area di sedime;

- ad ogni buon, e fermo restando quanto innanzi dedotto e rilevato, pure a voler escludere la riconducibilità delle modifiche contestate alle ipotesi contemplate dalle prescrizioni normative e regolamentari sopra richiamate, gli interventi eseguiti e contestati, sarebbero tutt’al più riconducibili alla fattispecie contemplata dall’art. 22 DPR 380/2001 e segnatamente dal comma 2, atteso che la citata prescrizione normativa consente la possibilità di dare corso alle opere in difformità dal permesso di costruire e poi regolarizzarle entro la fine dei lavori (secondo lo schema già previsto dall’art. 15 della legge n. 47/1985);

- nello specifico il comma 2 e il comma 2 bis dell’art. 22 del T.U. n. 380/2001, introdotto dal D.L. n. 133/2014, (quest’ultimo ha peraltro ampliato la casistica delle varianti attuabili in corso d’opera mediante una semplice SCIA da comunicare nella fase di fine lavori), ha individuato tali variazioni in quelle che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la

destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ha altresì previsto che “ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini dell’agibilità, tali segnalazioni certificate di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso

di costruzione dell’intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori (art. 22 comma 2 TUE);

- lo stesso dicasi per le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l’acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore (art. 22 comma 2-bis TUE);

- le considerazioni sopra svolte conducono pertanto a ritenere escluso che l’amministrazione potesse legittimamente esercitare un potere repressivo sanzionatorio, non fosse altro per l’assoluta insussistenza dei presupposti e ciò vale anche sotto il profilo della compatibilità paesaggistica atteso che, sempre a mente del citato art. 2 DPR 317/2016 sono escluse dalla preventiva acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica “A.1 Opere interne che non alterano l'aspetto esteriore degli edifici, comunque denominate ai fini urbanistico-edilizi, anche ove comportanti mutamento della destinazione d'uso; A.2. interventi sui prospetti o sulle coperture degli edifici, purché eseguiti nel rispetto degli eventuali piani del colore vigenti nel comune e delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti, quali: rifacimento di intonaci, tinteggiature, rivestimenti esterni o manti di copertura; opere di manutenzione di balconi, terrazze o scale esterne; integrazione o sostituzione di vetrine e dispositivi di protezione delle attività economiche, di finiture esterne o manufatti quali infissi, cornici, parapetti, lattonerie, lucernari, comignoli e simili; interventi di coibentazione volti a migliorare l'efficienza energetica degli edifici che non comportino la realizzazione di elementi o manufatti emergenti dalla sagoma, ivi compresi quelli eseguiti sulle falde di copertura. Alle medesime condizioni non e' altresì soggetta ad autorizzazione la realizzazione o la modifica di aperture esterne o di finestre a tetto, purche' tali interventi non interessino i beni vincolati ai sensi del Codice, art. 136, comma 1, lettere a), b) e c) limitatamente, per quest'ultima, agli immobili di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l'edilizia rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici;

- ora, ritenuta pacificamente esclusa la rilevanza sotto il profilo dell’interesse storico – architettonico del manufatto in questione (trattandosi di opificio industriale con annesso alloggio), è evidente che la categoria di interventi in questione rientri a pieno titolo nell’ambito di applicazione della prescrizione testé richiamata;

- allo stesso modo deve considerarsi la realizzazione del cornicione di circa 40 cm di sporgenza che non è annoverabile neppure tra le modifiche alla sagoma . In ogni caso tale intervento sarebbe anch’esso pacificamente riconducibile a quelli contemplati al punto A2 del D.P.R. 31/2017 (e quindi essere escluso dalla necessità di richiedere l’autorizzazione paesaggistica) atteso che rispetta i seguenti requisiti ovvero che non sono stati realizzati elementi o manufatti emergenti dalla sagoma;

- sono rispettate le caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture previste in progetto.

- la definizione tecnica di “sagoma” di un edificio è chiaramente contenuta nell’Int. Conf. Unif. 20/10/2016, n. 125/CU, punto 18 dell’allegato A, secondo cui la sagoma è la conformazione planivolumetrica della costruzione fuori terra nel suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali, nonché gli aggetti e gli sporti superiori a 1,50 m.;

- alla luce pure della definizione rinvenibile nel citato punto 18 Allegato A, la realizzazione di un cornicione ornamentale di circa 40 cm di sporgenza, non può certo annoverarsi tra gli interventi idonei a modificare la sagoma e, ad ogni buon conto, pure a voler ritenere idoneo ad alterare la sagoma oggetto del manufatto oggetto di autorizzazione, esso va ricompreso sempre tra le opere per le quali non è richiesta l’autorizzazione paesaggistica, non rilevando neppure ai fini della distanza;

- conducono altresì a ritenere che tutta l’istruttoria sia stata basata su valutazioni sommarie e/o pressoché approssimative, fondate esclusivamente su rilievi presuntivi, desunti dalla segnalazione di un privato peraltro autore di reiterati e ben più gravi illeciti edilizi non sanzionati, volta quasi a dirimere sul nascere una questione, per doglianze infondate e pretestuose, -che neppure sotto il profilo civilistico assumono rilevanza;

- ed infatti, pur andando oltre i confini dell’indagine sulla questione sottoposta allo scrutinio di legittimità, per la richiamata costante giurisprudenza del Consiglio di Stato “in tema di distanze legali tra edifici o dal confine, mentre non sono a tal fine computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, di finitura od accessoria di limitata entità, come le mensole, le lesene, i cornicioni, le grondaie e simili, invece, rientrano nel concetto civilistico di costruzioni, le parti dell'edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d. aggettanti) che, se pur non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato;

- nella specie, la realizzazione di un cornicione avente funzione meramente ornamentale oltre a non incidere sull’assetto territoriale e paesaggistico in cui si inserisce l’intervento ( tenuto conto anche della destinazione - zona industriale -) non assume rilevanza alcuna neppure ai fini del computo delle distanze dal confine o da altri manufatti limitrofi;

- a ben vedere, in disparte la insufficiente e indeterminata contestazione delle lievi difformità che hanno dato impulso all’esercizio del potere repressivo sanzionatorio, appare evidente come il provvedimento gravato, oltre a basarsi su presupposti insussistenti, si appalesa irragionevole, sproporzionato, disancorato da qualsivoglia valutazione, in concreto della effettiva entità e quindi della rilevanza delle variazioni eseguite;

- in quanto poi alla contestata omessa realizzazione della copertura secondo le prescrizioni indicate ( tegole in terracotta), anch’essa è fuori contesto ; non fosse altro che i lavori assentiti sono stati sospesi nella loro piena esecuzione, ovvero non ancora ultimati, per modo che ogni valutazione circa la conformità o meno al progetto assentito, a meno che non si trattasse di variazioni chiaramente preordinate a realizzare un intervento sostanzialmente diverso da quello autorizzato, andava come va fatta a posteriori, ad avvenuta comunicazione di ultimazione delle opere.

La prospettazione di parte ricorrente merita condivisione.

Si premette che le difformità parzialmente riscontrate rispetto al permesso di costruire in variante n. 455/T.A./3662 del 08.03.206, relativo al “Progetto per l’esecuzione di lavori di ampliamento in un fabbricato destinato ad uso produttivo, con annesso alloggio del custode” consistono:

nella diversa distribuzione interna degli spazi nonché nella lieve alterazione delle dimensioni e posizionamento di alcune aperture (finestre) ed ancora dalla realizzazione di un (modesto) cornicione (ornamentale) sul perimetro del manufatto all’altezza del piano di calpestio della edificando porzione. e dalla asserita diversa tipologia di copertura all’estradosso del solaio di copertura, del manto in cocci e canali di argilla che allo stato del sopralluogo non era come non risulta essere ultimato.

Ulteriore premessa a farsi è che a più riprese parte ricorrente lamenta che le contestazioni mosse dal Comune sono da riferire ad interventi tuttora in corso d’opera.

Il rilievo è concludente perché dimostra come l’Amministrazione comunale si sia attivata per la tutela anticipata degli interessi paesaggistici, in relazione ad una loro lesione, allo stato, solo potenziale.

Orbene, se quanto appena rilevato può ritenersi sufficiente per emanare un ordine di sospensione e contestuale ingiunzione alla rimozione delle predette opere (pareti divisori aperture e luci, copertura estradosso del solaio etc..), tuttavia, nel caso di specie - come fondatamente dedotto dal ricorrente - è avvenuto senza esperire un’adeguata attività istruttoria, peraltro attivata a seguito della mera segnalazione di un confinante.

Osserva il Collegio che l’intimato Comune di Piedimonte Matese ha emesso un dispositivo recante ordine sospensione dei lavori e riduzione in pristino di quanto realizzato rispetto a quanto assentito con il permesso di costruire in variante, nonostante la inesistenza dei presupposti legittimanti per emanare una siffatta determinazione che appare in contrasto con le premesse del provvedimento laddove si richiama il presupposto della difformità parziale col permesso di costruire, difformità che, invece, avrebbe dovuto condurre ad un dispositivo compatibile con la conservazione delle predette opere. Ciò trova conferma nella medesima ordinanza impugnata laddove nelle premesse si richiama l’art. 34 del d.P.R. 380 del 2001, salvo poi ad adottare una decisione radicale di eliminazione dell’opera che appare consona unicamente ad una difformità totale, tale da integrare un aliud pro alio.

In realtà, il comune di Piedimonte Matese nell’ambito di un controllo sul titolo e sulla attività

edilizia posta in essere dal Di Muccio, su sollecitazione della confinante proprietà M.P.T. con atto stragiudiziale del 22.7.2021, perveniva all’adozione della Ord.za di ripristino dello stato dei luoghi n. 3 del 4.8.2021 del seguente tenore:

“Oggetto: ordinanza di rimessa in pristino dello stato dei luoghi per realizzazione di opere in parziale difformità del permesso di costruire immobili siti in Piedimonte Matese alla via Strada Provinciale 331 (tratto urbano) riportato in catasto al Fg. 19 p.lla 5074 e 5471 (ex 5077)”.

Il Responsabile del Settore Urbanistica del Comune di Piedimonte Matese ha ordinato la sospensione dei lavori e la riduzione in pristino dello stato dei luoghi:

“Visto il verbale del 03.08.2021 prot. 12266, redatto a seguito dei sopralluoghi effettuati in data 27.07.2021 dal sottoscritto congiuntamente con il Comandante della Polizia Municipale, dai quali si evince che, in Piedimonte Matese, alla via Strada provinciale 331, è stata accertata l’esecuzione di opere eseguite in parziale difformità al permesso di costruire in variante n. 455/T.A./3662 del 08.03.206, relativo al “Progetto per l’esecuzione di lavori di ampliamento in un fabbricato destinato ad uso produttivo, con annesso alloggio del custode”, (…….).

Dato atto che agli atti del comune risultano i seguenti titoli urbanistici.

Ribadito che trattasi di opere realizzate eseguite in parziale difformità del permesso di costruire (Art. 34 d.P.r. 380/2001 e s.m.i.)”.

In via assolutamente prioritaria deve rilevarsi che, nessuna delle suddette difformità, isolatamente considerate o anche riguardate nel loro complesso, in punto di fatto, è tale da dar luogo a difformità totale, mentre, in punto di diritto, il Comune predetto, oltre a non tener conto della normativa paesaggistica locale compatibile con l’Intervento mostra di non tener conto dell’evoluzione normativa di cui si dà conto nel medesimo ricorso richiamandosi i commi aggiunti all’art. 34 proprio per meglio disciplinare e rapportare in concreto le condizioni di non piena compatibilità paesaggistica di determinati interventi a fronte della alternativa sproporzionata e manifestamente illogica della radicale eliminazione delle opere.

In sostanza, il Legislatore, al fine di dissipare dubbi ed incertezze in relazione a situazioni che, in quanto collocate a confine tra la compatibilità e non compatibilità paesaggistica potevano indurre a far ritenere la necessità di uno specifico titolo abilitativo paesaggistico.

Appare dunque profilarsi il vizio di difetto assoluto di istruttoria e di motivazione per non avere il Comune di Piedimonte Matese indicato nell’Ordinanza di demolizione secondo quale articolo del D.P.R. 380/2001 la fattispecie normativa nella quale inquadrare la sanzione demolitoria. Le fattispecie contemplate dall’art. 31 (al quale sembra ispirato il dispositivo, come legittimanti la sanzione demolitoria sono infatti costituite dagli abusi edilizi connotati da maggior gravità, e segnatamente: assenza di permesso di costruire, totale difformità da esso, variazione essenziale (descritta al successivo art. 32, D.P.R. 380/2001) rispetto al titolo edilizio. La demolizione prevista dall’art. 34 (richiamato genericamente nella parte motiva dell’ordinanza) consegue invece al più lieve abuso costituito, alla parziale difformità dal permesso di costruire. In questo caso il titolo edilizio è stato rilasciato, ma il titolare avrebbe realizzato un’opera diversa rispetto a quella assentita, senza tuttavia porre in essere difformità talmente gravi da potersi qualificare come essenziali ai sensi dell’art. 32, D.P.R. 380/2001. Nel caso dell’art. 34, si può ovviare alla demolizione, nel caso in cui essa risulti pregiudizievole per le porzioni immobiliari legittimamente realizzate, mediante irrogazione con una sanzione pecuniaria.

In ogni caso per essa non opera la previsione dell’acquisizione al patrimonio dell’ente comunale. Sulla base di quanto sopra risulta dunque essenziale, secondo consolidata giurisprudenza, che la P.A., nell’irrogare la sanzione demolitoria, individui quale sia la fattispecie normativa nella quale essa deve essere inquadrata. Sussiste pertanto l’obbligo, per la P.A., di qualificare l’abuso e indicare il regime sanzionatorio applicato, non potendosi assolvere a tale onere ex post, magari in sede processuale, l'inosservanza dello stesso ha come conseguenza l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio adottato. Nel caso di specie, la P.A. nell’ordinanza non precisava se la demolizione delle opere fosse disposta ai sensi dell’art. 31 o invece dell’art. 34, D.P.R. 380/2001, né indicava quale fossero le ragioni, di fatto e di diritto, poste a fondamento del provvedimento, limitandosi a enumerare le opere da rimuovere. Da ciò la giurisprudenza ha fatto derivare il non assolvimento dell’onere di motivazione gravante sull’Amministrazione procedente ai sensi dell’art. 3, L. 241/1990. Ed infatti "l'obbligo di motivazione - normalmente attenuato nei casi di atti dovuti ed a contenuto vincolato - si riespande quando la sola descrizione degli abusi accertati non rifletta di per sé l'illecito contestato, occorrendo, in siffatte evenienze, in aggiunta ad una descrizione materiale delle opere accertate, una qualificazione giuridica dell'intervento abusivo, onde consentirne la sussunzione in una delle diverse, e tra loro alternative, fattispecie incriminatici e nella corrispondente sanzione".

Occorre precisare che nel caso di specie, come innanzi detto, trattasi di difformità parziale, peraltro di piccole dimensioni. Ed invero la giurisprudenza precisa che in punto di difformità totale si verifica allorché si realizzi un "aliud pro alio" rispetto alla costruzione progettata e cioè qualora siano ravvisabili opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità oltre che sul piano costruttivo anche su quello della valutazione economico-sociale. Difatti, l'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 considera interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire (o concessione edilizia) "quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche, o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile". Al contrario, il concetto di difformità parziale (cfr. art. 34 del d.P.R. N. 380/2001) si riferisce ad ipotesi tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. VIII, 4 luglio 2013 n. 3472; TAR Calabria Catanzaro, Sez. II, 9 giugno 2010 n. 1067). Orbene, la difformità riscontrata nella specie dall'amministrazione comunale con riguardo agli atti impugnati, esula sia dalla nozione di totale difformità sia da quella di variazione essenziale. Infatti, la modifica costruttiva ha comportato un contenuto aumento planivolumetrico della consistenza dell'unità immobiliare come originariamente progettata, senza dare luogo a nuovi organismi edilizi autonomamente utilizzabili. Discende da quanto esposto che è impropria ed erronea l'irrogazione della sanzione demolitoria ex art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, rientrando l'odierna fattispecie non nel novero degli interventi edilizi realizzati in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire/concessione edilizia, ma piuttosto eventualmente nella categoria delle opere edilizie eseguite in parziale difformità dal titolo abilitativo, con conseguente diverso corredo sanzionatorio ai sensi dell'art. 34 cit. E’ utile riportare il testo del ripetuto art. 34 del d.P.R. n. 380/2001 e cioè: “Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.” Orbene, dalla disposizione emerge che ai fini dell'applicazione della sanzione amministrativa della demolizione occorre che le opere oggetto di contestazione siano come nel caso solo parzialmente difformi dal titolo abilitativo, e peraltro non per quelle regolarmente già in precedenza esistenti e/o assentite.

In sostanza le “Tolleranze costruttive” di cui all’art. 34 bis sono dovute ad esigenze o necessità tecniche (forse neppure facilmente prevedibili in anticipo in sede di progettazione proprie della fase realizzativa dell’intervento alle quali dovrebbe restare estraneo ogni intento violativo o elusivo della normativa paesaggistico-ambientale).

1. Il mancato rispetto dell'altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unita' immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo.

2. Fuori dai casi di cui al comma 1, limitatamente agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, costituiscono inoltre tolleranze esecutive le irregolarita' geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entita', nonche' la diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante i lavori per l'attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l'agibilita' dell'immobile.

3. Le tolleranze esecutive di cui ai commi 1 e 2 realizzate nel corso di precedenti interventi edilizi, non costituendo violazioni edilizie, sono dichiarate dal tecnico abilitato, ai fini dell'attestazione dello stato legittimo degli immobili, nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti aventi per oggetto trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali.

Pertanto può fondatamente ritenersi che l’intervento edilizio in corso d’opera risulta essere conforme, fatta eccezione per le modifiche irrilevanti di lieve entità, al progetto assentito ed all’autorizzazione paesaggistica rilasciata, contenente le sole prescrizioni sopra riportate.

Lo stesso dicasi per la contestazione relativa alla diversa distribuzione degli spazi della porzione di piano terra destinata ad attività produttiva e concessa in locazione, che in ragione del regime autorizzativo cui è subordinata (mera comunicazione di inizio lavori), non era e non può essere assoggettata alla misura repressivo sanzionatoria reale.

Ed infatti la diversa distribuzione degli ambienti interni mediante eliminazione e spostamenti di tramezzature, purché (come nel caso di specie) non interessi le parti strutturali dell’edificio, costituisce attività di manutenzione straordinaria soggetta al semplice regime della comunicazione di inizio lavori, originariamente in forza dell’art. 6, comma 2, ed ora dell’art. 6 bis del d. p. r. n. 380/01, che disciplina gli interventi subordinati a c.i.l.a. Con la conseguenza che l’omessa comunicazione non può giustificare l’irrogazione della sanzione demolitoria che presuppone il dato formale della realizzazione dell’opera senza il prescritto titolo abilitativo.

Quando invece questo stesso intervento interessi parti strutturali del fabbricato, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. a), del d. p. r. n. 380/2001, la disciplina applicabile è quella della segnalazione certificata di inizio attività, la cui mancanza comporta, parimenti, l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria.

Ora, sulla base della premessa sopra svolta, che trova pacifico riscontro nelle emergenze istruttorie, laddove la descrizione delle opere contestate è di per sé sufficiente a disvelare la effettiva entità degli interventi eseguiti in difformità, deve pacificamente escludersi la configurabilità, nel caso di specie, di variazioni essenziali o che assumano una qualsivoglia rilevanza sotto il profilo urbanistico come pure sotto il profilo della compatibilità paesaggistica.

Ciò conduce anzitutto a ritenere che si tratta di quegli scostamenti dai parametri autorizzati di misura talmente contenuta da non potere essere considerati un illecito edilizio.

A tale riguardo, sicuro rilievo assume il richiamo alla prescrizione normativa di cui all’art. art. 34 bis, comma 1, DPR 380/2001 secondo cui il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo. La disposizione conferma che la discordanza tra quanto realizzato e quanto evidenziato dal titolo abilitativo, se contenuta nella misura del 2%, come già precedentemente evidenziato, non comporta abuso.

Contiene altresì un elemento di novità, in quanto, la tolleranza può riguardare oltre alle altezze, distanze, volumetrie, superfici anche ‘ogni altro parametro’, riferimento che deve intendersi rivolto ad ogni altra prescrizione cui devono attenersi le ‘singole unità immobiliari’.

Con il secondo comma dell’art. 34 bis è stato inserito il concetto di tolleranza esecutiva per irregolarità geometriche, collocazione di impianti e opere interne, modifiche di finiture di minima entità. Infatti, la norma dispone che, fuori dei casi di cui al comma, con riguardo agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, sono da considerare tolleranze esecutive le irregolarità geometriche (dimensioni finestre, balconi, sporti di gronda, fuori squadro, etc..

Ora è fuor di dubbio che la mera irrilevante alterazione, in fase peraltro di esecuzione degli interventi, delle dimensioni di una o più finestre, come pure degli spazi interni, non sia suscettibile (per l’assoluta inconsistenza) neppure di essere computata ai fini del calcolo di quella soglia del 2%, normativamente prescritta che addirittura consente di incidere su parametri ben più rilevanti di quelli cui invece sicuramente non sono destinate ad incidere le opere in questione.

Le considerazioni sopra svolte assumono rilevanza anche sotto il profilo della compatibilità paesaggistica, laddove se è vero come è vero che l’intervento ex novo in corso di realizzazione necessitava della preventiva valutazione di impatto da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, è altrettanto vero che la tipologia delle opere in contestazione è tale da escludere che le stesse siano assoggettabili in astratto come in concreto, all’acquisizione di un nuovo parere.

Invero, la tolleranza del 2 per cento delle misure progettuali, già presente in campo edilizio (articolo 34 del Dpr 380 del 2001) è stata estesa anche all’ambito paesaggistico.

A prevederlo è il Dpr 31 del 13 febbraio 2017, che ha individuato gli interventi (in tutto 31) da escludere dall'autorizzazione paesaggistica ed altri da sottoporre alla procedura semplificata.

Secondo la novità introdotta nel nuovo regolamento, non sono da considerare abusivi dal punto di vista paesaggistico, le opere e gli interventi edilizi che, dotati del relativo nulla osta del soprintendente, siano stati realizzati discostandosi - entro il limite del 2 per cento - dalle misure previste nel progetto autorizzato ai fini paesaggistici e relative a cinque parametri: altezza, distacchi, cubatura, superficie coperta o traslazioni dell'area di sedime.

La novità relativa alla tolleranza del 2 per cento è contenuta nell'allegato A al DPR richiamato, al punto A.31; sigla che indica l'ultima voce dell'elenco degli interventi realizzabili senza autorizzazione paesaggistica.

Dunque, gli interventi edilizi in questione non necessitavano e non necessitano neppure di ulteriore nulla osta paesaggistico trattandosi pacificamente (già solo tenendo solo conto della descrizione risultante dal provvedimento sanzionatorio gravato) di opere e interventi edilizi eseguiti in variante a progetti autorizzati ai fini paesaggistici che non eccedono il due per cento delle misure progettuali quanto ad altezza, distacchi, cubatura, superficie coperta o traslazioni dell'area di sedime.

Ad ogni buon, e fermo restando quanto innanzi dedotto e rilevato, pure a voler escludere la riconducibilità delle modifiche contestate alle ipotesi contemplate dalle prescrizioni normative e regolamentari sopra richiamate, gli interventi eseguiti e contestati, sarebbero tutt’al più riconducibili alla fattispecie contemplata dall’art. 22 DPR 380/2001 e segnatamente dal comma 2.

La citata prescrizione normativa consente, infatti, la possibilità di dare corso alle opere in difformità dal permesso di costruire e poi regolarizzarle entro la fine dei lavori (secondo lo schema già previsto dall’art. 15 della legge n. 47/1985)

Nello specifico il comma 2 e il comma 2 bis dell’art. 22 del T.U. n. 380/2001, introdotto dal D.L. n. 133/2014, (quest’ultimo ha peraltro ampliato la casistica delle varianti attuabili in corso d’opera mediante una semplice SCIA da comunicare nella fase di fine lavori), ha individuato tali variazioni in quelle che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ha altresì previsto che “ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini dell’agibilità, tali segnalazioni certificate di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell’intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori” (art. 22 comma 2 TUE).

Lo stesso dicasi per le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l’acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore (art. 22 comma 2-bis TUE) Le considerazioni sopra svolte conducono pertanto a ritenere escluso che l’amministrazione potesse legittimamente esercitare un potere repressivo sanzionatorio, non fosse altro per l’assoluta insussistenza dei presupposti.

E ciò vale anche sotto il profilo della compatibilità paesaggistica atteso che, sempre a mente del citato art. 2 DPR 317/2016 sono escluse dalla preventiva acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica “A.1 Opere interne che non alterano l'aspetto esteriore degli edifici, comunque denominate ai fini urbanistico-edilizi, anche ove comportanti mutamento della destinazione d'uso; A.2. interventi sui prospetti o sulle coperture degli edifici, purché eseguiti nel rispetto degli eventuali piani del colore vigenti nel comune e delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti, quali: rifacimento di intonaci, tinteggiature, rivestimenti esterni o manti di copertura; opere di manutenzione di balconi, terrazze o scale esterne; integrazione o sostituzione di vetrine e dispositivi di protezione delle attività economiche, di finiture esterne o manufatti quali infissi, cornici, parapetti, lattonerie, lucernari, comignoli e simili; interventi di coibentazione volti a migliorare l'efficienza energetica degli edifici che non comportino la realizzazione di elementi o manufatti emergenti dalla sagoma, ivi compresi quelli eseguiti sulle falde di copertura. Alle medesime condizioni non e' altresì soggetta ad autorizzazione la realizzazione o la modifica di aperture esterne o di finestre a tetto, purche' tali interventi non interessino i beni vincolati ai sensi del Codice, art. 136, comma 1, lettere a), b) e c) limitatamente, per quest'ultima, agli immobili di interesse storicoarchitettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l'edilizia rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici.

Assunta per pacifica la irrilevanza, sotto il profilo dell’interesse storico – architettonico, del manufatto in questione (trattandosi di opificio industriale con annesso alloggio), è evidente che la categoria di interventi in questione rientri a pieno titolo nell’ambito di applicazione della prescrizione testé richiamata.

Allo stesso modo deve considerarsi la realizzazione del cornicione di circa 40 cm di sporgenza che non è annoverabile neppure tra le modifiche alla sagoma.

In ogni caso, tale intervento – in disparte i profili dedotti in ordine alla asserita rilevanza ai fini civilistici - sarebbe anch’esso pacificamente riconducibile a quelli contemplati al punto A2 del D.P.R. 31/2017 (e quindi escluso dalla necessità di richiedere l’autorizzazione paesaggistica) atteso che rispetta i seguenti requisiti, ovvero che non sono stati realizzati elementi o manufatti emergenti dalla sagoma; sono rispettate le caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture previste in progetto.

Tra l’altro contrariamente a quanto surrettiziamente argomentato da controparte, la definizione tecnica di “sagoma” di un edificio è chiaramente desumibile dal contenuto dell’Int. Conf. Unif. 20/10/2016, n. 125/CU, punto 18 dell’allegato A, secondo cui la sagoma è la conformazione planivolumetrica della costruzione fuori terra nel suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali, nonché gli aggetti e gli sporti superiori a 1,50 m.

Alla luce pure della definizione rinvenibile nel citato punto 18 Allegato A, la realizzazione di un cornicione ornamentale di circa 40 cm di sporgenza, non può certo annoverarsi tra gli interventi idonei a modificare la sagoma.

Ad ogni buon conto, pure a voler ritenere idoneo ad alterare la sagoma oggetto del manufatto oggetto di autorizzazione, esso va ricompreso sempre tra le opere per le quali non è richiesta l’autorizzazione paesaggistica, non rilevando neppure ai fini della distanza.

Ogni altra questione circa la sussistenza peraltro non ricorrente nel caso di specie, di ipotetiche servitù illegittime, come già ampiamente dedotto, non è questione rilevante in questa sede.

Per tutte le considerazioni svolte a sostegno del gravame conducono ad affermare altresì che tutta l’istruttoria sia stata basata su valutazioni sommarie e/o pressoché approssimative, fondate esclusivamente su rilievi presuntivi, desunti dalla segnalazione di un privato.

Ben vero, pur andando oltre i confini dell’indagine sulla questione sottoposta allo scrutinio di legittimità, per costante giurisprudenza del Consiglio di Stato “in tema di distanze legali tra edifici o dal confine, mentre non sono a tal fine computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, di finitura od accessoria di limitata entità, come le mensole, le lesene, i cornicioni, le grondaie e simili, invece, rientrano nel concetto civilistico di costruzioni, le parti dell'edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d. aggettanti) che, se pur non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato”.

Nel caso di specie, la realizzazione di un cornicione avente funzione ornamentale non incide sull’assetto territoriale e paesaggistico in cui si inserisce l’intervento (tenuto conto anche della destinazione - zona industriale -).

A ben vedere, in disparte la insufficiente e indeterminata contestazione delle lievi difformità che hanno dato impulso all’esercizio del potere repressivo sanzionatorio, appare evidente come il provvedimento gravato, oltre a basarsi su presupposti insussistenti, si appalesa irragionevole, sproporzionato, disancorato da qualsivoglia valutazione, in concreto della effettiva entità e quindi della rilevanza delle variazioni eseguite.

In quanto poi alla contestata omessa realizzazione della copertura secondo le prescrizioni indicate (tegole in terracotta), anch’essa era ed è fuori contesto; non fosse altro che i lavori assentiti sospesi e sanzionati, nel pieno corso della realizzazione, pacificamente non erano e non sono stati ancora ultimati.

Pertanto ogni valutazione circa la conformità o meno al progetto assentito, a meno che non si trattasse di variazioni chiaramente preordinate a realizzare un intervento sostanzialmente diverso da quello autorizzato, andava come va fatta a posteriori, ad avvenuta comunicazione di ultimazione delle opere.

In definitiva, preso atto che nella specie erano stati sanzionati con l’ordine di ripristino dello stato originario dei luoghi interventi de minimis che, alla stregua di una corretta applicazione della normativa paesaggistica di attuale vigenza non implicavano alcun vulnus ai valori ed agli interessi paesaggistici che la predetta normativa intendeva tutelare, nell’insussistenza dei presupposti legittimanti le sanzioni reali irrogate, il ricorso si appalesa fondato e va, quindi accolto, con il conseguente annullamento dell’ordinanza n. 3 del 4.08.2021, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione comunale.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone:

a) dichiara inammissibile l’atto di intervento ad opponendum di M.P.T. Immobiliare S.r.l.;

b) lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’ordinanza n. 3 del 4.08.2021 nei sensi di cui in motivazione;

c) condanna il Comune di Piedimonte Matese al pagamento in favore del ricorrente delle spese giudiziali, complessivamente quantificate in euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre oneri accessori, come per legge ed al rimborso del contributo unificato, se effettivamente assolto, con attribuzione in favore dei difensori del ricorrente dichiaratisi antistatari.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2022 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Gaudieri, Presidente

Vincenzo Cernese, Consigliere, Estensore

Paola Palmarini, Consigliere

 
   

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

Vincenzo Cernese

 

Francesco Gaudieri

 

   

 

   

 

   

 

   

 

   

IL SEGRETARIO