Giu Omessa pronuncia da parte del Giudice di primo grado su censure e motivi di impugnazione: applicazione dell'art. 112 c.p.a. al processo amministrativo
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III - SENTENZA 26 settembre 2022 N. 8299
Massima
L'omessa pronuncia, da parte del giudice di primo grado, su censure e motivi di impugnazione costituisce tipico errore di diritto per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, deducibile in sede di appello sotto il profilo della violazione del disposto di cui al citato art. 112 c.p.c. . Tale norma è applicabile al processo amministrativo con il correttivo secondo il quale l’omessa pronuncia su un vizio del provvedimento impugnato deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché essa può ritenersi sussistente soltanto nell'ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non quando, al contrario, la decisione sul motivo d'impugnazione risulti implicitamente da un'affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile

Testo della sentenza
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III - SENTENZA 26 settembre 2022 N. 8299

Pubblicato il 26/09/2022

N. 08299/2022REG.PROV.COLL.

N. 06156/2020 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6156 del 2020, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Elisabetta Costa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

il Ministero dell’Interno e la Questura di Padova, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12,

per la riforma

della sentenza, resa in forma semplificata, del Tar Veneto, sez. III, n.-OMISSIS-, con la quale è stato respinto il ricorso proposto avverso il decreto del Questore di Padova del 12 settembre 2019, che ha revocato il permesso ordinario di soggiorno per lavoro subordinato.

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Questura di Padova e del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie depositate dall’appellante;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 settembre 2022 il Cons. Giulia Ferrari e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

1. Con decreto del Questore di Padova del 12 settembre 2019 è stato revocato al signor -OMISSIS-, cittadino albanese, il permesso ordinario di soggiorno per lavoro subordinato a seguito di un giudizio di “pericolosità sociale”, reso per essere stato condannato, con sentenza del 14 maggio 2019, per reato in materia di stupefacenti - cocaina - alla pena di anni tre di reclusione ed € 12.000,00 di multa nonchè indagato per altro reato in materia di stupefacenti (cocaina), e per essere stato già emesso nei suoi confronti Avviso orale da parte del Questore.

2. Con ricorso proposto innanzi al Tar Veneto lo straniero ha impugnato tale provvedimento, deducendo l’illegittimità della revoca per violazione degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998 ed eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria in quanto, in buona sostanza, la Questura avrebbe desunto la pericolosità sociale dello straniero in via automatica dalla condanna riportata, senza invece aver effettuato una reale valutazione in concreto dell’attuale pericolosità sociale, imposta dalla presenza del nucleo familiare in Italia (madre, padre e moglie conviventi con l’appellante, nonché fratello), e senza aver dato adeguato rilievo alla lunga presenza in Italia, allo svolgimento di regolare attività lavorativa, alla proprietà di una abitazione, alla presenza e al radicamento in Italia di tutto il nucleo familiare.

3. Con sentenza n.-OMISSIS- il Tar Veneto ha rigettato il ricorso, confermando la legittimità dell’atto emesso dal Questore di Padova.

4. La citata sentenza n.-OMISSIS- è stata impugnata con appello notificato il 13 luglio 2019 e depositato il successivo 29 luglio, riproducendo sostanzialmente le censure non accolte in primo grado e ponendole in chiave critica rispetto alla sentenza avversata.

5. Il Ministero dell’Interno e la Questura di Padova si sono costituiti in giudizio senza espletare difese scritte.

6. Con ordinanza n. -OMISSIS- la Sezione ha respinto la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza del Tar Emilia Romagna, sede di Bologna, sez. I, n. -OMISSIS-

7. Con ordinanza -OMISSIS- la Sezione ha disposto incombenti istruttori onerando la Questura di Padova al deposito di una sintetica relazione di chiarimenti, volta a fornire aggiornate notizie in ordine alla situazione lavorativa, reddituale e familiare dell’appellante; nonché ogni ulteriore elemento utile ai fini della decisione. A fronte dell’inadempimento, l’incombente è stato reiterato con ordinanza n. -OMISSIS-.

8. All’udienza pubblica del 22 settembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Nonostante il reiterato inadempimento da parte della Questura di Padova l’appello può essere deciso alla luce della costante giurisprudenza di questa Sezione (19 agosto 2022, n. 7312) sulle questioni oggetto della controversia, che il Collegio condivide e fa proprie.

2. Ancora in via preliminare il Collegio comunica alle parti, ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a., che non può tenere conto, al fine del decidere, dei nova introdotti per la prima volta in appello con uno sviluppo dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, che finisce per andare ben oltre il mero approfondimento argomentativo delle difese proposte dinanzi al Tar.

3. Passando al merito, l’appello è infondato.

Giova ricordare che l’art. 4 del TU immigrazione pone un automatismo secondo cui «non è ammesso in Italia lo straniero che non soddisfi tali requisiti o che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l’Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressone dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone o che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite».

Tale automatismo, però, è mitigato dalla disposizione di cui al comma 5 dell’articolo immediatamente successivo, come modificato dal d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5 e ulteriormente modificato dalla sentenza della Corte costituzionale 18 luglio 2013, n. 202, secondo cui «nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero, che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'art. 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale».

Le norme recate dagli artt. 4 e 5, d.lgs. n. 286 del 1998, come da costante giurisprudenza di questo Consiglio (sez. III, n. 6699 del 2018), mirano, infatti, ad assicurare la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica: nell’esercizio di tale potere, però, l’Amministrazione è tenuta a valutare la condizione familiare dello straniero in quanto l’interesse collettivo alla tutela della sicurezza pubblica deve essere bilanciato con l’interesse alla vita familiare dell’immigrato e dei suoi congiunti, trattandosi di diritti fondamentali, aventi copertura convenzionale, in particolar modo l’art. 8 Cedu.

L’automatismo di cui all’art. 4 cede il passo ad una valutazione discrezionale dell’Amministrazione che, in caso di condanna per uno dei reati ostativi, deve tenere in debito conto l’effettività dei vincoli familiari, il legame effettivo con il Paese di origine, la durata del soggiorno.

La valutazione discrezionale dell’amministrazione è sindacabile allorquando la stessa risulti viziata da manifesti deficit di ragionevolezza.

Nel caso all’esame, il cittadino straniero è stato condannato, per il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 1-bis, d.P.R. n. 309 del 1990 (come chiarito dallo stesso straniero nell’atto di appello: pag. 3), con sentenza del 14 maggio 2019, per reato in materia di stupefacenti (cocaina) alla pena di anni tre di reclusione ed € 12.000,00 di multa nonchè indagato per altro reato in materia di stupefacenti (cocaina)

L’amministrazione, nel disporre la revoca, ha valutato l’inserimento familiare, sociale e lavorativo dello straniero ma ha ritenuto che lo stesso non potesse, nel doveroso bilanciamento degli interessi dello Stato e di quelli dello straniero, prevalere sulla sicurezza della collettività.

Il bilanciamento tra contrapposti interessi è stato, dunque, eseguito correttamente dall’Amministrazione, che ha dato conto in un’articolata e congrua motivazione di come il cittadino straniero si sia fatto forza della copertura di una regolare occupazione lavorativa e di un nucleo familiare, per ambire a facili guadagni attraverso azioni gravemente dannose per la collettività nazionale.

4. Valutate tali circostanze, la Questura ha ritenuto, con un giudizio condivisibile, che sulla pericolosità sociale riscontrata non potesse incidere positivamente il lungo soggiorno in Italia, l’attività lavorativa e i vincoli familiari, posto che il fatto ascritto all’appellante è stato commesso durante la sua permanenza pluriennale in Italia, a fronte di un’attività lavorativa.

La gravità della condotta posta in essere oggettivamente induce a ritenere che l’interesse all’ordine pubblico e alla sicurezza dello Stato non possa essere considerato recessivo rispetto alle esigenze di tutela dell’unità familiare e dell’inserimento lavorativo dello straniero.

Del resto, la giurisprudenza di questa Sezione ha più volte chiarito che la formazione di una famiglia sul territorio italiano non può costituire scudo o garanzia assoluta di immunità dal rischio di revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, ossia del titolo in base al quale lo straniero può trattenersi sul territorio italiano. Piuttosto, in casi speciali e situazioni peculiari, che eventualmente espongano i figli minori del reo a imminente e serio pregiudizio, l’ordinamento - ferma la valutazione amministrativa in punto di pericolosità e diniego di uno stabile titolo di soggiorno - offre, in via eccezionale, e a precipua tutela dei minori, uno specifico strumento di tutela, affidato al giudice specializzato dei minori. In forza del disposto dell’art. 31, comma 3, del TU immigrazione, infatti «il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge» (Cons. St., sez. III, 4 maggio 2018, n. 2654).

La motivazione del diniego, resa dall’Amministrazione, è dunque, nel caso di specie, avuto riguardo alla connotazione della condotta e al giudizio di pericolosità che oggettivamente ne deriva, in concreto pienamente sufficiente.

Risultano condivisibili sul punto gli esiti cui è pervenuto il giudice di prime cure, nel sottolineare che l’Amministrazione, effettuando il giudizio di pericolosità sociale del ricorrente, ha valutato la complessiva situazione del medesimo, sia sotto il profilo lavorativo che familiare, sia in relazione al periodo di permanenza sul territorio nazionale. Alla luce di siffatti riscontri la Questura ha dimostrato, nell’ambito di un giudizio discrezionale non inficiato da profili di illogicità o irragionevolezza, il mancato inserimento sociale e la spiccata pericolosità, oltre ad un’evidente incapacità di adeguarsi alle regole della convivenza civile.

5. Afferma l’appellante che a seguito dell’intervento del legislatore, che ha modificato l'art. 9 del testo unico sull’immigrazione, è stata integralmente eliminata ogni fattispecie di pericolosità sociale presunta, ossia ricavabile ex se da un determinato precedente penale già individuato a priori dal legislatore. Tale rilievo non assume portata rilevante nella fattispecie in esame nella quale l’Amministrazione non si è limitata a richiamare il quadro penale a carico dello straniero ma si è soffermata sulla gravità dello stesso e sulla pericolosità della sua permanenza sul territorio dello Stato.

In altri termini se il disvalore sociale dello straniero è tale da rendere pericolosa la sua presenza sul territorio dello Stato – con una valutazione che, come afferma lo stesso appellante, è connotata da margini di discrezionalità – anche una sola condanna poteva essere sufficiente a supportare il provvedimento che dispone il suo allontanamento se, come nel caso all’esame del Collegio, questa non sia stata “meramente richiamata” dal Questore ma è stato ben argomentato il giudizio di pericolosità.

6. Le argomentazioni sopra riportate portano alla reiezione dei primi due motivi di appello – che, come si è detto sub 2, sono in buona parte anche inammissibili perché introducono profili nuovi rispetto all’atto introduttivo del giudizio di primo grado – che, in quanto connessi, sono stati decisi congiuntamente.

7. Non è suscettibile di positiva valutazione neanche il motivo relativo alla mancata conversione in un permesso di soggiorno ad altro titolo, nelle due censure in cui si articola.

Quanto al prospettato vizio ex art. 112 c.p.c., che asseritamente vizia l’impugnata decisione, va ricordato che la giurisprudenza consolidata del giudice di appello (Cons. St., sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5711; id. 17 ottobre 2017, n. 4796) – che la Sezione condivide e fa propria – ha affermato che l'omessa pronuncia, da parte del giudice di primo grado, su censure e motivi di impugnazione costituisce tipico errore di diritto per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, deducibile in sede di appello sotto il profilo della violazione del disposto di cui al citato art. 112 c.p.c. (Cons. St., sez. IV, 16 gennaio 2006, n. 98). Tale norma è applicabile al processo amministrativo con il correttivo a più riprese affermato, secondo il quale l’omessa pronuncia su un vizio del provvedimento impugnato deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché essa può ritenersi sussistente soltanto nell'ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non quando, al contrario, la decisione sul motivo d'impugnazione risulti implicitamente da un'affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile (Cons. St., sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2009).

Peraltro, l'omessa pronuncia su una o più censure proposte con il ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo, tale da comportare l'annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a., ma solo un vizio dell'impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare, integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo sul merito della causa (Cons. St., sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5711; id. 17 ottobre 2017, n. 4796).

Non rientrando l’omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su un motivo del ricorso, nei casi tassativi di annullamento con rinvio, ne consegue che, in forza del principio devolutivo (art. 101, comma 2, c.p.a.), il Consiglio di Stato decide, nei limiti della domanda riproposta, anche sui motivi di ricorso non affrontati dal giudice di prime cure (Cons. St., sez. V, 29 dicembre 2017, n. 6158).

8. Ciò chiarito, appare evidente l’infondatezza del profilo dedotto dall’appellante, atteso che la ragione sottesa alla revoca del permesso di soggiorno, e cioè la pericolosità dello straniero, non avrebbe consentito il rilascio di alcun altro titolo, vista la rilevata opportunità che l’appellante lasci il territorio dello Stato, tanto che è stato disposto l’accompagnamento immediato alla frontiera.

9. L’appello deve dunque essere respinto e, per l’effetto, deve confermarsi la sentenza impugnata.

10. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’articolo 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una diversa conclusione.

11. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio, alla luce degli argomenti trattati e della costituzione meramente formale dell’Amministrazione resistente.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dell’appellante.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 settembre 2022 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Massimiliano Noccelli, Presidente FF

Giovanni Pescatore, Consigliere

Giulia Ferrari, Consigliere, Estensore

Umberto Maiello, Consigliere

Fabrizio Di Rubbo, Consigliere