Giu La chance nel diritto amministrativo
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. II - SENTENZA 12 maggio 2023 N. 4800
Massima
La tecnica probabilistica va impiegata, non per accertare l’esistenza della chance come bene a sé stante, bensì per misurare in modo equitativo il ‘valore’ economico della stessa, in sede di liquidazione del ‘quantum’ risarcibile. Al fine però di non incorrere in una forma inammissibile di responsabilità senza danno, è necessario che, per raggiungere la soglia dell’«ingiustizia», la ‘chance’ perduta sia ‘seria’. A tal fine: da un lato, va verificato con estremo rigore che la perdita della possibilità di risultato utile sia effettivamente imputabile alla condotta altrui contraria al diritto; sotto altro profilo, al fine di non riconoscere valore giuridico a ‘chance’ del tutto accidentali, va appurato che la possibilità di realizzazione del risultato utile rientri nel contenuto protettivo delle norme violate. Al fine poi di scongiurare azioni bagatellari o emulative, il giudice dovrà disconoscere l’esistenza di un ‘danno risarcibile’ (1223 c.c.) nel caso in cui le probabilità perdute si attestino ad un livello del tutto infimo.

Testo della sentenza
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. II - SENTENZA 12 maggio 2023 N. 4800

Pubblicato il 12/05/2023

N. 04800/2023REG.PROV.COLL.

N. 09009/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9009 del 2021, proposto da
-OMISSIS- rappresentato e difeso dall’avvocato Natalina Raffaelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, rappresentato e difeso dall’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

MINISTERO DELLA DIFESA, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. -OMISSIS-


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2023 il Cons. Dario Simeoli e udito per le parti l’avvocato Angelo Fiore Tartaglia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO

1.? I fatti principali, utili ai fini del decidere, possono così riassumersi:

- il signor -OMISSIS- ? già reclutato come volontario in ferma prefissata (dunque, a tempo determinato) ? partecipava alla procedura concorsuale relativa allimmissione nel ruolo dei volontari in servizio permanente nellEsercito per lanno 2012, conseguendo il punteggio di -OMISSIS-;

- da tale procedura veniva tuttavia escluso, con provvedimento del -OMISSIS-, «in quanto sottoposto a due procedimenti penali militari»;

- avverso tale provvedimento il ricorrente proponeva ricorso straordinario al Capo dello Stato, poi trasposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (ricorso n.-OMISSIS-);

- ottenuta l’assoluzione nei procedimenti penali, con sentenza n. -OMISSIS- del Tribunale Militare di -OMISSIS- e con sentenza n. -OMISSIS- della Corte Militare d’Appello, il -OMISSIS- presentava richiesta di riesame in autotutela all’Amministrazione, la quale veniva respinta con nota del -OMISSIS-;

- il rifiuto di autotutela veniva impugnato con motivi aggiunti (nel procedimento n.-OMISSIS-);

- con sentenza n. -OMISSIS- il T.a.r. del Lazio disponeva l’annullamento degli atti impugnati, per difetto di motivazione;

- l’Amministrazione militare, in esecuzione della sentenza, tornava a determinarsi con provvedimento del -OMISSIS-, comunicando «di non poter procedere all’annullamento del provvedimento di esclusione dalla procedura di immissione nel ruolo dei volontari in servizio permanente dell’Esercito Italiano»;

- avverso tale nota il ricorrente proponeva l’ulteriore ricorso n. -OMISSIS-

- in fase cautelare, il T.a.r. emetteva l’ordinanza n. -OMISSIS- con cui – ravvisata la sussistenza del prescritto fumus boni iuris «anche relativamente alla censura con cui si denuncia la violazione della sentenza n.-OMISSIS-» ? accoglieva l’istanza di sospensione formulata dal ricorrente ai fini del riesame;

- in esecuzione della pronuncia cautelare, l’Amministrazione ribadiva di non poter annullare il provvedimento di esclusione del -OMISSIS- (già annullato dalla sentenza n.-OMISSIS-), con nota -OMISSIS-, avverso la quale il ricorrente proponeva motivi aggiunti (adducendone, tra l’altro, la nullità per violazione del giudicato);

- con ordinanza n. -OMISSIS- il T.a.r. – ritenuto l’atto impugnato con i motivi aggiunti meramente confermativo di quello impugnato e, dunque, elusivo dell’ordinanza propulsiva già emessa – ordinava all’Amministrazione di «dare pronta e piena esecuzione all’ordinanza cautelare n. -OMISSIS-»;

- successivamente lo stesso T.a.r. – preso atto della nota -OMISSIS- «con cui l’Amministrazione, in esecuzione della predetta ordinanza, ha riammesso in servizio il ricorrente, invitandolo a presentarsi presso l’ultimo Ente di appartenenza», il quale risulta però «disciolto da circa un anno» – emetteva l’ordinanza n.-OMISSIS-con cui affermava l’obbligo dell’Amministrazione di ricollocare il ricorrente «presso un Reparto sito in prossimità di quello di provenienza, previa verifica del mantenimento dei requisiti di idoneità previsti per il volontario raffermato»;

- il giudizio instaurato con il ricorso n.-OMISSIS- trovava definizione con la sentenza del T.a.r. n.-OMISSIS- ? non appellata ? che accoglieva la domanda di annullamento: i) del provvedimento di cui alla nota del -OMISSIS- recante il rifiuto di procedere all'annullamento del provvedimento di esclusione; ii) dell’ulteriore diniego di riesame in data -OMISSIS-; iii) del provvedimento del -OMISSIS- (con cui il Ministero della Difesa, in asserita esecuzione dell’ordinanza n-OMISSIS-disponeva “la riammissione, con riserva, alla procedura concorsuale per l’immissione nel SPE”, dichiarandolo, sempre con riserva, vincitore, con il punteggio di -OMISSIS- con decorrenza giuridica dal -OMISSIS- e con riserva per quanto riguarda la decorrenza amministrativa); iv) della nota del -OMISSIS- l’Amministrazione riammetteva in servizio il ricorrente, invitandolo a presentarsi presso l’ultimo Ente di appartenenza in data -OMISSIS-.

2.? Con ricorso notificato depositato il 14 dicembre 2018, il signor -OMISSIS- ha proposto ricorso per l’ottemperanza delle sentenze del n.-OMISSIS- e n. -OMISSIS- e delle ordinanze n. -OMISSIS-, n. -OMISSIS- e n.-OMISSIS-tutte emesse dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, chiedendo di condannare il Ministero della Difesa al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, da -OMISSIS- subiti a titolo contrattuale ed extracontrattuale, da liquidare in complessivi € 280.000,00, o in quella maggiore o minore somma che sarà ritenuta dovuta, oltre accessori.

2.1.? Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ? dopo avere, con sentenza non definitiva n. -OMISSIS- dichiarato estinto il giudizio di ottemperanza, ai sensi dellart. 35, comma 2, lettera c), del c.p.a. e disposto la conversione del rito in relazione alla domanda di risarcimento del danno, ex art. 32, comma 2, del c.p.a. ? con sentenza definitiva n. -OMISSIS- ha respinto la domanda di risarcimento del danno, motivando quanto segue:

«la sentenza n. -OMISSIS- particolarmente invocata dal ricorrente ma anche posta ampiamente a presidio delle decisioni assunte dal Tribunale nell’ambito del giudizio instaurato con il successivo ricorso n.-OMISSIS-, non ha statuito la spettanza al ricorrente del bene della vita dallo stesso perseguito (rectius: la chiara e indiscussa immissione in spe in virtù del buon esito del concorso bandito nel 2012), trattandosi – come espressamente affermato, del resto, nella sentenza n.-OMISSIS-– “di annullamento per difetto di motivazione di un atto di rifiuto di provvedere al riesame”, formalmente riconosciuto - in quanto tale - idoneo a lasciare “ampio margine di libertà alla PA per rideterminarsi»;

- «un riferimento specifico e preciso alla fondatezza o meno della pretesa sostanziale del ricorrente figura per la prima volta nella sentenza n. -OMISSIS- in cui si dà - comunque - conto di una pluralità di orientamenti giurisprudenziali in materia di rilevanza delle sentenze di assoluzione successivamente intervenute, con evidenza - nel prosieguo - dell’orientamento sfavorevole della Sezione (essenzialmente basato sull’impossibilità di una sentenza di assoluzione di operare retroattivamente con l’effetto di far venire meno “ora per allora” il difetto del requisito prescritto dal bando) e della scelta, successivamente assunta, di adeguarsi all’orientamento interpretativo del Consiglio di Stato di considerare rilevanti le sentenze di assoluzioni sopravvenute “in base ad una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 635 comma 1 lettera g) del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66»;

- «premesso che “coloro che esercitano le funzioni amministrative hanno l’obbligo di applicare le leggi (anche se ritenute illegittime), in ossequio al principio di legalità, visto che l’ulteriore dimensione della legalità costituzionale ha il proprio presidio naturale nella competenza (esclusiva) della Corte costituzionale (Cons. Stato, sez. V, sentenza n.1862 del 14 aprile 2015)”, nel caso di specie la rilevanza in senso favorevole al ricorrente di sentenze di assoluzione sopravvenute e, conseguentemente, l’illegittimità dell’esclusione dal concorso, alla quale sono – in definitiva – ascrivibili tutti danni lamentati, risulta - al più - riconducibile ad una interpretazione “costituzionalmente orientata” dell’art. 635 COM.»;

- «per quanto non possa in assoluto escludersi che una simile, delicata attività esegetica incomba anche alla pubblica amministrazione, tuttavia, perlomeno in assenza di un diritto “vivente” e quindi di una consolidata interpretazione in sede giurisprudenziale, l’opzione ermeneutica fondata sul dato letterale non può sicuramente costituire fonte di responsabilità per l’amministrazione che vi si attenga»;

- «in aderenza sempre ai contenuti della decisione del Consiglio di Stato di cui sopra, non può essere trascurato e, anzi, va rimarcato che l’interpretazione dell’art. 635, comma 1, lett. g) del d.lgs. n. 66/2010, utile a sostenere la configurabilità di una condotta definibile “illecita” dell’Amministrazione, non era e, ancora, “non è affatto pacifica né consolidata”, come comprovato dall’emissione di numerose pronunce, sia precedenti che successive (tra cui, da ultimo, C.d.S., Sez. IV, n. 247 dell’11 gennaio 2019 e n. 629 del 14 febbraio 2017), nelle quali è stato messo in luce, tra l’altro, che: - come imposto dall’art. 638 d.lgs. 66/2010, i requisiti necessari per il reclutamento (salvo alcune eccezioni non ricorrenti nella specie) debbono essere posseduti dall’aspirante Militare per tutta la durata della procedura selettiva propedeutica all’incorporazione, senza soluzione di continuità (cfr. Cons. St., Sez. IV, n. 261 del 2017, relativa a reclutamento di personale militare; sez. VI, n. 3642 del 2010 relativa a reclutamento di VV.FF.); che si tratti di un principio generale delle procedure selettive lo si evince inoltre, nell’affine materia dei requisiti di partecipazione a gare d’appalto, dai plurimi arresti dell’Adunanza plenaria e della Corte del Lussemburgo (Ad. plen., nn. 8/2015, 5/2016, 6/2016 e 10/2016, nonché Corte giustizia UE, sez. IX, 10 novembre 2016, Ciclat); inoltre, l’attuale qualità di imputato per delitti non colposi è sempre stata condizione ex lege impeditiva del reclutamento nelle Forze Armate, a prescindere dalla conoscenza che ne avesse il candidato (art. 635 d.lgs. 66/2010 e, in precedenza, art. 4, comma 1, lett. e] ed art. 11 l. 226/2004);- né rileva una assoluzione sopravvenuta alla definizione della procedura concorsuale poiché “la legittimità di un atto amministrativo deve essere delibata in relazione alle circostanze di fatto e di diritto coeve alla sua emanazione”».

3.– Avverso la predetta sentenza hanno proposto appello il signor -OMISSIS-, insistendo nel chiedere che il Ministero della Difesa sia dichiarato inadempiente all’obbligo di ottemperare alle sentenze e ordinanze del T.a.r. del Lazio, con conseguente condanna al risarcimento dal danno.

4.– Non si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, sebbene ritualmente intimato.

5.? La Sezione, con ordinanza n.-OMISSIS-? ritenuto: «che al presente giudizio deve essere applicato il rito ordinario e che erroneamente è stata fissata la camera di consiglio per la trattazione come giudizio di esecuzione» ? ha fissato ludienza pubblica per la trattazione del merito del giudizio.

6.– All’udienza del 14 febbraio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione. All’esito dell’ulteriore camera di consiglio del giorno 9 maggio 2023, il giudizio è stata definito nei termini che seguono.

DIRITTO

1.? Il giudice di prime cure ha respinto la domanda risarcitoria, adducendo due ordini di motivazioni:

a) la sentenza n.-OMISSIS- non avrebbe espressamente statuito sulla spettanza al ricorrente dell’immissione in servizio permanente effettivo, in virtù del buon esito del concorso bandito nel 2012;

b) non sussisterebbe una colpevole condotta antigiuridica dell’Amministrazione della Difesa, poiché, in assenza di un diritto vivente e quindi di una consolidata interpretazione in sede giurisprudenziale, l’opzione ermeneutica fondata sul dato letterale fatta propria dal T.a.r. Lazio nella sentenza n.-OMISSIS-non potrebbe costituire fonte di responsabilità per l’Amministrazione.

Tali statuizioni, a parere del Collegio, vanno parzialmente riformate per le ragioni che seguono.

2.– Occorre prendere le mosse dall’esame del (duplice) giudicato di annullamento, isolando il ‘dispositivo sostanziale’ della motivazione che, nel processo amministrativo, oltrepassa la funzione meramente giustificativa della decisione per conformare la successiva attività amministrativa.

2.1.? Il primo giudicato, di cui alla sentenza del T.a.r. del Lazio n.-OMISSIS-, ha annullato il provvedimento del -OMISSIS- di esclusione del ricorrente dalla procedura concorsuale relativa allimmissione nel ruolo dei volontari in servizio permanente nell’Esercito per l’anno 2012, nonché la nota del -OMISSIS- con cui era stata respinta la richiesta di riesame in autotutela del suddetto provvedimento di esclusione (presentata dall’interessato a seguito dell’assoluzione dai reati di cui era stato incolpato, con sentenze n. -OMISSIS- del Tribunale Penale Militare di -OMISSIS- e n. -OMISSIS- della Corte Militare di Appello -OMISSIS-).

In particolare, il giudice di prime cure ha ritenuto «fondato il ricorso con riferimento alla sopravvenuta assoluzione e ai motivi aggiunti nei quali è eccepito il difetto di motivazione del provvedimento di diniego dell’autotutela», rilevando che «la motivazione del provvedimento di rigetto dell’autotutela [fosse] inadeguata alla luce della intervenuta assoluzione […]».

Il vincolo conformativo della sentenza n.-OMISSIS- (non appellata, così come le ripetute pronunce cautelari intervenute successivamente) comportava dunque il dovere dell’Amministrazione di pronunciarsi nuovamente sull’istanza di riesame, prendendo in attenta considerazione l’esito dei procedimenti penali in virtù dei quali l’interessato era stato escluso dalla procedura concorsuale.

2.2.– Il secondo giudicato, di cui alla successiva sentenza del T.a.r. del Lazio n. -OMISSIS- ha annullato le successive determinazioni del -OMISSIS- e dell’-OMISSIS ? con cui lAmministrazione aveva confermato lesclusione del ricorrente dalla procedura di immissione in servizio permanente effettivo disposta con il provvedimento del -OMISSIS- (per quanto già annullato dalla precedente sentenza n.-OMISSIS-) ? sulla scorta di una duplice considerazione:

- da un lato, il ricorso introduttivo ed i motivi aggiunti sono stati ritenuti fondati sotto il profilo della elusività del giudicato formatosi sulla precedente sentenza del T.a.r. Lazio n.-OMISSIS-, in quanto «l’Amministrazione persiste a ritenere il ricorrente privo dei requisiti prescritti dalla lex specialis al momento della partecipazione al concorso, anziché motivare sulla rilevanza e valenza delle sentenze di assoluzione successivamente intervenute, come imposto dalla pronuncia giurisdizionale, che era rimasta inappellata»;

- sotto altro profilo, la «fondatezza della pretesa sostanziale sottostante» del ricorrente è stata riconosciuta «in base ad una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 635 comma 1 lettera g) del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66” che induce a ritenere “irragionevole e sproporzionata l’esclusione del ricorrente dalla selezione indicata in epigrafe, tenuto conto che, seppure ex post, è venuto meno ogni formale motivo ostativo alla sua partecipazione, con effetto retroattivo” (Consiglio di Stato, IV, n. 965/2015; cfr. T.A.R. Lazio, I bis, 19/11/2015 n. 13098, ma vedi anche n. 9953/2016)».

2.3.– In definitiva, il giudicato ha statuito l’illegittimità dell’estromissione ‘in via definitiva’ del candidato (risultato vincitore), in ragione della mera pendenza di un procedimento penale.

La norma di legge applicata dall’Amministrazione ? segnatamente: lart. 635, comma 1, lettera g-bis, del codice dell’ordinamento militare (d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66), che annovera tra i requisiti generali per il reclutamento la circostanza di «non essere in atto imputati in procedimenti penali per delitti non colposi» ? va interpretata, in modo conforme a Costituzione, nel senso di giustificare soltanto l’esclusione precauzionale e provvisoria del candidato ‘imputato’ (il quale deve comunque essere ammesso a partecipare alle prove), con il dovere di procedere al reclutamento dello stesso ove successivamente emerga la sua totale estraneità ai fatti contestati in sede penale.

L’interpretazione conforme così tratteggiata consente di cogliere appieno la ratio della citata disposizione dell’ordinamento militare. L’inizio di un procedimento penale, di per sé, non consente di emettere un giudizio definitivo circa la moralità e la professionalità di un aspirante volontario in ferma permanente. Venuta meno l’imputazione a carico di un individuo a seguito di assoluzione (nelle ipotesi corrispondenti alle prime casistiche descritte dall’art. 530 del c.p.p., ovvero quando la sentenza viene pronunciata perché l’imputato non ha commesso il fatto, perché questo non sussiste, ovvero perché il fatto non costituisce reato), non vi è ragione di dubitare della sua idoneità a ricoprire quel determinato ruolo.

La diversa opzione ermeneutica seguita dall’Amministrazione – oltre che porsi in contrasto con la presunzione di innocenza (art. 27, comma 2), la pienezza della tutela giurisdizionale (art. 24), la garanzia costituzionale dell’accesso dei più capaci agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni (art. 97 Cost.) – rischierebbe di incentivare denunce strumentali con effetti ritorsivi.

La lettura accolta dal giudicato risulta rafforzata, sul piano dell’interpretazione sistematica, anche dai successivi sviluppi normativi: il comma 2-bis dello stesso articolo 635 (inserito dall’articolo 1, comma 1, lettera c, numero 2, del d.lgs. 27 dicembre 2019, n. 173) dispone che «[s]e il procedimento penale di cui al comma 1, lettera g-bis), non si conclude con sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste ovvero perché l’imputato non lo ha commesso, pronunciata ai sensi dell’articolo 530 del codice di procedura penale, il militare può partecipare ai concorsi nelle Forze armate soltanto successivamente alla definizione del conseguente procedimento disciplinare»; l’art. 2204-bis (inserito dall'articolo 9, comma 1, lettera a, del d.lgs. 29 maggio 2017, n. 94, la cui rubrica è stata modificata dal d.lgs. 27 dicembre 2019, n. 173) prevede che: «[i] volontari in ferma prefissata quadriennale ovvero in rafferma biennale, che siano stati esclusi dalle procedure di immissione nei ruoli dei volontari in servizio permanente emanate negli anni dal 2010 al 2016 compreso in quanto sottoposti a procedimento penale, nei casi in cui successivamente sia stata disposta l'archiviazione o il procedimento penale si sia concluso con sentenza irrevocabile che dichiari che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, possono presentare la domanda di riammissione di cui all’articolo 704, comma 1-bis, entro centottanta giorni a decorrere dalla data di pubblicazione del relativo avviso sul sito istituzionale del Ministero della difesa, fermo restando il possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente per la permanenza in servizio».

3.? Su queste basi, va ora scrutinata la domanda risarcitoria dellappellante, la quale ha un contenuto composito quanto a natura e fondamento giuridico.

3.1.? Lappellante, in primo luogo, lamenta di essere stato reintegrato in servizio a distanza di due anni e mezzo dalla prima pronuncia del giudice amministrativo, ottenendo il primo avanzamento con un ritardo di 5 anni. Il nocumento subito viene ricondotto alla perdita economica della retribuzione non percepita (per i periodi di allontanamento dal rapporto lavoro che era già in essere, sia pure a tempo determinato) e tenuto conto della progressione economica stipendiale che si sarebbe spettata.

3.2.? Lappellante chiede altresì la compensazione dei danni da perdita di chance (per la mancata possibilità di maturare esperienze e professionalità spendibili ai fini della progressione di carriera) e dei pregiudizi di natura non patrimoniale (sofferenza esistenziale e biologica conseguente al grave stress insito nell’allontanamento dal posto di lavoro e alla prolungata condizione di precarietà).

4.– La pretesa alle retribuzioni non percepite a causa degli atti illegittimi va scomposta a seconda che si riferisca al periodo precedente ovvero successivo al giudicato.

4.1.– In termini generali, le somme spettanti al lavoratore – il quale, dopo la declaratoria giudiziale dell’illegittima dell’atto che ha inciso sulla funzionalità del rapporto di lavoro, abbia offerto le proprie energie lavorative ma non sia stato riammesso in servizio – ha natura retributiva e non risarcitoria.

Dal rapporto di lavoro – il ripristino della cui funzionalità è imposto dalla pronuncia giudiziale – discendono gli ordinari obblighi a carico di entrambe le parti e, in particolare, con riguardo al datore di lavoro, quello di pagare la retribuzione, e ciò anche nel caso di mora credendi e, quindi, di mancanza della prestazione lavorativa per rifiuto di riceverla (in tal senso la giurisprudenza del lavoro, a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione 7 febbraio 2018, n. 2990, secondo cui, ai fini che qui rilevano, non può farsi riferimento alla norme sul licenziamento illegittimo, che riconducono tutti i compensi dovuti dal datore di lavoro nell’ambito del risarcimento del danno, in quando si tratta di una disciplina specifica e derogatoria rispetto al diritto delle obbligazioni).

Il principio di diritto appena richiamato – secondo cui il datore di lavoro, che rifiuti senza giustificato motivo di ricevere la prestazione offerta dal lavoratore dopo la sentenza che ha accertato il vincolo giuridico del rapporto, deve sopportare il peso economico delle retribuzioni – si attaglia anche alla fattispecie per cui è causa: il (duplice) giudicato ha infatti ripetutamente annullato, sia l’atto di esclusione dalla procedura nel quale l’appellante era risultato collocato in posizione utile, sia il rigetto dell’istanza di riesame, accertando la fondatezza della pretesa all’immissione nel ruolo dei volontari in servizio permanente per il 2012 (il giudicato del 2018 fa ‘corpo’ con quello del 2016, avendo annullato gli atti adottati dall’Amministrazione in esecuzione di quest’ultimo).

L’effetto ripristinatorio del giudicato impone all’Amministrazione di conformare la situazione di fatto (nella specie, l’estromissione dall’organizzazione lavorativa dell’appellante che, peraltro, era già in servizio a tempo determinato) alla dichiarata situazione di diritto (che, come si è detto, imponeva di procedere al reclutamento).

In definitiva, con riguardo al periodo successivo al giudicato, l’istante non chiede il risarcimento di un ‘danno’ (né quello derivante, ai sensi dell’art. 30 c.p.a., dall’illegittima esclusione dal concorso, né quello sopravvenuto ai sensi dell’art. 112, comma 3, del c.p.a.), bensì l’adempimento dell’obbligazione retributiva. Posto che, in questo caso, non si reagisce ad un illecito fonte di danno ma ad una situazione di fatto che contrasta quella di diritto, non occorre alcuna indagine sulla colpa.

4.2.– Anche la pretesa a vedersi riconosciuto l’avanzamento nel grado (automaticamente connesso all’anzianità giuridica) rientra nella ‘reintegra’ nel diritto violato e non nel risarcimento del ‘danno’. La «ricostruzione economica della carriera» è imposta anche qui dall’effetto ripristinatorio del giudicato di annullamento degli atti che illegittimamente avevano denegato all’appellante la (tempestiva) immissione in ruolo.

La retroattività esecutiva del giudicato ? a differenza di quella (per così dire) naturale’ dell’annullamento d’ufficio ? è imposta dalla necessità di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla effettiva realizzazione dellinteresse meritevole di tutela del ricorrente vittorioso, ricostruendo la pienezza della posizione giuridica lesa dall’atto annullato dal giudice (con il solo limite delle sopravvenienze di fatto o di diritto che possano aver reso impossibile travolgere gli effetti medio tempore prodottisi).

Su queste basi, va rimarcato che lo sviluppo della carriera dei militari volontari in servizio permanente dell’Esercito italiano si articola oggi in cinque gradi gerarchici: 1° Caporal maggiore; Caporal maggiore scelto; Caporal maggiore capo; Caporal maggiore capo scelto; Caporal maggiore capo scelto qualifica speciale (art. 1306 e ss. del d.lgs. n. 66 del 2010).

Il volontario in servizio permanente effettivo è promosso a ruolo aperto con decorrenza dal giorno successivo a quello di compimento del periodo di permanenza nel grado posseduto (art. 1056 del d.lgs. n. 66 del 2010). In particolare, l’avanzamento al grado di Caporal maggiore scelto è conferito ad anzianità al compimento di un anno nel servizio permanente quale 1° Caporal Maggiore, e l’avanzamento a Caporal maggiore capo è conferito ad anzianità al compimento di cinque anni di permanenza nel grado di Caporal maggiore scelto.

Nell’atto di appello è stato dedotto, senza contestazione specifica di controparte (che neppure si è costituita in giudizio), che il -OMISSIS- è stato formalmente reintegrato e immesso a pieno titolo nel ruolo dei volontari in servizio permanente effettivo in data 27 giugno 2018 (non avendo avuto l’ammissione con riserva disposta il 10 luglio 2017 alcun concreto esito lavorativo), senza alcun riconoscimento del dovuto avanzamento di carriera. L’Amministrazione gli ha riconosciuto l’avanzamento al grado di Caporal maggiore scelto con anzianità assoluta soltanto in data 16 gennaio 2020. Ai militari immessi (all’esito del medesimo concorso per cui è causa) nel ruolo dei volontari in servizio permanente effettivo con decorrenza dal 28 maggio 2012 è stato regolarmente riconosciuto l’avanzamento al grado di Caporal Maggiore Scelto con decorrenza dal 28 maggio 2013 (con decreto dirigenziale del 12 febbraio 2016).

Il ricorrente ha dunque diritto all’inquadramento: quale 1° Caporal maggiore con anzianità assoluta, per il periodo dal 28 maggio 2012 al 27 maggio 2013; quale Caporal maggiore scelto con anzianità assoluta dal 28 maggio 2013; quale Caporal maggiore capo con anzianità assoluta dal 28 maggio 2018 (previa valutazione di idoneità, ai sensi dell’art. 1056, comma 2, del codice dell’ordinamento militare).

È utile rilevare, a fini sistematici, come il codice dell’ordinamento militare contempli varie disposizioni ispirate proprio alla ratio della reintegra nel diritto leso, e segnatamente: l’art. 1085 che, nel caso di procedimento disciplinare concluso si in senso favorevole, prevede che «l’ufficiale appartenente a grado nel quale l’avanzamento ha luogo ad anzianità, se giudicato idoneo e già raggiunto dal turno di promozione, è promosso anche se non esiste vacanza nel grado superiore, con l’anzianità che sarebbe spettata se la promozione avesse avuto luogo a suo tempo»; l’art. 1090 che, in caso di giudizio di avanzamento annullati in sede di tutela amministrativa o giurisdizionale, prevede che «l’ufficiale appartenente al grado nel quale l’avanzamento ha luogo ad anzianità, se giudicato idoneo, è promosso al grado superiore con l’anzianità che gli sarebbe spettata se la promozione avesse avuto luogo a suo tempo».

4.3.? Alla luce di quanto sopra dedotto, non è corretta – con riguardo alla pretesa retributiva per il periodo successivo al giudicato del 2016 – la qualificazione operata dal giudice di prime cure (indotta dalla richiesta del ricorrente di convertire il ricorso in “ricorso di legittimità”), secondo cui la domanda del ricorrente avrebbe dovuto qualificarsi come domanda di risarcimento dei danni derivanti dall’illegittima esclusione.

La qualificazione dell’azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali, come confermato dall’’art. 32, comma 2, c.p.a., è un potere prettamente ufficioso del giudice (anche nel grado appello). Questi, del resto, è chiamato soltanto ad una operazione di interpretazione giuridica della domanda originaria, alla stregua del contenuto effettivo della pretesa. Limitandosi il giudice a farsi mentore della volontà soggettiva dell’istante (senza introdurre nuovi temi d’indagine), l’allineamento delle formule utilizzate al contenuto sostanziale della domanda, non si pone in conflitto con il principio di disponibilità della tutela giurisdizionale.

Nel caso in esame, l’erronea qualificazione non ha comportato alcuna nullità processuale: il contraddittorio, anzi, si è svolto nelle forme più ampie del giudizio di cognizione.

5.– La pretesa al pagamento delle retribuzioni, per il periodo anteriore al giudicato del 2016, ha invece natura risarcitoria.

Prima della pronuncia giudiziale (che ha accertato la fondatezza della pretesa al reclutamento) le reciproche prestazioni, retributive e lavorative, non erano esigibili. Il ricorrente può quindi, in relazione al periodo pregresso, evocare soltanto la compensazione del danno economico subito per effetto dell’attività amministrativa illegittima (da quantificarsi, soltanto in via parametrica, all’importo delle retribuzioni non percepite).

È necessario, quindi, accertare tutti gli elementi costitutivi dell’illecito.

La statuizione del giudice di primo cure ? secondo cui non sarebbe configurabile alcuna colpa dellAmministrazione nellesclusione del ricorrente dal concorso, in considerazione del fatto che, all’epoca dei fatti, l’orientamento giurisprudenziale (di cui il giudicato di annullamento ha fatto applicazione) ? va confermata nei termini che seguono.

5.1.? Va premesso che, nellambito della responsabilità provvedimentale (dipesa dall’adozione di atti giuridici invalidi), rileva la colpa ‘specifica’ derivante dall’inosservanza di leggi, regolamento, ordini, discipline (art. 43 c.p.).

Il nesso di imputazione soggettiva è, in primo luogo, integrato dalla violazione dalle norme di diritto pubblico che – in quanto volte a garantire proporzionalità e adeguatezza dell’azione amministrativa – sono ispirate anche dalla finalità precauzionale di prevenire la compromissione ingiustificata delle utilità già detenute o cui aspira il privato. In questo senso, le regole di validità dell’atto rilevano anche come regole di comportamento. L’indagine sulla colpa dell’apparato amministrativo, sotto questo profilo, si risolve in una questio iuris, cioè nella qualificazione giuridica di fatti, piuttosto che nella loro prova.

Sennonché, perché non si determini un ‘appiattimento’ della fattispecie risarcitoria sull’elemento dell’ingiustizia del danno, la colpa della pubblicazione amministrazione va valutata, non solo nella misura ‘oggettiva’ data dalla violazione della regola (di validità-comportamento) precauzionale, ma anche nella misura ‘soggettiva’ consistente nella ‘rimproverabilità’ dello scostamento dal parametro dell’agente modello. Va cioè accertata la concreta esigibilità della condotta doverosa per essere la lesione arrecata prevedibile ed evitabile.

5.2.? Nel caso in esame, il Collegio ritiene che la condotta tenuta dalla pubblica amministrazione, prima del giudicato del 2016, non sia rimproverabile ai fini sopra indicati.

Come è emerso sopra, l’appellante, ottenuta l’assoluzione nei procedimenti penali, con sentenza n. 13 del 7 febbraio 2013 del Tribunale Militare di -OMISSIS- e con sentenza n. 159 dell’11 dicembre 2013 della Corte Militare d’Appello, il -OMISSIS- ha presentato richiesta di riesame in autotutela all’Amministrazione (istanza pervenuta il 19 maggio 2015), la quale veniva respinta con nota del 28 settembre 2015.

Ebbene, a quella data, il panorama giurisprudenziale era effettivamente attraversato da orientamenti per nulla univoci, alcuni dei quali non riconoscevano la fondatezza della pretesa del candidato (escluso dalla procedura perché imputato in procedimento penale) ad essere reclutato, anche se successivamente assolto con formula piena.

Non era quindi esigibile da parte di un funzionario amministrativo procedere alla ricostruzione ‘ortopedica’ di un quadro normativo per nulla chiaro, la cui ‘lettura’ non risultava univoca neppure nelle pronunce dei giudici (cfr., di recente, il parere della Sezione consultiva di questo Consiglio di Stato n. 338 del 2023 che dà proprio atto dell’anzidetto contrasto interpretativo).

6.? La pretesa al risarcimento del danno da predita di chance, al di là di quanto osservato al punto precedente (per il periodo anteriore al giudicato del 2016), va comunque respinta per le ragioni che seguono.

6.1.? La chance, come è noto, è una figura elaborata al fine di traslare sul versante delle situazioni soggettive ? e, quindi, del danno ingiusto ? un problema di causalità incerta: quello cioè delle fattispecie in cui non sia affatto possibile accertare, già in astratto e in termini oggettivi, se un determinato esito vantaggioso (per chi lo invoca) si sarebbe o meno verificato senza l’ingerenza illecita del danneggiante.

Per superare l’impasse dell’insuperabile deficienza cognitiva del processo eziologico, il sacrificio della ‘possibilità’ di conseguire il risultato finale viene fatto assurgere a bene giuridico ‘autonomo’.

Mentre nel diritto privato le ipotesi più ricorrenti riguardano la responsabilità medica (quando si imputa la mancata attivazione di una cura o intervento sanitario il cui esito sarebbe stato tuttavia incerto), nel campo del diritto amministrativo la lesione della ‘chance’ viene invocata per riconoscere uno sbocco di tutela (sia pure per equivalente) a quelle delle aspettative andate ‘irrimediabilmente’ deluse a seguito dell’illegittimo espletamento (ovvero del mancato espletamento) di un procedimento amministrativo.

La fattispecie presa in considerazione è quella in cui il vizio accertato dal giudice amministrativo consiste nella violazione di una norma di diritto pubblico che ? non ricomprendendo nel suo raggio di protezione linteresse materiale ? assicura allistante soltanto la possibilità di conseguire il bene finale. L’«ingiustizia» del nocumento assume ad oggetto soltanto il ‘quid’ giuridico, minore ma autonomo, consistente nella spettanza attuale di una mera possibilità.

La ‘chance’ prospetta un’ipotesi di danno solo ‘ipotetico’, in cui non si può oggettivamente sapere se un risultato vantaggioso si sarebbe o meno verificato. Pur essendo certa la contrarietà al diritto della condotta di chi ha causato la perdita della possibilità, non ne è conoscibile l’apporto causale rispetto al mancato conseguimento del risultato utile finale. Poiché l’esigenza giurisdizionale è quella di riconoscere all’interessato il controvalore della mera possibilità ? già presente nel suo patrimonio ? di vedersi aggiudicato un determinato vantaggio, lan del giudizio di responsabilità deve coerentemente consistere soltanto nell’accertamento del nesso causale tra la condotta antigiuridica e l’evento lesivo consistente nella perdita della predetta possibilità. La tecnica probabilistica va quindi impiegata, non per accertare l’esistenza della chance come bene a sé stante, bensì per misurare in modo equitativo il ‘valore’ economico della stessa, in sede di liquidazione del ‘quantum’ risarcibile. Al fine però di non incorrere in una forma inammissibile di responsabilità senza danno, è necessario che, per raggiungere la soglia dell’«ingiustizia», la ‘chance’ perduta sia ‘seria’. A tal fine: da un lato, va verificato con estremo rigore che la perdita della possibilità di risultato utile sia effettivamente imputabile alla condotta altrui contraria al diritto; sotto altro profilo, al fine di non riconoscere valore giuridico a ‘chance’ del tutto accidentali, va appurato che la possibilità di realizzazione del risultato utile rientri nel contenuto protettivo delle norme violate. Al fine poi di scongiurare azioni bagatellari o emulative, il giudice dovrà disconoscere l’esistenza di un ‘danno risarcibile’ (1223 c.c.) nel caso in cui le probabilità perdute si attestino ad un livello del tutto infimo (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 6268 del 2021).

6.2.– Nel caso di specie, è mancata l’allegazione di fatti idonei a comprovare che il militare abbia subito una effettiva compromissione delle sue concrete aspettative reddituali (ulteriori rispetto alla progressione per anzianità sopra riconosciuta).

Appare, infatti, oltremodo generica l’affermazione per cui l’esclusione avrebbe egli impedito «sulla base di un prevedibile svolgimento di carriera, la possibilità di partecipare ai concorsi indetti nel lungo periodo di esclusione, dal -OMISSIS- a oggi, di partecipare alle numerose operazioni e alle missioni condotte dall’Esercito Italiano in Italia e all’estero, così arricchendo il proprio patrimonio di esperienza professionale, maturando titoli per ulteriori e più rapide progressioni di carriera e di percepire il relativo trattamento economico».

7.? Per carenza di allegazioni e prova, non può essere accordato neppure il danno non patrimoniale.

7.1.? Gli artt. 1218 e 1223 c.c. distinguono in modo chiaro tra linadempimento (ossia la lesione) e la perdita (solo eventuale). Un limite strutturale del nostro sistema di responsabilità afferisce proprio all’oggetto del risarcimento, che non può consistere se non in una perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva dal momento che l’evento, il fatto materiale e naturalistico, quale effetto del comportamento ingiusto, non può avere alcuna rilevanza autonoma. Il danno alla persona (sia esso biologico, emotivo ed interiore, ovvero attinente alle variazioni delle scelte di vita), ne consegue, al pari di ogni danno ingiusto, è risarcibile soltanto come pregiudizio effettivamente conseguente ad una lesione. È sempre necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere equitativamente commisurato.

Deve però specificarsi come, a maggior ragione nel processo amministrativo per la specificità del suo contenzioso, la verifica storica attraverso la sola prova diretta e rappresentativa può andare incontro ad insormontabili difficoltà data la connotazione intrinsecamente probabilistica dei fatti; difficoltà solo in parte temperabili attraverso l’utilizzo dei poteri ufficiosi del giudice. Diviene doveroso, pertanto, il ricorso alla prova critica (presuntiva) che consente di affermare l’esistenza di un fatto né percepito né rappresentato di fronte al giudice, attraverso la conoscenza di un fatto diverso da lui raggiunta per percezione o per rappresentazione.

7.2.– Nel caso in esame, il ricorrente propone, nell’invocare il danno non patrimoniale, morale ed esistenziale, formule standardizzate (si afferma che: «non è stata garantita al militare la permanenza in un ambiente che ne valorizzi le capacità, le doti e le attitudini personali e, al tempo stesso, tenga conto delle pregresse vicissitudini di carriera»).

Il ricorso a valutazioni prognostiche presuntive imponeva al danneggiato l’allegazione di elementi comprovanti la sofferenza patita o comunque idonei a fornire al giudice dati obiettivi di presunzione (quali ad esempio: lo specifico fatto di danno, la conoscibilità interna ed esterna al contesto di vita del fatto lesivo, la frustrazione di specifiche aspirazione professionali o esistenziali, le abitudini di vita, l’età, l’intensità del vincolo familiare). La generica affermazione dell’incidenza del comportamento della pubblica amministrazione sulla vita lavorativa e familiare del ricorrente e sui suoi progetti di vita non sono sufficienti a provare il danno non patrimoniale in termini di sofferenza emotiva patita.

Anche il danno biologico asseritamente sofferto, diverso da quello esistenziale perché non attinente ai profili emotivi bensì alla lesione della integrità psicofisica, è sprovvisto di elemento di prova medico-legale (il danno biologico necessita, invece, va risarcito sulla base della prova scientifica, rigorosa ed oggettiva, del nocumento e del suo nesso causale con la condotta illecita).

8.– Va pure respinta la richiesta del ricorrente volta ad ottenere il rimborso “risarcitorio” delle spese legali sostenute in relazione a tutti i ricorsi che è stato costretto a proporre.

Il peso economico delle spese legali sopportate dalle parti di un giudizio viene allocato sulla base di un dispositivo restitutorio che trova fondamento positivo nella regola della soccombenza e non dell’illecito, salvo ovviamente che ricorrano le ipotesi della speciale responsabilità processuale. Le statuizioni in punto di spese emesse all’esito dei vari giudizi, se ritenute censurabili, devono quindi essere aggredite con i mezzi di gravame apprestati dall’ordinamento.

9.? Deve essere respinta, da ultimo, la pretesa alla «restituzione della somma, maggiorata di interessi legali, di € 468,27, pretesa in ripetizione dall’Amministrazione relativamente al periodo 23/31.10.2013, e versata con bonifico del 24 novembre 2013 eseguito sul conto Banco Posta n°. -OMISSIS- in favore del 2° Reggimento Artiglieria Alpino -OMISSIS-».

L’appello (così come il ricorso di primo grado) non aggiunge nessun dettaglio ulteriore che consenta di comprendere quali siano i fatti da cui origina tale pretesa restitutoria.

10.? LAmministrazione va condannata a pagare allappellante una somma corrispondente alle retribuzioni, dovute e non corrisposte, a decorrere dal primo giudicato del 15 marzo 2016, tenuto conto della progressione economica che sarebbe spettata, ai sensi del punto 4.2. della motivazione.

Sulle tali somme l’Amministrazione è tenuta a corrispondere la maggior somma tra gli interessi legali e la rivalutazione monetaria ai sensi della legge n. 724 del 1994, art. 22, comma 36 (secondo cui «la legge 30 dicembre 1991, n. 412, art. 16, comma 6, si applica anche agli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale»). Per i «crediti di lavoro», tra cui rientrano anche i crediti di natura risarcitoria nascenti dal rapporto di lavoro, cui è riferibile l’art. 429 c.p.c., il legislatore ha introdotto infatti una regola limitativa (cfr. Cassazione n. 21192 e n. 15639 del 2018; n. 5024 del 2002; n. 976 del 1996; n. 7101 del 1990; cfr. anche la sentenza n. 82 del 2003 della Corte Costituzionale).

11.? Ai sensi dellart. 34, comma 1, lettera e), il Collegio ritiene di disporre le seguenti misure idonee ad assicurare l’attuazione della presente pronuncia.

Al pagamento della somma, come liquidata al punto 10 precedente, l’Amministrazione dovrà provvedere (nel rispetto del termine dilatorio previsto dall’art. 14, comma 1, del decreto-legge n. 669 del 1996) entro 120 giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione o dalla sua notificazione ? se anteriore ? ad istanza di parte.

Scaduto infruttuosamente tale termine, il Prefetto -OMISSIS- designerà, nel termine di giorni 10 dalla ricezione di apposita richiesta scritta da parte dell'interessata, un funzionario munito di adeguata professionalità, affinché provveda, quale commissario ad acta, a quanto necessario per l’esaustiva ottemperanza al giudicato in questione nel termine dei successivi 40 giorni decorrenti dalla nomina.

Il commissario potrà accedere agli atti della amministrazione ed avvalersi dei relativi apparati burocratici.

11.1.– La ‘cognizione ad esecuzione integrata’ è uno degli elementi più innovativi del codice del processo amministrativo.

L’attuazione del risultato pratico del processo non postula necessariamente (neppure sul piano logico-giuridico) una rigida scomposizione per fasi. Le ragioni che tradizionalmente giustificano una cesura processuale tra cognizione ed esecuzione – di aprire una ‘finestra’ temporale per l’adempimento spontaneo e di consentire il controllo sul diritto a procedere ad esecuzione forzata – possono realizzarsi anche con tecniche diverse.

È ben possibile che la tutela giurisdizionale si sviluppi attraverso una successione continua di attività che vanno dall’accertamento della pretesa sino alla soddisfazione della stessa, dove il giudice non si ‘spoglia’ dell’affare all’esito della cognizione, bensì sovrintende alla definizione anche materiale della lite.

A fini di accelerazione e di effettività della tutela, le misure sollecitatorie e surrogatorie delle sentenze esecutive e del giudicato possono essere disposte già con la sentenza che definisce la fase di cognizione. Quando il giudice amministrativo si avvale di questa facoltà, la tutela giurisdizionale esecutiva non deve essere introdotta da una ulteriore domanda, specifica e autonoma (la verifica dell’interesse ad agire e della legittimazione, del resto, sono impliciti nel fatto che la pretesa è stata già accertata come eseguibile).

Un’autonoma domanda sarà necessaria soltanto per la dichiarazione di nullità e inefficacia di atti sopravvenuti adottati in violazione o elusione del giudicato, oppure per l’eventuale determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo satisfattivo che non sia stato possibile definire già in sede di cognizione: a differenza che nell’esecuzione forzata civile (in cui, presupponendosi il già avvenuto accertamento del diritto, il titolo esecutivo costituisce la condizione necessaria e sufficiente per procedere alla stessa), nel sistema della giustizia amministrativa può accadere che la sentenza di annullamento non possa dettare una compiuta disciplina del rapporto tra amministrazione e cittadino ‘sostitutiva’ dell’atto annullato (ad esempio, quando il vizio accertato consiste nella violazione di una norma che assicura all’istante soltanto la possibilità di conseguire il bene finale); in questi casi, il giudizio di ottemperanza, ricorrendone i presupposti, è chiamato a ‘completare’ la cognizione mediante l’individuazione del contenuto della prestazione o attività cui è tenuta l’amministrazione, in sostanza qui è l’esecuzione ad essere ‘a cognizione integrata’ (nel processo civile, invece, la contestazione del diritto a procedere ad esecuzione forzata richiede sempre l’instaurazione di un autonomo giudizio di cognizione, che costituisce un incidente di esecuzione).

11.2.? In definitiva, a seguito della comunicazione (o notificazione) della presente sentenza:

i) se non residuano ragioni di contrasto sull’attuazione del dictum giudiziale, la parte interessata depositerà una nota per confermare che il credito è stato soddisfatto;

ii) se ritenuto necessario, le parti (così come il commissario ad acta) potranno chiedere di incontrare il giudice per avere chiarimenti sulle modalità di esecuzione (ai sensi dell’art. 112, comma 5, del c.p.a.);

iii) ove, invece, sorgano contestazioni sulla determinazione della somma come calcolata dall’Amministrazione debitrice, la parte interessata potrà essere chiedere l’adempimento degli obblighi ritenuti ineseguiti nelle forme previste dal Titolo I del Libro IV, del c.p.a.;

iv) avverso gli atti del commissario ad acta le stesse parti possono proporre reclamo (ai sensi dell’art. 114, comma 6, del c.p.a.).

12.– Le spese di lite del doppio grado di giudizio vanno compensate per un quarto, tenuto conto dell’accoglimento non integrale della domanda risarcitoria spiegata, mentre per la parte restante vanno liquidate secondo la regola generale della soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, così dispone:

- condanna l’Amministrazione appellata al pagamento delle somme indicate nel paragrafo 10 della motivazione, con le modalità attuative indicate nel successivo paragrafo 11;

- compensa per un quarto le spese di lite del doppio grado di lite e, per la restante parte, condanna l’Amministrazione a corrispondere in favore dell’appellante la somma di € 5.400,00, oltre accessori di legge;

- ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 14 febbraio 2023 e 9 maggio 2023 con l’intervento dei magistrati:

Dario Simeoli, Presidente FF, Estensore

Antonella Manzione, Consigliere

Francesco Guarracino, Consigliere

Carmelina Addesso, Consigliere

Stefano Filippini, Consigliere

 
   

IL PRESIDENTE, ESTENSORE

   

Dario Simeoli

   

 

   

 

   

 

   

 

   

 

   

IL SEGRETARIO