Giu Danno biologico e relative componenti.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - ORDINANZA 12 marzo 2021 N. 7126
Massima
Il danno biologico deve tener conto della lesione dell'integrità psicofisica subita dal soggetto sotto il duplice aspetto dell'invalidità temporanea e di quella permanente; il danno estetico non può essere considerato una voce di danno a sé, ulteriore rispetto al danno biologico, salve circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate dal danneggiato.

Casus Decisus
FATTI DI CAUSA C.P.P., in proprio e quale genitore legale rappresentante della figlia minore C.P.J. (che, raggiunta la maggiore età nel corso del giudizio di primo grado, lo ha proseguito in proprio), ha agito in giudizio contro l'Azienda U.S.L. di Teramo per ottenere il risarcimento dei danni subiti in seguito a trattamenti sanitari inadeguati cui era stata sottoposta C.P.J. presso la Divisione di Odontoiatria dell'Ospedale Civile "(OMISSIS)" di (OMISSIS). Le domande sono state rigettate dal Tribunale di Teramo. La Corte di Appello di L'Aquila, in riforma della decisione di primo grado, le ha invece parzialmente accolte, condannando l'Azienda U.S.L. di Teramo a pagare l'importo di Euro 25.000,00 in favore di C.P.J. e l'importo di Euro 3.471,60 in favore di C.P.P., oltre accessori. Ricorrono P. e C.P.J., sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso l'Azienda U.S.L. di Teramo. Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c.. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis.1 c.p.c..

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - ORDINANZA 12 marzo 2021 N. 7126
RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia 'violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2047 e 2059 c.c.: per avere la Corte di Appello dell'Aquila ritenuto che il periodo di trattamento necessario per evitare un aggravamento del quadro clinico e contenere gli effetti negativi delle cure negligenti, sino alla stabilizzazione dei postumi, non possa essere liquidato come danno da invalidità temporanea ma sia assorbito dal danno da invalidità permanente (ex art. 360 c.p.c., n. 3)'. Con il terzo motivo si denunzia 'Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2047 e 2059 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo oggetto di contraddittorio tra le parti per avere la Corte di Appello dell'Aquila personalizzato il danno non patrimoniale subito dalla sig.ra C.P.J. senza tener conto del reale periodo di invalidità temporanea (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)'.

Il primo ed il terzo motivo (aventi entrambi ad oggetto la liquidazione del danno da invalidità temporanea subito dall'attrice C.P.J.) sono logicamente connessi e possono pertanto essere esaminati congiuntamente.

Essi sono fondati.

La corte di appello ha respinto la pretesa dell'attrice di ottenere il riconoscimento del danno da invalidità temporanea per l'intero periodo (pari a circa undici anni) in cui era stata sottoposta a cure odontoiatriche/ortodontiche finalizzate a contenere e stabilizzare i danni riportati a seguito dell'incidente (e del successivo inadeguato trattamento medico ricevuto), liquidando esclusivamente il danno derivante dall'inabilità temporanea per i quaranta giorni del suo ricovero ospedaliero (oltre al danno da invalidità permanente, danno che risulta correttamente valutato in base alla situazione della danneggiata come stabilizzatasi all'esito delle indicate cure).

In tal modo, sono stati violati i principi di diritto affermati in proposito da questa Corte - e che vanno in questa sede ribaditi - secondo cui la liquidazione del danno biologico deve tener conto della lesione dell'integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell'invalidità temporanea e di quella permanente e quest'ultima è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l'individuo abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi, onde l'esistenza di una malattia in atto e l'esistenza di uno stato di invalidità permanente non sono tra loro compatibili, di modo che, sinchè durerà la malattia, permarrà uno stato di invalidità temporanea, anche se non v'è ancora invalidità permanente (v. ad es., Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3806 del 25/02/2004, Rv. 570534 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 10303 del 21/06/2012, Rv. 623138 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 26897 del 19/12/2014, Rv. 633923 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 5197 del 17/03/2015, Rv. 634697 01; Sez. 3, Sentenza n. 16788 del 13/08/2015, Rv. 636383 -

01).

Nella specie, il periodo in cui C.P.J. era stata sottoposta al trattamento odontoiatrico/ortodontico finalizzato a contenere e stabilizzare i postumi riportati a seguito dell'evento dannoso, avrebbe senz'altro dovuto essere preso in considerazione ai fini della liquidazione del danno da invalidità temporanea (anche in considerazione dell'incidenza notoriamente pregiudizievole, sotto il profilo funzionale e della vita di relazione, di tali trattamenti), dovendo l'incidenza dell'invalidità permanente essere valutata solo all'esito della stabilizzazione della sua condizione, determinatasi con la conclusione del trattamento in questione.

Nella valutazione di tale pregiudizio, in particolare, avrebbe dovuto considerarsi sia il profilo dell'inabilità temporanea determinata dai trattamenti, per tutta la loro durata, sia (nell'ambito della complessiva liquidazione del danno non patrimoniale) il profilo delle eventuali conseguenti sofferenze morali o psicologiche patite dalla danneggiata a causa degli stessi.

La liquidazione operata dalla corte di appello non ha invece tenuto conto della situazione in cui la danneggiata si è trovata nel corso del periodo in cui è stata costretta a sottoporsi a tali trattamenti, sotto nessuno dei due profili indicati.

La decisione va pertanto cassata sul punto. La liquidazione del danno non patrimoniale e, in particolare, di quello relativo all'invalidità temporanea dovrà essere nuovamente effettuata in sede di rinvio, sulla base del seguente principio di diritto: 'la liquidazione del danno biologico deve tener conto della lesione dell'integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell'invalidità temporanea e di quella permanente;

quest'ultima è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l'individuo abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi, mentre, ai fini della liquidazione del danno da invalidità temporanea, laddove il danneggiato si sia dovuto sottoporre a periodi di cure, necessarie per conservare o ridurre il grado di invalidità residuato al fatto dannoso e/o impedire il suo aumento, gli va riconosciuto un danno da inabilità temporanea totale o parziale per tali periodi, inteso come privazione della capacità psico-fisica in corrispondenza di ciascun periodo e in proporzione al grado effettivo di inabilità sofferto, dovendosi inoltre tenere anche conto nella liquidazione complessiva del danno non patrimoniale delle relative sofferenze morali soggettive, eventualmente da egli patite negli indicati periodi'.

2. Con il secondo motivo si denunzia 'Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2047 e 2059 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo oggetto di contraddittorio tra le parti per avere la Corte di Appello dell'Aquila quantificato il danno non patrimoniale subito dalla sig.ra C.P.J. senza tener conto della componente riconducibile al concetto di danno estetico (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)'.

Il motivo è infondato.

L'eventuale sussistenza di un danno estetico doveva essere (ed è stata, per quanto emerge dagli atti) presa in considerazione dal consulente tecnico di ufficio nell'ambito della valutazione relativa all'incidenza dell'invalidità permanente. La pretesa di ottenere una separata liquidazione di tale pregiudizio è infondata in diritto, in virtù del principio di omnicomprensività e della necessaria liquidazione unitaria del danno biologico non patrimoniale.

Sotto tale aspetto, la decisione impugnata risulta conforme ai principi di diritto enunciati in materia da questa Corte, secondo cui il danno estetico non può essere considerato una voce di danno a sè, aggiuntiva ed ulteriore rispetto al danno biologico, salve circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, circostanze nella specie non ricorrenti e comunque non adeguatamente e specificamente allegate (cfr., ex multis, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 14246 del 08/07/2020, Rv. 658620 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 20630 del 13/10/2016, Rv. 642918 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014, Rv. 633405 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 21716 del 23/09/2013, Rv. 628100 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 11950 del 16/05/2013, Rv. 626348 - 01; Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008, Rv. 605495 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 7492 del 27/03/2007, Rv. 596962 - 01).

La censura, d'altronde, risulta formulata in termini non sufficientemente specifici, nell'indicare gli elementi in base ai quali risulterebbe emergere il dedotto danno estetico, in violazione dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

3. Con il quarto motivo si denunzia 'Violazione e falsa applicazione dell'art. 167 c.p.c. e del principio di non contestazione per avere la Corte d'Appello rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale subito dal sig. C.P.P. per carenza di prova di circa l'esistenza e la quantificazione stessa del danno senza avvedersi che entrambe le circostanze risultavano essere pacifiche in quanto non contestate (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)'.

Il motivo è infondato.

Secondo il ricorrente C.P.P., egli avrebbe specificamente dedotto, in sede di merito, i danni connessi alle spese sostenute per le trasferte effettuate, dall'Abruzzo a Roma, in vista dei trattamenti odontoiatrici/ortodontici subiti dalla figlia e non vi sarebbe stata una specifica contestazione in ordine a tali allegazioni.

La corte di appello ha peraltro ritenuto provate solo le spese emergenti dalle relative fatture mediche.

Il motivo di ricorso non risulta formulato in termini sufficientemente specifici, in violazione dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Non è infatti adeguatamente richiamato il contenuto degli atti introduttivi in cui sarebbero stati allegati i fatti di cui si assume la non contestazione (in particolare, non risulta adeguatamente richiamato il contenuto della comparsa di risposta della A.S.L. convenuta, in cui i fatti allegati dall'attore non sarebbero stati specificamente contestati).

E' comunque appena il caso di ribadire che il principio di non contestazione riguarda esclusivamente i 'fatti' allegati dalle parti (che, in quanto non contestati, non richiedono prova), non certo il contenuto e, tanto meno la valenza probatoria, dei documenti prodotti per dimostrare tali fatti (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12748 del 21/06/2016, Rv. 640254 - 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 3306 del 11/02/2020, Rv. 657014 - 01; cfr. altresì: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22055 del 22/09/2017, Rv. 646016 - 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 30744 del 21/12/2017, Rv. 647006 - 01; Sez. 6 - L, Ordinanza n. 3126 del 01/02/2019, Rv. 652900 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 6172 del 05/03/2020, Rv. 657154 - 01). I documenti, in quanto prove precostituite, devono invece essere sempre valutati dal giudice nella loro valenza probatoria (mentre, al contrario, i fatti non oggetto di contestazione, essendo al di fuori del cd. 'thema decidendum' per definizione non richiedono alcuna prova, onde non vi può essere alcuna 'non contestazione' in relazione al contenuto di documenti).

Sotto questo aspetto, la censura in esame finisce per sovrapporre erroneamente i due piani indicati. Si discute - sia nel ricorso che nelle memorie depositate dai ricorrenti - della regolarità della produzione di prospetti e documenti, ma la questione non può ritenersi rilevante ai fini della dedotta ed eventuale violazione del principio di non contestazione, perchè quest'ultimo non riguarda i documenti ma le allegazioni e non ha ad oggetto la valutazione delle prove documentali ma solo le allegazioni di specifici fatti.

In ogni caso, per quanto è possibile evincere dagli atti, la corte di appello non risulta avere affatto violato il principio di non contestazione: essa non ha negato il fatto che la figlia del ricorrente era stata sottoposta a trattamenti odontoiatrici/ortodontici presso un professionista di Roma (liquidando infatti gli importi delle relative fatture), nè che la famiglia aveva dovuto affrontare le relative trasferte. Ha però ritenuto che i documenti prodotti non costituissero sufficiente prova del quantum delle spese effettivamente affrontate per tali trasferte e, in particolare, ha ritenuto non provato il preteso pregiudizio reddituale conseguente al mancato svolgimento dell'attività lavorativa di C.P.P., che secondo quest'ultimo sarebbe stato invece documentato sulla base delle dichiarazioni attinenti al reddito percepito (quale promotore finanziario) negli anni in considerazione.

Le censure in esame, sotto questo aspetto, si risolvono in una contestazione avente ad oggetto la valutazione delle prove, attività riservata al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità.

4. Sono accolti il primo e il terzo motivo del ricorso, che è rigettato per il resto.

La sentenza impugnata è cassata in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di L'Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.


P.Q.M.

La Corte:

accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso, che rigetta per il resto, e cassa in relazione la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di L'Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021