Nel medesimo senso depone peraltro, in riferimento alla fattispecie in esame, anche la considerazione, conforme al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia tributaria, che il diniego della licenza, della concessione o dell'autorizzazione o l'inibizione della prosecuzione dell'attività avviata a seguito della presentazione SCIA non rientrano nella tassativa elencazione degli atti impugnabili dinanzi al Giudice tributario contenuta nell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 542, la quale, pur non precludendo la facoltà d'impugnare altri atti astrattamente riconducibili alle categorie elencate, ancorché atipici o caratterizzati da un nomen juris diverso da quelli indicati, postula comunque che gli stessi risultino produttivi dei medesimi effetti giuridici, in quanto volti a portare a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, della quale devono essere esplicitate le concrete ragioni fattuali e giuridiche (cfr. Cass., Sez. V, 30/01/ 2020, n. 2144; 21/01/2020, n. 1230; 22/07/2011, n. 16100)
RILEVATO che
Premesso che l'impugnazione proposta dall'(omissis) ha ad oggetto un'ordinanza sindacale emessa nell'esercizio di un potere di autotutela, con cui è stata disposta la revoca dell'autorizzazione all'esercizio della attività ricettivo-turistica, il Comune osserva che, trattandosi di un atto di secondo grado, incidente su un precedente atto autorizzativo e giustificato dal sopravvenuto difetto dei requisiti prescritti per il mantenimento in esercizio dell'attività, la controversia è devoluta alla giurisdizione generale di legittimità del Giudice amministrativo. Aggiunge che tale devoluzione trova conferma nella ratio dell'art. 15-ter del d.l. n. 34 del 2019, consistente nel dotare i Comuni di uno strumento volto a contrastare diffusi fenomeni di evasione dei tributi locali, sostenendo che, a differenza di quanto accade per l'imposizione tributaria, nel caso in esame non viene in considerazione un rapporto paritetico tra il Comune ed il contribuente, ma un potere autoritativo dell'Amministrazione, che degrada la posizione del privato ad interesse legittimo. Precisato infine che l'irregolarità nel pagamento dei contributi costituisce soltanto il presupposto per l'esercizio del predetto potere, afferma che la controversia in esame esula dall'ambito della giurisdizione tributaria, definito dall'art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non avendo ad oggetto l'impugnazione di uno dei provvedimenti indicati dall'art. 19 del medesimo decreto, ma il provvedimento di revoca dell'autorizzazione amministrativa all'esercizio di un'attività d'impresa.
2. Il ricorso è fondato.
La controversia ha ad oggetto l'impugnazione di un'ordinanza sindacale con cui è stata disposta la revoca della SCIA presentata dalla controricorrente nel 2015 per l'esercizio dell'attività recettizia turistica, a causa del mancato pagamento di tributi comunali. Il provvedimento è stato adottatoai sensi dell'art. 15-ter del d.l. n. 34 del 2019, introdotto dalla legge di conversione n. 58 del 2019, il quale consente agli enti locali competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni e dei relativi rinnovi, alla ricezione di segnalazioni certificate di inizio attività, uniche o condizionate, concernenti attività commerciali o produttive di disporre, con norma regolamentare, che il rilascio o il rinnovo e la permanenza in esercizio siano subordinati alla verifica della regolarità del pagamento dei tributi locali da parte dei soggetti richiedenti. In applicazione di tale disposizione, il Consiglio comunale di Rodi Garganico, con delibera n. 33 del 2019, ha ribadito la subordinazione del rilascio o del rinnovo dei predetti provvedimenti alla verifica di regolarità fiscale, prevedendone inoltre, con specifico riferimento alla permanenza in esercizio, la revoca immediata «allorché siano accertate esposizioni debitorie per il mancato pagamento di tributi locali che superino l'annualità o che comunque eccedano la somma di Euro 10.000,00», con l'espressa precisazione che tale condizione deve intendersi «come perdita dei requisiti di regolarità che devono necessariamente caratterizzare il rapporto autorizzativo nel suo divenire». Contrariamente a quanto sostenuto dalla controricorrente, la ratio delle predette disposizioni, indubbiamente finalizzate a contrastare il diffuso fenomeno dell'evasione dei tributi locali, non consente di attribuire alle stesse una natura propriamente sanzionatoria, avendo esse ad oggetto non già la comminatoria di una misura afflittiva collegata all'inadempimento di una specifica obbligazione tributaria, come accade per le sanzioni accessorie previste dall'art. 21 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, ma la previsione di una forma di coazione indiretta all'adempimento, che si realizza attraverso l'introduzione di un ulteriore requisito per l'ammissione all'esercizio di attività commerciali o produttive e la prosecuzione delle stesse, consistente nella esclusione di pendenze in materia di tributi locali per il periodo indicato o in misura complessivamente superiore a un determinato importo. Il relativo accertamento, in caso d'impugnazione del provvedimento autorizzativo delle predette attività, esula pertanto dalla giurisdizione del Giudice tributario, non avendo ad oggetto il rapporto tributario, ma la legittimità del diniego opposto dall'Amministrazione, in relazione alla posizione fiscale dell'interessato, la cui verifica, pur implicando la delibazione di aspetti sostanziali della disciplina tributaria, riveste carattere meramente incidentale, in quanto funzionale al riscontro dei requisiti soggettivi cui la legge subordina l'esercizio dell'attività, e spetta pertanto al Giudice amministrativo, cui è devoluta la giurisdizione in ordine alla predetta controversia.
[...]
3. In accoglimento del ricorso, va pertanto dichiarato che la giurisdizione in ordine alla controversia avente ad oggetto l'impugnazione da parte dell'interessato del provvedimento di revoca del titolo autorizzativo di un'attività commerciale o produttiva adottato dal Comune ai sensi dell'art. 15-ter del d.l. n. 34 del 2019 spetta al Giudice amministrativo, dinanzi al quale vanno rimesse le parti, anche per il regolamento delle spese processuali.