Giu Impresa di uno solo dei coniugi e comunione de residuo
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - SENTENZA 17 maggio 2022 N. 15889
Massima
Le Sezioni Unite, pronunciando su questione di massima e di particolare importanza, hanno affermato che nel caso di impresa riconducibile ad uno solo dei coniugi costituita dopo il matrimonio, e ricadente nella cd. comunione “de residuo”, al momento dello scioglimento della comunione legale, all’altro coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell’azienda, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data.

Casus Decisus
RILEVATO che Con atto di citazione ritualmente notificato, la Sig.ra P. B. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Cagliari il Sig. C. P., con cui aveva contratto matrimonio concordatario il 28 giugno 1974 e con il quale aveva costituito, nel mese di ottobre del 1997, una società denominata s.r.l. (omissis) avente ad oggetto il commercio di macchine industriali, società della quale era amministratore il suddetto C., titolare di una quota pari al 55% mentre la P. lo era della restante parte. Successivamente all'inizio dell'esercizio dell'attività societaria ed al conseguimento dei corrispondenti utili, i due coniugi acquistarono un'area fabbricabile sulla quale edificare una sede più adeguata ed i locali da destinare ad officine dell'impresa individuale che il C, aveva avviato in proprio, con lo scopo principale di provvedere alla manutenzione ed all'assistenza dei mezzi commercializzati dall'anzidetta società. Con successivi sei atti, gli stessi coniugi avevano acquistato plurimi fondi per la superficie complessiva di 18.000 mq e, solo nell'ultimo di tali atti, concluso nel 1988, si dava atto che il relativo immobile era stato acquistato dai coniugi in regime di comunione legale, in quanto negli altri atti, invece, risultava essere unico acquirente ed intestatario il Cannas, mentre l'attrice, pur intervenuta alla stipula, aveva dichiarato che gli immobili oggetto degli acquisti non rientravano nella comunione dei beni in quanto da considerarsi necessari per l'esercizio della professione del C., e ciò in conformità all'art. 179, lett. d), c.c. Sul presupposto dell'assunta erroneità di quest'ultima dichiarazione e dell’applicabilità dell'art. 178 c.c., in luogo del citato art. 179 lett. d), c.c., ed essendo successivamente intervenuta pronuncia di separazione giudiziale con sentenza del Tribunale di Cagliari del 2 maggio 2000 (passata in giudicato), si sarebbe dovuta - ad avviso della P. - ritenere sciolta la comunione legale tra coniugi, con la conseguenza che gli immobili acquistati dal C. erano da considerarsi caduti "ipso iure" in comunione, ragion per cui l’attrice dichiarava di vantare il suo diritto di comproprietà sui predetti immobili, nonché su quanto sugli stessi edificato, in ragione del 50%. La stessa P., sempre ponendo riferimento all'art. 178 c.c., sosteneva di essere altresì comproprietaria, per metà, anche di tutti i beni mobili dell'impresa artigiana del coniuge (ivi compresi gli utili, gli incrementi, le attrezzature nonché di qualsiasi altra posta patrimoniale ancora esistente all'atto dello scioglimento della comunione), oltre che delle quote della citata società ancora intestate al medesimo coniuge (poiché egli aveva sottoscritto tutte le quote di nuova emissione per effetto di un'operazione di abbattimento del capitale sociale e di contestuale ricostituzione). Sulla base di tale premessa in fatto, P. B. citava in giudizio il C.P. chiedendo la divisione di tutti i beni aziendali intestati al convenuto, nonché l'accertamento degli utili percepiti e percipiendi dallo stesso C., oltre che dell'equivalente pecuniario riconducibile agli eventuali beni aziendali che fossero stati alienati dal medesimo convenuto successivamente all'intervenuto scioglimento della comunione legale. Si costituiva in giudizio C. P., il quale resisteva alla domanda, invocandone il rigetto ed eccependo, altresì, l'avvenuto acquisto per usucapione di tutti gli immobili dedotti in controversia, compresi quelli aziendali, e delle costruzioni su di essi insistenti. Il C. deduceva, inoltre, che ove fosse stata condivisa la prospettazione di quanto dedotto in citazione, occorreva tener conto che l'azienda individuale da lui esercitata, fin dal momento dello scioglimento della comunione legale, presentava un'esposizione per passività ammontante a circa 400 milioni di lire e che, anche sulla proprietà dei beni immobili acquistati, pendeva una posizione debitoria di 100 milioni di lire. Il convenuto, pertanto, chiedeva che l'attrice venisse condannata al pagamento della metà di tutti gli oneri correlati alla realizzazione delle opere edificate sugli immobili di sua proprietà esclusiva, nonché al rimborso a proprio favore di tutti gli oneri che erano derivati dall'esecuzione di quelle opere da parte di soggetti terzi, ai sensi degli art. 934 e 935 c.c. All'udienza di trattazione l'attrice proponeva, in via subordinata rispetto alle domande già indicate nell'atto di citazione, domanda di annullamento o revoca o dichiarazione di nullità ovvero di inefficacia delle dichiarazioni di esclusione dei beni dalla comunione rilasciate dalla stessa attrice nei rogiti di compravendita per dolo, per errore e/o di diritto. Il convenuto eccepiva, a sua volta, la prescrizione di queste ultime azioni ulteriormente avanzate dalla P., nonché la decadenza dalle stesse. All'esito dell'istruttoria, l'adito Tribunale di Cagliari, con sentenza non definitiva del 5 novembre 2003, dichiarò che l'attrice era proprietaria del 50% dei beni immobili oggetto del contendere, dovendosi applicare nella fattispecie, il disposto dell'art. 178 c.c., rigettando la domanda riconvenzionale di usucapione formulata dal convenuto, difettandone i relativi presupposti. Con la suddetta sentenza il Tribunale dispose la prosecuzione del giudizio per le conseguenti operazioni divisionali (nel corso della quale furono emesse altre due sentenze non definitive, e precisamente, la n. 2414/2007, con la quale ebbe a rigettare la domanda riconvenzionale del C., ritenendo che gli edifici realizzati sui terreni dallo stesso acquistati fossero divenuti di sua proprietà individuale, in applicazione del principio dell'accessione ex art. 934 c.c., e la n. 2297/2014, con cui il Tribunale si limitò a rilevare la sussistenza del diritto in capo alla P. alla rappresentazione dei frutti e degli utili percepiti e percipiendi dei beni comuni a far data dallo scioglimento della comunione, beni sui quali il C. aveva esercitato il possesso esclusivo, con decorrenza dalla data della domanda di divisione). Preso atto che l'attrice aveva rinunciato, in sede di comparsa conclusionale, alle azioni di assegnazione della metà dei beni mobili dell'azienda intestata al C., nonché della metà delle quote della società SAVEMAIN, oltre che alla liquidazione dei frutti e degli utili maturati, percepiti e percepibili dal C. per effetto del godimento esclusivo dell'azienda individuale e della citata società, lo stesso Tribunale, con sentenza definitiva n. 1186 del 2017, ritenendo non necessaria l'osservanza delle formalità previste dall'art. 789 c.p.c., dichiarò esecutivo il progetto di divisione approntato dal c.t.u. nella relazione depositata in data 19 ottobre 2015 e, per l'effetto, assegnò all’attrice il complesso artigianale e relative pertinenze sito nel Comune di (omissis), al km (...) della s.s. (...), distinto al N.C.E.U. al foglio 22, mappali 2097, sub 1, 2 , 3, 4, 5, comprendente il terreno distinto al foglio 18, mappali 74, 520, 529, 530, 539, 817, 818, 819, 820, 821 e 822, ed il terreno distinto al foglio 22, mappali 242, 243, 244 e 472, con l'obbligo per l'assegnataria di versare al C. un conguaglio di euro 38.500,00. Con la sentenza definitiva, il Tribunale regolava anche le complessive spese processuali, ponendo a carico del convenuto anche quelle relative al procedimento cautelare svoltosi in corso di causa. Avverso tutte le sentenze (quelle non definitive e quella definitiva) del Tribunale di Cagliari, proponeva appello C. Piero, resistito dall'appellata P. B., la quale a sua volta avanzava gravame incidentale. Con sentenza n. 557/2019, la Corte di Appello di Cagliari, non definitivamente pronunciando sull'appello principale e su quello incidentale, così statuiva: 1) accoglieva per quanto di ragione l'appello del Cannas e, in parziale riforma della sentenza di primo grado (che confermava con riferimento all’applicazione dell'art. 178 c.c. ed all'esistenza della comunione "de residuo"), dichiarava che, per effetto dello scioglimento dell'anzidetta comunione "de residuo", la Pirastu Barbarina era titolare di un diritto di credito corrispondente al 50% del valore dei beni (alla stregua di quanto precisato in parte motiva) costituenti l'impresa esercitata a titolo personale dal Cannas durante il matrimonio; 2) disponeva, con separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio di appello ai fini dell'accertamento in concreto dell'esistenza e dell'entità del credito, nonché dei relativi frutti; 3) rimetteva alla sentenza definitiva la pronuncia sulle complessive spese giudiziali. A fondamento dell'adottata decisione, la Corte cagliaritana respingeva il primo motivo formulato dal C., ravvisandone l'infondatezza, poiché il Tribunale di Cagliari aveva correttamente considerato applicabile l'art. 178 c.c., in virtù del valore negoziale della dichiarazione resa dalla P. negli atti pubblici di acquisto dei terreni. Di conseguenza, i beni da dividere avrebbero dovuto considerarsi inseriti nella realtà produttiva dell'azienda, al cui esercizio erano destinati, ragion per cui l'incremento residuo, del quale la P. avrebbe dovuto beneficiare "pro quota", doveva tener conto dell'attivo sui beni aziendali da accertarsi alla data in cui si era verificato lo scioglimento della comunione (e quindi al 25 gennaio 2001, corrispondente pacificamente alla data della proposizione della domanda di divisione). Pertanto, ai fini della determinazione dell'entità dei crediti da attribuire in favore dell’attrice (sul presupposto che alla stessa si sarebbe dovuto, quindi, riconoscere solo una ragione di credito e non una situazione di contitolarità reale sui beni risultanti dalla comunione "de residuo") e dei relativi frutti, la causa veniva rimessa sul ruolo per il suo ulteriore prosieguo istruttorio e la conseguente regolazione finale delle spese processuali. Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte d’Appello, dopo avere escluso che i beni per cui è causa fossero stati acquisiti per l’esercizio dell’attività di agente di commercio del convenuto, e che quindi potessero farsi rientrare nel novero dei beni personali ex art. 179 c.c., trattandosi al contrario di beni destinati all’esercizio dell’impresa individuale gestita dal C., e nel ribadire che si trattava quindi di beni oggetto della comunione de residuo, sosteneva la conclusione secondo cui l’attrice potesse vantare per gli stessi solo un diritto di credito. Nel dare conto del dibattito che aveva affannato la dottrina occupatasi della questione, e dopo aver ricordato che nel corso degli anni vi era stato l’intervento di alcune pronunce di legittimità, che però non avevano fornito una risposta univoca, la sentenza esponeva gli argomenti che a suo dire portavano a propendere per la tesi della natura obbligatoria del diritto del coniuge non titolare dell’azienda, il cui oggetto era il valore monetario dei beni che costituiscono l’azienda, dedotte le passività. Era, quindi, necessario considerare i beni in quanto inseriti nella realtà produttiva dell’azienda, potendo l’attrice beneficiare dell’incremento residuo, pro quota, e ciò alla data in cui era intervenuto lo scioglimento della comunione legale. Aggiungeva, tuttavia, che nel prosieguo del giudizio la Corte avrebbe dovuto solo procedere all’accertamento del credito vantato dall’attrice, ma senza la possibilità anche di adottare una condanna a suo favore, poiché una domanda siffatta non era mai stata proposta dalla P.. Avverso la suddetta sentenza non definitiva di secondo grado della Corte di appello di Cagliari ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, P. B.. Ha resistito con controricorso l'intimato C.P.. I difensori di entrambe le parti hanno anche depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. in vista dell’udienza pubblica del 28 settembre 2021. La Seconda Sezione civile con ordinanza interlocutoria n. 28872 del 19 ottobre 2021 ha rimesso il ricorso al Primo Presidente in vista della eventuale rimessione alle Sezioni Unite della questione di massima importanza concernente la natura del diritto vantato dal coniuge non titolare dell’azienda sui beni dell’azienda stessa ex art. 178 c.c. La causa è stata quindi fissata dinanzi alle Sezioni Unite per l’udienza pubblica del 10 maggio 2022. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte ed entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - SENTENZA 17 maggio 2022 N. 15889

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia - con riferimento all'art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. - la violazione e falsa applicazione degli artt. 177, 178, 179, 186, 191, 194, 718, 725, 726, 727, 728, 729, 1111, 1114, 1115 e 1116 c.c., dovendosi considerare, in difformità dall'impugnata sentenza, che l'esigenza di ripartire tra i coniugi pure i debiti gravanti sui beni destinati all'esercizio dell'impresa avrebbe dovuto considerarsi pienamente salvaguardata, anche riconoscendo al coniuge non imprenditore un diritto reale sugli stessi beni, senza necessità di trasformare il diritto di detto coniuge in un diritto di credito.

[...]

2. Con il secondo motivo (da considerarsi formulato subordinatamente al mancato accoglimento del primo) la ricorrente deduce - in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. - la violazione e falsa applicazione degli artt. 177, 178, 179, 186, 189, 191, 192, 194, 718, 725, 726, 727, 728, 729, 1111, 1113, 1114, 1115, 1116, 2646, 2652, 2653, 2740 e 2741 c.c., sostenendosi che, ove si fosse qualificato il diritto del coniuge dell'imprenditore come diritto di credito, si sarebbe dovuto ritenere che, in caso di scioglimento della comunione "de residuo" ai sensi dell'art. 178 c.c., il coniuge dell'imprenditore avrebbe avuto diritto di prelevare, in relazione all'art. 192, comma 5, c.c., beni ricadenti nella predetta comunione sino a concorrenza del proprio diritto di credito, dovendosi reputare tale norma applicabile anche all’ipotesi della cd. comunione de residuo.

[...]

3. Con la terza ed ultima doglianza (anch'essa da intendersi avanzata condizionatamente al mancato accoglimento della prima), la ricorrente denuncia - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.- la violazione e falsa applicazione degli art. 99 e 112 c.p.c., nonché degli articoli 177, 178, 179 e 194 c.c., e congiuntamente - in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4) - la nullità del procedimento o della sentenza, sull'asserito presupposto dell'illegittimità della decisione gravata nella parte in cui aveva dichiarato che ogni statuizione successiva all'espletamento della c.t.u. avrebbe potuto limitarsi soltanto all'accertamento del credito ad essa ricorrente spettante, ma non anche alla condanna del C.P. al relativo pagamento.

[...]

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo nei limiti di cui in motivazione e, rigettati i primi due motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’Appello di Cagliari, cui rimette anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.