la restituzione del capitale versato incrementato di un rendimento anche solo minimo; al contrario, le polizze vita linked, indipendentemente dal nomen iuris attribuito, costituiscono un investimento che ha ad oggetto la performance - fortemente altalenante - dello strumento finanziario acquistato, ribaltando, in tal modo, il rischio totalmente a carico dell'assicurato e facendolo dipendere, non dal fattore vita o morte dello stesso, ma dall'andamento delle fluttuazioni del mercato. Si tratta, quindi, di un prodotto ad elevato rischio finanziario posto a carico del cliente, le cui caratteristiche non possono ricondursi all'alveo dei contratti di assicurazione sulla vita, ma, piuttosto, vanno sussunte nell'ampia categoria degli strumenti finanziari. Nel contratto di assicurazione, infatti, il rischio è sempre e solo a carico dell'assicuratore, mentre nelle polizze linked l'aleatorietà dei fondi o del titolo di investimento e l'imprevedibilità delle fluttuazioni del mercato sposta il rischio interamente a carico dell'assicurato. Pertanto, quando una polizza vita non è collegata ad un evento attinente alla vita umana, ma, al contrario, è ancorata al valore di titoli azionari, allora il rapporto non può che rientrare nella previsione della sopracitata lett. u) dell'art. 1, comma 1, del T.U.F. (ovvero nell’ambito dei prodotti finanziari indicati da tale norma), integrando, in concreto, un vero e proprio contratto finanziario (con conseguente applicazione della disciplina dettata in tema di intermediazione finanziaria). Ciò, comunque, non senza precisare che, in ogni caso, al contratto a causa mista (laddove possa ravvisarsi anche una debole causa assicurativa-previdenziale) deve applicarsi la disciplina del rapporto prevalente. Ebbene, nel caso in cui le somme corrisposte dall'assicurato a titolo di premio sono versate in fondi di investimento interni o esterni all'assicuratore (polizze unit linked) o collegate all’andamento di uno strumento finanziario
(polizza index linked) ed, alla scadenza del contratto o al verificarsi dell'evento in esso dedotto, l'assicuratore è tenuto a corrispondere all'assicurato una somma pari al valore delle quote del fondo mobiliare (polizza unit linked) o al valore dell’indice di riferimento (polizze index linked), il giudice di merito deve interpretare il contratto (interpretazione non censurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata – cfr. al riguardo, ex plurimis, anche di recente Cass. civ. sez. III del 15.11.2019 n. 29712) al fine di stabilire se esso, al di là del nomen iuris attribuitogli, configuri una polizza assicurativa sulla vita (in cui il rischio avente ad oggetto un evento dell'esistenza dell'assicurato è assunto dall'assicuratore) oppure concreti un investimento in uno strumento finanziario (in cui il rischio è, invece, addossato all'assicurato) (cfr. in proposito, Cass. civ. n. 6061/2012).
Preliminarmente, va precisato che deve ritenersi formato il
giudicato interno (con esonero di questo giudice da
qualsivoglia delibazione) rispetto a tutto quanto richiesto nel
primo grado di giudizio e non oggetto di appello (principale o
incidentale), né di specifica riproposizione (secondo quanto
previsto dall’art. 346 c.p.c.), né, altresì, dipendente dai capi
della sentenza specificamente impugnati (alla luce di quanto
disposto dagli artt. 329 e 336 c.p.c.). Tanto
anche considerate le deduzioni con cui la società appellante
(negli scritti conclusionali ex art. 190 c.p.c.) ha rilevato
che T.A., costituendosi in giudizio (peraltro con il deposito
della relativa comparsa solo alla prima udienza di
trattazione), non ha spiegato appello incidentale
(o, comunque, proposto specifica reiterazione ex art. 346
c.p.c.) in ordine ad alcune domande già formulate nell’atto
introduttivo del giudizio di primo grado e non accolte dal giudice
di prime cure, oltre che rispetto alle statuizioni adottate
circa il regolamento delle spese di lite. In particolare,
relativamente alle domande disattese e non riproposte mediante
appello incidentale, ha richiamato quelle con cui l’appellato
ha richiesto, in via subordinata (ovvero nella
denegata ipotesi di mancato accoglimento delle domande
proposte in via principale), la declaratoria della nullità e/o
annullabilità del contratto oggetto di causa e, per l’effetto, la
condanna della società Poste (omissis) sia alla restituzione
delle somme, pari ad € 4.000,00, versate da
C. G. contestualmente alla stipula dello stesso
contratto, sia al risarcimento dei danni subiti ai sensi degli
artt. 1175, 1176 e 1228 c.c., da quantificare in via equitativa o
nella diversa somma accertata in corso di causa o ritenuta
dovuta, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria sino al
soddisfo. Ebbene, si tratta di deduzioni meritevoli di plauso,
tenuto conto che, come chiarito in sede giurisprudenziale,
qualora un'eccezione (o una domanda) di merito sia stata
ritenuta infondata dal giudice di primo grado (come nel caso di
specie) attraverso un'enunciazione espressa o indiretta, ma
che sottenda, in modo chiaro ed inequivoco, la valutazione di
infondatezza, la devoluzione al giudice d'appello della sua
cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso rispetto
all'esito finale della lite, esige la proposizione, da
parte di quest’ultimo, dell'appello incidentale regolato
dall'art. 342 c.p.c., non essendo sufficiente la mera
riproposizione ai sensi dell’art. 346 c.p.c. (cfr. in tal senso
Cass. civ. sez. un. del 12.05.2017 n. 11799). Non può,
infatti, farsi a meno di rilevare che, nella fattispecie in esame,
ilgiudice di prime cure, nel rilevare l’autonomia del diritto
vantato dall’odierno appellato (quale beneficiario) rispetto
al contratto stipulato dal proprio dante causa, C. G.,
ha, altresì, evidenziato l’impossibilità del soggetto
beneficiario (in quanto terzo) di far valere l’invalidità e/o
la risoluzione del contratto sotteso alle pretese azionate (da
ritenersi circoscritte al solo diritto ad ottenere
dall’assicuratore il riscatto delle somme dovute in virtù del
medesimo contratto), con la conseguente inammissibilità delle
anzidette domande proposte in via subordinata dall’allora
attore, odierno appellato.
Considerato l’oggetto del contendere è opportuno, in via
preliminare, ricordare che il contratto di assicurazione, a
norma dell’art. 1882 c.c., è il contratto con il quale
l'assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a
rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del
danno prodotto da un sinistro ovvero a pagare un capitale o
una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita
umana. Da ciò consegue la bipartizione dei contratti di
assicurazione contro i danni e sulla vita, in quanto il primo
risulta caratterizzato dalla previsione di un sinistro ed
il rapporto assicurativo ha uno scopo indennitario; mentre, il
secondo è caratterizzato dalla previsione di un “evento
attinente alla vita umana” in un’ottica di risparmio e
capitalizzazione (cfr. in questo senso, tra le altre, Cass.
civ. sez. III n. 1941/1971). Tuttavia, negli ultimi anni
si sono diffusi accanto ai classici contratti di assicurazione
dei nuovi prodotti assicurativo- finanziari, ovvero dei
contratti nei quali la prestazione posta a carico dell'assicuratore
non è predeterminata (ovvero corrispondente alla
corresponsione di un capitale od una rendita al verificarsi
dell'evento morte o della sopravvivenza), ma varia in base alle
fluttuazioni di titoli di credito, quote di fondi di
investimento, indici o altri valori di riferimento. Nella specie,
tali ultimi contratti corrispondono alle cosiddette polizze
unit ed index linked in cui il rendimento (e dunque la
prestazione dell'assicuratore) è legata al rendimento di un fondo
comune di investimento (unit linked) o ad un indice
finanziario (index linked).
Orbene, posto quanto sopra, il fulcro della vertenza in esame
consiste nel verificare la natura giuridica del contratto di
assicurazione sulla vita di tipo index linked, denominato “11 &
Più”, stipulato da C. G. con la società Poste (omissis).
ed, in particolare, accertare se si tratta di una polizza vita
(ancorché con prestazioni collegate ad indici o ad altri valori
di riferimento) oppure di un contratto finanziario avente una
funzione di investimento, con la conseguente applicabilità, in
tale ultima ipotesi, del termine ordinario decennale di
prescrizione, in luogo di quello biennale specificamente
previsto rispetto ai contratti di assicurazione dall’art.
2952 c.c. (richiamato dalla società appellante). Ebbene, al fine di
cogliere la reale natura dell’anzidetta polizza (a prescindere
dal nomen iuris utilizzato), occorre accertare in quale misura
la prestazione dovuta dall’assicuratore è correlata all'andamento
dei mercati finanziari o, invece, ai versamenti eseguiti
dall'assicurato e ad un evento attinente alla vita umana.
Tali elementi determinano, infatti, in positivo o in negativo,
la futura prestazione da erogare all'assicurato e da essi si
desume l’effettiva natura giuridica - e la causa concreta - del
contratto stipulato (ovvero se si tratta di una polizza vita o
di un altro prodotto finanziario). Invero, come già rilevato,
ai sensi del citato art. 1882 c.c., con il contratto di
assicurazione sulla vita l'assicuratore si obbliga, verso il
pagamento di un premio, a pagare all'assicurato un capitale
o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita
umana. L'art. 1, comma 1, lett. u), del Testo unico della
finanza (ovvero del d.lgs. n. 58 del 1998) definisce, invece,
prodotti finanziari “gli strumenti finanziari e ogni altra
forma di investimento di natura finanziaria". Dunque,
la differenza tra le polizze vita cosidette "pure" e gli
strumenti finanziari denominati "polizze vita" appare
decisamente netta, in quanto mentre per le prime l'investimento è
stabile, essendo finalizzato alla conservazione del capitale,
per le seconde è soggetto alle fluttuazioni, in positivo e in
negativo, del benchmark, senza garanzie di rendimenti minimi. In
altri termini, la caratteristica principale delle polizze
linked è la mancanza della garanzia di restituzione
del capitale alla scadenza contrattuale e, quindi, il rischio
di perdere, in parte o del tutto, i premi versati. Se,
infatti, le polizze sulla vita rappresentano un prodotto che deve
garantire, perlomeno,
la restituzione del capitale versato incrementato di un rendimento
anche solo minimo; al contrario, le polizze vita linked,
indipendentemente dal nomen iuris attribuito, costituiscono
un investimento che ha ad oggetto la performance - fortemente
altalenante - dello strumento finanziario acquistato,
ribaltando, in tal modo, il rischio totalmente a carico
dell'assicurato e facendolo dipendere, non dal fattore vita o
morte dello stesso, ma dall'andamento delle fluttuazioni del
mercato. Si tratta, quindi, di un prodotto ad elevato rischio
finanziario posto a carico del cliente, le cui caratteristiche
non possono ricondursi all'alveo dei contratti di assicurazione
sulla vita, ma, piuttosto, vanno sussunte nell'ampia categoria
degli strumenti finanziari. Nel contratto di assicurazione,
infatti, il rischio è sempre e solo a
carico dell'assicuratore, mentre nelle polizze linked
l'aleatorietà dei fondi o del titolo di investimento
e l'imprevedibilità delle fluttuazioni del mercato sposta il
rischio interamente a carico dell'assicurato. Pertanto, quando
una polizza vita non è collegata ad un evento attinente alla
vita umana, ma, al contrario, è ancorata al valore di titoli
azionari, allora il rapporto non può che rientrare nella
previsione della sopracitata lett. u) dell'art. 1, comma 1, del
T.U.F. (ovvero nell’ambito dei prodotti finanziari indicati da
tale norma), integrando, in concreto, un vero e proprio
contratto finanziario (con conseguente applicazione della
disciplina dettata in tema di intermediazione finanziaria).
Ciò, comunque, non senza precisare che, in ogni caso, al
contratto a causa mista (laddove possa ravvisarsi anche una
debole causa assicurativa-previdenziale) deve applicarsi la
disciplina del rapporto prevalente. Ebbene, nel caso in cui le
somme corrisposte dall'assicurato a titolo di premio sono
versate in fondi di investimento interni o
esterni all'assicuratore (polizze unit linked) o collegate
all’andamento di uno strumento finanziario
(polizza index linked) ed, alla scadenza del contratto o al
verificarsi dell'evento in esso dedotto, l'assicuratore è
tenuto a corrispondere all'assicurato una somma pari al valore
delle quote del fondo mobiliare (polizza unit linked) o al
valore dell’indice di riferimento (polizze index linked), il
giudice di merito deve interpretare il contratto (interpretazione
non censurabile in sede di legittimità se congruamente e
logicamente motivata – cfr. al riguardo, ex plurimis, anche di
recente Cass. civ. sez. III del 15.11.2019 n. 29712) al fine di
stabilire se esso, al di là del nomen iuris attribuitogli,
configuri una polizza assicurativa sulla vita (in cui il rischio
avente ad oggetto un evento dell'esistenza dell'assicurato è
assunto dall'assicuratore) oppure concreti un investimento in
uno strumento finanziario (in cui il rischio è, invece, addossato
all'assicurato) (cfr. in proposito, Cass. civ. n.
6061/2012).
Orbene, fatte tali debite premesse ed esaminato il testo del
contratto per cui è causa, si ritiene (in conformità a quanto
già dedotto dal precedente giudicante) che esso, sebbene definito
“contratto di assicurazione sulla vita”, configuri, in realtà,
un prodotto finanziario caratterizzato da un’indubbia finalità
di investimento.
[...]
Dunque, è di palmare evidenza, tenuto conto dei principi
soprarichiamati, che la polizza per cui è causa
è contraddistinta da una funzione di investimento e non
previdenziale (o, quantomeno, da una funzione di investimento
sicuramente preponderante rispetto a quella previdenziale, del
tutto affievolita). Infatti, le prestazioni sono collegate,
direttamente ed esclusivamente, all’andamento del titolo nel
quale il premio versato dall'assicurato è stato investito (e non
alla morte o ad un altro evento della vita umana); il rischio
dell’andamento di tale titolo è posto esclusivamente a carico
del contraente; non è prestata alcuna garanzia, nel caso di
versamento della prestazione assicurativa alla scadenza del
contratto, di rendimento minimo o di rimborso del capitale.
Né può ritenersi che tale garanzia sia stata contemplata in
riferimento all’ipotesi di decesso dell’assicurato prima della
scadenza del contratto. In tal caso, infatti, l’integrazione
dell’importo liquidabile sino alla concorrenza del premio
versato (se inferiore) non è, comunque, idonea a rendere
prevalente la natura previdenziale del contratto rispetto a quella
speculativa. Tale integrazione (prevista, comunque, nel solo
caso di decesso dell’assicurato) consente, in ogni caso, di
ottenere, al più, un importo pari al premio versato, senza
garantire alcun minimo rendimento ed, altresì, è prevista nel
limite massimo di € 5.000,00 (sempre nel caso di richiesta di
liquidazione pervenuta dopo la data del 18.04.2006, spettando,
altrimenti, il solo premio versato). Inoltre, anche nel caso
della morte dell'assicurato, la somma da corrispondere al
soggetto beneficiario è calcolata sulla base di presupposti
identici rispetto alla scadenza del contratto (ovvero
l’andamento del titolo finanziario), sicché alcun effettivo rischio
è posto a carico della compagnia assicurativa. Dunque, la
componente assicurativa del prodotto in esame è meramente
figurativa e consiste, fondamentalmente, in un meccanismo che
concorre a determinare il momento nel quale l'investitore
potrà ottenere il capitale investito, gli eventuali guadagni,
il capitale decurtato delle perdite ovvero solo l’importo di €
5.000,00 a titolo di integrazione del capitale, ove le perdite
siano superiori (cfr. in tal senso, tra le altre,
Tribunale Pisa, n.760 del 2.10.2018). In altri termini, la
causa essenzialmente previdenziale che caratterizza
generalmente il contratto di assicurazione non è rinvenibile nella
fattispecie in esame, in quanto è contemplata la mera
corresponsione dell'eventuale frutto di un
investimento, particolarmente rischioso ed aleatorio,
collegato ad un prodotto finanziario, con una
finalità esclusivamente (o, comunque, prevalentemente)
speculativa ed aleatoria (cfr. in proposito, tra le
altre, Tribunale Bologna, sez. III, n. 356 del 20.02.2017).
Inoltre, quanto rilevato trova conferma nelle pronunce della
giurisprudenza di legittimità con cui è stato ribadito che il
contratto di assicurazione sulla vita ricorre solo qualora
sussista la garanzia della conservazione del capitale alla
scadenza (nella specie insussistente), dovendosi, altrimenti,
considerare come un investimento finanziario (cfr. in tale
senso Cass. civ. sez. III n. 10333 del 30.04.2018, nonché di
recente Cass. civ. sez. II del 22.10.2021 n. 29583, in motivazione,
con cui è stato rilevato: “Si deve dare inoltre per acquisito
che la polizza stipulata dal de cuius aveva contenuto
finanziario. Per polizze vita a contenuto finanziario si
intendono le polizze in cui la componente vita e
di investimento risulta preponderante rispetto a quella
demografica-previdenziale tipica delle polizze di
assicurazioni sulla vita c.d. "tradizionali" di cui all'art. 1882
c.c. Senza che sia minimamente necessario approfondire la
tematica, ai fini che interessano in questa sede,
è sufficiente il rilievo che, nelle polizze di tipo classico,
l'assicurato mira generalmente a garantire la disponibilità di
una somma a familiari ovvero a terzi al momento della
propria morte ed il rischio di perdita del capitale è pari a
zero, essendo predeterminato l'importo da erogare al
contraente o al beneficiario alla scadenza del contratto. Invece,
nelle polizze a contenuto finanziario, al posto dell'obbligo
restitutorio in capo all'impresa di assicurazione, viene
conferito una sorta di mandato di gestione del denaro investito e
l'investitore matura il diritto al mero risultato di gestione
che quindi varia in base a una serie di fattori:
l'andamento del mercato, dei titoli investiti, eccetera. Il
riferimento è in particolare alle polizze unit e index
linked, il cui rendimento, nel primo caso, è parametrato
all'andamento di fondo comuni di investimento e, nel secondo,
ad indici di vario tipo, generalmente titoli azionari.
L'elemento caratterizzante tale tipologie di polizze è dunque
il rischio finanziario, che, nelle così dette linked "pure"
grava interamente sull'assicurato, poiché la compagnia non
garantisce né la restituzione del capitale, né eventuali
rendimenti minimi”). Parimenti, quanto osservato è
stato confermato dalla giurisprudenza di merito intervenuta
sul tema (cfr., ex multis, Tribunale Genova sez. II n. 1400
del 17.05.2018, secondo cui “Costituisce strumento di
investimento
(senza alcuna funzione assicurativa), con conseguente applicazione
della disciplina finanziaria il contratto che consiste nel
pagamento di un premio al fine di ottenere, alla scadenza
del termine del contratto, ovvero alla morte dell’assicurato,
la riscossione di un importo in denaro costituito dal premio
complessivamente versato e rivalutato nel tempo, in cui l’entità
della somma che verrà restituita dipende ed è strettamente
connessa ad un andamento in alcun modo dipendente da un evento
della vita del soggetto, ma unicamente correlato al valore della
quota dei fondi interni mobilitanti (unit) nel quale le somme
risultano investite, che a loro volta costituiscono
innegabilmente strumenti finanziari. In tali strumenti la causa
assicurativa assume un valore pressoché inesistente, tenendo
conto che nessun rischio riconducibile tipicamente alla
assicurazione sulla vita viene ad incidere sulla posizione della
banca e che pertanto il rischio di performance è per intero
addossato all’assicurato”).
Peraltro, priva di rilievo (tenuto conto dell’oggetto del thema
decidendum) è la circostanza, dedotta dalla società
appellante, dell’inapplicabilità nella fattispecie in esame
dell’art. 1, lett. w bis, del T.U.F., introdotto dal d.lgs n.
303 del 29.12.2006, trattandosi di un contratto concluso prima
dell’entrata in vigore di tale norma, che contempla espressamente i
prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione
nell'ambito della disciplina dell'intermediazione finanziaria.
Va, infatti, rilevato, in primo luogo, che, anche prima di tale
modifica normativa, i prodotti finanziari emessi da imprese di
assicurazione potevano entrare a pieno titolo tra gli
strumenti finanziari ed ogni altra forma di investimento di
natura finanziaria di cui alla soprarichiamata lett. u)
dell'art. 1, comma 1, del T.U.F.; nonchè, comunque, il contrasto
sorto in giurisprudenza in merito all’applicabilità della
disciplina in tema di intermediazione finanziaria anche
ai contratti assicurativi con funzione finanziaria stipulati
prima dell’entrata in vigore dell’anzidetta norma è
essenzialmente emerso al fine di individuare l’operatività o meno,
anche relativamente a tali contatti, degli obblighi di
informazione previsti dagli artt. 21 e 23 T.U.F. alla luce
di quanto disposto dall’art. 25 bis dello stesso testo
normativo (al fine di porre l’osservanza di tali obblighi a
carico dell'assicuratore, allo stesso modo dell'intermediario
finanziario, a pena di nullità del contratto). Ebbene, nel
caso di specie, a nulla rileva l’effettiva operatività o meno
di detti obblighi di informazione, tenuto conto di quanto
sopra osservato in ordine alle domande di nullità e/o
annullabilità del contratto e di risarcimento danni ex artt. 1175,
1176 e 1228 c.c. proposte dall’odierno appellato nel primo
grado di giudizio (si ribadisce, esulanti dal thema decidendum
del presente gravame).
Quindi, esclusa la ricorrenza nella fattispecie in esame di un
contratto di assicurazione (per le motivazioni sinora
esplicitate), ne consegue la mancata applicazione della
prescrizione biennale di cui all’art. 2952 c.c. e, per
converso, l’operatività di quella ordinaria decennale
prevista dall’art. 2946 c.c. (come correttamente statuito dal
giudice di prime cure). Come noto, la prescrizione comincia a
decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere,
ovvero dal
momento in cui si ha l’effettiva possibilità legale di esercitare
il diritto. Dunque, per tutte le polizze vita, la premorienza
dell'assicurato rispetto alla scadenza naturale della
polizza comporta il verificarsi dell'evento a decorrere dal
quale il diritto può essere fatto valere (cfr. in tal senso
Tribunale Bologna n. 356/2017 già citato). Orbene, nel caso di
specie, essendosi verificato il decesso dell’assicurato C.
G. in data 24.03.2010, il diritto del beneficiario
(odierno appellato) si sarebbe prescritto solo in data 24.03.2020,
ovvero in un momento successivo sia alla domanda di
riscossione del premio ricevuta dalla società appellante il
4.03.2013, sia all’introduzione del giudizio di primo grado
avvenuta mediante la notifica del relativo atto di citazione
il 13.06.2016. E’, quindi, infonda l’eccezione di prescrizione
sollevata dalla società Poste (omissis).
Rispetto, invece, alla domanda con cui l’appellante ha richiesto la
declaratoria della mancata debenza delle somme versate al
Fondo istituito presso il MEF, non può farsi a meno di
rilevare che alcuna statuizione può essere, in ogni caso,
adottata relativamente ad un soggetto estraneo al presente
giudizio (e, prima ancora, a quello di primo grado). Invero,
qualsivoglia pronuncia implicante la condanna di tale Fondo
alla ripetizione delle somme riscosse (o, comunque, ad
essa propedeutica) è inibita dalla mancata sua partecipazione al
giudizio, nonché giova rilevare che il versamento delle somme
afferenti il contratto per cui è causa in favore del
medesimo Fondo è, comunque, avvenuto da parte di Poste
(omissis) sulla base dell’errata
considerazione dell’intervenuta prescrizione biennale del
diritto del soggetto beneficiario a reclamare i medesimi
importi.
Parimenti, alla luce di quanto sinora osservato, va disattesa la
domanda con cui l’appellante ha richiesto l’accertamento di un
concorso di colpa dell’appellato e la consequenziale
riduzione delle somme a lui spettanti ai sensi dell’art. 1227,
comma 1, c.c.. Invero, nel caso di specie non si discute di
risarcimento del danno (come richiesto dall’anzidetta norma), ma di
riscossione di importi dovuti in virtù di un contratto
finanziario e, comunque, alcuna condotta colposa (anche
alla luce del compendio probatorio in atti) può essere imputata a
T. A.. Dunque, le asserzioni prospettate
dall’appellante (secondo cui la controparte avrebbe
negligentemente richiesto la liquidazione delle somme dovute
in modo tardivo) sono prive di plauso e non supportate da
alcun riscontro probatorio.
In ragione, pertanto, di quanto esposto, l’appello va rigettato,
con la conferma integrale della sentenza gravata.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza ex art. 91
c.p.c., [...]
P.Q.M.
Il Tribunale di Paola, in composizione monocratica, definitivamente decidendo in grado di appello nella causa civile iscritta al R.G. n. 732/2017, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:
1. rigetta l’appello proposto da Poste (omissis)., in persona
del legale rappresentate p.t., e, per l’effetto, conferma la
sentenza n. 274/2017 emessa dal Giudice di Pace di Paola in
data 14.02.2017 e depositata il 23.02.2017;
2. condanna Poste (omissis)., in persona del legale rappresentate
p.t., alla rifusione, in favore di T. A., delle spese del
presente grado di appello;
3. dà atto che, per effetto del rigetto dell’appello, sussistono i
presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 30.5.2002 per il versamento da parte della società
Poste(omissis)., in persona del legale rappresentante p.t., di un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello dovuto per l’impugnazione.