Giu Per il personale docente, l’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 va interpretato estensivamente
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - 20 luglio 2022 N. 22726
Massima
Le Sezioni Unite, pronunciando su questione di massima e di particolare importanza, hanno affermato che per il personale docente, l’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 vada interpretato estensivamente, così da prevedere il riconoscimento dei servizi pregressi non di ruolo, anche se prestati presso le scuole dell’infanzia, non solo in caso di immissione in ruolo nella scuola primaria ma anche in caso di immissione in ruolo nella scuola secondaria, e più specificamente:

- che ai fini della determinazione dell’anzianità di servizio del docente di materie curricolari, da computare all’atto dell’immissione in ruolo, anche nel passaggio dalla scuola materna alla scuola secondaria va considerato il servizio non di ruolo prestato prima dell’immissione in ruolo;

- che ai fini del suddetto computo l’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 deve essere disapplicato nei casi in cui l’anzianità risultante dall’applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quelli fissati dall’art. 489 dello stesso decreto, come integrato dall’art. 11, comma 14, della l. n. 124 del 1999, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato;

- che analogo criterio va applicato agli insegnanti di religione cattolica quanto al servizio svolto presso la scuola materna prima del passaggio in ruolo nella scuola secondaria.

Casus Decisus
1. M.G.C., docente di religione immessa nel ruolo della scuola secondaria statale, con decorrenza giuridica dal 10 settembre 2005 ed economica dal 10 settembre 2006, in servizio presso la scuola media OMISSIS, proponeva ricorso dinanzi al Tribunale di Napoli per ottenere il riconoscimento nella ricostruzione di carriera del servizio preruolo prestato nella scuola materna - negli anni scolastici dal 1990/1991 al 1998/1999 e nell’anno scolastico 2005/2006 - e per la restituzione delle somme recuperate dal Ministero dell’economia e delle finanze, a seguito del mancato riconoscimento di tale servizio. Il Tribunale adito rigettava la domanda. La Corte di Appello di Napoli confermava tale pronuncia. 2. La Corte territoriale, ricostruita la normativa statale sui docenti di religione a far data dalla previsione di cui all’art. 53 della l. n. 312 del 1980 fino alla l. n. 186 del 2003, riteneva, quanto al riconoscimento a fini giuridici ed economici del servizio prestato prima dell’immissione nel ruolo di appartenenza, che occorresse fare riferimento alla disciplina applicabile ai docenti ordinari e così alle norme di cui al d.P.R. n. 417 del 1974 (art. 83) e della l. n. 312 del 1980 (art. 57) che portavano ad escludere che nel passaggio dalla scuola materna alla scuola secondaria (a differenza che in quello dalla scuola elementare alla scuola secondaria) potesse essere conservata in favore del docente l’anzianità maturata nel pregresso servizio; richiamava sul punto Corte cost. n. 89 del 2001 che aveva ritenuto legittima la scelta discrezionale del legislatore alla luce della diversità dell’insegnamento impartito nei due gradi scolastici (scuola materna ed elementare). RILEVATO CHE Richiamava, altresì, quanto specificamente disposto dall’art. 1 d.l. n. 370 del 1970 che, con riguardo ai docenti della scuola secondaria statale, aveva riconosciuto il servizio prestato: - quale insegnante non di ruolo nelle scuole secondarie, statali e pareggiate; - quale insegnante di ruolo e non di ruolo nelle scuole elementari statali (o degli educandati femminili statali o nelle scuole elementari parificate, nelle scuole popolari, sussidiate o sussidiarie). Rilevava che, con riferimento a tali docenti, non era previsto il riconoscimento del servizio prestato nelle scuole materne in caso di transito nei ruoli della scuola secondaria. Rilevava, inoltre, che soltanto per il personale docente delle scuole elementari statali era riconosciuto - sul disposto dell’art. 2, comma 2, del medesimo d.l. n. 370 del 1970 - il servizio, di ruolo o non di ruolo, prestato nelle scuole materne, statali o comunali. Evidenziava che, pur sussistendo una peculiarità di disciplina degli insegnanti di religione, la stessa non incideva sulla disciplina del riconoscimento del servizio preruolo svolto nella scuola materna da tali docenti, la quale, difatti, è da considerarsi del tutto omogena a quella degli insegnanti di altre materie. Ha depositato memoria di costituzione C.R., nella qualità di unica erede di M.G.C., dichiarandone il sopravvenuto decesso; l’erede ha depositato memoria in vista dell’adunanza camerale dinanzi alla Sezione Lavoro. 4. Il Collegio ha, quindi, emesso l’ordinanza interlocutoria n. 29213/2021, depositata in data 20 ottobre 2021, con cui ha disposto la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. In detta ordinanza della Sezione Lavoro, ricostruito il quadro normativo di riferimento, ed analizzata la disciplina del passaggio di ruolo e della ricostruzione della carriera, si è rilevato che il personale docente della scuola materna (pur potendo transitare nel ruolo di tutte le scuole di grado superiore, ove in possesso del relativo titolo di abilitazione) si vede riconosciuto il servizio pregresso (di ruolo o non di ruolo) solo in misura “temporizzata” e solo in caso di passaggio al ruolo della scuola elementare e si è evidenziato che non vi sono altre norme sul riconoscimento del servizio, di ruolo o non di ruolo, svolto dal docente nella scuola materna. L’ordinanza, dopo aver premesso che la ricostruzione di carriera dei docenti di religione segue la disciplina generale degli altri docenti di ruolo e che oggetto di causa non è l’insegnamento della religione cattolica a termine, ma la ricostruzione di carriera del docente di religione immesso nel ruolo della scuola statale, ha richiamato il principio già affermato da questa Corte di legittimità, a partire da Cass. 28 novembre 2019, n. 31149 (secondo cui non è conforme al principio di non discriminazione il riconoscimento del servizio prestato dal personale docente, transitato nelle scuole di istruzione secondaria nei limiti della temporizzazione, se non di ruolo, e per intero, se di ruolo) e quello affermato da questa Corte a Sezioni unite, nella sentenza 6 maggio 2016, n. 9144 (che, con riferimento alla diversa questione del riconoscimento dei servizi di ruolo, in caso di passaggio di ruolo del personale docente dal ruolo della scuola materna al ruolo della scuola secondaria, per effetto del combinato disposto 5 degli artt. 77 ed 83 del d.P.R. n. 417 del 1974 e dell’art. 57 della l. n. 312 del 1980, ha affermato il principio secondo cui l’anzianità maturata nel ruolo della scuola materna deve essere riconosciuta in misura integrale e non nei limiti della temporizzazione). Ha ritenuto indispensabile un intervento nomofilattico al fine di chiarire la rilevanza, per tutto il personale docente, del servizio prestato nella scuola materna in caso di passaggio alla scuola di istruzione secondaria e l’eventuale incidenza, nell’applicazione della disciplina di riferimento, della peculiarità del titolo richiesto e delle modalità di nomina per l’insegnamento della religione cattolica, questione «di massima di particolare importanza», da sottoporre alle Sezioni Unite. 5. Il Primo Presidente, in ragione della particolare importanza della questione di massima, ha assegnato la controversia a queste Sezioni unite. 6. Successivamente ha notificato e depositato atto di intervento l’Associazione Professionale e Sindacale (ANIEF), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso proposto da R.C., previa remissione alla CGUE della questione della compatibilità dell’art. 485 del T.U. n. 297 del 1994 e dell’art. 83 del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, con la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE. In prossimità dell’udienza, il Procuratore Generale ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. concludendo per la declaratoria di inammissibilità dell’intervento dell’ANIEF e per l’accoglimento del ricorso della ricorrente.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - 20 luglio 2022 N. 22726 A. Spirito

CONSIDERATO CHE

1. Va dichiarato inammissibile l’intervento dell’ANIEF in conformità all’orientamento espresso da questa Corte di legittimità secondo il quale non è consentito nel giudizio di legittimità l’intervento volontario del terzo, mancando una espressa previsione normativa, indispensabile nella disciplina di una fase processuale autonoma, e riferendosi l’art. 105 cod. proc. civ., esclusivamente al giudizio di cognizione di primo grado, senza che, peraltro, possa configurarsi una questione di legittimità costituzionale della norma disciplinante l’intervento volontario, come sopra interpretata, con riferimento all’art. 24 Cost., giacché la legittimità della norma limitativa di tale mezzo di tutela giurisdizionale discende dalla particolare natura strutturale e funzionale del giudizio dinanzi alla Corte di cassazione» (Cass. 28 novembre 2021, n. 31149; Cass. 17 maggio 2011, n. 10813; Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2004, n. 1245; cfr. anche Cass., Sez. Un., 31 maggio 2016, n. 11387).

Né possono considerarsi fondate le critiche dell’ANIEF al suddetto orientamento (secondo il quale, come detto, l’intervento ad adiuvandum non è previsto dall’ordinamento in quanto l’art. 105 cod. proc. civ. si riferisce esclusivamente al giudizio di cognizione di primo grado e il giudizio per cassazione non contempla la figura dell’’amicus curiae’), critiche che muovono da una asserita peculiarità del presente giudizio e dalla questione di compatibilità dell’ordinamento interno con l’ordinamento comunitario che il medesimo pone e che richiederebbe una remissione alla CGUE circa tale compatibilità che, però, in caso di ritenuta inammissibilità dell’intervento di ANIEF, precluderebbe a tale associazione la possibilità di presenziare al giudizio davanti alla CGUE, posto che il Regolamento di procedura della Corte di Giustizia consente ciò solo alle parti del giudizio a quo. Valga, al riguardo, considerare che l’ANIEF, che ben poteva intervenire sin dal giudizio di primo grado, non può imputare ad una (doverosa) declaratoria di inammissibilità di un intervento tardivo la eventuale preclusione della possibilità di far valere le proprie ragioni dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

2. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia - ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.- la violazione dell’art. 1 legge 18 luglio 2003, n. 186, dei contenuti dell’Intesa tra il Ministro della pubblica istruzione ed il Presidente della Conferenza episcopale italiana resa esecutiva con d.P.R. 16 dicembre 1985 n. 751, dell’art. 53, comma 6, legge 11 luglio 1980, n. 312, della circolare ministeriale del 3 gennaio 2001 n. 2 nonché delle norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro. Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto legittimo il decreto di ricostruzione della carriera effettuato dal dirigente scolastico con esclusione della computabilità in favore della docente, immessa in ruolo in attuazione delle procedure contemplate dalla legge n. 186 del 2003 del servizio di insegnamento maturato quale insegnante di scuola materna. Deduce che la ricostruzione di carriera degli insegnanti di religione segue regole diverse rispetto a quelle delle altre categorie di docenti, in quanto soltanto con la legge n. 186 del 2003 venivano per la prima volta istituiti i due ruoli degli insegnanti di religione delle scuole statali, sicché in epoca precedente non si poneva la questione del riconoscimento di un servizio preruolo per i docenti di religione.

Rileva che con la legge n. 312 del 1980, proprio in considerazione della mancanza di un ruolo di appartenenza, i docenti di religione sono stati inseriti nella categoria dei docenti ‘non di ruolo’ per i quali l’art. 53, comma 6, prevede che: «Ai docenti di religione dopo quattro anni di insegnamento si applica una progressione economica di carriera con classi di stipendio corrispondenti all’ottanta per cento di quelle attribuite ai docenti laureati di ruolo, con l’obbligatorietà di costituzione e accettazione di posto orario con trattamento cattedra».

3. Con la seconda censura la ricorrente denuncia - ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.- la violazione degli artt. 1 e 2 d.l. n. 370 del 1970, conv. in legge n. 576 del 1970, dell’art. 1 l. 18 luglio 2003, n. 186, dell’Intesa tra il Ministro della pubblica istruzione ed il Presidente della Conferenza episcopale italiana, resa esecutiva con d.P.R. 16 dicembre 1985 nr. 751, dell’art. 53, comma 6, legge 11 luglio 1980, n. 312, della circolare ministeriale del 3 gennaio 2001, n. 2 nonché delle norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro. Contesta, in particolare, l’interpretazione data nella sentenza impugnata dalla Corte d’appello di Napoli agli articoli 1 e 2 del d.l. n. 370 del 1970, sostenendo che tali norme permettono il riconoscimento del servizio prestato nella scuola elementare al docente passato di ruolo nella scuola di istruzione secondaria ed evidenzia la circostanza secondo la quale prima della istituzione dei ruoli di cui alla legge n. 186 del 2003 nella scuola materna e nella scuola elementare le modalità di nomina degli insegnanti di religione ed i titoli richiesti erano i medesimi.

4. I motivi sono fondati per le ragioni di seguito illustrate.

5. La questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite ha ad oggetto il diritto degli insegnanti della scuola materna - segnatamente degli insegnanti di religione - che entrano nei ruoli della scuola secondaria di vedersi riconosciuta l’anzianità di servizio maturata durante i rapporti di lavoro a termine precedenti all’ingesso in ruolo. La soluzione della controversia impone, come suggerisce l’ordinanza di rimessione, di considerare gli sviluppi della giurisprudenza di questa Corte di legittimità successivi alla sentenza impugnata che hanno fornito indicazioni utili, ricavate anche dalla normativa e dalla giurisprudenza europea. 

6. Già nell’arresto del 6 maggio 2016, n. 9144, questa Corte, a Sezioni Unite, si è pronunciata sulla ricostruzione di carriera in caso di passaggio del personale docente dal ‘ruolo’ della scuola materna al ruolo della scuola secondaria. In tale pronuncia, interpretate le norme poi trasfuse nel testo unico, le Sezioni Unite hanno ritenuto che il riconoscimento dell’anzianità per il servizio di ruolo (per intero e non con il meccanismo della temporizzazione) valga anche nel passaggio tra scuola materna e scuola secondaria. In particolare, hanno affermato che dall’art. 57 della l. 11 luglio 1980, n. 312 - contemplante la possibilità che i passaggi di ruolo di cui all’art. 77 del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417 siano disposti, oltre che da un ruolo inferiore ad un altro superiore, anche da uno superiore ad uno inferiore - deve trarsi l’ampliamento anche della previsione dell’art. 83 del medesimo d.P.R. n. 417 del 1974, attinente alla valutazione del servizio pregresso mediante ricostruzione della carriera, norma che è destinata a valere anche per i casi di passaggio a ruoli superiori in ipotesi non previste nel testo originale della norma, tra cui i passaggi a ruolo superiore degli insegnanti di scuola materna. In sostanza, in virtù del sopravvenire dell’art. 57 della legge n. 312 del 1980, l’art. 83 previgente va letto alla luce del rinnovato quadro normativo, dell’introduzione delle diverse tipologie di mobilità che consentono di computare per intero l’anzianità pregressa, della prevista osmosi tra i distinti ruoli del personale della scuola avente specifici requisiti; si è così imposta un’interpretazione univoca di detta norma, nel senso che in ogni caso in cui l’ordinamento consente il passaggio di ruolo, il docente conserva l’anzianità maturata nel ruolo precedente, a tutti gli effetti, giuridici ed economici. Una lettura restrittiva dell’art. 83 del d.P.R. n. 417 del 1974 (norma testualmente riferita al personale delle scuole di istruzione secondaria), tale da ammettere alla predetta ricostruzione di carriera solo i passaggi nella stessa previsti - e non anche tutti quelli, ammessi dalla sopravvenuta legge n. 312 del 1980 - avrebbe implicato una incostituzionalità della norma stessa, per irrazionale disparità di trattamento. A tale pronuncia è stata successivamente data continuità (Cass. 4 ottobre 2016, n. 19779; Cass. 12 aprile 2017, n. 9397; Cass. 5 aprile 2018, n. 8448; Cass. 19 novembre 2018, n. 29791; Cass. 24 febbraio 2020, n. 4877). Secondo l’indicata interpretazione, invalsa nella giurisprudenza di legittimità, così da costituire diritto vivente, l’insegnante ‘di ruolo’ della scuola materna che transita nel ‘ruolo’ della scuola secondaria ha diritto di riconoscimento integrale dell’anzianità maturata nel ruolo di provenienza.

8. Quello che si chiede a questa Corte di precisare è se il suddetto riconoscimento integrale dell’anzianità possa valere anche per il servizio ‘non di ruolo’ prestato nella scuola materna, in caso di passaggio nei ruoli della scuola secondaria, e se analoga affermazione possa essere estesa ai docenti di religione cattolica.

9. Quanto al primo aspetto vanno svolte due considerazioni.

10. La prima muove dall’esame della disciplina attualmente vigente alla luce di Cass., Sez. Un., n. 9144/2016 che ha esaminato quella nella prima confluita.

10.1. Vi è, al riguardo, innanzitutto da rilevare che proprio l’art. 485, commi 1 e 3, del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), ancorché con il previsto meccanismo della temporizzazione e con riferimento al servizio prestato presso le scuole elementari, ha equiparato ai fini del riconoscimento dell’anzianità, in caso di passaggio presso le scuole di istruzione secondaria ed artistica il servizio ‘di ruolo’ e quello ‘non di ruolo’. Analoga previsione vi è nel caso di passaggio dalla scuola materna alla scuola elementare («1. Al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all’estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo. 2. Agli stessi fini e nella identica misura, di cui al comma 1, è riconosciuto, al personale ivi contemplato, il servizio prestato presso le scuole degli educandati femminili statali e quello prestato in qualità di docente elementare di ruolo e non di ruolo nelle scuole elementari statali, o parificate, comprese quelle dei predetti educandati e quelle all’estero, nonché nelle scuole popolari, sussidiate o sussidiarie. 3. Al personale docente delle scuole elementari è riconosciuto, agli stessi fini e negli stessi limiti fissati dal comma 1, il servizio prestato in qualità di docente non di ruolo nelle scuole elementari statali o degli educandati femminili statali, o parificate, nelle scuole secondarie ed artistiche statali o pareggiate, nelle scuole popolari, sussidiate o sussidiarie, nonché i servizi di ruolo e non di ruolo prestati nelle scuole materne statali o comunali […]»). Quindi anche il legislatore, benché con riferimento ai passaggi espressamente previsti, pone sullo stesso piano il servizio ‘di ruolo’ e quello ‘non di ruolo’. Meccanismo diverso da quello della temporizzazione è stato previsto per il personale scolastico all’interno del ruolo. Pur con parecchie variazioni succedutesi nel tempo, il sistema è rimasto sostanzialmente ancorato, almeno fino al 1999, ad un principio consolidato: la progressione stipendiale per bienni. Il c.c.n.l. del 4 agosto 1995 ha introdotto diverse novità: ha eliminato gli aumenti biennali (riesumati poi per pochissimi casi specifici); in secondo luogo esso ha stabilito un nuovo inquadramento, dall’1 gennaio 1996, per arrotondamento dell’anzianità maturata; infine, ha determinato il superamento della legge n. 370 del 1970, fissando la regola del riconoscimento integrale del servizio ai fini sia economici che giuridici, mentre in precedenza 1/3 del servizio preruolo veniva preso in considerazione ai soli fini economici. La struttura delle classi è stata, poi, stabilita in sette fasce, per anzianità crescenti; il c.c.n.l. 4 agosto 2011 ha modificato le fasce di anzianità, introducendo specifiche norme di salvaguardia per il personale già in servizio a tempo indeterminato alla data dell’1/9/2010. Sin dal c.c.n.l. del 1995 sono state confermate, al fine del riconoscimento dei servizi ‘di ruolo’ e ‘non di ruolo’ eventualmente prestati anteriormente alla nomina in ruolo e alla conseguente stipulazione del contratto individuale di lavora tempo indeterminato, le norme di cui al d.l. n. 370 del 1970, convertito, con modificazioni dalla l. n. 576 del 1970 e successive modificazioni e integrazioni.

10.2. Nel precedente di questa Corte di cui a Cass., Sez. Un., n. 9144/2016 le norme ivi esaminate, e cioè l’art. 77 del d.P.R. 417 del 1974 (“Passaggi di ruolo”), l’art. 83 del medesimo d.P.R. (“Passaggio ad altro ruolo”) - norme lette in combinato disposto con l’art. 57 della l. n. 312 del 1980 (“Passaggi di ruolo”) -, concernono il riconoscimento di servizi svolti in qualità di insegnanti ‘non di ruolo’ da parte di docenti in seguito entrati nei ruoli. Tali norme sono confluite, al pari di quelle di cui agli artt. 1 e 2 del d.l. 19 giugno 1970, n. 370, convertito con modificazioni dalla l. 26 luglio 1970, n. 576, concernenti il servizio ‘non di ruolo’, nel T.U. n. 297 del 1994 che ha, in particolare, ripreso il contenuto delle precedenti disposizioni in tema di riconoscimento dei servizi, di servizi valutabili e di requisiti necessari e così, in particolare, nell’art. 485 (Personale docente), che ha fatto riferimento al servizio di ruolo e non di ruolo prestato prima del passaggio in ruolo, operando, come detto, talune differenze quanto alla tipologia del passaggio, nell’art. 487 (Passaggio ad altro ruolo), che ha ripreso pedissequamente il contenuto dell’art. 83 del d.P.R. n. 417 del 1974. Le suddette norme originarie sono state, come detto, interpretate nel senso che il riconoscimento dell’anzianità (per intero e non con il meccanismo della temporizzazione) valga anche nel passaggio dalla scuola materna alla scuola secondaria. Nella indicata pronuncia di cui a Cass., Sez. Un., n. 9144/2016, con riguardo all’ipotesi che lì veniva in rilievo di un servizio ‘di ruolo’, si sono illustrate le ragioni per le quali si è ritenuto di non privilegiare una interpretazione restrittiva e asistematica delle disposizioni ivi in esame (invero diverse da quelle riguardanti il servizio ‘non di ruolo’ ancorché a queste accomunate dalla medesima esclusione, ai fini del riconoscimento dell’anzianità, del passaggio da scuola materna a scuola superiore) così da giustificare il mancato riconoscimento. In tale decisione, infatti, si è tenuto conto del fatto che il Giudice delle leggi, proprio in merito ad una questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 del d.l. n. 370 del 1970, conv. dalla l. n. 576 del 1970, concernenti il servizio ‘non di ruolo’, riprodotti nell’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Campania, nella parte in cui non consentono agli insegnanti delle scuole secondarie di ottenere il riconoscimento del servizio svolto nella scuola materna, con ordinanza n. 89 del 30 marzo 2001 ha ritenuto che “l’interpretazione restrittiva delle disposizioni impugnate non comporta la violazione dei parametri costituzionali invocati, non risultando manifestamente irragionevole, né contraria al buon andamento dell’amministrazione, la scelta discrezionale del legislatore di valutare diversamente il servizio pregresso dei docenti della scuola secondaria, a seconda che sia stato prestato nella scuola elementare o in quella materna, alla luce della diversità dell’insegnamento impartito in questi due gradi scolastici, tuttora esistente pur se meno marcata che in passato”. Tuttavia, come evidenziato in motivazione da Cass., Sez. Un., n. 9144/2016, “la pronunzia del Giudice delle leggi, per sua espressa affermazione, non contiene alcuna opzione per la tesi restrittiva, in quanto, dopo aver dato conto dell’esistenza di due orientamenti interpretativi diversi, uno restrittivo ed uno estensivo, si limita a spiegare, senza prendere posizione tra le due possibili interpretazioni, che se anche dovesse privilegiarsi l’interpretazione restrittiva, ciò non comporterebbe la violazione dei parametri costituzionali invocati, non risultando manifestamente irragionevole, né contraria al buon andamento dell’amministrazione, la scelta di valutare diversamente il servizio pregresso dei docenti della scuola secondaria, a seconda che sia stato prestato nella scuola elementare o in quella materna”. In sostanza, non derivando dall’ordinanza di inammissibilità della Corte costituzionale alcun vincolo interpretativo, si è ritenuto di procedere ad una lettura ermeneutica delle norme lì rilevanti in armonia con l’inserimento sistematico nel complesso di disposizioni che regolano l’ordinamento scolastico. Così, sulla base del sistema dei passaggi in ruolo come ricostruito da Cass., Sez. Un., n. 9144/2016, della prevista possibilità di passaggi, oltre che da un ruolo ad un altro superiore, da un ruolo ad altro inferiore, nei medesimi casi in cui sono consentiti i correlativi passaggi inversi, passaggi consentiti anche al personale educativo, al personale insegnante diplomato delle scuole secondarie ed artistiche e al personale insegnante delle scuole materne, fermo restando il possesso di determinati requisiti, di un progressivo ampliamento delle originarie previsioni nel senso della possibilità di passaggio nei ruoli (necessariamente) superiori per gli insegnanti di scuola materna, punto fermo nella giurisprudenza di questa Corte è che, quanto al pregresso servizio ‘di ruolo’, in un sistema che prevede una totale equiparazione sia nello svolgimento delle carriere e nel trattamento economico, sia quanto al titolo necessario per l’accesso ai rispettivi ruoli, risulterebbe dissonante una diversa valutazione del servizio pregresso, a seconda che sia stato prestato nelle scuole secondarie e primaria o nella scuola materna.

10.3. Vi è, ora, da chiedersi se gli stessi principi valgano per il servizio pregresso ‘non di ruolo’. Il riconoscimento dei servizi precedenti all’atto dell’immissione in ruolo del personale docente, come già accennato, è oggi regolato dall’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, in cui, come detto, sono confluite le precedenti disposizioni sopra indicate. Tali disposizioni sono sostanzialmente richiamate, e quindi non sono state disapplicate, dalla contrattazione collettiva di comparto successiva. L’art. 485 cit. riproduce pedissequamente le precedenti disposizioni e, al pari di queste, non prevede espressamente il riconoscimento del servizio preruolo prestato presso la scuola materna in caso di immissione nei ruoli della scuola secondaria. Tuttavia, anche dell’art. 485 del T.U. (che assurge a norma ‘chiave’ nel settore in disamina) deve essere data, in conformità con il precedente di questa Corte sopra ricordato, una interpretazione coerente con tutti i passaggi ammessi dal legislatore (che, come ricordato ha generalizzato per il personale della scuola la possibilità di passaggi fra ruoli in senso sia orizzontale che verticale, in quest’ultimo caso, sia dal basso verso l’alto che viceversa) e non solo con quelli nella stessa previsti (tale da rendere la stessa applicabile senza limitazioni, e dunque anche nel passaggio dalla scuola materna alla scuola secondaria). Diversamente ne deriverebbe una irrazionale disparità di trattamento. Non può, poi, non attribuirsi rilievo alla circostanza, già sopra evidenziata, che la stessa norma, con riguardo agli altri passaggi esplicitamente presi in considerazione, equipara il servizio pregresso ‘di ruolo’ a quello ‘non di ruolo’ (ancorché, si ripete, con il meccanismo della temporizzazione già ritenuto discriminatorio, v. infra).

11. La seconda considerazione muove da quanto già affermato da questa Corte nella già citata decisione Cass. n. 31149/2019. 11.1. Chiamata a pronunciarsi sulla conformità al diritto dell’Unione della disciplina interna relativa alla ricostruzione della carriera del personale docente della scuola, nei casi in cui l’immissione in ruolo sia stata preceduta da rapporti a termine ha affermato (Cass. n. 31149/2019 cit.) l’applicabilità alla fattispecie della clausola 4 dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE, che non può essere esclusa per il  fatto che il rapporto dedotto in giudizio abbia ormai acquisito stabilità attraverso la definitiva immissione in ruolo, ciò in quanto la Corte di Giustizia ha da tempo chiarito che la disposizione non cessa di spiegare effetti una volta che il lavoratore abbia acquistato lo status di dipendente a tempo indeterminato. Della clausola 4, infatti, non può essere fornita un’interpretazione restrittiva poiché l’esigenza di vietare discriminazioni dei lavoratori a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato viene in rilievo anche qualora il rapporto a termine, seppure non più in essere, venga fatto valere ai fini dell’anzianità di servizio ( cfr. Corte di Giustizia 8.11.2011 in causa C- 177/10 Rosado Santana punto 43; Corte di Giustizia 18.10.2012 in cause riunite da C- 302/11 a C-305/11, Valenza ed altri, punto 36). In particolare, è stato evidenziato che: a) la clausola 4 dell’Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia 15.4.2008, causa C-268/06, Impact; 13.9.2007, causa C-307/05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana); b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137 n. 5 del Trattato ( oggi 153 n. 5), “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42); c) le maggiorazioni retributive che derivano dall’anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C-177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata); d) a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, né rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55; negli stessi termini Corte di Giustizia 5.6.2018, in causa C677/16, Montero Mateos, punto 57 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C-302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C-393/11, Bertazzi); e) la clausola 4 “osta ad una normativa nazionale, ... la quale escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di un’autorità pubblica siano presi in considerazione per determinare l’anzianità del lavoratore stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autorità, come dipendente di ruolo nell’ambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata da ragioni oggettive .... Il semplice fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia compiuto i suddetti periodi di servizio sulla base di un contratto di lavoro a tempo determinato non configura una ragione oggettiva di tal genere” (Corte di Giustizia 18.10.2012 in cause riunite da C-302/11 a C305/11, Valenza e negli stessi termini Corte di Giustizia 4.9.2014 in causa C-152/14 Bertazzi). E’ stato rilevato che i richiamati principi non sono stati smentiti dalla sentenza 20.9.2018, in causa C-466/17, Motter, con la quale, a seguito di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Trento, la Corte di Giustizia ha statuito che la clausola 4 dell’Accordo Quadro, in linea di principio, non osta ad una normativa, quale quella dettata dall’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, che “ai fini dell’inquadramento di un lavoratore in una categoria retributiva al momento della sua assunzione in base ai titoli come dipendente pubblico di ruolo, tenga conto dei periodi di servizio prestati nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato in misura integrale fino al quarto anno e poi, oltre tale limite, parzialmente, a concorrenza dei due terzi”. È stato osservato che a detta conclusione la Corte è pervenuta dopo avere dichiarato espressamente di volersi porre in linea di continuità con la propria giurisprudenza, richiamata ai punti 26, 33, 37, 38, quanto alla rilevanza dell’anzianità, alla nozione di ragione oggettiva, alla non decisività delle diverse forme di reclutamento e della natura temporanea del rapporto, e la statuizione è stata resa valorizzando le circostanze allegate dal Governo Italiano, che aveva fatto leva sul criterio di favore previsto dall’art. 489 del d.lgs. n. 297 del 1994, come integrato dalla legge n. 124 del 1999, nonché sulla necessità di raggiungere “un equilibrio tra i legittimi interessi dei lavoratori a tempo determinato e quelli dei lavoratori a tempo indeterminato, nel rispetto dei valori di meritocrazia e delle considerazioni di imparzialità e di efficacia dell’amministrazione su cui si basano le assunzioni mediante concorso” (punto 51). Particolare rilievo assumono, dunque, per comprendere la ratio della decisione, i punti 47 e 48 nei quali si afferma che possono configurare una ragione oggettiva “gli obiettivi invocati dal governo italiano, consistenti, da un lato, nel rispecchiare le differenze nell’attività lavorativa tra le due categorie di lavoratori in questione e dall’altro nell’evitare il prodursi di discriminazioni alla rovescia nei confronti dei dipendenti pubblici di ruolo assunti a seguito del superamento di un concorso generale”, obiettivi che possono essere legittimamente considerati rispondenti a una reale necessità “fatte salve le verifiche rientranti nella competenza esclusiva del giudice del rinvio”. È stato anche evidenziato, e il principio deve essere qui ribadito, che la disparità di trattamento non può essere giustificata dalla natura non di ruolo del rapporto di impiego, dalla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, dalle modalità di reclutamento del personale nel settore scolastico e dalle esigenze che il sistema mira ad assicurare. Né la comparabilità può essere esclusa per i supplenti assunti ai sensi dell’art. 4, comma 3, della legge n. 124 del 1999 facendo leva sulla temporaneità dell’assunzione, perché la pretesa differenza qualitativa e quantitativa della prestazione, oltre a non trovare riscontro nella disciplina dettata dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, che non operano distinzioni quanto al contenuto della funzione docente, non appare conciliabile, come la stessa Corte di Giustizia ha rimarcato, “con la scelta del legislatore nazionale di riconoscere integralmente l’anzianità maturata nei primi quattro anni di esercizio dell’attività professionale dei docenti a tempo determinato” (punto 34 della citata sentenza Motter), ossia nel periodo in cui, per le peculiarità del sistema di reclutamento dei supplenti, che acquisiscono punteggi in ragione del servizio prestato, solitamente si collocano più le supplenze temporanee, che quelle annuali o sino al termine delle attività didattiche. 11.2. Pertanto, l’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, che anche in forza del rinvio operato dalle parti collettive disciplina il riconoscimento dell’anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell’amministrazione scolastica, viola la clausola 4 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, e deve essere disapplicato, nei casi in cui l’anzianità risultante dall’applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dall’art. 489 dello stesso decreto, come integrato dall’art. 11, comma 14, della legge n. 124 del 1999, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato.

12. Dai suddetti arresti di cui a Cass., Sez. Un., n. 9144/2016 e Cass. n. 31149/2019 è dato, dunque, ricavare che, nel caso di immissione del docente nel ruolo della scuola secondaria il servizio in precedenza prestato quale insegnante di scuola materna ‘non di ruolo’ non può essere valutato diversamente da quello prestato dall’insegnante di scuola materna ‘di ruolo’ (per il quale, come sopra evidenziato, si è già riconosciuta, sulla base della normativa originaria, l’anzianità in misura integrale e non nei limiti della temporizzazione). 13. La questione si sposta, quindi, agli insegnanti di religione che, come ricorda l’ordinanza di rimessione, prestavano la loro attività esclusivamente sulla base di contratti di docenza di durata annuale, non essendovi ruoli loro dedicati, ruoli che sono stati istituiti solo con la l. n. 186 del 2003. 13.1. Prima dell’entrata in vigore di quest’ultima legge, l’insegnamento religioso negli istituti era disciplinato dalla l. 5 giugno 1930, n. 824, espressamente abrogata dall’art. 24 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, che prevedeva, all’art. 5, incarichi annuali da conferire, all’inizio dell’anno scolastico per non più di 18 ore settimanali a persone, con preferenza sacerdoti e religiosi, scelte dal capo dell’istituto, previa intesa con l’ordinario diocesano, con riconoscimento (art. 7) degli stessi diritti e doveri degli altri docenti, in quanto appartenenti al corpo insegnante. 13.2. Con la legge 25 marzo 1985, n. 121, di ratifica ed esecuzione dell’accordo del 18 febbraio 1984 di modifica del Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, la Repubblica Italiana ha assunto l’obbligo di assicurare l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado (art. 9, comma 2, dell’accordo con la Santa Sede) ed al punto 5 del protocollo addizionale si è impegnata ad affidare l’insegnamento a docenti riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica, nominati d’intesa con quest’ultima, ed a determinare tutte le modalità di organizzazione dell’insegnamento, previa intesa con la Conferenza Episcopale Italiana. Il suddetto obbligo è stato adempiuto con il d.P.R. 16 dicembre 1985, n. 751, con il d.P.R. 23 giugno 1990, n. 202 ed infine con il d.P.R. 20 agosto 2012, n. 175, che hanno dato esecuzione rispettivamente alle intese raggiunte con la Conferenza Episcopale il 14 dicembre 1985, il 13 giugno 1990 ed il 28 giugno 2012. Dette intese prevedono tutte in estrema sintesi che: a) l’affidamento dell’incarico avviene da parte dell’autorità scolastica, su proposta (scuole superiori) dell’ordinario diocesano o sentito quest’ultimo (scuole materne ed elementari) a personale munito di idoneità riconosciuta dall’ordinario diocesano; b) il riconoscimento di idoneità all’insegnamento della religione cattolica ha effetto permanente salvo revoca da parte dell’ordinario diocesano; c) gli insegnanti incaricati dell’insegnamento della religione cattolica fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti. Sono altresì indicati i titoli necessari per l’insegnamento, ma non le modalità del reclutamento che restano, quindi, disciplinate dalle disposizioni normative succedutesi nel tempo. Degli obblighi assunti con le richiamate intese il legislatore ha tenuto conto in sede di redazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, adottato con il d.lgs. n. 197 del 1994, che all’art. 309, applicabile a tutte le scuole pubbliche non universitarie, oltre a ribadire che l’insegnamento della religione cattolica resta disciplinato dalle intese previste dal protocollo addizionale, al comma 2 precisa che detto insegnamento è assicurato mediante conferimento di incarichi annuali, previa intesa con l’ordinario diocesano, ed al comma 3 ribadisce l’appartenenza degli insegnanti al corpo docente con parità di diritti e di doveri. Anche le parti collettive hanno considerato la specialità della disciplina dell’insegnamento della religione e, a partire dal c.c.n.l. per il quadriennio normativo 1994/1997, hanno previsto, all’art. 47, commi 6 e 7, che gli insegnanti di religione cattolica vengono assunti secondo la disciplina di cui all’art. 309 del d.lgs. n. 297 del 1994, mediante contratto di incarico annuale che si intende confermato qualora permangano le condizioni ed i requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge. 13.3. Tralasciando la disciplina più antica, in estrema sintesi, il sistema immediatamente successivo alla revisione del Concordato ed intese collegate, prevedeva incarichi necessariamente annuali e non poneva limiti alla reiterazione, impedita solo nel caso di perdita dell’idoneità all’insegnamento religioso. Peraltro, va rimarcato come la contrattazione collettiva già prevedesse all’epoca una regola di rinnovo automatico dell’incarico annuale (art. 47, co. 6 e 7 c.c.n.l. comparto scuola 1994-1997), nel senso che esso era da aversi per «confermato qualora permangano le condizioni ed i requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge», con previsione espressamente valorizzata da Corte Costituzionale 22 ottobre 1999, n. 390 per escludere qualsiasi profilo di illegittimità della normativa nel suo insieme, sul rilievo che in tal modo la precarietà del rapporto non sarebbe stata assoluta, come già rilevato anche da questa S.C. (Cass. 21 gennaio 2016, n. 1066). 13.4. In questo contesto si è inserita la legge 18 luglio 2003, n. 186 (Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado) che ha introdotto, all’interno della categoria omogenea dei docenti di religione con incarico annuale, la distinzione fra docenti di ruolo, assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato e docenti non di ruolo assunti con contratto a tempo determinato (art. 1). I ruoli sono regionali ma articolati per ambiti territoriali corrispondenti alle diocesi e l’art. 2 stabilisce che la consistenza degli stessi, che costituisce la dotazione organica, deve essere pari al 70% dei “posti funzionanti” per ciascuna diocesi. L’art. 3 dispone che l’accesso ai ruoli avviene previo superamento di concorsi per titoli ed esami, da indire su base regionale con frequenza triennale, ai quali possono partecipare i candidati in possesso dei titoli culturali e del riconoscimento di idoneità da parte delle autorità ecclesiastiche previsti dai protocolli di intesa. Il comma 10 precisa che «per tutti i posti non coperti da insegnanti con contratto di lavoro a tempo indeterminato si provvede mediante contratti di lavoro a tempo determinato stipulati dei dirigenti scolastici su indicazione del dirigente regionale, d’intesa con l’ordinario diocesano competente per territorio» e tale personale integra il 30 % proprio degli addetti assunti a termine. L’art. 1, comma 2, prevede che «agli insegnanti di religione cattolica inseriti nei ruoli di cui al comma 1 si applicano, salvo quanto stabilito dalla presente legge, le norme di stato giuridico ed il trattamento economico previsti dal testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994 n. 297 e successive modificazioni, di seguito denominato “testo unico” e dalla contrattazione collettiva». Anche in tale novellato assetto la contrattazione collettiva (art. 40, c. 5, c.c.n.l. 2006/2009 di comparto) ha confermato il richiamo all’art. 309, comma 2, d.lgs. n. 297 del 1994 (norma in ordine alla durata annuale degli incarichi, in sé pienamente compatibile anche con il nuovo sistema, con riferimento ai rapporti a tempo determinato) e la regola di rinnovo automatico, salvo venire meno dei requisiti, anch’essa dunque tuttora vigente.

13.5. Il legislatore ha in sostanza inteso conferire al docente di religione uno stato giuridico pari a quello degli insegnanti delle materie curriculari, ribadendo il principio della parità di diritti e di doveri già fissato dalle intese e dall’art. 309 cit., ma ha mantenuto la specialità della categoria quanto ai titoli ed alle modalità per il reclutamento in ruolo o a termine.

14. Tale essendo il quadro di riferimento, occorre rilevare che nessuna norma è stata dettata per disciplinare in modo differenziato o specifico la questione del riconoscimento all’atto dell’immissione in ruolo degli insegnanti di religione dei servizi prestati prima di tale immissione in ruolo; né il legislatore ha ritenuto di adottare una disposizione transitoria che tenesse conto della peculiarità conseguente all’assenza in assoluto della possibilità di configurare prima dell’entrata in vigore della l. n. 186 del 2003 di periodi di servizio prestati in ruolo per i docenti di religione. Anzi, come detto, la riforma del 2003 ed in particolare l’art. 1, comma 2, sopra ricordato, ha inteso equiparare lo stato giuridico del docente di religione a quello degli altri insegnanti.

15. Ed allora la disciplina del passaggio in ruolo degli insegnanti di religione va necessariamente individuata in quella applicabile all’intero personale docente ed i periodi di servizio prestati prima dell’immissione in ruolo non possono che computarsi come ‘non di ruolo’, siano essi antecedenti o successivi all’istituzione dei ruoli ex l. n. 186 del 2003.

16. Si aggiunga che nella recente sentenza del 13 gennaio 2022 in C282/2019 la CGUE ha affermato che anche gli insegnanti di religione assunti a termine dal MIUR rientrano nell’ambito di applicazione dell’Accordo Quadro e, dunque, sono soggetti al principio di non discriminazione di cui alla clausola 4, secondo la quale, per quanto riguarda le condizioni di impiego i lavoratori a termine non possono essere trattati in modo meno favorevole di quelli a tempo indeterminato ‘comparabili’ per la sola ragione di avere un rapporto a tempo determinato. Il fatto che secondo la CGUE siano assoggettati alla disciplina dell’Accordo Quadro e così al principio di non discriminazione rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato ‘comparabili’ e che secondo le disposizioni di cui alla legge n. 186 del 2003 valga anche per loro la disciplina sul riconoscimento del servizio agli effetti della carriera dettata per tutti gli altri insegnanti non può che comportare che, all’atto dell’immissione in ruolo della scuola secondaria, gli insegnanti di religione a termine provenienti dalla scuola materna non debbano essere discriminati rispetto agli insegnanti che transitano nei medesimi ruoli della scuola secondaria provenendo da altro ruolo. Può infatti ritenersi che, con specifico riguardo all’istituto del riconoscimento del servizio prestato ai fini della carriera, l’anzianità di servizio dell’insegnante a termine sia ‘comparabile’ all’anzianità di servizio dell’insegnante di ruolo a prescindere dalla materia di insegnamento, e comunque anche se la materia di insegnamento sia la religione.

17. Anche con riguardo all’insegnamento della religione non sono riscontrabili in termini normativi e fattuali differenze qualitative e quantitative tra la prestazione resa dagli insegnanti di ruolo e quella resa dagli insegnanti a termine, tali da costituire una ragione obiettiva atta a giustificare una diversità di trattamento; e anche con riferimento all’insegnamento della religione tale ragione non può essere individuata nella novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, nelle modalità di reclutamento e nelle esigenze che il sistema mira ad assicurare (v. la già citata Cass. n. 31149/2019). A tal fine priva di rilievo risulta anche l’intesa con l’ordinario diocesano, elemento esterno al rapporto, richiesta tanto per il docente a temine quanto per il docente di ruolo. 18. In conclusione, tutti gli argomenti innanzi evidenziati, desumibili sia da una interpretazione sistematica complessiva del sistema scolastico che consente una piena fungibilità tra i ruoli di ogni ordine e grado, sia dal diritto unionale, come interpretato dalla CGUE, nella parte in cui vieta trattamenti discriminatori nel riconoscimento dell’anzianità di servizio tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato comparabili, consentono di affermare, per gli insegnanti di religione cattolica, non diversamente dagli altri docenti, che l’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 va interpretato estensivamente così da prevedere il riconoscimento dei servizi pregressi non di ruolo, anche se prestati presso le scuole dell’infanzia, non solo in caso di immissione in ruolo nella scuola primaria ma anche in caso di immissione in ruolo nella scuola secondaria.

19. Vanno perciò enunciati i seguenti principi di diritto: “ai fini della determinazione dell’anzianità di servizio del docente di materie curricolari da computare all’atto dell’immissione in ruolo anche nel passaggio dalla scuola materna alla scuola secondaria va considerato il servizio non di ruolo prestato prima dell’immissione in ruolo”; “ai fini del suddetto computo l’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 deve essere disapplicato nei casi in cui l’anzianità risultante dall’applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quelli fissati dall’art. 489 dello stesso decreto, come integrato dall’art. 11, comma 14, della legge n. 124 del 1999, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato”; “analogo criterio va applicato agli insegnanti di religione cattolica quanto al servizio svolto presso la scuola materna prima del passaggio in ruolo nella scuola secondaria”.

20. La Corte territoriale non si è attenuta agli indicati principi.

21. In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità dell’intervento dell’ANIEF; il ricorso va accolto e va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Napoli che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi sopra enunciati.

22. La complessità e controvertibilità di tutte le questioni esaminate consente di compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

23. Non sussistono le condizioni richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità dell’intervento dell’ANIEF; accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione; compensa le spese del giudizio di legittimità.