Giu Iva - Reverse charge “interno” - Operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti - Regime sanzionatorio - Applicabilità dell’art. 6, comma 9-bis.3, seconda parte, del novellato d.lgs. n. 471 del 1997 - Limiti.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - SENTENZA 20 luglio 2022 N. 22727
Massima
Le Sezioni Unite, pronunciando su questione di massima e di particolare importanza, oggetto di contrasto, hanno ritenuto che la previsione di cui alla parte finale dell’art. 6, comma 9-bis.3 del d.lgs. n. 471 del 1997, laddove introduce per le operazioni inesistenti una sanzione ridotta rispetto a quella prevista per i casi nei quali il contribuente non ha applicato l’IVA con il sistema dell’inversione contabile interno, vada interpretata in modo tale da salvaguardare le politiche di contrasto all’evasione e alle frodi veicolate dal diritto vivente di questa Corte e della Corte di giustizia; ne consegue che la prescritta neutralizzazione dell’IVA a credito e di quella a debito, nell’ipotesi di inversione contabile prevista dalla prima parte della norma anzidetta, riguardi esclusivamente le operazioni inesistenti che siano astrattamente “esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta”, e non anche le operazioni inesistenti astrattamente imponibili per le quali non è ammesso il diritto a detrazione, per le quali ultime viene in rilievo l’apparato sanzionatorio di cui all’attuale art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997.

Casus Decisus
RILEVATO CHE In seguito a verifiche compiute dalla Guardia di Finanza di Alessandria, l’Agenzia delle Entrate notificava alla società OMISSIS S.r.l. un avviso di accertamento per la ripresa a tassazione, relativa all’anno di imposta 2004, dell’imposta sui redditi e, per quel che qui rileva, per l’irrogazione di sanzioni a fronte del mancato versamento dell’IVA, avendo accertato che la contribuente aveva posto in essere operazioni di acquisto di rottami da privati indicati come non esercenti attività imprenditoriale ma in realtà soggetti passivi IVA, senza assolvere l’IVA sugli stessi acquisti mediante il sistema del reverse charge. La società contribuente proponeva ricorso innanzi alla CTP di Alessandria che confermava la legittimità dell’accertamento e, per quel che riguarda la sanzione applicata per la violazione dell’obbligo di versamento dell’IVA, osservava che né il cedente né il cessionario avevano corrisposto l’IVA con riguardo al primo rapporto, dovendo applicarsi al caso di specie il comma 8 dell’art.6 del d.lgs. n.471/1997. La sentenza della CTP veniva impugnata dalla OMISSIS S.r.l. innanzi alla CTR Piemonte che, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava la decisione di primo grado. Secondo il giudice di appello la società contribuente non aveva assolto regolarmente l’IVA in virtù del trasferimento dei rottami ferrosi da parte del cessionario della società contribuente, non potendosi – per l’effetto – applicare la sanzione fissa del 3%. Era mancato, da parte della società OMISSIS, l’assolvimento del tributo in seguito all’emissione della fattura senza IVA da parte del suo cedente, per effetto dell’avvenuta integrazione della fattura in questione con l’indicazione dell’IVA dovuta nonché l’annotazione nel registro delle fatture e degli acquisti, ai fini della relativa detrazione in modo da realizzare il principio di neutralità. Non potevano dunque avere alcun rilievo, anche solo in funzione di sanatoria, le vicende traslative successive ed in particolare la circostanza che la società OMISSIS fosse divenuta soggetto fornitore del medesimo materiale ferroso in favore di altro cessionario. La CTR osservava, ancora, che l’art. 6, c.6-bis d.lgs. n.471/1997 prevedeva due distinte fattispecie sanzionabili, la prima correlata al mancato assolvimento diretto dell’IVA, a seguito della verifica dell’amministrazione finanziaria, alla quale seguiva l’applicazione di una sanzione dal 100% al 200%. Per altro verso si prevedeva - in alternativa - la sanzione del 3% nei casi di IVA assolta, anche se irregolarmente, nei modi ordinari e non con il reverse charge. Secondo la CTR tale ipotesi sanzionatoria attenuata non poteva essere applicata anche perché gli acquisti effettuati dal contribuente erano soggettivamente inesistenti, come acclarato dalle indagini della Guardia di Finanza e non smentito dalla contribuente. Era poi risultato che le sanzioni contestate erano relative a diverse violazioni discendenti da più fatti. Avverso tale sentenza la società OMISSIS ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, al quale ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate. Il ricorso veniva fissato in adunanza camerale e successivamente rinviato alla pubblica udienza e quindi nuovamente posto in decisione ad altra udienza. Indi, con ordinanza n.1703/2022, pubblicata il 20 gennaio 2022, la Sezione tributaria di questa Corte, esaminate le conclusioni del P.G. che concludeva per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, in relazione alla sopravvenuta introduzione, nell’art. 6 d.lgs. n.471/1997, del c.9-bis.3, secondo periodo, introdotto dall’art. 15, c.1 lett. f) d.lgs. n.158/2015, rimetteva gli atti al Primo Presidente della Corte perché valutasse l’opportunità di devolvere alle Sezioni Unite “la soluzione della questione volta a verificare se, ed in quali limiti, alle operazioni inesistenti soggette al regime d’inversione contabile si applichi la normativa sanzionatoria sopravvenuta introdotta dal d.lgs. n.158/2015, che ha novellato l’art. 6 del d.lgs. n.471/1997, introducendo i commi 9- bis, 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3, oppure se in questi casi seguiti ad applicarsi il comma 1 del medesimo articolo, unitamente, ricorrendone i presupposti, all’art. 5, c.4, dello stesso decreto.” Il Sostituto procuratore generale ha concluso chiedendo l’accoglimento del primo motivo di ricorso. La ricorrente ha depositato memoria. La causa è stata posta in decisione da queste Sezioni Unite all’udienza del 24 maggio 2022.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - SENTENZA 20 luglio 2022 N. 22727 G. Raimondi

CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo di ricorso la società OMISSIS ha dedotto la violazione dell’art. 6, c.9-bis d.lgs. n.471/1997, e correlativamente il vizio di motivazione della sentenza impugnata.

1.1 Secondo la ricorrente la CTR avrebbe omesso di valutare la circostanza che l’IVA sulle operazioni di acquisto esaminate dall’Ufficio sarebbe stata, sia pur irregolarmente, assolta dal terzo acquirente dei beni con il sistema dell’inversione contabile. Sarebbe per converso da considerare sproporzionata la sanzione applicata dall’Ufficio per il caso di IVA non assolta, da ciò dovendo derivare l’applicazione della sanzione del 3%. La procedura seguita da essa ricorrente, pur erronea, sarebbe stata in grado di garantire il versamento dell’imposta, anche considerando che l’acquisto da parte di un venditore privato, che non esercita professionalmente l’attività, collocherebbe l’operazione fuori dal campo IVA e non renderebbe applicabile il regime dell’inversione contabile.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 12 d.lgs. n.472/1997, in relazione all’art. 360 c.1, nn.3 e 5 c.p.c. Ricorrendo nella specie una pluralità di violazioni formali della medesima disposizione sussumibili nell’ipotesi di concorso materiale omogeneo, il giudice avrebbe dovuto riconoscere il cumulo giuridico, applicando la sanzione relativa alla più grave di esse aumentata da un quarto fino al doppio, non avendo la CTR specificamente motivato le ragioni del diniego di cumulo.

3. Per l’esame delle problematiche sottese alle censure esposte occorre ricordare il quadro normativo di riferimento.

Il quadro normativo di riferimento.

3.1 L’art. 35 d.l. n.269/2003, conv. con modificazioni dalla l. 24 novembre 2003, n.326, nel testo in vigore al momento dei fatti contestati alla società contribuente, ha sostituito il comma 7 dell’art. 74 d.P.R. n.633/1972, prevedendo il meccanismo del reverse charge per l’acquisizione di metalli ferrosi e precisamente che: “Per le cessioni di rottami, cascami e avanzi di metalli ferrosi e dei relativi lavori, di carta da macero, di stracci e di scarti di ossa, Corte di Cassazione - copia non ufficiale 6 di 30 di pelli, di vetri, di gomma e plastica, intendendosi comprese anche quelle relative agli anzidetti beni che siano stati ripuliti, selezionati, tagliati, compattati, lingottati o sottoposti ad altri trattamenti atti a facilitarne l'utilizzazione, il trasporto e lo stoccaggio senza modificarne la natura, al pagamento dell'imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d'imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito dell'imposta, con l'osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti e con l'indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal cessionario con l'indicazione dell'aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all'articolo 25. Agli effetti della limitazione contenuta nel terzo comma dell'articolo 30 le cessioni sono considerate operazioni imponibili. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche per le cessioni dei semilavorati di metalli ferrosi di cui alle seguenti voci della tariffa doganale comune vigente al 31 dicembre 2003.”

3.1.1 Va aggiunto che l’art. 1, comma 1, lett. a) del d. lgs. n.74 del 2000, prevede che “Per ‘fatture o altri documenti per operazioni inesistenti’ si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”. 3.2 Quanto al piano sanzionatorio in materia di IVA, va ricordato che l’art.1, c.1, lett. b) del d.lgs. 5 giugno 1998, n. 203 Corte di Cassazione - copia non ufficiale 7 di 30 recante «Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 18 dicembre 1997, numeri 471, 472 e 473, in materia di sanzioni amministrative tributarie», ha previsto che nell'articolo 6 del d.lgs. n.471/1997, riguardante la violazione degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto, il comma 1 è sostituito dal seguente: "Chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell'imposta sul valore aggiunto ovvero all'individuazione di prodotti determinati è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il cento e il duecento per cento dell'imposta relativa all'imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell'esercizio. Alla stessa sanzione, commisurata all’imposta, è soggetto chi indica, nella documentazione o nei registri, una imposta inferiore a quella dovuta."

3.2.1 Tale quadro normativo subiva una prima modifica per effetto dell’art. 1, c.155, l. n.244/2007, che, al comma 9 dell’art. 6 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, ha aggiunto il comma 9-bis in vigore dal 1° gennaio 2008, di seguito riportato: “È punito con la sanzione amministrativa compresa fra il 100 e il 200 per cento dell'imposta, con un minimo di 258 euro, il cessionario o il committente che, nell'esercizio di imprese, arti e professioni, non assolve l'imposta relativa agli acquisti di beni o servizi mediante il meccanismo dell'inversione contabile di cui agli articoli 17 e 74, commi settimo e ottavo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni. La medesima sanzione si applica al cedente o prestatore che ha irregolarmente addebitato l'imposta in fattura omettendone il versamento. Qualora l'imposta sia stata assolta, ancorché irregolarmente, dal cessionario o committente ovvero dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto alla detrazione ai sensi dell'articolo 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, la sanzione amministrativa è pari Corte di Cassazione - copia non ufficiale 8 di 30 al 3 per cento dell'imposta irregolarmente assolta, con un minimo di 258 euro, e comunque non oltre 10.000 euro per le irregolarità commesse nei primi tre anni di applicazione delle disposizioni del presente periodo. Al pagamento delle sanzioni previste nel secondo e terzo periodo, nonché al pagamento dell'imposta, sono tenuti solidalmente entrambi i soggetti obbligati all'applicazione del meccanismo dell'inversione contabile. È punito con la sanzione di cui al comma 2 il cedente o prestatore che non emette fattura, fermo restando l'obbligo per il cessionario o committente di regolarizzare l'omissione ai sensi del comma 8, applicando, comunque, il meccanismo dell'inversione contabile.”

3.2.2 Nell’anno 2015 il legislatore delegato ha introdotto, con il d.lgs. n.158/2015, misure di riordino delle sanzioni in materia fiscale. Per quel che qui interessa, occorre ricordare le modifiche apportate dall’art. 15 d.lgs. ult.cit., all’art. 6, c.1, per cui nel comma 1, primo periodo, le parole: "fra il cento e il duecento" sono sostituite dalle "fra il novanta e il centoottanta", nonché al c.9 dello stesso art. 6 d.lgs. n.471/1997, per effetto della modifica del comma 9-bis e dell’introduzione dei commi 9-bis.1, 9-bis.2 e 9- bis.3 di seguito riportati: “9-bis. ? punito con la sanzione amministrativa compresa fra 500 euro e 20.000 euro il cessionario o il committente che, nell'esercizio di imprese, arti o professioni, omette di porre in essere gli adempimenti connessi all'inversione contabile di cui agli articoli 17, 34, comma 6, secondo periodo, e 74, settimo e ottavo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e agli articoli 46, comma 1, e 47, comma 1, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427. Se l'operazione non risulta dalla contabilità tenuta ai sensi degli articoli 13 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, la sanzione amministrativa è elevata a una misura compresa tra il cinque e il dieci per cento Corte di Cassazione - copia non ufficiale 9 di 30 dell'imponibile, con un minimo di 1.000 euro. Resta ferma l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 5, comma 4, e dal comma 6 con riferimento all'imposta che non avrebbe potuto essere detratta dal cessionario o dal committente. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti si applicano anche nel caso in cui, non avendo adempiuto il cedente o prestatore agli obblighi di fatturazione entro quattro mesi dalla data di effettuazione dell'operazione o avendo emesso una fattura irregolare, il cessionario o committente non informi l'Ufficio competente nei suoi confronti entro il trentesimo giorno successivo, provvedendo entro lo stesso periodo all'emissione di fattura ai sensi dell'articolo 21 del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, o alla sua regolarizzazione, e all'assolvimento dell'imposta mediante inversione contabile. 9-bis.1. In deroga al comma 9-bis, primo periodo, qualora, in presenza dei requisiti prescritti per l'applicazione dell'inversione contabile l'imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis, sia stata erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il cessionario o il committente anzidetto non è tenuto all'assolvimento dell'imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cedente o prestatore. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano e il cessionario o il committente è punito con la sanzione di cui al comma 1 quando l'applicazione dell'imposta nel modo ordinario anziché mediante l'inversione contabile è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cessionario o committente era consapevole. 9-bis.2. In deroga al comma 1, qualora, in assenza dei requisiti prescritti Corte di Cassazione - copia non ufficiale 10 di 30 per l'applicazione dell'inversione contabile l'imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis, sia stata erroneamente assolta dal cessionario o committente, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il cedente o il prestatore non è tenuto all'assolvimento dell'imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cessionario o committente. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano e il cedente o prestatore è punito con la sanzione di cui al comma 1 quando l'applicazione dell'imposta mediante l'inversione contabile anziché nel modo ordinario è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cedente o prestatore era consapevole. 9-bis.3. Se il cessionario o committente applica l'inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell'imposta che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando il diritto del medesimo soggetto a recuperare l'imposta eventualmente non detratta ai sensi dell'articolo 26, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e dell'articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. La disposizione si applica anche nei casi di operazioni inesistenti, ma trova in tal caso applicazione la sanzione amministrativa compresa tra il cinque e il dieci per cento dell'imponibile, con un minimo di 1.000 euro.

Il problema dell’interpretazione dell’art. 6, c.9-bis.3 prima e seconda parte.

4. La peculiarità della vicenda dalla quale prende le mosse il procedimento all’esame di queste Sezioni Unite è data dal fatto che, rispetto ad una controversia originata da una contestazione relativa all’anno di imposta 2004, l’Amministrazione finanziaria non ha contestato il mancato assolvimento dell’IVA a carico della società cessionaria che avrebbe dovuto provvedere ad assolvere tale tributo con il meccanismo del c.d. reverse charge ma, ritenendo che la contribuente avesse comunque diritto ad usufruire della detrazione dell’IVA, ha provveduto ad emettere nei confronti della stessa un avviso di accertamento nell’anno 2009 che, per quel che qui rileva, ha unicamente applicato alla società la sanzione per il mancato assolvimento del tributo con il sistema dell’inversione contabile, sulla quale si appunta dunque, in via esclusiva il presente procedimento.

4.1 Fatta questa necessaria premessa, occorre passare all’esame del primo motivo di ricorso.

4.2 È incontroverso che la società, cessionaria di circa 700 operazioni di acquisto di rottami ferrosi, non abbia provveduto ad applicare l’IVA, né con il sistema del reverse charge al quale era tenuta, né in forza del regime ordinario.

4.3 È del pari indubitabile che tale società era soggetta al pagamento dell’IVA secondo il sistema del reverse charge entrato in vigore sulla base del richiamato art. 35 d.l. n.269/2003, come si è visto, applicabile agli acquisiti in tema di rifiuti ferrosi, con riferimento agli accertamenti dell’Ufficio fiscale in ordine alla natura soggettivamente inesistente delle operazioni eseguite da imprenditori, soggetti passivi ai fini IVA, in relazione alla falsità delle ricevute di vendita di rottami ferrosi indicate come fuori campo IVA, perché eseguite da cedenti privati non imprenditori. Tale ultima circostanza è ormai inconfutabile, non essendo stati contestati dalla ricorrente, come ha dato atto la CTR, il carattere soggettivamente inesistente delle operazioni - compiute in realtà da soggetti operanti sul mercato e, dunque, tenuti al pagamento dell’IVA -, né la consapevolezza di tale soggettiva inesistenza.

4.4 Orbene, con il primo motivo di ricorso la ricorrente assume di avere a sua volta trasferito i beni oggetto di operazioni riconosciute come soggettivamente inesistenti, ad altri soggetti acquirenti che avrebbero, a loro volta, applicato la disciplina sull’inversione contabile. Ed è sulla base di tale ricostruzione che, dunque, la ricorrente reclamerebbe l’applicazione non già della sanzione del 100%, applicata dall’Ufficio ai sensi dell’art. 6, comma 9-bis, prima parte, del d.lgs. n.471/1997 -cfr. pag.3 ult. capoverso ricorso per cassazione- ma di quella del 3%, come previsto dal secondo capoverso dell’art. 6, c.9-bis, del d.lgs. n.471/1997 -pag.5 ricorso per cassazione-. Seguendo tale impostazione la ricorrente giunge quindi a ritenere che l’IVA, pur irregolarmente, sarebbe stata assolta attraverso l’emersione dell’operazione per effetto dell’applicazione del reverse charge da parte del cessionario della società OMISSIS.

4.5 La società contribuente fa, all’evidenza, riferimento al già ricordato terzo periodo dell’art. 6, comma 9-bis (norma più favorevole sopravvenuta alla versione introdotta per la prima volta dall’art. 1, c.155, l. n.244/2007, riportata al par.3.2.1), laddove si prevede una sanzione specifica per le ipotesi in cui dalla violazione connessa all’operazione sottoposta a reverse charge non scaturisca alcun danno all’erario, in quanto l’IVA sia stata comunque assolta seppur irregolarmente, a posteriori.

4.6 Con tale censura la ricorrente, in altri termini, riconosce che l’IVA doveva essere assolta da essa cessionaria rispetto alle operazioni soggettivamente inesistenti ma sostiene che, una volta emersa l’operazione, non sarebbe più stato possibile pretendere l’assolvimento dell’IVA nei suoi confronti.

5. Il motivo è infondato.

5.1 Questa Corte, in piena sintonia con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, è univocamente orientata nel senso di non considerare rilevante l’assolvimento dell’IVA da parte di altri soggetti tenuti a corrispondere tale tributo sulla base di operazioni commerciali successive poste in essere da altri soggetti. Sul punto, l’ordinanza interlocutoria richiama, puntualmente, i principi espressi dalla Corte di Giustizia -Corte giust., 3 settembre 2020, C-610/19, Vikingo Fovállalkozó Kft., p.42, nonché Corte giust., 11 novembre 2021, Ferimet SL, C281/2020, p.56-, e da questa Corte -Cass. n.22092/2021 e Cass. n.26342/2021-, ove si afferma che “al cospetto del debito d’imposta di uno dei soggetti passivi della catena di operazioni, nessuna rilevanza ha la circostanza che il soggetto che abbia realizzato l’operazione corrispondente all’anello successivo della catena abbia assolto l’IVA”. Tanto esclude di potere considerare l’assolvimento dell’IVA sia pur irregolare, nemmeno potendosi ritenere che l’assolvimento dell’IVA per le operazioni di acquisto della VM possa considerarsi come ipotesi di doppia imposizione nel caso di assolvimento successivo da parte di un soggetto diverso - Cass. n.19479/2021 e Cass. n.27625/2018-.

5.2 I principi testè ricordati risultano pertinenti anche rispetto alla vicenda qui esaminata per escludere la possibilità che la società contribuente possa beneficiare della sanzione più blanda di cui all’art. 6, comma 9-bis per effetto della, peraltro, non pienamente dimostrata applicazione del meccanismo dell’inversione contabile alle operazioni di successiva rivendita da parte della società OMISSIS, a seguito del mancato assolvimento dell’IVA nelle operazioni di acquisto.

5.3 In questa direzione, del resto, depone la stessa lettura del c.9-bis dell’art. 6. u.cit., ove si fa riferimento all’assolvimento irregolare dell’IVA da parte del cedente o del cessionario dell’acquisto e non di altra operazione successiva -…“qualora l'imposta sia stata assolta, ancorché irregolarmente, dal cessionario o committente ovvero dal cedente o prestatore”.

5.4 Tanto è sufficiente per ritenere non fondata la censura esposta nel primo motivo dalla ricorrente, essendo stata correttamente applicata alla società contribuente la sanzione prevista dall’allora vigente art. 6, c.9-bis, nel testo introdotto dalla l. n.244/2007. 6. Passando ora al tema che ha indotto la Sezione quinta ad investire le Sezioni Unite, lo stesso ruota attorno alla rilevanza o meno della parte finale dell’art. 6, c.9-bis.3, come sopra riportato che, nella prima parte, riguarda le ipotesi in cui il meccanismo del reverse charge ha dato luogo all’errata applicazione dell’IVA ad operazioni esenti, non imponibili o non soggette ad imposta, sicché “Se il cessionario o committente applica l'inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell'imposta che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando il diritto del medesimo soggetto a recuperare l'imposta eventualmente non detratta ai sensi dell'articolo 26, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e dell'articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”. 

6.1 Il secondo periodo dell’art. 6, c.9 bis.3 disciplina invece le ipotesi in cui l’errata applicazione del reverse charge riguardi operazioni inesistenti, prevedendo che anche in questi casi si applichi la disposizione del primo periodo, con l'irrogazione della sanzione amministrativa compresa tra il cinque e il dieci per cento.

6.2 Orbene, la questione posta dal Procuratore generale circa l’applicazione della più blanda sanzione prevista dalla parte finale del comma 9-bis.3 dell’art. 6, come introdotto dal d.lgs. n.158/2015 - che dunque dovrebbe prevalere in quanto norma sopravvenuta più favorevole, in virtù dell’art. 3, c.3, d.lgs.n.472/1997, rispetto a quella prevista dall’art. 6, c.9-bis nella versione introdotta dall’art. 1, c.155 cit.-, sulla quale si è spesa diffusamente anche l’ordinanza interlocutoria, non è decisiva né rilevante rispetto al caso in esame.

6.3 Ed invero, la disposizione di cui al c.9-bis.3 - nella parte finale - è inapplicabile alla fattispecie, poiché essa presuppone l’applicazione dell’inversione contabile da parte del soggetto cessionario. Ipotesi che nel caso di specie non si è in alcun modo verificata.

6.4 Anzi, è vero il contrario e cioè che la società OMISSIS non ha applicato il sistema del reverse charge domestico, né ha assolto l’IVA secondo il regime ordinario.

6.5 Il che lascia la fattispecie fuori dalla portata applicativa della parte finale del c.9-bis.3 che, invece, specularmente alla prima parte, presuppone l’applicazione dell’inversione contabile da parte del cessionario o committente.

7. Queste Sezioni Unite rilevano, tuttavia, che la questione relativa alla portata applicativa dell’ultima parte del ricordato art. 6, comma 9-bis.3 alle operazioni inesistenti per le quali sia stato applicato il sistema dell’inversione contabile ha dato luogo a contrasti interpretativi all’interno della Sezione tributaria di questa Corte, al punto da indurre quest’ultima in altri procedimenti - già con le ordinanze interlocutorie nn.27674, 27675 e 27676 del 2020 -, a richiedere una relazione di approfondimento sulla questione all’Ufficio del Ruolo e del Massimario di questa Corte e, successivamente, a prospettare al Primo Presidente l’opportunità di rimetterne l’esame al giudizio di queste Sezioni Unite, anche in ragione della posizione espressa dal Procuratore generale nella sua requisitoria a proposito della rilevanza del comma 9-bis.3, cit.

7.1 Invero, l’ordinanza interlocutoria ha evidenziato come il contrasto interpretativo tra quanto affermato da Cass., n. 16679/2016, che ha ritenuto l’inapplicabilità dell’art. 6, comma 9- bis.3, d.lgs. n. 471 del 1997, come novellato dal d.lgs. n. 158 del 2015, alle fatture per operazioni inesistenti imponibili, e quanto statuito dal più recente indirizzo fatto proprio da Cass., nn. 32552, 32553 e 32554 del 2019, nonché da Cass., n. 16367/2020 e Cass., n. 38757/2021 che, viceversa, ne hanno ritenuto l’applicabilità a tutte le operazioni inesistenti, senza alcun’altra distinzione -, aveva preso corpo con riferimento ad ipotesi nelle quali il contribuente aveva applicato il sistema interno dell’inversione contabile.

7.1.1 Orbene, secondo l’indirizzo più risalente - Cass.n.16679/2016 cit.- la parte finale del comma 9-bis.3 riguarda le sole ipotesi di operazioni inesistenti, regolate dal cessionario con l’inversione contabile, che siano anche esenti, non imponibili o comunque non soggette ad imposta, con esclusione, per l’effetto, di quelle inesistenti e imponibili essendo queste ultime, al pari della frode, sottratte al diritto alla detrazione, in quanto violazioni di carattere sostanziale e dovendosi quindi applicare a tali ipotesi il regime sanzionatorio di cui agli artt. 5, c.4 e 6, commi 1 e 3 d.lgs. n.471/1997. Si tratta di una posizione che la Sezione tributaria ha motivato partendo dal presupposto che nel caso di operazioni inesistenti in regime d'inversione contabile, il cessionario è l'effettivo soggetto d'imposta e l'IVA integrata a debito sulle fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti è dovuta, in base al principio comunitario di cui all'art. 28-octies, par. 1, lett. d), Dir. n. 1977/388/CE (ora Dir. n. 2006/112/CE, art. 203), anche quando si tratta di forniture inesistenti o diverse da quelle indicate in fattura. Ciò incide - per il combinato disposto dell'art. 21, comma 7, art. 19, comma 1, e art. 26, comma 3 d.P.R. n.633/1972 - sul destinatario della fattura medesima che non può esercitare il diritto alla detrazione dell'imposta mancando il suo presupposto, ovverosia la corrispondenza anche soggettiva dell'operazione fatturata con quella in concreto realizzata”. Nemmeno può incidere su tale questione l’art. 21, c.7, d.P.R. n.633/1972, nella nuova formulazione introdotta dal d.lgs. n.158/2015, non riferendosi questa alla posizione del cessionario “il quale per le operazioni inesistenti, anche se solo soggettivamente, ma pur sempre imponibili perde comunque il diritto di detrazione per effetto del combinato disposto dell'art. 19, comma 1, e dell'art. 26, comma 3 D.Iva.”

7.1.2 Il contrapposto orientamento è stato espresso più recentemente dalle già ricordate pronunzie -Cass., nn. 32552, 32553 e 32554 del 2019, Cass., n. 16367/2020 e Cass., n. 38757/2021- che, pur condividendo il principio di diritto fissato dalla richiamata Cass., n.16679/2016, alla cui stregua “In tema d'Iva, le operazioni di cessione compiute in regime d'inversione contabile (cd. "reverse charge"), ancorché effettuate sotto l'apparente osservanza dei requisiti formali, sono indetraibili in caso di violazione degli obblighi sostanziali, ove venga meno la corrispondenza, anche soggettiva, dell'operazione fatturata con quella in concreto realizzata, con conseguente inesistenza dell'obbligo di corrispondere l'imposta indicata in fattura”, hanno offerto una lettura unitaria del comma 9-bis.3, giungendo a riconoscere l’applicabilità del trattamento sanzionatorio più favorevole a tutte le operazioni inesistenti, senza alcuna ulteriore distinzione e, dunque, senza nemmeno profilare la possibilità che l’espressione ‘operazioni inesistenti’ contemplata dalla seconda parte del c.9-bis.3 possa essere riferita alle sole ipotesi cui la prima parte dello stesso comma riconduce il sistema di compensazione delle operazioni soggette al regime interno di inversione contabile, purché esenti, non imponibili o non soggette ad IVA.

7.2 Orbene, le ragioni appena esposte rendono opportuna la decisione di queste Sezioni Unite sulla portata applicativa del ricordato art. 6, c.9-bis.3.

7.3 Rispetto a tale tematica è sufficiente in questa sede rilevare che le ipotesi contemplate dalle due parti del comma 9- bis.3 meritano un’analitica considerazione che non può prescindere, per quel che riguarda le operazioni inesistenti dalla netta ed univoca presa di posizione della giurisprudenza, sia della Corte di Giustizia, che di questa Corte, volta a reprimere condotte idonee a favorire l’evasione del tributo IVA.

7.4 Si tratta di una prospettiva costante che, pur nella parziale diversità di presupposti che riguardano la configurazione delle operazioni inesistenti, a seconda che le stesse vadano inquadrate fra quelle “oggettivamente” o “soggettivamente” inesistenti - rispetto alle quali ultime si è andato affinando, per l’influsso della giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr. Corte giust. 31 gennaio 2013, C-643/11, LVK – 56 EOOD), nella giurisprudenza di questa Corte, il tema della rilevanza del necessario coefficiente psicologico circa il carattere fraudolento dell’operazione (cfr. Cass. n.9851/2018, Cass. n.27566/2018, Cass. n.10120/2017) -, ha costantemente escluso la possibilità di riconoscere il diritto alla detrazione in capo al soggetto che si avvale di tali operazioni. Ed infatti, ai sensi della sesta Dir. 77/388/CEE, articolo 10, par. 2, e articolo 17, paragrafo 1- alla quale la direttiva 2006/112, entrata in vigore il 1o gennaio 2007, non ha apportato significative modifiche - in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari e IVA il diritto alla detrazione è legato alla realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi di cui trattasi, per cui in difetto della cessione effettiva dei beni o della prestazione dei servizi un siffatto diritto non può sorgere, non essendo sufficiente la sua indicazione nella relativa fattura (cfr. Corte giust. UE, 27 giugno 2018, SGI e Valériane SNC, cause C-459/17 e C-460/17, p. 36 e 40).

7.5 Proprio la ricordata Cass. n.16679/2016, non mancò sul punto di evidenziare che “La presentazione di false fatture (...), alla pari di qualsiasi altra alterazione di prove, è (...) atta a compromettere il funzionamento del sistema comune dell'IVA" e "il diritto dell'Unione non impedisce agli Stati membri di considerare l'emissione di fatture irregolari alla stregua di una frode fiscale e di negare l'esenzione in una siffatta ipotesi" (Corte giust., 7 dicembre 2010, C-285/09, Halifax, punti 48 e 49).

7.6 La frode opera, dunque, come limite generale al principio fondamentale di neutralità dell'IVA (implicitamente, Corte giust., 8 maggio 2008, Ecotrade SpA contro Agenzia delle Entrate - Ufficio di Genova 3, C-95/07 e C-96/07, par.70, e Cass., n.5072/2015), ossia al principio secondo cui la detrazione d’imposta è accordata se i requisiti sostanziali dell'operazione sono comunque soddisfatti (Corte giust. 11 dicembre 2014, Idexx Laboratories, causa C590/13, p.38). Analogamente, Corte giust., 8 maggio 2019, EN.SA. Srl, C-712/17, par.24, ha ritenuto che, quando un’operazione di acquisto di un bene o di un servizio è inesistente, essa non può avere alcun collegamento con le operazioni del soggetto passivo tassato a valle, sicché, “(…) è inerente al meccanismo dell’IVA il fatto che un’operazione fittizia non possa dare diritto ad alcuna detrazione di tale imposta.” -cfr. p.25 sent. EN.SA, cit.-. Di conseguenza, quando manca la realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi, non può sorgere alcun diritto alla detrazione (Corte giust., 27 giugno 2018, SGI e Valériane, C-459/17 e C-460/17, punto 36).

7.7 Il tutto si inserisce nell’obbligo imposto a ciascuno Stato membro di “prevenire ogni possibile frode” (art. 13 Dir. CEE 77/388), pur con modalità non armonizzate ed ancora, nella piena equiparabilità alla frode delle operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, in quanto idonee ad alterare le prove e, dunque, ad impedire la riscossione dell'importo esatto dell'imposta -cfr. punti 48-49, sent. Halifax, cit.-.

7.8 Pur nella non piena sovrapponibilità della questione della quale qui si discute, orientata a verificare (unicamente) la tipologia della sanzione applicabile nei confronti del contribuente che si avvale del sistema del reverse charge interno per le operazioni inesistenti, giova richiamare la sentenza della Corte di Giustizia del’11 novembre 2021, Ferimet SL contro Administración General del Estado, C-281/20. Investita da un quesito pregiudiziale sollevato dal Tribunal Supremo di Spagna in una vicenda nella quale era stato negato alla società acquirente di materiali di recupero (rottami) il diritto di detrarre l’IVA indicata in fatture dalla stessa emesse, in cui era stata specificata la soggezione dell’operazione a inversione contabile, in quanto il fornitore da essa indicato era risultato inesistente, la Corte di giustizia europeaseppur non ha preso posizione alcuna sul tema delle sanzioni applicabili alla fattispecie e della compatibilità con il sistema UE (p.25) - ha affermato che «La direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, letta in combinato disposto con il principio di neutralità fiscale, deve essere interpretata nel senso che a un soggetto passivo deve essere negato l’esercizio del diritto a detrazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) relativa all’acquisto di beni che gli sono stati ceduti, qualora tale soggetto passivo abbia consapevolmente indicato un fornitore fittizio sulla fattura che egli stesso ha emesso per tale operazione nell’ambito dell’applicazione del regime dell’inversione contabile, se, tenuto conto delle circostanze di fatto e degli elementi forniti da tale soggetto passivo, mancano i dati necessari per verificare che il vero fornitore aveva la qualità di soggetto passivo o se è sufficientemente dimostrato che tale soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una simile evasione».

7.9 In tale occasione la Corte UE, premesso che il meccanismo delle detrazioni ha la finalità di esonerare interamente l’imprenditore dall’onere dell’IVA dovuta o assolta nell’ambito di tutte le attività economiche, purché soggette a IVA, ha aggiunto che il suo esercizio postula, per un verso, la sussistenza di requisiti sostanziali, ai sensi dell’art. 168, lett. a) della direttiva 2006/112, quali la qualifica di “soggetto passivo” - tanto del cedente quanto del cessionario - e l’utilizzazione, da parte del soggetto passivo, ai fini di sue operazioni soggette a imposta, dei beni e servizi forniti e, per altro verso, quale requisito formale, a mente dell’art. 178, lett. a) della direttiva ult.cit., la detenzione, da parte del soggetto passivo, di una fattura redatta in conformità agli artt. da 220 a 236 e agli artt. da 238 a 240 della direttiva stessa (cfr. p.26 sent. Ferimet cit.). Sulla base di tali premesse, la Corte di Giustizia ha ribadito che la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva richiamata. A tale riguardo, la Corte europea ha dichiarato che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione e che spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio del diritto alla detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo. Ragion per cui il beneficio del diritto alla detrazione deve essere negato non solamente quando un’evasione sia commessa dal soggetto passivo stesso, ma anche qualora si dimostri che il soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto in questione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto di tali beni e servizi, avrebbe partecipato ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione all’IVA, finendo per collaborare con gli autori dell’evasione e divenendone complice. Al ricorrere di tali condizioni lo stesso soggetto, secondo il giudice europeo, deve essere considerato partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette ad imposta da esso effettuate a valle -cfr. par.47, sent. Ferimet cit.-.

8. In piena sintonia con i principi di diritto espressi dal giudice eurounitario con la sentenza Ferimet, la sezione tributaria di questa Corte ha ritenuto che in tema di IVA, e con riguardo al regime del reverse charge o inversione contabile, il diritto alla detrazione dell'imposta relativa ad un'operazione di cessione di beni non può essere riconosciuto al cessionario che, sulla fattura emessa per tale operazione, in applicazione del suddetto regime, abbia indicato un fornitore fittizio allorquando, alternativamente, il medesimo cessionario: a) abbia egli stesso commesso un'evasione dell'IVA ovvero sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto alla detrazione s'iscriveva in una simile evasione; b) sia semplicemente consapevole della indicazione in fattura di un fornitore fittizio e non abbia fornito la prova che il vero fornitore sia un soggetto passivo IVA -cfr. Cass., n.4250/2022-.

9. Orbene, il coacervo di tali principi, ivi compreso quello dell’indetraibilità dell’IVA per le operazioni inesistenti, ancorché il contribuente si sia avvalso del sistema dell’inversione contabile, induce a ritenere che la previsione di cui alla parte finale del comma 9-bis.3, laddove introduce per le operazioni inesistenti una sanzione ridotta rispetto a quella prevista per i casi nei quali il contribuente non ha applicato l’IVA con il sistema dell’inversione contabile interno, non può che essere interpretata in modo tale da salvaguardare le politiche di contrasto all’evasione e alle frodi che sono state nel tempo veicolate dal diritto vivente di questa Corte e della Corte di giustizia e che, diversamente opinando, risulterebbero fortemente depotenziate.

10. Tale risultato ermeneutico, a giudizio di queste Sezioni Unite, induce ad escludere dall’ambito di applicazione del richiamato comma 9-bis.3 l’ opzione interpretativa che prima facie poteva orientare verso un’interpretazione lata dell’espressione ‘operazioni inesistenti’, scongiurando un conflitto fra dato normativo interno ed i principi, sovraordinati in materia di tributi armonizzati, espressi dalla Corte di giustizia in tema di contrasto alle operazioni fraudolente, ai quali, peraltro, si ispira pienamente il sistema interno delle sanzioni in materia, proprio perché in caso di operazioni inesistenti non può essere vantata alcuna posta detraibile e non è dunque possibile neutralizzare il debito d’imposta, con conseguente impossibilità di neutralizzazione del debito d’imposta che invece il meccanismo dell’art.9-bis.3 regimenta.

11. In definitiva, deve ritenersi che la prescritta neutralizzazione dell’IVA a credito e di quella a debito nell’ipotesi di inversione contabile prevista dalla prima parte dell’art. 6, c.9-bis.3 riguardi esclusivamente le operazioni inesistenti che siano astrattamente “esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta”, e non anche le operazioni inesistenti astrattamente imponibili per le quali non è ammesso il diritto a detrazione. Per queste ultime l’azione di forte contrasto all’evasione e alle frodi, di matrice eurounitaria, non può che essere perseguita dall’ordinamento per il tramite delle sanzioni previste dall’attuale art. 6, c.1, d.lgs. n.471/1997, con il quale il legislatore ha inteso fortemente osteggiare le condotte integranti operazioni (non esenti o imponibili) inesistenti, destinate potenzialmente a prestarsi ad intenti frodatori ed evasivi, mancando per tali operazioni i requisiti sostanziali previsti per il riconoscimento del diritto alla detrazione.

12. Quel che è davvero tranciante, secondo queste Sezioni Unite, per escludere la correttezza dell’interpretazione estensiva - più favorevole al contribuente -, del comma 9-bis.3, cit., è dunque il fatto che essa andrebbe a creare un vulnus al sistema di protezione che l’ordinamento ha inteso riconoscere con l’apprestamento di misure proporzionate e dissuasive rispetto alle frodi in tema di IVA, che trovano nelle operazioni inesistenti un non marginale fattore di innesco, costituendo la lotta contro la frode, l’evasione fiscale ed eventuali abusi un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla VI direttiva IVA (Corte giust., 31 gennaio 2013, Stroy trans, C-642/11, punto 46).

13. Resta soltanto da aggiungere, a completamento di quanto sopra esposto, che proprio in relazione alla complessiva lettura dei principi espressi dalla Corte di giustizia nella più volte ricordata sentenza Ferimet, l’art. 6, c.9-bis.3 resterà applicabile anche al caso di operazioni soggettivamente inesistenti imponibili per le quali ricorrono comunque i requisiti per il riconoscimento del diritto alla detrazione, per carenza di prova dell'elemento psicologico, rientrando tali ipotesi nel cono d’ombra della previsione normativa, la quale intende comunque sanzionare condotte capaci di produrre effetti frodatori del sistema, ancora una volta dovendosi prediligere l’interpretazione che si allinea nel modo migliore alla ratio sottesa all’intervento sanzionatorio.

14. In definitiva, la seconda parte dell’art. 6, comma 9-bis.3 non può che riferirsi alle operazioni inesistenti esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, ma non anche a quelle imponibili inesistenti - salvo le precisazioni di cui al par.13 - perché, se così non fosse si consentirebbe la detrazione dell’IVA in assenza dei presupposti sostanziali richiesti, fra i quali l’individuazione del soggetto passivo (non reale - nelle operazioni soggettivamente inesistenti - e non esistente - in quelle oggettivamente inesistenti -), che invece assume carattere dirimente al fine di ammettere od escludere il diritto alla detrazione - cfr. sent. Idexx cit., originata da un rinvio pregiudiziale sollevato da questa Corte -. Non può infatti trovare applicazione l’art. 6, comma 9-bis, prima parte, laddove prevede una sanzione fra 500,00 e 20.000 euro a carico del cessionario o del committente che, nell'esercizio di imprese, arti o professioni, omette di porre in essere gli adempimenti connessi all'inversione contabile, tale disposizione riferendosi unicamente ad ipotesi di violazione formale ed applicandosi ai casi in cui la fattura è registrata nella contabilità tenuta ai fini delle imposte sui redditi, ma il cessionario/committente abbia omesso di effettuare gli adempimenti previsti ai fini del reverse charge. 

14.1 La norma applicabile in caso di trasgressione del sistema dell’inversione contabile per le operazioni inesistenti rimane dunque quella contemplata dall’art. 6, comma 1, d.lgs.n.471/1997, concernente la condotta di colui che - in qualità di cedente o cessionario - “viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell'imposta sul valore aggiunto ovvero all'individuazione di prodotti determinati” e “…indica, nella documentazione o nei registri, una imposta inferiore a quella dovuta”, al quale si applica la sanzione dal 100 al 200 per cento dell'imposta relativa all'imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell'esercizio antecedente al 2015 (ora dal 90 al 180 per cento, per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 15 d.lgs. n.158/2015).

14.2 In questo senso, la sanzione prevista in generale per chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell'imposta sul valore aggiunto ovvero all'individuazione di prodotti determinati a carico del soggetto che abbia utilizzato operazioni inesistenti utilizzando indebitamente il diritto alla detrazione per le ipotesi, regolate dal sistema di inversione contabile interno, di operazioni inesistenti non esenti, imponibili e soggette ad IVA appare pienamente in linea, almeno nell’ottica generale proprio dell’esame della questione qui esaminata dalle Sezioni Unite, con il test di proporzionalità, adeguatezza e neutralità dell’IVA che sorregge il sistema sanzionatorio secondo i principi fissati dalla Corte di giustizia- già messo in evidenza da Cass., S.U., 27 aprile 2022, n.13145, p.13-. 1

4.3 Ed infatti, il giudice di Lussemburgo ha ritenuto con orientamento costante che, ai sensi dell’articolo 273 della direttiva IVA, gli Stati membri hanno sì la facoltà di adottare misure al fine di assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e di evitare le evasioni e, in assenza di disposizioni di diritto dell’Unione, di scegliere le sanzioni appropriate in caso di inosservanza delle condizioni previste dalla legislazione dell’Unione per l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, purché esercitino tale competenza nel rispetto del diritto dell’Unione e dei suoi principi e, segnatamente, i principi di proporzionalità e di neutralità dell’IVA.

14.4 Ne consegue che le sanzioni non devono eccedere quanto necessario per conseguire gli obiettivi indicati dall’articolo 273 della Direttiva IVA, né mettere in discussione la neutralità di tale imposta -cfr. Corte giust., 8 maggio 2019, EN.SA. Srl, C712/17, parr.38 ss.; Corte giust., 18 marzo 2021, A. Dyrektor Krajowej Informacji Skarbowej, C-895/19; Corte giust., 15 aprile 2021, Grupa Warzywna, C-935/19, punto 25-. 1

4.4.1 In questa direzione, del resto, si è già espressa di recente la Sezione tributaria di questa Corte affermando, con specifico riferimento alle ipotesi contemplate dall’art. 6, c.9-bis e ss., che “In tema di sanzioni per le violazioni degli obblighi relativi all'IVA, le fattispecie contemplate nei commi 9-bis, 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3 dell'art. 6 del d.lgs. n. 471 del 1997, rispondendo a criteri di progressività, in relazione all'effettivo pregiudizio subito dall'erario e alla pericolosità della condotta per l'esercizio di un'efficace azione di controllo, disciplinano: a) il comma 9-bis, l'inosservanza degli adempimenti dell'inversione contabile (o "reverse charge") da parte del cessionario o committente che agisca nell'esercizio di imprese, arti o professioni, distinguendo, a sua volta: a.1) sanzioni in misura fissa (primo periodo), riguardanti i casi di irregolare adempimento delle operazioni di "reverse charge"); a.2) sanzioni in misura proporzionale (secondo periodo), per l'omessa annotazione nei registri contabili ai fini delle imposte sui redditi; a.3) sanzioni, anch'esse proporzionali, derivanti dall'indebita detrazione e dichiarazione infedele (terzo periodo), per i casi in cui l'IVA non risulti detraibile, scaturenti dall'applicazione dell'art. 5, comma 4, e del comma 6, con riferimento all'imposta che non poteva detrarsi dal cessionario o committente, sanzioni tutte da applicarsi anche in caso di omessa autofatturazione e omessa regolarizzazione della fattura ricevuta dal cedente; b) i commi 9-bis.1 e 9-bis.2, le due speculari ipotesi di "concorde errore", dovuto alla difficoltà di qualificare l'operazione ai fini della corretta scelta del regime applicabile, quali, rispettivamente, il caso in cui l'IVA sia assolta dal cedente, benché l'operazione fosse sottoposta al regime del "reverse charge" e, viceversa, il caso in cui l'IVA sia assolta dal cessionario mediante inversione contabile, sebbene l'operazione fosse sottoposta al regime ordinario, entrambi casi in cui l'acquirente/committente, godendo del diritto di detrazione, è sanzionato in misura fissa; c) il comma 9-bis.3, l'esclusione della sanzionabilità in caso di applicazione dell'inversione contabile a operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, per la mancanza, in sé, di danno per l'erario, disponendo l'espunzione sia del debito computato nella liquidazione dell'imposta, sia della corrispondente detrazione, laddove l'insidiosità insita nelle operazioni inesistenti comporta una sanzione irrogata nella misura compresa tra il cinque e il dieci per cento dell'imponibile, con un minimo di euro 1000,00” -cfr.Cass.n.1690/2022-.

14.4.2 Principi ribaditi dalla coeva Cass., n.1691/2022, ove si è individuata la ratio complessiva dell’intervento normativo prodotto sull’art. 6, c.9-bis e ss., specificando che “…La rilevanza dei canoni della pericolosità e della dannosità emerge dalla previsione di sanzioni in misura fissa per le violazioni meno gravi, perché consistenti nella mera inosservanza degli adempimenti prescritti, e sanzioni proporzionali per le fattispecie più gravi, perché concernenti operazioni non documentate o contabilizzate neppure ai fini delle imposte sui redditi e dunque occultate, sino al trattamento più severo nei casi di comportamenti fraudolenti e indirizzati all'evasione fiscale e in quelli in cui l'imposta non si sarebbe potuta detrarre.”

14.4.3 Affermazioni che in linea astratta e nei limiti in cui queste Sezioni unite hanno affrontato la questione qui esaminata nel presente contesto, non venendo in considerazione le singole modalità operative seguite dal contribuente nell’utilizzazione di operazioni inesistenti e nel sistema di inversione contabile e della detrazione -cfr. Cass., n.1830/2019- non fanno emergere alcun problema di contrasto della sanzione contemplata dall’art. 6, c.1, d.lgs.n.471/1997 con i richiamati principi del diritto UE in tema di ragionevolezza, proporzionalità e neutralità dell’IVA, proprio in ragione della forbice fra un minimo ed un massimo da determinare in concreto in sede di applicazione della sanzione- peraltro ulteriormente graduabile per effetto dell’art.7, c.4, del d.lgs.n.472-. Ciò perché la sanzione congegnata dal legislatore tende, da un lato, a garantire il gettito derivante dal tributo escludendo la detraibilità dell’IVA in caso di operazioni inesistenti e dall’altro a reprimere condotte potenzialmente destinate a favorire le frodi dell’IVA, anche in ipotesi di applicazione del sistema dell’inversione contabile interna ed a propagarsi oltre la sfera giuridica del contribuente.

15. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

15.1 La ricorrente muove dal presupposto che sarebbe applicabile alle plurime condotte di evasione dell’IVA il disposto di cui all’art. 12 d.lgs. n.472/1997, secondo il quale dovrebbe applicarsi il c.d. cumulo giuridico in relazione al concorso materiale omogeneo connesso alla realizzazione di più azioni od omissioni che danno luogo a diverse violazioni formali della stessa disposizione, non influendo, a dire della ricorrente, tale pluralità di condotte sulla misura dell’imposta.

15.2 La censura è palesemente infondata se solo si considera che, nel caso in esame, come si è visto, sono state perpetrate plurime violazioni di natura sostanziale, correlate al mancato assolvimento dell’IVA per effetto di plurime condotte violative del sistema di ripresa dell’IVA, le quali escludono in radice la possibilità di fare applicazione del meccanismo invocato dalla ricorrente, applicabile unicamente alle ipotesi di violazioni formali plurime non incidenti sulla misura dell’imposta, qui integralmente non assolta.

16. Il ricorso va per l’effetto rigettato.

17. Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio, in relazione alle ragioni che hanno indotto la Sezione tributaria a rimettere a queste Sezioni Unite l’esame del ricorso. P.Q.M. Rigetta il ricorso e compensa le spese