Giu L’atto di conferimento di incarichi dirigenziali integra una determinazione negoziale di natura privatistica, per la cui adozione bisogna osservare l’art. 19 co 1 d lgs 165/2001
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro - ORDINANZA 21 luglio 2022 N. 22905
Massima
in tema di pubblico impiego privatizzato, l’atto di conferimento di incarichi dirigenziali integra una determinazione negoziale di natura privatistica, per la cui adozione l’amministrazione datrice di lavoro è tenuta ad osservare le norme di cui all’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, dovendo pertanto procedere, alla stregua delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. (e degli stessi principi evocati dall’art. 97 Cost.), a una valutazione comparativa con gli altri candidati che contempli adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e sia sorretta da una congrua motivazione circa i criteri seguiti e le ragioni giustificatrici delle scelte adottate (v. Cass. 9 marzo 2021, n. 6485)

Casus Decisus
RILEVATO CHE 1. La Corte d’appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Latina nella parte in cui aveva accolto la domanda di P.G., avvocato dipendente dell’INPS, e per l’effetto, dichiarato illegittima la nota informativa della Direzione Generale dell’INPS, in relazione ad una procedura di selezione per i coordinamenti periferici degli uffici legali, che le aveva abbassato il giudizio da “ottimo” a “buono” e disposto la riformulazione della graduatoria in conformità agli elementi di giudizio resi dal Coordinatore Generale dell’Avvocatura; 2. l’avvocato D. aveva partecipato alla selezione per titoli per il conferimento degli incarichi di coordinamento di cui al bando del 30 luglio 2004 ed era stata collocata al 174° posto (non utile); la graduatoria era stata formata tenendo conto, tra l’altro, della nota informativa della Direzione generale che, in relazione ai parametri della capacità organizzativa, delle attitudini relazionali e dell’esperienza complessiva, aveva attribuito alla predetta 21 punti, formulando un giudizio di “buono” e così discostandosi dal parere espresso dall’Avvocato coordinatore generale la cui valutazione era stata di “ottimo”; in giudizio (nel contraddittorio anche con gli altri avvocati che avevano partecipato alla selezione) la ricorrente aveva sostenuto l’illegittimità di tale discostamento atteso che il bando imponeva di redigere la nota informativa sulla base dei dati forniti dall’Avvocato Coordinatore Generale; 3. la Corte territoriale, conformandosi al decisum del Tribunale, dopo aver preliminarmente ritenuto sussistente l’interesse ad agire della ricorrente (non collocabile tra i vincitori neppure con il punteggio massimo attribuibile) in ragione della possibilità prevista dalla deliberazione del C.d.A. n. 634 del 2 giugno 1998 di assegnare in via provvisoria le funzioni di coordinamento, in attesa di nuove selezioni a dipendenti già titolari di altro omologo incarico o altrimenti in possesso dei requisiti richiesti, riteneva che il comportamento dell’INPS di discostarsi senza alcuna motivazione dal parere dell’Avvocato coordinatore (previsto dalla citata deliberazione n. 634 per l’assegnazione degli incarichi vacanti di direzione dei settori centrali, regionali e periferici) aveva violato i principi di buona fede e correttezza che devono presiedere gli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali; 4. avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione con un motivo, cui Paola Diegoli ha resistito con tempestivo controricorso; 5. entrambe le parti hanno depositato memorie.

Testo della sentenza
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro - ORDINANZA 21 luglio 2022 N. 22905

CONSIDERATO CHE 

1. Con l’unico articolato l’INPS denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., nonché degli artt. 2, comma 1, 5, comma 2, 40 e 63, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 nonché degli artt. 72 e 73 del c.c.n.l. per i dirigenti, professionisti e medici 1994-1997, dell’art. 83 del c.c.n.l. per l’Area VI della dirigenza del 1° agosto 2006; censura la sentenza impugnata per aver ritenuto illegittima la condotta dell’organo di vertice della tecnostruttura dell’ente che si è discostato dal parere dell’Avvocato coordinatore generale;
rileva che la figura del coordinatore (di cui all’incarico da affidare) è volta alla distribuzione dell’attività e dei carichi di lavoro, per garantire l’uniformità di indirizzo, l’efficacia, l’efficienza e l’economici dell’azione legale, tecnico edilizia e statistico attuariale dell’Istituto (come ben definita dall’art. 83 del c.c.n.l per l’Area VI della dirigenza del 1° agosto 2006);
assume che si tratti di un incarico di responsabilità di una struttura dell’Ente che rientra nell’ambito delle materie attinenti all’organizzazione degli uffici, organizzazione del lavoro e gestione delle risorse umane che dall’attività professionale normalmente svolta;
sostiene che l’incarico da affidare è assoggettato ai principi dell’autonomia privata ed in primo luogo alla regola dell’irrilevanza dei motivi e che allo stesso non possono essere applicati i principi di cui alla legge n. 241 del 1990;
rileva che le scelte operate dall’Amministrazione ricadono nella sua discrezionalità e che rispetto a questa non può esseri alcun intervento sostitutivo del giudice;
2. il motivo è inammissibile;
le censure non intercettano il decisum della sentenza impugnata che ha fatto riferimento ad una specifica previsione dell’Ente (deliberazione CdA n. 634 del 2 giugno 1998) prevedente il parere del Coordinatore generale della struttura interessata e rispetto a tale parere previsto la necessità di dare contezza di una valutazione difforme;
in sostanza la Corte territoriale ha evidenziato che, nello specifico, non erano state rispettate le regole che disciplinavano la procedura selettiva per il conferimento dell’incarico di coordinamento e che sono stati immotivatamente disattesi gli elementi di valutazione forniti dal Coordinatore generale dell’Avvocatura dell’Ente, con violazione dei principi di trasparenza, buona fede e correttezza;
l’INPS, invero, non pone in dubbio il discostamento del provvedimento del Direttore generale dagli elementi forniti dalla relazione del coordinatore generale della struttura professionale e la carenza di motivazione del provvedimento che ha fortemente penalizzato la resistente avv. Diegoli, ma tende, in modo inammissibile, a svalutare quel parere (richiesto dallo stesso Ente con la delibera citata) alla luce dell’asserita inapplicabilità dei principi di trasparenza, imparzialità ed obbligo di motivazione degli atti gestionali dell’Amministrazione dopo la privatizzazione del rapporto di lavoro;
a ben guardare, peraltro, la tesi del ricorrente è smentita dagli stessi riferimenti normativi ex adverso richiamati (art. 97 Cost., art. 2, primo comma lett. a d.lgs. n. 165/2001, artt. 1175 e 1375 cod. civ.) e dalle regole adottate per la procedura di selezione; proprio la delibera n. 634 del 2 giugno 1998, riproducendo i requisiti già previsti dall’art. 19, primo comma, del d.lgs. n. 23/1993 (poi abrogato dall’art. 72 del d.lgs. n. 165/2001 e confluito nell’art. 19 del medesimo d.lgs. 165/2001, successivamente modificato dall’art. 40 d.lgs. 150/2009), aveva previsto che fossero valorizzate “le attitudini e le capacità professionali e i risultati conseguiti in precedenza e la relativa valutazione”;
non è, peraltro, vero che nell’affidamento di incarichi dirigenziali la discrezionalità della PA sia tale da prescindere dall’obbligo di dare contezza della scelta;
sul punto questa Corte ha affermato che, in tema di pubblico impiego privatizzato, l’atto di conferimento di incarichi dirigenziali integra una determinazione negoziale di natura privatistica, per la cui adozione l’amministrazione datrice di lavoro è tenuta ad osservare le norme di cui all’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, dovendo pertanto procedere, alla stregua delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. (e degli stessi principi evocati dall’art. 97 Cost.), a una valutazione comparativa con gli altri candidati che contempli adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e sia sorretta da una congrua motivazione circa i criteri seguiti e le ragioni giustificatrici delle scelte adottate (v. Cass. 9 marzo 2021, n. 6485);
3. da tanto consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
4. alla soccombenza segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo;
5. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità