CONSIDERATO CHE
1. Con l’unico articolato l’INPS denuncia, in relazione all’art.
360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione
dell’art. 97 Cost., degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., nonché degli
artt. 2, comma 1, 5, comma 2, 40 e 63, comma 1, del d.lgs. 30 marzo
2001, n. 165 nonché degli artt. 72 e 73 del c.c.n.l. per i
dirigenti, professionisti e medici 1994-1997, dell’art. 83 del
c.c.n.l. per l’Area VI della dirigenza del 1° agosto
2006; censura la sentenza impugnata per aver ritenuto
illegittima la condotta dell’organo di vertice della tecnostruttura
dell’ente che si è discostato dal parere dell’Avvocato coordinatore
generale;
rileva che la figura del coordinatore (di cui all’incarico da
affidare) è volta alla distribuzione dell’attività e dei carichi di
lavoro, per garantire l’uniformità di indirizzo, l’efficacia,
l’efficienza e l’economici dell’azione legale, tecnico edilizia e
statistico attuariale dell’Istituto (come ben definita dall’art. 83
del c.c.n.l per l’Area VI della dirigenza del 1° agosto 2006);
assume che si tratti di un incarico di responsabilità di una
struttura dell’Ente che rientra nell’ambito delle materie attinenti
all’organizzazione degli uffici, organizzazione del lavoro e
gestione delle risorse umane che dall’attività professionale
normalmente svolta;
sostiene che l’incarico da affidare è assoggettato ai principi
dell’autonomia privata ed in primo luogo alla regola
dell’irrilevanza dei motivi e che allo stesso non possono essere
applicati i principi di cui alla legge n. 241 del 1990;
rileva che le scelte operate dall’Amministrazione ricadono nella
sua discrezionalità e che rispetto a questa non può esseri alcun
intervento sostitutivo del giudice;
2. il motivo è inammissibile;
le censure non intercettano il decisum della sentenza impugnata che
ha fatto riferimento ad una specifica previsione dell’Ente
(deliberazione CdA n. 634 del 2 giugno 1998) prevedente il parere
del Coordinatore generale della struttura interessata e rispetto a
tale parere previsto la necessità di dare contezza di una
valutazione difforme;
in sostanza la Corte territoriale ha evidenziato che, nello
specifico, non erano state rispettate le regole che disciplinavano
la procedura selettiva per il conferimento dell’incarico di
coordinamento e che sono stati immotivatamente disattesi gli
elementi di valutazione forniti dal Coordinatore generale
dell’Avvocatura dell’Ente, con violazione dei principi di
trasparenza, buona fede e correttezza;
l’INPS, invero, non pone in dubbio il discostamento del
provvedimento del Direttore generale dagli elementi forniti dalla
relazione del coordinatore generale della struttura professionale e
la carenza di motivazione del provvedimento che ha fortemente
penalizzato la resistente avv. Diegoli, ma tende, in modo
inammissibile, a svalutare quel parere (richiesto dallo stesso Ente
con la delibera citata) alla luce dell’asserita inapplicabilità dei
principi di trasparenza, imparzialità ed obbligo di motivazione
degli atti gestionali dell’Amministrazione dopo la privatizzazione
del rapporto di lavoro;
a ben guardare, peraltro, la tesi del ricorrente è smentita dagli
stessi riferimenti normativi ex adverso richiamati (art. 97 Cost.,
art. 2, primo comma lett. a d.lgs. n. 165/2001, artt. 1175 e 1375
cod. civ.) e dalle regole adottate per la procedura di
selezione; proprio la delibera n. 634 del 2 giugno 1998,
riproducendo i requisiti già previsti dall’art. 19, primo comma,
del d.lgs. n. 23/1993 (poi abrogato dall’art. 72 del d.lgs. n.
165/2001 e confluito nell’art. 19 del medesimo d.lgs. 165/2001,
successivamente modificato dall’art. 40 d.lgs. 150/2009), aveva
previsto che fossero valorizzate “le attitudini e le capacità
professionali e i risultati conseguiti in precedenza e la relativa
valutazione”;
non è, peraltro, vero che nell’affidamento di incarichi
dirigenziali la discrezionalità della PA sia tale da prescindere
dall’obbligo di dare contezza della scelta;
sul punto questa Corte ha affermato che, in tema di pubblico
impiego privatizzato, l’atto di conferimento di incarichi
dirigenziali integra una determinazione negoziale di natura
privatistica, per la cui adozione l’amministrazione datrice di
lavoro è tenuta ad osservare le norme di cui all’art. 19, comma 1,
del d.lgs. n. 165 del 2001, dovendo pertanto procedere, alla
stregua delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui
agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. (e degli stessi principi evocati
dall’art. 97 Cost.), a una valutazione comparativa con gli altri
candidati che contempli adeguate forme di partecipazione ai
processi decisionali e sia sorretta da una congrua motivazione
circa i criteri seguiti e le ragioni giustificatrici delle scelte
adottate (v. Cass. 9 marzo 2021, n. 6485);
3. da tanto consegue che il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile;
4. alla soccombenza segue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in
dispositivo;
5. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass.,
Sez. Un., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni
processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente
al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del
giudizio di legittimità