Giu Principi in tema di prova
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - ORDINANZA 24 agosto 2022 N. 25310
Massima
“l'errore di percezione, che riguardi la ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per violazione dell'art. 115 del medesimo codice, il quale vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte; ed esso integra un travisamento della prova, perché implica non già una valutazione dei fatti, bensì una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale”;
“costituisce contestazione del valore probatorio della riproduzione meccanica, ai sensi dell'art. 2712 c.c. (e non disconoscimento di conformità della fotocopia di scrittura all’originale, ai sensi dell’art. 2719 c.c., in ordine alla contestazione di un documento prodotto in copia, in modo chiaro e circostanziato – e non con clausole di stile e generiche o onnicomprensive, a pena di inefficacia – attraverso l'indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall'originale), quella di un atto mediante il servizio telefax, che formi piena prova dei fatti o delle cose rappresentate, se colui contro il quale sia prodotta non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesimi”;

Casus Decisus
RILEVATO CHE 1. con sentenza (notificata l’8) novembre 2019, la Corte d’appello di Ancona ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato a M. S. il 22 novembre 2010 per giusta causa dalla datrice F. s.p.a. e condannato questa alla reintegrazione di quella nel suo posto di lavoro e al risarcimento del danno, liquidato in un’indennità commisurata alla retribuzione mensile globale di fatto, maturata dal giorno del licenziamento all’effettiva reintegrazione, oltre accessori e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo, nonché al pagamento dell’indennità di malattia dall’1 al 26 settembre 2010, oltre accessori: così riformando la sentenza di primo grado, di reiezione invece delle domande della lavoratrice; 2. in via preliminare, essa ha ritenuto l’ammissibilità dell‘appello della lavoratrice, rispondente al paradigma di specificità e così pure delle produzioni documentali, già compiute in primo grado e dei nuovi argomenti difensivi, introduttivi non di domande nuove ma di mere difese; 3. nel merito, dalle scrutinate risultanze istruttorie, anche acquisite dal procedimento penale instaurato nei confronti di M.S. per gli stessi fatti, la Corte territoriale ha accertato la nullità del licenziamento intimato per giusta causa il 22 novembre 2010, in esito alla contestazione con lettera del 29 ottobre 2010, alla lavoratrice in stato di gravidanza, in assenza di una sua colpa grave, a norma dell’art. 54, terzo comma, lett. a), quale ipotesi di esenzione dal divieto di licenziamento; 4. in particolare, essa ha ritenuto probante, in quanto né specificamente disconosciuta la sua produzione in copia né falsificata, la documentazione sanitaria trasmessa da M. S. a F. .p.a., alla base della interdizione dal lavoro disposta dalla Direzione provinciale del lavoro, per il periodo dall’8 luglio all’8 ottobre 2010, a causa di complicanze di uno stato di gravidanza interrotta il 31 agosto 2010 e quindi per i periodi dal 27 settembre al 10 ottobre 2010 e ancora dall’11 ottobre 2010 al 25 febbraio 2011, a causa di una nuova gravidanza dal 27 settembre; e così pure quella relativa all’invio via fax delle comunicazioni dall’1 al 27 settembre 2010 di assenza dal lavoro per malattia, a dire della datrice non comunicatale; 5. la ravvisata nullità del licenziamento ha comportato l’applicazione delle tutele reintegratoria e risarcitoria suindicate, a norma dell’art. 18 l. 300/1970 nel testo vigente ratione temporis (anteriore alla sua modificazione con legge 92/2012), senza alcuna detrazione in difetto di prova di aliunde perceptum né percipiendum; 6. infine, la Corte anconetana ha riconosciuto alla lavoratrice l’indennità di malattia dall’1 al 26 settembre 2010, in accoglimento del suo motivo di gravame di omessa pronuncia; 7. con atto notificato il 7 gennaio 2020, la società ha proposto ricorso per cassazione con quattordici motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c., cui la lavoratrice ha resistito con controricorso; 8. all’odierna adunanza camerale, cui sono state fissate entrambe le cause, il collegio ha disposto la riunione del (successivo) ricorso introduttivo del giudizio rubricato a R.G. n. 8289/2021 al (precedente) ricorso introduttivo del presente giudizio rubricato a R.G. n. 2569/2020: in applicazione del principio, secondo cui i ricorsi per cassazione rispettivamente proposti contro la sentenza d'appello e contro quella che decide l'impugnazione per revocazione avverso la prima, in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità, devono essere riuniti in applicazione (analogica, trattandosi di gravami avverso distinti provvedimenti) dell'art. 335 c.p.c.; esso impone, infatti, la trattazione in un unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza, dovendosi ritenere che la riunione di detti ricorsi, pur non espressamente prevista dalla norma del codice di rito, discenda dalla connessione esistente tra le due pronunce (Cass. s.u. 7 novembre 1997, n. 10933; Cass. 29 novembre 2006, n. 25376; Cass. 22 maggio 2015, n. 10534).

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - ORDINANZA 24 agosto 2022 N. 25310 Esposito Lucia

CONSIDERATO CHE

1. nel giudizio rubricato a R.G. n. 2569/2020 (di ricorso per cassazione avverso la sentenza 5 novembre 2019 della Corte d’appello di Ancona), appare opportuno, in osservanza del criterio di priorità logico-giuridica, avviare lo scrutinio dal decimo e dal dodicesimo motivo dei plurimi (quattordici) formulati da F. s.p.a.;

2. per la loro stretta connessione, essi possono essere congiuntamente esaminati: sicché, con il decimo motivo, la ricorrente deduce nullità della sentenza in relazione alla violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per mancanza della “concisa esposizione delle ragioni di fatto” della decisione, in relazione alla violazione dell’art. 115 c.p.c., per errore di percezione sulla ricognizione del contenuto oggettivo delle prove e ancora dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per motivazione apparente e comunque omessa, insufficiente e contraddittoria sui punti decisivi della controversia prospettati dalla società, in relazione alla violazione dell’art. 111, sesto comma Cost. e dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per violazione del minimo costituzionale della motivazione della sentenza;

3. con il dodicesimo, essa deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2712, 2727, 2729, 2697 c.c., 113, 115, 116 c.p.c., per erroneo riconoscimento di valore probatorio ai documenti prodotti dalla lavoratrice contenenti i fax asseritamente inviati alla società datrice il 1° settembre 2010 e il 27 settembre 2010, nonostante l’espresso disconoscimento della seconda;

4. essi sono entrambi fondati;

5. la trama complessa e controversa della vicenda, intercorsa tra le parti, ne presuppone una chiara illustrazione, sulla base dei documenti acquisiti. Come sopra esposto, il 22 novembre 2010 la società datrice ha intimato un licenziamento per giusta causa alla propria dipendente M.S. in stato di gravidanza, a norma dell’art. 54, terzo comma, lett. a) d.lgs. 151/2001, che esclude il divieto di licenziamento (comportante in caso di violazione la sanzione di nullità, a norma dell’art. 54, quinto comma d.lgs. cit. e la tutela reintegratoria, ai sensi dell’art. 18 l. 300/1970, nel testo anteriore alla novellazione operata dalla l. 92/2012, applicabile ratione temporis) nell’ipotesi di “colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro”, appunto contestatale con lettera del 29 ottobre 2010;

5.1. a seguito di complicanze connesse allo stato di gravidanza della lavoratrice, la Direzione Provinciale del Lavoro di Macerata, su sua istanza e alla luce della documentazione sanitaria trasmessa, ne ha disposto, con provvedimento n. 509/2010 del 15 luglio 2010 comunicato anche a F. s.p.a., l’interdizione dal lavoro per il periodo dall’8 luglio 2010 all’8 ottobre 2010; con successivi provvedimenti nn. 747/2010 e 734/2010, entrambi in data 19 ottobre 2010, essa l’ha quindi nuova interdetta dal lavoro dal 27 settembre 2010 al 25 febbraio 2011, in conseguenza dell’interruzione della prima gravidanza il 31 agosto 2010 e dell’inizio di una seconda, appunto dal 27 settembre 2010;

5.2. la società datrice ha però avuto comunicazione dello stato di malattia della lavoratrice, protrattosi dal 1° al 26 settembre 2010, soltanto il 19 ottobre 2010 tramite due fax, di rispettiva data apparente 1° settembre 2010 e 27 settembre 2010. Essi sono stati ritenuti falsi dal Tribunale, che ha pertanto accertato la violazione dell’art. 58 CCNL Calzature Industria del 2 luglio 2008 (per il quale “L’assenza per malattia o per infortunio non sul lavoro deve essere comunicata all’azienda nella giornata in cui si verifica, entro quattro ore dall’inizio del normale orario di lavoro” e che prevede altresì l’obbligo per il lavoratore di  “consegnare o far pervenire all’azienda, non oltre il terzo giorno dall’inizio dell’assenza, il certificato medico attestante l’effettivo stato di infermità comportante l’incapacità lavorativa”) e ritenuto integrata una giusta causa di licenziamento (come da trascrizione della sua sentenza per la parte d’interesse, dal penultimo capoverso di pg. 15 al quinto di pg. 16 del ricorso);

5.2.1. la Corte d’appello è stata invece di contrario avviso e ha dichiarato nullo il licenziamento della lavoratrice in stato di gravidanza per esclusione di una sua colpa grave, fondando la propria decisione sul valore probatorio riconosciuto alla stessa documentazione sanitaria (valutata dal Tribunale e) trasmessa da M. S. a F. s.p.a., così come a quella relativa all’invio via fax dalla prima alla seconda delle comunicazioni sul proprio stato di malattia dall’1 al 26 settembre 2010;

5.2.2. per la medesima vicenda la lavoratrice ha pure subito un processo penale, con imputazione dei reati di truffa e di falsità materiale, per avere ingannato il datore di lavoro, nel fare artatamente figurare la propria assenza dal lavoro per maternità, quando questa già era stata interrotta ed avere contraffatto due ricevute di fax al fine di dimostrare l’invio di altrettanti certificati medici giustificanti l’assenza dal lavoro nel periodo dal 1° settembre 2010 all’8 ottobre 2010, addebitandone alla società datrice la mancata ricezione. Da entrambi ella è stata assolta: in esito a giudizio abbreviato, dal G.u.p. presso il Tribunale di Macerata per insussistenza del fatto; invece, dalla Corte d’appello penale di Ancona, con sentenza dell’11 aprile 2019, dal reato di truffa per insussistenza del fatto, ma per quello di falsificazione dei fax, pur fondato su elementi probatori incontestati ed univoci, per abolitio criminis (non costituendo il fatto più reato). Infine, questa Corte di Cassazione (II sezione penale), con sentenza del 23 giugno 2021, n. 24498, ha annullato la sentenza della Corte d’appello, limitatamente al reato di falso, per avere questa ribaltato la decisione del primo giudice in base a un diverso apprezzamento di attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva (essendo la Corte territoriale pervenuta “all’affermazione della sussistenza della contraffazione … attraverso un rinnovato esame (di carattere autonomo e differente rispetto a quello svolto dal primo giudice) del narrato dei testi … sulla scorta del quale … opera poi una diversa valutazione tanto della falsità dei documenti in questione (ritenuta certa), quanto alle ragioni sottese all’agire dell’imputata (ritenute artatamente dolose e preordinate)”: così all’ultimo capoverso di pg. 3 della sentenza). In applicazione del principio di diritto, consolidato in sede di legittimità (come da precedenti arresti richiamati), secondo cui, in un caso come quello di specie, è necessario rinnovare anche d’ufficio l’istruzione dibattimentale, dovendo a tali fini per “motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa” essere intesi “tutti quelli che implicano una ‘diversa interpretazione’ delle risultanze delle prove dichiarative” (loc. cit.), essa ha così rinviato alla Corte d’appello di Perugia per un nuovo giudizio sul punto;

6. così chiarita la vicenda processuale in esame, occorre premettere, quanto al decimo motivo (primo dei due sopra illustrati, congiuntamente esaminabili), che il ricorso per cassazione, ai fini della sua ammissibilità (contestata dalla controricorrente), deve essere articolato in specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad uno dei cinque motivi di impugnazione previsti dall'art. 360, primo comma c.p.c., sicché, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l'esatta indicazione numerica di uno dei predetti motivi, è indispensabile che le censure individuino con chiarezza i vizi prospettati, tra quelli inquadrabili nella tassativa griglia normativa (Cass. s.u. 8 novembre 2021, n. 32415); così anche qualora l'articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza sia tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d'impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse: costituendo ragione d'inammissibilità soltanto una formulazione che non renda ciò possibile (Cass. 23 ottobre 2018, n. 26790; Cass. 9 dicembre 2021, n. 39169);

6.1. il motivo in esame è allora ammissibile, per la chiara distinzione dei diversi profili di error in procedendo denunciati, con specifica e  argomentata articolazione delle doglianze di nullità della sentenza in quelle esplicitamente e correttamente formulate in relazione: a) alla violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per mancanza della “concisa esposizione delle ragioni di fatto” della decisione (sub p.to I, a pg. 55 del ricorso); b) alla violazione dell’art. 115 c.p.c., per errore di percezione sulla ricognizione del contenuto oggettivo delle prove, anche in riferimento all’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per motivazione apparente o comunque omessa (al di là dell’enunciazione di insufficienza e contraddittorietà sui punti decisivi della controversia: vizi inconfigurabili alla luce del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.), in relazione anche alla violazione dell’art. 111, sesto comma Cost. e dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per la conversione in nullità di una motivazione al di sotto del minimo costituzionale (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053). Nella sua deduzione, la ricorrente ha altresì puntualmente individuato le prove oggetto di erronea percezione e difetto, o mera apparenza, di motivazione (ridondante nella detta nullità), per effetto di un tale errore (ai p.ti da II a XIV, da pg. 56 a pg. 67);

7. nel merito, questa Corte reputa che il denunciato errore percettivo, integrante la dedotta nullità dell’art. 115 c.p.c., ricorra sotto il profilo di “travisamento della prova” e che coerentemente si rifletta su una motivazione (benché graficamente esistente, sia tuttavia) apparente, per l’obiettiva inidoneità delle argomentazioni poste a fondamento della decisione a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice, nella formazione del proprio convincimento (Cass. 23 maggio 2019, n. 13977; Cass. 1 marzo 2022, n. 6758), in ragione di tale non esatta percezione, come evidente nella ricostruzione della vicenda alla luce di uno scrutinio dei documenti e delle prove così viziato (dall’ultimo capoverso di pg. 5 al primo di pg. 9 della sentenza);

7.1. infatti, mentre l'errore di valutazione (che investe l'apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intenda provare) in cui sia incorso il giudice di merito non è mai sindacabile nel giudizio di legittimità, l'errore di percezione, poiché cade sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per violazione dell'art. 115 del medesimo codice, il quale vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. 12 aprile 2017, n. 9356; Cass. 24 ottobre 2018, n. 27033; Cass. 4 marzo 2022, n. 7187); a differenza dell’ipotesi in cui l’errore di percezione non verta su un punto controverso né attenga ad un'errata valutazione delle risultanze processuali, nella quale esso integra invece un errore di fatto previsto dall'art. 395, n. 4 c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione (Cass. 22 ottobre 2019, n. 26890);

7.2. la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c., sotto lo specifico profilo dell’errore di percezione sulla ricognizione del contenuto oggettivo delle prove, integra allora un travisamento della prova, perché implica non già una valutazione dei fatti, bensì una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale (Cass. 25 maggio 2015, n. 10749; Cass. 21 gennaio 2020, n. 1163; Cass. 14 febbraio 2020, n. 3796; Cass. 18 marzo 2021, n. 7670, in motivazione sub 2.1.);

7.3. così, infatti, è stato nel caso di specie: a fronte di una più risalente comunicazione a F. s.p.a., da parte della Direzione Provinciale del Lavoro di Macerata, del proprio provvedimento n. 509/2010 datato 15 luglio 2010 di interdizione dal lavoro, per il periodo dall’8 luglio 2010 all’8 ottobre 2010, della dipendente M. S., su sua istanza, per effetto di complicanze connesse allo stato di gravidanza, alla luce della documentazione sanitaria trasmessa, la Corte territoriale ha ritenuto che la predetta società datrice abbia avuto tempestiva comunicazione dei successivi provvedimenti nn. 747/2010 e 734/2010, sempre della Direzione Provinciale del Lavoro di Macerata ed entrambi datati 19 ottobre 2010 (di una nuova interdizione dal lavoro della medesima lavoratrice dal 27 settembre 2010 al 25 febbraio 2011, in conseguenza dell’interruzione della prima gravidanza il 31 agosto 2010 e dell’inizio di una seconda dal 27 settembre 2010), a giustificazione di due periodi di astensione ben risalenti temporalmente, il primo dei quali, antecedente nella numerazione, attinente a un periodo posteriore rispetto al secondo, successivo nella numerazione e riguardante un arco temporale antecedente. Ed essa ha altresì ritenuto che la società abbia ricevuto detta comunicazione per il tramite di due fax, di rispettiva data apparente 1° settembre 2010 e 27 settembre 2010, inviati il 19 ottobre 2010 dalla lavoratrice, relativi alla protrazione del proprio stato di malattia dal 1° settembre 2010 al 26 settembre 2010. Ebbene, tali fax, ritenuti genuini dalla Corte d’appello (per le ragioni esposte in particolare dal secondo capoverso di pg. 7 al penultimo di pg. 8 della sentenza), sono stati invece accertati come falsi nel processo penale (come illustrato al superiore p.to 5.2.2.);

8. al motivo appena scrutinato (decimo) si salda in modo coerente il dodicesimo, di violazione e falsa applicazione degli artt. 2712, 2727, 2729, 2697 c.c., 113, 115, 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente riconosciuto valore probatorio ai suddetti fax, nonostante l’espresso disconoscimento della società ricorrente (al primo periodo di pg. 7 della sentenza), parimenti fondato, come anticipato;

9. appare, infatti, chiara la distinzione tra una contestazione: a) del valore probatorio delle riproduzioni meccaniche, denunciato da F. s.p.a., ai sensi dell'art. 2712 c.c., in riferimento all’elencazione non tassativa contenuta nella norma, tra le quali rientra anche quella di un atto mediante il servizio telefax (costituendo modalità di trasmissione un sistema di posta elettronica volto ad accelerare il trasferimento della corrispondenza mediante la riproduzione a distanza, con l'utilizzazione di reti telefoniche e terminali facsimile, del contenuto di documenti), che formano piena prova dei fatti o delle cose rappresentate se colui contro il quale siano prodotte non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesimi (Cass. 24 novembre 2005, n. 24814; Cass. 20 marzo 2009, n. 6911; Cass. 27 febbraio 2019, n. 5778); b) del disconoscimento di conformità, ben diverso, delle fotocopie di scritture all’originale, ai sensi dell’art. 2719 c.c., in ordine ad una tale contestazione di un documento prodotto in copia, che non può avvenire con clausole di stile, né generiche od onnicomprensive, bensì, a pena di inefficacia, in modo chiaro e circostanziato, attraverso l'indicazione specifica sia del documento che si intenda contestare, sia degli aspetti per i quali si assuma differisca dall'originale (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27633); 9.1. ebbene, la Corte capitolina ha manifestamente violato le norme denunciate, ponendo a base del proprio ragionamento decisorio le informazioni probatorie scrutinate, contraddette dagli atti processuali sopra indicati (al p.to 7.3.), ad un tempo per travisamento e disconoscimento del loro valore probatorio, in applicazione del criterio palesemente inidoneo sopra illustrato, così incorrendo in un errore di diritto nella selezione del criterio di valutazione probatoria;

10. l’accoglimento dei due motivi congiuntamente esaminati comporta l’assorbimento di tutti gli altri: di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la risposta “no” sottoscritta dalla medesima lavoratrice alla voce “eventuali precedenti istanze relative allo stato di gravidanza in atto” nella sua richiesta alla D.P.L. di Macerata di fruizione di un periodo di “astensione” per maternità a rischio dall’11 ottobre 2010 al 25 febbraio 2011, incompatibile con la ritenuta veridicità di comunicazione tempestiva della malattia dall’1 al settembre 2010, ricostruita invece ex post (primo motivo); di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la produzione dalla società di prova documentale relativa alla mancata ricezione di alcun fax nelle giornate dell’1 e del 27 settembre 2010 (secondo motivo); di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale l’offerta dalla società di prova documentale della ricezione il 18 e 19 ottobre 2010 di tre fax “in bianco” provenienti dall’utenza del sig. Gheco, cognato della lavoratrice, due dei quali (del 19 ottobre 2010) composti ciascuno da due pagine e recanti ciascuno la stampa di due date, di cui una comune (del 19 ottobre 2010) e l’altra (dell’1 settembre 2010 per l’uno, del 27 settembre 2010, per l’altro) diversa (terzo motivo); di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale l’assenza di alcuna comunicazione dalla lavoratrice, alle date del 12 e del 18 ottobre 2010, in relazione alla cessazione della prima gravidanza il 31 agosto 2010 e alla seconda il 27 settembre 2010 (quarto motivo); di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la ritenuta prova dalla Corte territoriale di tempestiva comunicazione dalla lavoratrice di interruzione della prima gravidanza, di successivo periodo di malattia e di nuova gravidanza, in base a documentazione in realtà non contenuta nel documento indicato dalla Corte, in difetto di prova di alcun invio di comunicazione (quinto motivo); di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la ritenuta prova dalla Corte territoriale di tempestiva comunicazione dalla lavoratrice di interruzione della prima gravidanza e del successivo periodo dall’1 al 27 settembre 2010, in base a certificazione in realtà ciò non comprovante (sesto motivo); di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la prova ritenuta dalla Corte territoriale di tempestiva comunicazione dalla lavoratrice di avvio di una nuova gravidanza, in base a documentazione in realtà ciò non comprovante (settimo motivo); di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la produzione dalla società di prova documentale relativa all’inizio, da parte della lavoratrice, del piano terapeutico per una nuova procreazione medicalmente assistita così da rendere inverosimile la circostanza del suo accesso lo stesso giorno ad un’officina per la manutenzione dell’auto e dell’invio di un fax alla datrice (ottavo motivo); di violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c., 54, secondo comma d.lgs. 151/2001, 115, 116 c.p.c. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte territoriale erroneamente escluso che la società datrice abbia provato la falsità dei rapporti di invio dei fax dell’1 e del 27 settembre 2010, assumendo che la lavoratrice, “in caso di necessità di comunicazione con la propria azienda”, sarebbe stata “solita recarsi” presso il meccanico Foresi per utilizzarne il fax, per la falsità dell’assunto, neppure mai dedotto da alcuna delle parti (nono motivo); di violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 c.c., per erronea applicazione delle presunzioni (undicesimo motivo); in subordine, di violazione e falsa applicazione degli artt. 18 l. 300/1970, 1218 c.c., per insussistenza, in assenza di alcun inadempimento doloso o colposo della società datrice, di una sua responsabilità né dei presupposti di applicazione di tutele in favore della lavoratrice (tredicesimo motivo); in subordine, di violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, 1225 c.c., per mancato accoglimento della deduzione di aliunde perceptum, anche alla luce della non verosimiglianza, secondo le regole di comune esperienza e di buona fede, dell’impossibilità per la lavoratrice di reperimento di una nuova occupazione, così diminuendo l’entità del danno risarcibile, comunque tenuto conto del concorso del suo comportamento nella sua determinazione; né in ogni caso avendo la Corte territoriale limitato la responsabilità datoriale alle conseguenze risarcitorie prevedibili alla data del licenziamento, congruamente determinate nell’interpretazione giurisprudenziale in un periodo non eccedente il quadriennio da quella data (quattordicesimo motivo);

11. l’accoglimento del ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, oltre che per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, per un nuovo scrutinio probatorio degli elementi documentali suindicati (al p.to 7.3.), sulla base dei seguenti principi di diritto: “l'errore di percezione, che riguardi la ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per violazione dell'art. 115 del medesimo codice, il quale vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte; ed esso integra un travisamento della prova, perché implica non già una valutazione dei fatti, bensì una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale”; “costituisce contestazione del valore probatorio della riproduzione meccanica, ai sensi dell'art. 2712 c.c. (e non disconoscimento di conformità della fotocopia di scrittura all’originale, ai sensi dell’art. 2719 c.c., in ordine alla contestazione di un documento prodotto in copia, in modo chiaro e circostanziato – e non con clausole di stile e generiche o onnicomprensive, a pena di inefficacia – attraverso l'indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall'originale), quella di un atto mediante il servizio telefax, che formi piena prova dei fatti o delle cose rappresentate, se colui contro il quale sia prodotta non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesimi”;

12. l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Ancona, oggetto del giudizio di revocazione con il giudizio rubricato a R.G. n. 8289/2021, riunito a quello rubricato a R.G. n. 2569/2020, comporta l’inammissibilità, logicamente conseguente, del ricorso per revocazione per sopravvenuto difetto d’interesse, con la compensazione delle spese di tale giudizio tra le parti ed esclusione del raddoppio del contributo unificato (Cass. 10 febbraio 2017, n. 3542; Cass. 20 luglio 2021, n. 20697).

P.Q.M.

La Corte dispone la riunione del giudizio R.G. n. 8289/2021 al presente giortudizio R.G. n. 2569/2020; accoglie il ricorso introduttivo della causa R.G. n. 2659/20; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bologna; dichiara inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso introduttivo della causa R.G. n. 8289/21, compensando tra le parti le spese del giudizio.