Giu La Quinta Sezione civile ha posto il quesito alla Corte UE sull'esistenza di una disciplina la possibilità per le banche di c.co. aventi all 31/12/15 un patrimonio netto superiore a duecento milioni di euro, in luogo dell'adesione ad un gruppo
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA INTERLOCUTORIA 11 ottobre 2022 N. 29634
Massima
La Quinta Sezione civile, con riferimento al versamento obbligatorio in favore dello Stato, condizionante la possibilità per le banche di credito cooperativo, con patrimonio netto superiore ad una determinata soglia, di conferire l’azienda bancaria ad una società per azioni, anziché di aderire ad un gruppo, ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte UE, ai sensi dell’art. 267 TFUE, formulando il seguente quesito: se gli artt. 63 e ss., 101, 102, 120 e 173 del TFUE ostino ad una disciplina nazionale che, come l’art. 2, commi 3-ter e 3-quater, del d.l. n. 18 del 2016, conv., con modif., dalla l. n. 49 del 2016, nella versione applicabile ratione temporis, condizioni al versamento di una somma pari al 20 per cento del patrimonio netto al 31 dicembre 2015, la possibilità per le banche di credito cooperativo aventi alla data del 31 dicembre 2015 un patrimonio netto superiore a duecento milioni di euro, in luogo dell’adesione ad un gruppo, di conferire l’azienda bancaria ad una società per azioni, anche di nuova costituzione, autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria, modificando il proprio statuto in modo da escludere l’esercizio dell’attività bancaria e mantenendo nel contempo le clausole mutualistiche di cui all’art. 2514 c.c., assicurando ai soci servizi funzionali al mantenimento del rapporto con la società per azioni conferitaria di formazione ed informazione sui temi del risparmio e di promozione dei programmi di assistenza.

Casus Decisus
RILEVATO CHE 1. L'Ente C. Società` Cooperativa per Azioni verso` all'erario la somma di euro 54.208.740,00, pari al 20% del patrimonio netto al 31 dicembre 2015, esercitando cosi` l'opzione della c.d. way out, ai sensi dell'art. 2, comma 3-bis, decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18 (Misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 2016, n. 49, ossia la possibilità` per le banche di credito cooperativo aventi alla predetta data patrimonio netto superiore a duecento milioni di euro, di conferire l'azienda bancaria ad una società` per azioni, anche di nuova costituzione, autorizzata all'esercizio dell'attività`bancaria, modificando il proprio statuto in modo da escludere l'esercizio dell'attività` bancaria e mantenendo nel contempo le clausole mutualistiche di cui all'art. 2514 cod. civ., assicurando ai soci servizi funzionali al mantenimento del rapporto con la società` per azioni conferitaria di formazione ed informazione sui temi del risparmio e di promozione dei programmi di assistenza. L'Ente formulo` quindi istanza di rimborso sia alla Direzione provinciale di Firenze sia alla Direzione Regionale dell'Agenzia delle entrate, impugnando di seguito il silenzio - rifiuto formatosi su detta istanza dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Firenze, che rigetto` il ricorso. 2. La Commissione tributaria regionale (C.t.r.) della Toscana, con sentenza n. 2245/4/2018, depositata il 13 dicembre 2018, non notificata, respinse a sua volta l'appello proposto dall'Ente, condannandolo altresi` al pagamento delle spese di lite. 3. Avverso la sentenza della C.t.r. l'Ente C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a dieci motivi, con i quali sono prospettate, tra l'altro (primi tre motivi), diverse questioni afferenti la dedotta incompatibilità` della suddetta disciplina normativa con il diritto primario e secondario dell'Unione europea, con richiesta, in via gradata all'istanza di disapplicazione della normativa suddetta nella parte in cui subordina l'esercizio della succitata opzione al versamento dell'imposta sopra indicata, di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione europea, nonché´ di sollevare questione di legittimità` costituzionale (motivi da quattro ad otto), in relazione agli artt. 3, 42, 45, 53 Cost., nonché´ all'art. 1 del Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'Uomo in tema di protezione della proprietà` (quarto motivo) ed in relazione agli artt. 45, 47 e 77 Cost. (quinto motivo), agli artt. 41 Cost. e 16 della Carta dei diritti, 41 e 117 Cost. a presidio del principio della libera concorrenza (settimo e ottavo motivo). 4. L'Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso ed entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. 5. Con ordinanza del 5/11/2019, la Corte, visti gli artt. 134 Cost. e 23 della l. n. 87/1953, ha sospeso il giudizio e rimesso gli atti alla Corte Costituzionale, ritenendo non manifestamente infondata la questione di legittimità` costituzionale degli artt. 2, commi 3-bis e 3-ter, del d.l. n. 18/2016, quale convertito, con modificazioni, dalla l. n. 49/2016, per contrasto con gli artt. 3, 41, 45, 47 e 53 Cost. 6. A sua volta, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 149/2021, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, commi 3-ter e 3-quater, quest'ultimo limitatamente alle parole «al netto del versamento di cui al comma 3- ter», di cui al primo periodo, e alle parole «e 3-ter» di cui al terzo periodo, del decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18 (Misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio), convertito, con modificazioni, nella legge 8 aprile 2016, n. 49, promosse dalla Corte di cassazione, sezione tributaria civile, in riferimento agli artt. 3, 41, 45, 47 e 53 della Costituzione. 7. Il ricorso è stato nuovamente fissato per l’udienza pubblica del 27 settembre 2021. Il ricorrente ha depositato memoria ed ha chiesto la discussione orale, insistendo sull’incompatibilità della normativa in oggetto con le norme dell’Unione europea e chiedendo la disapplicazione del diritto interno o il rinvio pregiudiziale alla CGUE.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA INTERLOCUTORIA 11 ottobre 2022 N. 29634 Sorrentino Federico

CONSIDERATO CHE

1. Le disposizioni giuridiche del diritto nazionale.

Preliminarmente, deve darsi atto che non rilevano nel caso di specie le ulteriori modifiche apportate all'art. 2 del d.l. n.18/2016, quale convertito, con modificazioni, dalla l. n. 49/2016, dall'art. 11, comma 1, del d.l. 25 luglio 2018, n, 91, convertito, a sua volta, con modificazioni, dalla l. 21 settembre 2018, n. 108. L'art. 150 - bis, comma 5, del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, recante Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (di seguito TUB), quale sostituito dall'art. 1, comma 6, lett. b), del d.l. n. 18/2016 ante legge di conversione, prevedeva: «Nei casi di fusione e trasformazione previsti dall'art. 36, nonché´ di cessione di rapporti giuridici in blocco e scissione da cui risulti una banca costituita in forma di società` per azioni, restano fermi gli effetti di devoluzione del patrimonio stabiliti dall'articolo 17 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Tali effetti non si producono se la banca di credito cooperativo che effettua le operazioni di cui al periodo precedente ha un patrimonio netto superiore a duecento milioni di euro. In tal caso, le riserve sono affrancate corrispondendo all'erario un'imposta straordinaria pari al venti per cento della loro consistenza». L'ultimo periodo dell'art. 150-bis del TUB come sopra trascritto e` stato soppresso dalla legge di conversione, che, per quanto qui rileva, ha aggiunto all'art. 2 del decreto i commi 3-bis, 3-ter e 3-quater, che di seguito si riportano: «3-bis. In deroga a quanto previsto dall'articolo 150-bis, comma 5, del decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 385, la devoluzione non si produce per le banche di credito cooperativo che, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, presentino alla Banca d'Italia, ai sensi dell'articolo 58 del decreto legislativo n. 385 del 1993, istanza, anche congiunta, di conferimento delle rispettive aziende bancarie ad una medesima società`per azioni, anche di nuova costituzione, autorizzata all'esercizio dell'attività` bancaria, purché´ la banca istante o, in caso di istanza congiunta, almeno una delle banche istanti possieda, alla data del 31 dicembre 2015, un patrimonio netto superiore a duecento milioni di euro, come risultante dal bilancio riferito a tale data, su cui il revisore contabile ha espresso un giudizio senza rilievi. 3-ter. All'atto del conferimento, la banca di credito cooperativo conferente versa al bilancio dello Stato un importo pari al 20 per cento del patrimonio netto al 31 dicembre 2015, come risultante dal bilancio riferito a tale data, su cui il revisore contabile ha espresso un giudizio senza rilievi. 3-quater. A seguito del conferimento, la banca di credito cooperativo conferente, che mantiene le riserve indivisibili al netto del versamento di cui al comma 3-ter, modifica il proprio oggetto sociale per escludere l'esercizio dell'attività` bancaria e si obbliga a mantenere le clausole mutualistiche di cui all'articolo 2514 del codice civile, nonché´ ad assicurare ai soci servizi funzionali al mantenimento del rapporto con la società`per azioni conferitaria, di formazione e informazione sui temi del risparmio e di promozione di programmi di assistenza. Non spetta ai soci il diritto di recesso previsto dall'articolo 2437, primo comma, lettera a), del codice civile. In caso di inosservanza degli obblighi previsti dal presente comma e dai commi 3-bis e 3-ter, il patrimonio della conferente o, a seconda dei casi, della banca di credito cooperativo e` devoluto ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. In caso di mancato ottenimento delle autorizzazioni indicate al comma 3-bis entro il termine stabilito dal comma 1, la banca di credito cooperativo puo``chiedere l'adesione a un gruppo cooperativo già costituito entro i successivi novanta giorni. In caso di diniego dell'adesione si applica il comma 3». In base alla normativa sopra riportata, la banca di credito cooperativo, che aveva un patrimonio netto superiore a duecento milioni di euro al 31 dicembre 2015, aveva la possibilità di non aderire a un gruppo bancario cooperativo, senza per questo dover devolvere il patrimonio ai fondi mutualistici, potendo invece essa stessa conferire l’azienda bancaria ad una società per azioni, anche di nuova costituzione, di cui rimaneva azionista, potendone acquisire il controllo, com'è avvenuto nel caso di specie. All’atto del conferimento, la banca di credito cooperativo conferente ha dovuto quindi versare al bilancio dello Stato un importo pari al 20 per cento del patrimonio netto al 31 dicembre 2015, in ossequio alle citate disposizioni di legge, secondo le quali, inoltre, nel caso di esercizio dell’opzione, la società cooperativa manteneva le riserve indivisibili al netto del versamento di cui al comma 3-ter, ma doveva modificare il proprio oggetto sociale per escludere l'esercizio dell'attività` bancaria, demandata alla conferitaria, di cui era azionista, e si obbligava a mantenere le clausole mutualistiche di cui all'articolo 2514 del codice civile, nonché´ad assicurare ai soci servizi funzionali al mantenimento del rapporto con la società` per azioni conferitaria, di formazione e informazione sui temi del risparmio e di promozione di programmi di assistenza. Il mancato assolvimento degli obblighi previsti dalla normativa suddetta avrebbe comportato la devoluzione del patrimonio della conferente (o della banca cooperativa a seconda dei casi) ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

1.1. Bisogna precisare che tale normativa si innesta nel quadro della riforma delle banche di credito cooperativo, che tendeva al superamento delle criticità` proprie della previgente disciplina di settore, afferenti alle debolezze strutturali derivanti sia dal modello di attività` (particolarmente esposto all'andamento dell'economia del territorio di riferimento), sia dagli assetti organizzativi e dalle dimensioni ridotte della maggior parte delle banche di credito cooperativo. La riforma ha inteso porre rimedio alle debolezze del modello di governance del credito cooperativo tali da ingenerare rilevanti difficoltà per il settore, rafforzando i patrimoni delle banche di credito cooperativo nella misura necessaria a risolvere eventuali situazioni di crisi; nel perseguire le suddette finalità il legislatore ha adottato, quale modello principale (secondo quanto previsto dagli artt. 37-bis e 37-ter del TUB, inseriti dall'art. 1, comma 5, del d.l. n. 18/2016, come convertito dalla l. n. 49/2016), l'adesione delle Banche di credito cooperativo ad un Gruppo bancario cooperativo (di seguito, GBC) con al vertice una capogruppo (holding) in forma di società`per azioni, con patrimonio minimo di un miliardo di euro, partecipata a maggioranza dalle stesse Banche cooperative affiliate e dotata di poteri di direzione e coordinamento delle stesse. In caso di adesione al GBC la Banca affiliata continuava ad operare secondo il regime suo proprio, nessuna conseguenza verificandosi sul patrimonio della Banca che aveva prestato la propria adesione al Gruppo. Solo per le banche più solide, con un patrimonio netto di entità consistente (oltre la soglia dei duecento milioni di euro) è stata prevista la possibilità di evitare l’adesione al gruppo, sottostando agli obblighi di cui all'art. 2, commi 3-bis, 3-ter e 3-quater, del cit. d.l. n. 18 del 2016, la cui mancata osservanza comporta la devoluzione del patrimonio della cedente ai fondi mutualistici, quale riespansione della regola generale dettata dall'art. 150-bis, comma 5, del TUB.

1.2. La sentenza n.149/2021 della Corte Costituzionale.

Questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 13484 del 2020, ha ritenuto la non manifesta infondatezza di talune delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla parte ricorrente e le ha rimesse alla Corte Costituzionale, che, con la sentenza n. 149 del 2021, le ha dichiarate infondate. In particolare, nell’escludere l’illegittimità costituzionale della suddetta normativa per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., la Corte ha escluso la natura tributaria del versamento, che si configura, piuttosto, quale onere condizionale cui è subordinata la realizzazione dell'interesse della conferente. Invero, esercitando l’opzione in oggetto, la conferente resta in vita come ente mutualistico e conserva una relazione qualificata con l'attività creditizia attraverso la partecipazione - normalmente, anche se non necessariamente - di controllo nel capitale di una s.p.a. bancaria di nuova costituzione o già costituita, senza dover confluire in un gruppo e doversi quindi assoggettare ai poteri di direzione e coordinamento di una capogruppo. Secondo la Corte costituzionale, >. In altri termini, la tempestiva presentazione alla Banca d'Italia dell'istanza di autorizzazione al conferimento d'azienda impedisce sì la devoluzione del patrimonio ai fondi mutualistici (che «non si produce» per le BCC presentatrici: art. 2, comma 3-bis, del d.l. n. 18 del 2016, come convertito), ma tale effetto può venire meno anche successivamente al rilascio dell'autorizzazione, in caso di inosservanza degli ulteriori adempimenti previsti ai commi 3-ter e 3-quater dello stesso art. 2 e in particolare, per quanto qui interessa, se l'importo prescritto non viene versato. Tuttavia, come precisato dalla Corte Costituzionale, l'omesso versamento all'atto del conferimento d'azienda non legittima il fisco alla riscossione coattiva della somma dovuta, in esecuzione di un atto autoritativo di carattere ablatorio, ma comporta la definitiva soggezione della conferente, ex art. 17 della legge n. 388 del 2000, all'obbligo - non finalizzato a sovvenire a pubbliche spese - di devolvere il suo patrimonio effettivo ai fondi per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, secondo la regola generale operante nel caso di mancata adesione della BCC al gruppo. Dunque, secondo la Corte Costituzionale, >.

2.1. La denunziata incompatibilità con il diritto comunitario e le disposizioni giuridiche pertinenti del diritto dell’Unione Europea.

Il Collegio ritiene che, anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale, rimanga da valutare se permane la necessità del rinvio pregiudiziale alla CGUE, richiesto dalla parte ricorrente, la quale lamenta l’incompatibilità della normativa nazionale con una serie di disposizioni di diritto comunitario. In particolare, l’Ente C. deduce l’incompatibilità delle norme in oggetto con principi europei di libera concorrenza e di salvaguardia del mercato, consacrati negli artt. 101, 102, 120 e 173 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (di seguito, ove non virgolettato, TFUE). La ricorrente ha dedotto, inoltre, la violazione del principio di libera circolazione dei capitali, di cui all'art. 63 del TFUE, meglio specificato dalla Direttiva 2008/7/CE del 12 febbraio 2008, "concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali", che recepisce la Direttiva 69/335/CEE del 17 luglio 1969, la quale afferma, salve le eccezioni di cui all'art. 6 (già`art. 12 della Direttiva n. 69 cit.), non ricorrenti nella vicenda in oggetto, la neutralità` degli atti di conferimento; la violazione e/o falsa applicazione della Direttiva 2009/133/CEE del 19 ottobre 2009, "relativa al regime fiscale comune da applicare ... ai conferimenti d'attivo ... concernenti società` di Stati membri diversi", estesa dall'art. 176 del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR), onde evitare "discriminazioni alla rovescia", anche ai conferimenti d'azienda "domestici", i quali devono essere sottoposti dagli ordinamenti nazionali ad un ordinario regime di neutralità` fiscale, stante il rilievo meramente organizzativo di tali operazioni, salvo il caso, non ricorrente nella fattispecie, in cui, previo versamento di un'imposta sostitutiva, il contribuente, del tutto liberamente, si avvalga della possibilità`di riallineare i valori fiscali dei cespiti conferiti con quelli contabili. Infine, la ricorrente ha denunziato l’incompatibilità della normativa in oggetto con l'art. 1 del Protocollo n. 1 Addizionale alla CEDU, in tema di "protezione della proprietà`", stante la palese arbitrarietà`dell'imposizione controversa, che ha conculcato, in assenza di qualunque plausibile giustificazione, e in netta violazione del principio di non discriminazione, oltre che di proporzionalità`, il patrimonio dell'ente cooperativo, difettando qualsivoglia espressione di capacità contributiva, nonché l’incompatibilità con gli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (c.d. Carta di Nizza), stante l'inspiegabile vulnus determinato dal tributo in contestazione allo svolgimento della libera iniziativa economica da parte dell'Ente cooperativo. Chiede sul punto un ulteriore rinvio alla Corte Costituzionale per contrarietà della normativa in esame con gli artt. 11 e 117 Cost. Tuttavia, tale ultimo profilo non è rilevante ai fini del rinvio pregiudiziale, in quanto la Carta di Nizza non puo``avere efficacia diretta e, ogni volta che una norma interna si pone in contrasto con essa, il giudice comune non puo`` ricorrere alla disapplicazione del diritto nazionale, ma deve rimettere la questione alla Consulta, che giudicherà` “alla luce dei parametri interni ed eventualmente di quelli europei ex artt. 11 e 117 Cost.” (C. Cost. sent. n.269 del 2017).

2.2. Residua, invece, la doglianza relativa alla dedotta violazione dei menzionati principi europei di libera circolazione dei capitali, di cui all’art. 63 TFUE e di libera concorrenza e di salvaguardia del mercato, di cui agli artt. 101, 102, 120 e 173 del TFUE. Gli artt. 101 e 102 del TFUE, che vietano tutti gli accordi tra imprese che possano falsare la concorrenza nel mercato interno, si collegano agli artt. 120 ("Gli Stati membri e l'Unione agiscono nel rispetto dei principi di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo un'efficace allocazione delle risorse, conformemente ai principi di cui all'articolo 119 “) e 173 ("l'Unione e gli Stati membri provvedono affinché siano assicurate le condizioni necessarie alla competitività`dell'industria dell'Unione”). Inoltre, ai sensi dell’art. 63 e ss. TFUE >. Secondo il ricorrente il prelievo istituito dall'art. 2, commi 3-bis e 3-ter, del d.l. n. 18/2016 si porrebbe in contrasto con il principio della libera circolazione dei capitali, garantita dagli artt. 63 e ss. del TFUE, dal momento che esso penalizza ingiustificatamente proprio gli istituti di credito cooperativo più solidi, in quanto tali capaci di attrarre investimenti in capitale proveniente da altri Stati membri. Al riguardo, la Corte di Giustizia, con riferimento alla normativa nazionale (art. 29 del d.lgs. n. 385/1993) che impedisce alle banche costituite in cooperative di avere un attivo che supera 8 miliardi di euro, ha osservato > (sentenza 16 luglio 2020, causa C-686/18, OC e altri c. Banca d'Italia e altri, punti 101 - 104). Ad avviso della Corte di Giustizia, il buon funzionamento del sistema bancario all'interno dell'Unione Europea costituisce la base per lo svolgimento stesso dell'attività economica, di modo che eventuali limitazioni alla libertà di investimento devono rispondere "a obiettivi di interesse generale riconosciuti dall'Unione". Sempre secondo il ricorrente, nel caso di specie, una volta che il legislatore nazionale, procedendo alla riforma del settore del credito cooperativo, ha previsto la possibilità per le banche più solide di non aderire al gruppo, ma di conferire l’attività bancaria ad una s.p.a., mantenendo la partecipazione nella s.p.a. e conservando gli scopi mutualistici, non esisterebbe alcun principio o obiettivo di interesse generale riconosciuto dall’Unione Europea tale da giustificare il prelievo denunciato dall'Ente ricorrente, corrispondente al 20% del patrimonio netto risultante dal bilancio riferito al 31 dicembre 2015, che è stato versato all'atto del conferimento della propria azienda bancaria nella società per azioni conferitaria, come disposto dai più volte richiamati commi 3-bis e 3-ter dell'art. 2 del d.l. n. 18/2016. Anzi, il ricorrente sostiene che sarebbe assolutamente evidente come una tale previsione vada in senso contrario a qualsiasi logica di miglioramento della concorrenza e di solidità stessa del sistema bancario, sottolineando che il versamento in questione penalizzerebbe gli istituti di credito virtuosi che possono attrarre capitali da altri Stati membri, proprio in quanto dotati di una certa solidità patrimoniale e sono in grado di svolgere, in condizioni di piena concorrenza, l'attività bancaria.

2.3. Le ragioni del rinvio pregiudiziale.

A fronte dei dubbi circa la denunziata incompatibilità come in sintesi riportata al punto 2.2. (dubbi che sono condivisi dal Collegio), l’Amministrazione finanziaria, d’altra parte, sostiene la piena conformità al diritto sovranazionale della normativa in discussione, che perseguirebbe l’obiettivo della tutela del credito cooperativo e la piena attuazione della riforma del settore nel suo complesso e che garantirebbe il rafforzamento dei requisiti patrimoniali delle banche di credito cooperativo e la loro competitività secondo i parametri dettati dalla stessa normativa comunitaria. Invero, allo scopo di ridurre l'eventualità di crisi bancarie di carattere sistemico suscettibili di mettere a rischio la stabilità finanziaria complessiva, sono state introdotte nell'ordinamento europeo (attraverso il regolamento UE n. 575/2013 e la direttiva 2013/36/UE, cosiddetta Capital Requirements Directive IV — CRD IV) norme che recepiscono l'accordo di Basilea 3 sui requisiti patrimoniali delle banche. L’Amministrazione richiama la direttiva 2014/59/UE (definita BRRD - Bank Recovery and Resolution Directive), che ha istituito un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento. In tale contesto il legislatore italiano è intervenuto con un’articolata serie di interventi, tutti orientati al rafforzamento della stabilità del sistema bancario italiano. Secondo l’Amministrazione finanziaria, in tale quadro si colloca anche la riforma che ha riguardato le BCC, introdotta con il d.l. n.18/2016. Nel rappresentare come l'applicazione delle regole della concorrenza dell'UE e più in generale la valorizzazione del mercato e della concorrenza del comparto bancario non conducano necessariamente a risultati incompatibili con le esigenze di efficienza e stabilità dell'intero sistema bancario, l’Amministrazione evidenzia che il versamento, oggetto di istanza di rimborso nella presente causa, non comporta alcuna limitazione e pregiudizio rispetto ad altri operatori economici del settore creditizio, anzi tutt'altro. Secondo la controricorrente, tale disposizione non ha introdotto un’irragionevole discriminazione della banca e recato un danno alla stessa, poiché il versamento è stato effettuato a fronte di una precisa e libera scelta - che non è solamente compatibile con il tenore della suddetta legge "misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio" - ma è altresì coerente con il principio di ragionevolezza. Quindi il versamento in parola (la somma di euro 54.208.740,00, pari al 20 per cento del patrimonio netto al 31 dicembre 2015) costituirebbe il “prezzo” del vantaggio conseguito dalla ricorrente, consistente nel poter usufruire dell'opportunità concessa dal d.l. n. 18/2016 e dalla l. conv. n. 49/2016, che ha consentito alle banche di credito cooperativo di evitare l'effetto devolutivo dell'intero patrimonio sociale ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (disposto dall'art. 17 della L. n. 388/2000). Vantaggio previsto - come dimostrato dalle dichiarazioni del Presidente della Banca di C. al momento della scelta di uscire dal sistema cooperativo (comunicato stampa del 12 gennaio 2017) - e confermato dai risultati economici di netto miglioramento conseguiti dalla banca negli anni d'imposta successivi come risultanti dal bilancio d'esercizio anno 2017 e 2018. L’Agenzia delle entrate rileva anche che, ove si riconoscesse carattere tributario al prelievo, la Corte di Giustizia Europea ha da subito espresso una netta posizione relativamente alla compatibilità dell'imposta sul patrimonio netto delle imprese con l'ordinamento comunitario (ovvero con la direttiva n° 69/335/CEE) pronunciandosi ben due volte (con ordinanza del 15 marzo 2001 e sentenza 27 ottobre 1998 (CE C-4/97). In particolare, nell'ordinanza del 15 marzo 2001 (C279/99, C-293/99, C-296/99, C-330/99 e C-336/99) è stato chiarito che la direttiva del Consiglio del 17 Luglio 1969, 69/335/CE, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, come modificata dalla Direttiva del Consiglio 19 giugno 1985, 85/303/CEE, non osta alla riscossione, a carico delle società di capitali, di un'imposta, come l'imposta sul patrimonio netto delle imprese, nemmeno quando detto tributo colpisce la componente del patrimonio netto costituita dal capitale sociale annualmente rilevato in bilancio.

2.4. Alla luce delle argomentazioni contrapposte delle parti, ritiene il Collegio che il dubbio di compatibilità` dell'art. 2, commi 3-ter e 3-quater, decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18 (Misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 2016, n. 49, con principi europei di libera circolazione dei capitali, di cui all’art. 63 TFUE, e di libera concorrenza e di salvaguardia del mercato, di cui agli artt. 101, 102, 120 e 173 del TFUE non possa essere dissipato da questa Corte ricorrendo ad un'interpretazione conforme al diritto dell'Unione europea, ostandovi la formulazione rigida della disposizione nazionale denunciata. A ben vedere, l'interpretazione conforme appare impraticabile in ragione del carattere non autoevidente della soluzione dell'antinomia normativa scaturente dal raffronto della disposizione nazionale con i richiamati parametri sovranazionali e dell'assenza di indicazioni della giurisprudenza europea utili alla specifica fattispecie in esame. Infatti, come chiarito dalla stessa Corte di giustizia dell'Unione europea, il giudice nazionale di ultima istanza e` obbligato al rinvio pregiudiziale, salvo che «la corretta applicazione del diritto comunitario [possa] imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata» (Corte giustizia, 6 ottobre 1982, Cilfit, C-238/81, EU:C:1982:335; v. anche Corte giustizia, 16 luglio 1992, Meilicke, C-83/91, EU:C:1992:332; Corte giustizia, 27 marzo 1980, Denkavit, C-61/79, EU:C:1980:100; Corte giustizia, 12 febbraio 2008, Kempter, C-2/06, EU:C:2008:78; Corte giustizia, 21 luglio 2011, Kelly, C-104/10, EU:C:2011:506). Le considerazioni che precedono inducono, dunque, a sollecitare, in via pregiudiziale, l'intervento interpretativo della Corte di giustizia dell'Unione europea affinché´ chiarisca se la normativa nazionale in oggetto, sia compatibile con il diritto dell'Unione.

2.5. la questione pregiudiziale.

Alla luce delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene di dover proporre questione pregiudiziale interpretativa ai sensi dell'art. 267 TFUE sottoponendo alla Corte di giustizia dell'Unione europea il seguente quesito: «se gli arti. 63 e ss., 101, 102, 120 e 173 del TFUE ostino ad una disciplina nazionale che, come l'art. 2, commi 3-ter e 3- quater, decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 2016, n. 49, nella versione, applicabile ratione temporis, condizioni, al versamento di una somma pari al 20 per cento del patrimonio netto al 31 dicembre 2015, la possibilità` per le banche di credito cooperativo aventi alla data del 31 dicembre 2015 un patrimonio netto superiore a duecento milioni di euro, in luogo dell’adesione ad un gruppo, di conferire l'azienda bancaria ad una società` per azioni, anche di nuova costituzione, autorizzata all'esercizio dell'attività` bancaria, modificando il proprio statuto in modo da escludere l'esercizio dell'attività` bancaria e mantenendo nel contempo le clausole mutualistiche di cui all'art. 2514 cod. civ., assicurando ai soci servizi funzionali al mantenimento del rapporto con la società` per azioni conferitaria di formazione ed informazione sui temi del risparmio e di promozione dei programmi di assistenza. Il rinvio pregiudiziale determina la sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 295 cod. proc. civ.

P.Q.M.

La Corte, visto l'art. 267 TFUE, chiede alla Corte di giustizia dell'Unione europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla questione di interpretazione del diritto dell'Unione indicata in motivazione; dispone la sospensione del processo e dispone che copia della presente ordinanza sia trasmessa alla Cancelleria della Corte di giustizia dell'Unione europea a norma dell'art. 3 della legge 13 marzo 1958, n. 2041.