Giu Questione:se, nell’ambito di un giudizio di riconoscimento in Italia dell’efficacia di una sentenza straniera, la parte ivi convenuta, possa invocare in sede di delibazione l'incompetenza giurisdizionale
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE - ORDINANZA INTERLOCUTORIA 28 novembre 2022 N. 34969
Massima
La Prima Sezione Civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente per valutare l’opportunità dell’assegnazione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, comma 3 c.p.c., della questione se, nell’ambito di un giudizio di riconoscimento in Italia dell’efficacia di una sentenza straniera, la parte ivi convenuta, che si sia ritualmente costituita nel giudizio svoltosi dinanzi al giudice a quo senza sollevare, in quella sede, alcuna eccezione circa la carenza della “ competenza giurisdizionale” di quest’ultimo, possa ancora formulare una siffatta eccezione innanzi al giudice della invocata delibazione, oppure se la stessa possa essere sollevata di ufficio da quest’ultimo.

Casus Decisus
RILEVATO CHE 1. La Corte di appello di con ordinanza del , n. emessa, ex artt. 67 della legge n. 218 del 1995 e 30 del d.lgs. n. 150 del 2011, rigettò la domanda, ivi formulata da nei confronti di , volta ad ottenere il riconoscimento in Italia della sentenza del con cui il Tribunale di aveva affidato i due figli nati nel corso della loro relazione, ed , entrambi minorenni, alla madre, determinandone la residenza con quest’ultima e fissandone l’orario di visite per il padre. 1.1. Ritenne quella corte che al riconoscimento in Italia dell’efficacia della sentenza suddetta ostasse la carenza del presupposto di cui all’art. 64, lett. a), della legge n. 218 del 1995, in quanto, a suo parere, la non costituiva lo Stato di residenza abituale dei minori. 1.1.1. Rimarcò, inoltre, che, giusta quanto sancito da Cass., SU, n. 21946 del 2015 (a tenore della quale, «In tema di riconoscimento di sentenze straniere, il difetto di "competenza giurisdizionale", secondo i principi propri dell'ordinamento italiano, ex art. 64, comma 1, lett. a), della legge n. 218 del 1995, non può essere invocato, per la prima volta, davanti al giudice italiano se il vizio, ove tempestivamente dedotto avanti al giudice straniero, ne avrebbe inficiato il giudizio»), benché , pur costituitosi nel procedimento terminato con il provvedimento predetto, non avesse ivi eccepito il difetto di competenza giurisdizionale dell’Autorità Giudiziaria della , ciò non gli avrebbe precluso di sollevare la corrispondente eccezione, per la prima volta, innanzi al giudice italiano, atteso che se il avesse eccepito il difetto di giurisdizione della A.G. della , invocando la norma di cui all’art. 8 del Regolamento CE n. 2201/03, «avrebbe visto respinta la sua eccezione, perché l’A.G. della non era tenuta ad applicare il Reg. CE». 2. Per la cassazione della descritta ordinanza ha proposto ricorso , affidandosi a quattro motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc civ.. Ha resistito, con controricorso, .

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE - ORDINANZA INTERLOCUTORIA 28 novembre 2022 N. 34969 F. A. Genovese

CONSIDERATO CHE

1. I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente:

I) «Violazione di legge per disapplicazione dell’art. 42 della Legge n. 210/1995 (Diritto internazionale privato), che rinvia ai principi della Convenzione dell’Aja del 5 Ottobre 1961 sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori; conseguentemente, violazione dell’art. 64, lett. a), della legge n. 210/1995, per non aver ritenuto che il Giudice della fosse competente a decidere della causa in base ai principi sulla competenza giurisdizionale dell’ordinamento italiano, tra i quali principi non possono non rientrare anche quelli dettati dall’art. 42 della legge n. 210/1995 e della Convenzione dell’Aja, e violazione dell’art. 5 della Convenzione dell’Aja del 1996 che prevede, in caso di lecito trasferimento della residenza abituale di un minore, che siano competenti giurisdizionalmente le Autorità del nuovo Stato di residenza; violazione di legge per aver erroneamente richiamato il Regolamento CE 2201/03 inapplicabile al caso di specie»;

II) «Violazione di legge per avere la corte d’appello omesso la valutazione di elementi probatori documentali in atti, in violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2699 c.c., per aver omesso la valutazione di elementi di prova documentali presenti in sentenze, dunque parificabili agli atti redatti da un pubblico ufficiale, ed avere in ogni caso omesso la valutazione di ogni elemento presente in atti necessario a confermare che la residenza dei minori in aveva carattere di abitualità»;

III) «Violazione di legge per avere la corte d’appello violato od erroneamente applicato il principio di cui all’art. 64, lettera a), della legge n. 218 del 1995 ed il principio stabilito dalla Suprema Corte, a Sezioni Unite, secondo il quale, nel riconoscimento dei giudizi di corti straniere, il difetto di “competenza giurisdizionale non può essere invocato per la prima volta davanti al Giudice italiano se il vizio, ove tempestivamente dedotto avanti al Giudice straniero, ne avesse inficiato il Giudizio”, ritenendo che se il avesse eccepito il difetto di giurisdizione della invocando l’art. 8 Regolamento CE cd. Bruxelles II bis, avrebbe vista respinta la sua eccezione in quanto la non era obbligata ad applicare il predetto Regolamento europeo». Si rappresenta che il ben avrebbe potuto contestare la giurisdizione della ai sensi della Convenzione dell’Aja del 1996, fondante per la determinazione della giurisdizione in materia di affidamento di minori ai sensi della legge n. 216 del 1995, ed alla quale la era tenuta ad uniformarsi per averla ratificata. Non avendo egli opposto tale eccezione, che sarebbe stata decisa in base alle disposizioni della Convenzione medesima, risultava evidente lo stesso fosse decaduto definitivamente da ogni eccezione in merito alla giurisdizione, anche ai sensi delle norme italiane di diritto internazionale privato;

IV) «Violazione di legge per avere la corte violato e disapplicato i dettati della legge n. 766/1985 (Ratifica ed esecuzione della convenzione tra la Repubblica sull’assistenza giudiziaria in materia civile, firmata a Roma il 25 gennaio 1979), per avere la corte ignorato e disapplicato i dispositivi della predetta Convenzione che riconoscono la facoltà ai cittadini delle Parti contraenti di adire liberamente le Autorità Giurisdizionali di ciascuna parte ed il riconoscimento delle decisioni giurisdizionali delle parti contraenti ed in particolare per avere disapplicato gli artt. 1, 19 e 24 della medesima Convenzione».

RITENUTO CHE

1. Ancor prima di procedere allo scrutinio dei formulati motivi di ricorso (sulla cui tempestività non vi è ragione di dubitare alla stregua di quanto sancito da Cass. n. 10540 del 2019, alla cui motivazione può farsi rinvio, in questa sede, ex art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ.), rileva il Collegio che il presente giudizio riguarda il riconoscimento di una sentenza estera, emessa in uno Stato non appartenente all'Unione Europea, avente ad oggetto l’affidamento dei figli minorenni delle parti presso la madre in Oggetto della cognizione del giudice del merito e di questa Suprema Corte, pertanto, è la corrispondenza della pronuncia in esame ai parametri stabiliti nella legge n. 218 del 1995, all’art. 64. Non può trovare applicazione, invece, nella specie, il regime specifico di riconoscimento delle sentenze emesse all'interno dell'Unione Europea, dettato dal Regolamento n. 2201 del 2003, dal momento che la pronuncia di cui si chiede il riconoscimento non è stata adottata da uno Stato membro dell'Unione stessa (art. 23 del Regolamento).

2. In via preliminare, poi, rileva il Collegio che la ha proceduto a notificare il proprio odierno ricorso anche all’indirizzo mail apparentemente riconducibile all’ufficio della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di . Non si rinviene in atti, invece, alcun tentativo di notifica del medesimo ricorso nei confronti della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di benché un rappresentante di quest’ultima risulti essere intervenuto (rendendo parere favorevole all’ivi richiesto riconoscimento) nel procedimento concluso dall’ordinanza oggi impugnata (cfr. intestazione e pag. 4 della stessa).

3. Non vi è comunque necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio verso l’appena menzionato ufficio giudiziario. 
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3.1. Invero, giova ricordare, innanzitutto, che già Cass. n. 6093 del 2018 ha ribadito l'orientamento di questa Corte - che il Collegio condivide - secondo cui «[…] la titolarità dell'azione del pubblico ministero in sede civile è eccezionale, derogando al principio della domanda di parte; la regola della tipicità, contenuta nell'art. 69 c.p.c. e nell'art. 2907 c.c., poi, porta ad escludere interpretazioni estensive o analogiche, avendo tali enunciati carattere imperativo. Ne consegue che, fuori dalle ipotesi tassativamente previste dalla legge processuale, il pubblico ministero non ha potere di azione e tanto meno d'impugnazione (Cass. 16/10/2012, n. 17764)».

3.2. E’ vero, inoltre, che, come si è anticipato, dall’ordinanza impugnata emerge l’avvenuto intervento del Pubblico Ministero nel giudizio dinanzi alla corte distrettuale, attesa, evidentemente, la natura della controversia de qua, che, in quanto avente ad oggetto il riconoscimento di una sentenza straniera in materia di affidamento di minori, deve farsi rientrare tra quelle che l’ordinamento nazionale prevede all’art. 38, comma 2, disp. att. cod. proc. civ. (“Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile”) ed in relazione alle quali il comma 3 del medesimo articolo sancisce, tra l’altro, che, “Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, […]”, con la conseguente inapplicabilità dell'art. 70, comma 1, n. 1, cod. proc. civ., che attribuisce all'organo in questione la qualità di parte necessaria nelle cause che egli stesso potrebbe proporre, prescrivendone l'intervento a pena di nullità rilevabile d'ufficio. Il riferimento alla predetta disposizione implica, tuttavia, l'esclusione del potere di impugnare l’odierna decisione emessa dalla corte d'appello, non essendo la lite annoverabile tra quelle per le quali la legge riconosce al Pubblico Ministero il potere di azione, né tra quelle matrimoniali, e non trovando pertanto applicazione il comma 1 dell'art. 72 cod. proc. civ., che, in riferimento alla prima categoria di controversie, attribuisce al predetto organo, in caso d'intervento, gli stessi poteri che competono alle parti, né i commi 3 e 4 del medesimo articolo, che, con riguardo al secondo gruppo di controversie, attribuiscono al Pubblico Ministero il potere d'impugnazione (cfr., in motivazione, Cass., SU, n. 12193 del 2019, ribadita, in parte qua, dalla più recente Cass. n. 3252 del 2022). Cass. n. 3638 del 2018, del resto, ha opportunamente puntualizzato che, nei giudizi aventi ad oggetto figli minori di genitori non coniugati, il Pubblico Ministero non assume la posizione di parte necessaria, essendo il suo intervento normativamente previsto come obbligatorio ma senza alcun potere, né di iniziativa, né di impugnativa della decisione.

3.2.1. La disciplina introdotta dal codice civile (art. 2907) e dal codice di procedura civile (art. 69), che concordemente limitano l'iniziativa del Pubblico Ministero in materia civile ai soli casi stabiliti dalla legge, delinea un sistema ispirato a canoni di rigida tipizzazione, che trova il suo completamento negli artt. 70-72 del codice di rito, che distinguono puntualmente le ipotesi in cui al predetto organo spetta il potere di azione da quelle in cui è titolare di un mero potere d'intervento, includendo nella seconda categoria le controversie di stato, e limitando espressamente alle prime la legittimazione all'impugnazione.

3.2.2. Significativa, in proposito, è la circostanza che, proprio in tema di controversie di stato, la giurisprudenza di legittimità abbia più volte escluso la possibilità d'individuare nel carattere imperativo della disciplina applicabile il fondamento di un interesse tale da legittimare l'esercizio dell'azione da parte del Pubblico Ministero, affermando che l'iniziativa spetta ai soli soggetti privati che abbiano un interesse individuale qualificato (concreto, attuale e legittimo) sul piano del diritto sostanziale, di carattere patrimoniale o morale, all'essere o al non essere dello status, del rapporto o dell'atto dedotto in giudizio, e concludendo, quindi, che, in mancanza di una deroga esplicita, trova applicazione la regola generale prevista dall'art. 70, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. (cfr. Cass n. 2515 del 1994 e Cass. n. 4201 del 1989, entrambe richiamate, in motivazione, dalle più recenti Cass., SU, n. 12193 del 2019 e Cass. n. 3252 del 2022). 3.2.3. Il potere d'impugnazione del Pubblico Ministero nemmeno può desumersi, nella specie, dalla mera sua partecipazione alla precedente fase processuale e quindi idonea a giustificare la proposizione dell'impugnazione indipendentemente dal ricorso all'art. 72 cod. proc. civ.. E’ appena il caso di evidenziare, infatti, la portata esaustiva della disciplina dettata da tale disposizione, che, nel limitare il potere d'impugnazione del Pubblico Ministero che abbia spiegato intervento nel giudizio alle cause che avrebbe potuto proporre, ovverosia alle ipotesi di cui all'art. 70, comma 1, n. 1, ed alle cause matrimoniali, escluse quelle di separazione dei coniugi, non introduce, relativamente alle altre ipotesi, alcuna distinzione tra quelle in cui l'intervento ha carattere obbligatorio, essendo prescritto a pena di nullità rilevabile d'ufficio, e quelle in cui l'intervento ha carattere facoltativo, in quanto fondato su una valutazione del pubblico interesse rimessa allo stesso Pubblico Ministero (cfr., in motivazione, Cass., SU, n. 12193 del 2019, ribadita, in parte qua, dalla più recente Cass. n. 3252 del 2022).

3.3. Muovendo da tali premesse, allora, - e rimarcandosi che nemmeno è stato allegato, ancor prima che dimostrato, uno specifico interesse del Pubblico Ministero presso il giudice a quo ad essere parte dell’odierno giudizio (cfr. Cass. n. 31498 del 2021) - è qui sufficiente ricordare l'insegnamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui l'integrazione del contraddittorio in sede d'impugnazione, nei confronti del Pubblico Ministero presso il giudice a quo, non si rende necessaria in tutte le controversie in cui ne sia contemplato l'intervento, bensì soltanto in quelle nelle quali detto Pubblico Ministero sia titolare del potere di proporre impugnazione (trattandosi di cause che lui stesso avrebbe potuto promuovere o per le quali comunque sia previsto tale potere ai sensi dell'art. 72 cod. proc. civ.), mentre nelle altre ipotesi (come nel caso di specie), le funzioni di Pubblico Ministero, in quanto non includono l'autonoma facoltà di impugnazione, vengono a identificarsi con quelle che svolge il Procuratore Generale presso il giudice ad quem e restano assicurate, quindi, dalla comunicazione o trasmissione degli atti a quest'ultimo, a norma degli artt. 71 cod. proc. civ., e, per il giudizio di cassazione, 137 disp. att. cod. proc. civ. (cfr., ex aliis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 3252 del 2022; Cass. n. 3256 del 2019; Cass., SU, n. 3556 del 2017; Cass., SU, n. 9743 del 2008; Cass., SU, n. 184 del 1987; Cass., SU, n. 3078 del 1986).

4. Venendo, dunque, allo scrutinio dei formulati motivi di ricorso, l’esame del terzo di essi riveste carattere logicamente prioritario, posto che, nella specie, la corte distrettuale avrebbe potuto accertare la sussistenza, o meno, della residenza abituale di entrambi i minori ed sul territorio nazionale soltanto ove avesse ritenuto (come concretamente accaduto) di essere munita della relativa “competenza giurisdizionale” (contestualmente negando quella dell’Autorità Giudiziaria - Tribunale di - che aveva pronunciato la decisione il cui riconoscimento di efficacia in Italia è stato da essa negato proprio per la pretesa mancanza del presupposto di cui all’art. 64, comma 1, lett. a], della legge n. 218 del 1995). Alteris verbis, ancor prima di stabilire la correttezza, o non, dell’affermazione della corte distrettuale che la residenza abituale di quei minori fosse in Italia, occorre interrogarsi se una tale affermazione fosse ancora ancora possibile (si tratta, a ben vedere, di un profilo fondamentale per le sorti della domanda della , poiché, come si è appena riferito, è sul difetto di giurisdizione che il suo ricorso è stato rigettato dalla corte territoriale): ciò perché, da un lato, è pacifico tra le parti che nessuna contestazione, in punto di “competenza giurisdizionale”, era stata sollevata da i costituendosi ritualmente nel procedimento innanzi all’Autorità Giudiziaria sfociato nel provvedimento di cui oggi si discute; dall’altro, dovendosi ricordare che, in sede di riconoscimento dell'efficacia del provvedimento giurisdizionale estero ex art. 67 della legge n. 218 del 1995, la verifica della compatibilità con i principi di ordine pubblico internazionale deve riguardare esclusivamente gli effetti che l'atto è destinato a produrre nel nostro ordinamento e non anche la conformità alla legge interna di quella straniera posta a base della decisione, né è consentito alcun sindacato sulla correttezza giuridica della soluzione adottata, essendo escluso il controllo contenutistico sul provvedimento di cui si chiede il riconoscimento (cfr. Cass. n. 39391 del 2021; Cass., SU, n. 9006 del 2021, rv. 660971-03; Cass. n. 17170 del 2020).

5. Fermo quanto precede, è utile ricordare nuovamente che la corte territoriale, pur dando atto che «il padre [ . Ndr] non ha eccepito, innanzi al Tribunale della , il difetto di giurisdizione», ha ritenuto applicabile, tuttavia, il principio sancito da Cass., SU, n. 21946 del 2015 (secondo cui, «In tema di riconoscimento di sentenze straniere, il difetto di "competenza giurisdizionale", secondo i principi propri dell'ordinamento italiano, ex art. 64, comma 1, lett. a), della legge n. 218 del 1995, non può essere invocato, per la prima volta, davanti al giudice italiano se il vizio, ove tempestivamente dedotto avanti al giudice straniero, ne avrebbe inficiato il giudizio») ed ha opinato che «se il avesse ivi eccepito il difetto di giurisdizione dell’A.G. della , invocando la citata norma, art. 8 Reg. CE 2201/03, avrebbe visto respinta la sua eccezione, perché l’A.G. della non era tenuta ad applicare il Reg. CE».

6. Ad avviso di questo Collegio, una siffatta affermazione non persuade. 6.1. Invero, al di là del rilievo che la ritenuta inapplicabilità del Reg. CE n. 2201/03 nei confronti della (pacificamente estranea all’Unione Europea, e, come tale, non vincolata dal diritto unionale) non avrebbe certamente escluso la necessità di verificare l’esito della suddetta eccezione alla stregua della disciplina sancita dalla Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996 (Sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori), - ratificata dall’Italia con la legge 18 giugno 2015, n. 101 - cui ha aderito anche la (il cui art. 51 ha disposto che “Nei rapporti tra gli Stati contraenti, la presente convenzione sostituisce la convenzione del 5 ottobre 1961 [resa esecutiva in Italia con la legge 24 ottobre 1980, n. 742, e tuttora espressamente richiamata dall’art. 42 della legge n. 218 del 1995, rubricato Giurisdizione e legge applicabile in materia di protezione dei minori. Ndr], sulla competenza delle autorità e la legge applicabile in materia di protezione dei minori e la convenzione per regolare la tutela dei minorenni, firmata a L’Aia il 12 giugno 1902, fermo restando il riconoscimento delle misure adottate secondo la convenzione del 5 ottobre 1961 prima citata”), ciò che non convince è, a monte, proprio il già riportato principio, reso da Cass., SU, n. 21946 del 2015, che ne ha costituito il fondamento giustificativo. Tanto per le ragioni di cui appresso.

6.2. E’ utile ricordare, anzitutto, che, come rimarcato anche da Cass., SU, n. 8038 del 2011, il primo requisito da verificare per il riconoscimento di una sentenza straniera in Italia è l’avvenuta sua pronuncia da parte di un giudice che sarebbe stato competente in base ai criteri che, in casi corrispondenti, determinerebbero la giurisdizione del giudice italiano nei confronti dello straniero. Ancora recentemente, Cass. n. 39391 del 2021 ha puntualizzato che «L'art. 64, lett. a), [della legge n. 218 del 1995. Ndr] come condizione per il riconoscimento, richiede di stabilire semplicemente se il giudice che ha pronunciato la sentenza straniera poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano. Ai fini del riconoscimento, non interessa altro che ciò che in tema di giurisdizione risulta indicato dalla citata norma di diritto internazionale privato, e quindi solo "il se", in casi equivalenti, la giurisdizione debba essere affermata in relazione alla domanda anche secondo le regole e i principi di diritto interno. Da questo punto di vista, l'estensione alla fattispecie dei principi della giurisdizione italiana diventa, mutatis mutandis, il parametro per il riconoscimento in analogia di situazioni» (cfr. pag. 18 della sua motivazione).

6.2.1. Diversamente dalla giurisdizione interna, peraltro, la competenza giurisdizionale esterna non è rilevabile d'ufficio, bensì su istanza di parte.

6.2.2. Invero, l'art. 11 della legge n. 218 del 1995 prevede che il difetto di giurisdizione possa essere rilevato, in qualunque stato e grado del processo, soltanto dal convenuto costituito che non abbia espressamente accettato la giurisdizione italiana. In altre parole, l'eccezione di difetto di giurisdizione internazionale sfugge alla disciplina generale sui termini di proponibilità delle eccezioni di rito: essa, infatti, può essere sollevata anche dal convenuto contumace che si costituisca tardivamente, dopo essere decaduto dalle altre eccezioni di merito e di rito non rilevabili d'ufficio. E tuttavia, l'art. 4, medesimo testo normativo, dispone che il convenuto costituitosi in giudizio, qualora non proponga l'eccezione di difetto di giurisdizione nella propria comparsa di risposta, accetti, anche implicitamente, la giurisdizione italiana, decadendo dalla possibilità di contestarla in seguito. Infine, sempre l'art. 11 della legge n. 218 attribuisce al giudice il potere di rilevare d'ufficio il proprio difetto di giurisdizione se il convenuto è contumace, ovvero se tale giurisdizione è esclusa per effetto di una norma internazionale.

6.2.3. Si tratta di valutare, allora, se la libera scelta di di costituirsi ritualmente nel procedimento instaurato dalla innanzi all’Autorità Giudiziaria (Tribunale di ) senza sollevare, in quella sede, alcuna contestazione, in punto di “competenza giurisdizionale” della medesima Autorità, abbia consumato definitivamente, o meno, il potere della parte di eccepirne o, per il giudice ad quem (adito, ex art. 67 della legge n. 218 del 1995, per ottenere il riconoscimento dell’efficacia in Italia della decisione resa da quell’Autorità all’esito del procedimento suddetto), di rilevarne il difetto di giurisdizione.

6.3. In proposito, la corte bolognese, invocando il più volte menzionato principio espresso da Cass., SU, n. 21946 del 2015, ha risposo negativamente, ritenendo immutata la possibilità di dedurre il vizio, per la prima volta, in sede di delibazione, così come poi in effetti è avvenuto, in forza di un ragionamento tipicamente controfattuale: più in concreto, secondo quella corte, ove il , difendendosi innanzi al tribunale , ne avesse eccepito anche il suo difetto di giurisdizione invocando l’art. 8 del Reg. Ce 220/03, quest'ultimo avrebbe senz'altro rigettato l'eccezione perché (evidentemente in quanto Paese extra Ue, non tenuto, come tale, all’osservanza del diritto unionale) non tenuto ad applicare il menzionato Regolamento.

6.4. Ad avviso di questo Collegio, un siffatto ragionamento - come opinato pure da autorevole dottrina - prova troppo e, soprattutto, sembra avvalorare un esercizio piuttosto disinvolto dei poteri cognitivi del giudice ad quem.

6.4.1. Invero, a sistema vigente, il giudice del merito per le decisioni oggetto di riconoscimento è il giudice a quo; in altre parole, tecnicamente, il funzionamento del procedimento di circolazione, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni disegnato dalla legge n. 218 del 1995 è consolidato nel senso che è l'autorità giudiziaria straniera ad essere investita dei poteri di accertamento in senso stretto, dunque pieno, della pretesa fatta valere, sicché in quella sede processuale debbono essere valutate tutte le questioni di merito, ma anche di rito, preliminari o pregiudiziali, che attengono alla proponibilità e fondatezza della domanda giudiziale. Al collegio della delibazione spetta, invece, la verifica del rispetto di principi fondamentali quali, ad esempio, il contraddittorio, la difesa e l'ordine pubblico, ma anche, sempre ai sensi dell'art. 64, lett. a), della legge n. 218 del 1995, proprio la competenza giurisdizionale del giudice a quo secondo, però, le norme interne. Solo se questi valori non siano protetti nel Paese d'origine della controversia ed ivi non sia stato dunque possibile tutelarli, è doveroso ridiscuterne in Italia.

6.4.2. Alla stregua di tali argomentazioni, dunque, è ragionevole concludere nel senso che esulasse dai poteri della Corte d'appello di , nel caso di specie, valutare il profilo della giurisdizione sulla base di un'eccezione che poteva essere sicuramente proposta dal , ritualmente costituitosi - ma, come si è detto, senza eccepire alcunché sul punto - nel giudizio che ha dato luogo alla sentenza passata in giudicato di cui la ha chiesto, poi, la delibazione.

6.5. La corte distrettuale, invece, assumendo di volersi avvalere del già riportato principio reso da Cass., SU, n. 21946 del 2015 (pronunciato, giova rimarcarlo, in una controversia vertente, anzitutto, sui limiti all'immunità giurisdizionale degli Stati sovrani nel caso di violazione dei diritti umani. Segnatamente, le Sezioni Unite, al termine di una complessa vicenda giudiziaria relativa al risarcimento danni chiesti post mortem dagli eredi della defunta, a seguito di un attentato terroristico verificatosi in Israele nel 1995, riconobbe la possibilità di convenire in giudizio il cd. "Stato canaglia", quale mandante del tragico fatto delittuoso; tuttavia, la domanda dei danneggiati di exequatur, in Italia, della decisione che aveva condannato lo Stato in solido con taluni suoi massimi rappresentanti al pagamento di una cospicua somma di denaro, venne definitivamente rigettata poiché pronunciata da un giudice ritenuto dalla Cassazione privo della competenza giurisdizionale ai sensi dell'art. 64, comma 1, lett. a], della legge n. 218/1995), mostra di condividere l’orientamento per cui, in tema di riconoscimento di sentenze straniere, ai sensi della legge n. 218/1995, i vizi che, se tempestivamente dedotti avanti al giudice straniero, avrebbero inficiato il relativo giudizio non possono essere fatti valere, per la prima volta, davanti al giudice italiano.

6.5.1. Ad avviso di questo Collegio, tuttavia, ciò vale, a maggior ragione, anche in ordine al preteso difetto di "competenza giurisdizionale", secondo i principi propri dell'ordinamento italiano, ai sensi dell'art. 64, comma 1, lett. a), della legge. n. 218, atteso che si tratta di materia derogabile, ai sensi dell'art. 4 della medesima legge (così, testualmente, già Cass. n. 8588 del 2003).

6.6. La corte bolognese, invece, facendo proprio il decisum di Cass., SU, n. 21946 del 2015, ha sostenuto che la preclusione in questione è da ritenersi operante soltanto ove l'eccezione possa avere esito positivo. In altri termini, la valutazione circa la possibilità di sollevare, di fronte al giudice italiano, l'eccezione di difetto di competenza giurisdizionale del giudice straniero viene ricondotta al fatto che, davanti a quest’ultimo, il medesimo potere processuale non avrebbe potuto essere esercitato efficacemente.

6.6.1. Una tale interpretazione del sistema vigente di circolazione delle decisioni, però, non convince. Essa, invero, può condurre a risultati che parte della dottrina ha definito irragionevoli e contraddittori, sottolineandosi, peraltro, che la già citata Cass. n. 8588 del 2003, n. 8588 (così ufficialmente massimata: «In tema di riconoscimento di sentenze straniere, ai sensi della legge n. 218 del 1995, i vizi che, se tempestivamente dedotti avanti al giudice straniero avrebbero inficiato il giudizio […], non possono essere fatti valere, per la prima volta, davanti al giudice italiano. Ciò vale, a maggior ragione, anche in ordine al preteso difetto di "competenza giurisdizionale", secondo i principi propri dell'ordinamento italiano, ai sensi dell'art. 64, primo comma, lett. a], della legge n. 218, atteso che si tratta di materia derogabile, ai sensi dell'art. 4 della legge n. 218»), non si sofferma affatto sulla valutazione della sorte, favorevole o meno, che l'eccezione ormai preclusa avrebbe conseguito di fronte all'autorità giudiziaria straniera (anche lì, come nel caso di Cass., SU, n. 21946 del 2015, si trattava di un giudice e del problema relativo al difetto di competenza giurisdizionale), bensì, come più logico rispetto alla teoria generale della rilevabilità d'ufficio/eccezione ad istanza di parte delle questioni di rito e di merito, valorizza semplicemente il fatto che la questione non era stata sollevata nel giudizio a quo dalla parte diligente che pur astrattamente avrebbe potuto farlo, con conseguente automatica preclusione nel giudizio ad quem.

6.6.2. L'indirizzo interpretativo invocato dalla corte sembra poggiare, per contro, su una finzione giuridica: l'eccezione non proponibile non è solo quella vietata dalla legge, ad esempio perché tardiva, bensì anche quella che non può essere proposta efficacemente, cioè pur astrattamente proponibile, comunque in concreto inidonea ad "inficiare il giudizio".

6.6.3. Così opinando, però, si consente (rectius: impone) al giudice della delibazione una difficile valutazione, si ripete controfattuale, che tradisce, ad avviso di questo Collegio, il significato stesso di preclusione. In tal modo, invero, - come pure efficacemente sostenuto in dottrina - si spostano i termini del problema su di un piano estraneo al tema in oggetto, che deve rimanere ancorato, invece, all'idea tradizionale secondo cui, se una questione non rilevabile d'ufficio è preclusa, lo è semplicemente perché non è stata sottoposta all'attenzione del giudice a tempo debito. Al contrario, l’assunto della corte - fondato, giova ripeterlo, sulla ivi condivisa corrispondente affermazione di Cass., SU, n. 21946 del 2015 – autorizza a sostenere che una verifica da parte del giudice ad quem vi debba essere comunque sull'ipotetico esito dell'eccezione, sulla sua concreta efficacia, cioè secundum eventum litis, nel giudizio a quo e solo nel caso di prognosi favorevole potrà ritenersi operante la preclusione processuale di cui all'art. 64 della legge n. 218/1995.

6.6.4. In realtà, un'eccezione o è proponibile o non lo è, a prescindere dall'esito ipotetico e futuro della stessa; opinare diversamente vorrebbe dire, invertendo l'ordine logico giuridico dei fattori, che il momento della valutazione di un'eccezione precede quello della sua proponibilità e ciò sarebbe contraddittorio, ma anche irragionevole e contrario, in ultima analisi, ai principi di economia processuale e ragionevole durata del processo. Del resto, l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità in tema di riconoscimento, in Italia, di sentenze straniere sembra ormai salvaguardare sempre più l’efficacia di queste ultime sul territorio nazionale ove solo si pensi alle fattispecie in cui sono state positivamente delibate decisioni straniere addirittura prive di motivazione (cfr. Cass. n. 10540 del 2019; Cass. n. 597 del 2017) proprio sul presupposto che, quando il contraddittorio sia stato assicurato e la sentenza sia passata in giudicato (tanto da doversi presumere che i fatti e le questioni di diritto posti a fondamento della decisione non siano più discutibili), l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali non rientri tra i principi inviolabili fissati nel nostro sistema normativo a garanzia del diritto di difesa, sancendo l'art. 111 Cost., che siffatto obbligo prevede, un assetto organizzativo della giurisdizione che attiene esclusivamente all'ordinamento interno.

6.6.5. L’assunto, condiviso da questo Collegio, secondo cui, se una questione non rilevabile d'ufficio è preclusa, lo è semplicemente perché non è stata sottoposta all'attenzione del giudice a tempo debito, nemmeno lascia ipotizzare, inoltre, una significativa lesione del diritto di difesa allorquando il provvedimento di cui è chiesto il riconoscimento sia stato emesso nei confronti di un soggetto che (come pacificamente accaduto nella fattispecie in esame) abbia avuto comunque la possibilità di partecipare attivamente al processo. Una violazione del diritto di difesa, cioè, non è ravvisabile in ogni inosservanza di una disposizione della legge processuale straniera a tutela della partecipazione della parte al giudizio, ma soltanto quando essa, per la sua rilevante incidenza, abbia determinato una lesione del diritto di difesa rispetto all'intero processo, ponendosi in contrasto con l'ordine pubblico processuale riferibile ai principi inviolabili a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio (cfr. Cass. n. 17519 del 2015).

6.7. Alla stregua delle argomentazioni tutte fin qui esposte, dunque, il Collegio ritiene di dover rimettere l’odierno ricorso al Primo Presidente, per l’eventuale sua assegnazione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, comma 3, cod. proc. civ., affinché le stesse stabiliscano se, nell’ambito di un giudizio di riconoscimento, in Italia, dell’efficacia di una sentenza straniera, la parte ivi convenuta, che si sia ritualmente costituita nel giudizio svoltosi innanzi al giudice a quo senza sollevare, in quella sede, alcuna eccezione circa la carenza della “competenza giurisdizionale” di quest’ultimo, possa ancora formulare una siffatta eccezione innanzi al giudice della invocata delibazione oppure se la stessa possa essere sollevata di ufficio da quest’ultimo.

7. Va, disposta, infine, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del d.lgs. n. 196/2003.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte rimette il ricorso al Primo Presidente per l'eventuale sua assegnazione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374, comma 3, cod. proc. civ., affinché le stesse stabiliscano se, nell’ambito di un giudizio di riconoscimento, in Italia, dell’efficacia di una sentenza straniera, la parte ivi convenuta, che si sia ritualmente costituita nel giudizio svoltosi innanzi al giudice a quo senza sollevare, in quella sede, alcuna eccezione circa la carenza della “competenza giurisdizionale” di quest’ultimo, possa ancora formulare una siffatta eccezione innanzi al giudice della invocata delibazione oppure se la stessa possa essere sollevata di ufficio da quest’ultimo. Dispone per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del d.lgs. n. 196/2003. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 15 novembre 2022.