9. Il primo motivo (nullità del decreto per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, primo comma e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e violazione e/o falsa applicazione degli artt. 337 quinquies, 337 septies, 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) denuncia la nullità del decreto impugnato per non aver in alcun modo motivato, pur dandone conto nella parte narrativa, in relazione all’avanzata età della figlia percipiente, ormai ultraquarantenne.
9. 1. Secondo la prospettazione del ricorrente, la preclusione su fatti preesistenti al giudizio di revisione riguarderebbe solo la loro dimensione statica e non anche quella dinamica, la quale imporrebbe di tenere conto degli effetti che detti stessi fatti possano avere prodotto in epoca successiva alla determinazione dell’assegno di mantenimento. Tra queste circostanze, il ricorrente evidenzia l’aumento di età della figlia maggiorenne abile al lavoro e ciononostante percipiente l’assegno di mantenimento. Detto incremento anagrafico, rispetto alla pronuncia della corte d’appello de L’Aquila, depositata nel 2016 ma posta in deliberazione nell’ottobre del 2015, e riguardante fatti intercorsi tra il 2003 (momento di proposizione della domanda) ed il 2015, sarebbe un fatto naturalmente dinamico, in quanto idoneo a fondare l’invocata revoca dell’obbligo di mantenimento, tenuto conto dell’abilità al lavoro della C.. A giudizio del ricorrente, argomentare diversamente significherebbe giungere all’assurda conclusione per cui un figlio, pur adulto, pur abile al lavoro, dovrebbe essere mantenuto a vita dal genitore.
9. 2. A sostegno della tesi, il ricorrente cita vari precedenti, sia di merito che di legittimità. Quanto ai primi, s’invocano:
i) L’ordinanza del 29 marzo 2016 del Tribunale di Milano, in cui si afferma che “con il superamento di una certa età, il figlio maggiorenne, anche se non indipendente, raggiunge comunque una sua dimensione di vita autonoma che lo rende, se del caso, meritevole dei diritti ex art. 433 cod. civ., ma non più del mantenimento ex art. 337 ter e ss.. In forza dei doveri di autoresponsaiblità che su di lui incombono, il figlio maggiorenne non può pretendere la protrazione dell’obbligo di mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché l’obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione. (…) Nel tentativo di identificare un’età presuntiva, va rilevato, in linea con le statistiche ufficiali, nazionali ed europee, che oltre la soglia dei 34 anni, lo stato di non occupazione del figlio maggiorenne non può essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento, dovendosi ritenere che, da quel momento in poi, il figlio stesso può, semmai, avanzare le pretese riconosciute all’adulto.
ii) L’ordinanza del 1 febbraio 2018 del Tribunale di Modena che ha stabilito il principio in base al quale il figlio che abbia raggiunto l’età di 34 anni deve rilasciare l’abitazione materna, per il raggiungimento dell’età limite, anche se non è pienamente autosufficiente. Quanto ai precedenti di legittimità, il ricorrente ha richiamato:
i) Cass., n. 22314/2017 che ha confermato il decreto della corte di merito che, in riforma della decisione di prime cure, ha pronunciato la revoca del mantenimento alla figlia trentacinquenne disoccupata ma che non era affetta da patologie che ne riducessero la capacità lavorativa.
ii) Cass., n. 5883/2018 che ha confermato la revoca dell’assegno ad un figlio ultra trentenne in quanto decisione conforme alla giurisprudenza di legittimità a tenore della quale “ai fini del riconoscimento dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo, fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di formazione nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, perché compatibili con le condizioni economiche dei genitori.
iii) Cass. n. 17183/2020 ha ribadito che la maggiore età, tanto più quando è matura, implica l’insussistenza del diritto al mantenimento. La capacità di mantenersi e l’attitudine al lavoro sussistono sempre, in sostanza, dopo una certa età, che è quella tipica della conclusione media di un percorso di studio anche lungo, purché proficuamente seguito, e con la tolleranza di un ragionevole tasso di tempo ancora per la ricerca di un lavoro. Sicché, è onere del figlio maggiorenne ormai divenuto adulto provare non solo la mancanza di indipendenza economica che è la precondizione del diritto preteso, ma anche di avere curato, con ogni possibile impegno, la ricerca di un lavoro.
9. 3. Ad avviso del ricorrente, la corte d’appello avrebbe dovuto pronunciare senz’altro la revoca dell’assegno di mantenimento.
10. Il secondo motivo (omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.) deduce l’omesso esame da parte del decreto impugnato dell’incremento anagrafico della C., circostanza che avrebbe natura decisiva in quanto, in applicazione dei citati orientamenti consolidati, avrebbe condotto, ove esaminata, all’accoglimento del reclamo.
11. il terzo motivo (nullità del decreto per vizio di motivazione radicale in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.) lamenta la nullità del provvedimento impugnato per inesistenza della motivazione in relazione all’incremento anagrafico della C. e alla sua abilità al lavoro, pur essendo dette circostanze menzionate nella parte descrittiva del decreto.
12. I tre motivi, che possono essere trattati insieme in quanto sostanzialmente volti a denunciare il medesimo errore di diritto, sono fondati.
12.1. Le doglianze del ricorrente, segnatamente quelle contenute nel primo motivo di ricorso, colgono nel segno, giacché in base al consolidato insegnamento giurisprudenziale, puntualmente richiamato nel ricorso, ai fini del riconoscimento dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, ovvero del diritto all'assegnazione della casa coniugale, il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all'età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo o l'assegnazione dell'immobile, fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e (purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori) aspirazioni” (cfr. Cass., n. 17183/2020).
12.2. Ciò posto, nel caso di specie, vero è che nel periodo in cui la C. era minorenne, il M. non ha provveduto all’assolvimento dell’obbligo di mantenimento della figlia, essendo stato il rapporto di filiazione definitivamente accertato solo nel 2016 e quindi solo al trentaseiesimo anno d’età della stessa. Tuttavia, da quel momento il padre ha assolto al suo obbligo di mantenimento, avendo provveduto peraltro a versare alla madre della C. quanto dovuto per il periodo pregresso al riconoscimento.
Sicché, la Corte d’appello di Bologna è, invece, incorsa nella dedotta falsa applicazione di legge, là dove ha fatto mal governo dei summenzionati consolidati principi giurisprudenziali.
13. Il ricorso è pertanto accolto ed il provvedimento impugnato è cassato con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, per nuovo esame alla luce dei richiamati principi di diritto, nonché per la decisione sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso a Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione