Giu In caso di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato e ai presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi anche alle premesse logico-giuridiche
CORTE DI CASSAZIONE, I SEZ. CIVILE - ORDINANZA 28 febbraio 2023 N. 6002
Massima
«in ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato e ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla "regola" giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione, attenendosi agli accertamenti già compresi nell'ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità» (Cass., 22 agosto 2018, n. 20887).

Casus Decisus
1. H. M. , cittadino del Ghana, ricorre, con atto affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell'interno, contro la sentenza della Corte di appello di L'Aquila pubblicata il 28 giugno 2021, che, decidendo in sede di rinvio a seguito della sentenza della Corte di cassazione n. 12705/2020, ha rigettato l'appello proposto avverso l'ordinanza del Tribunale di L'Aquila del 16 dicembre 2016, che, conformemente alla decisione della Commissione territoriale competente, non aveva accolto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e le domande di protezione sussidiaria ed umanitaria. 2. La Corte di Cassazione, con la sentenza 25 giugno 2020, n. 12705, aveva accolto il secondo motivo di ricorso (dichiarando inammissibile il primo sulla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato), poiché mancava nella motivazione impugnata la valutazione comparativa tra l'odierna situazione del ricorrente e la possibile compressione del nucleo dei suoi diritti fondamentali, in caso di rimpatrio in Ghana, con particolare riferimento ai profili di particolare vulnerabilità resi evidenti dalla vicenda personale del ricorrente, che era stato oggetto di violenze e vessazioni domestiche e il cui racconto era stato ritenuto credibile dal giudice di merito. 3. La Corte di appello, preso atto dei limiti devolutivi del ricorso per cassazione, ha rilevato, quanto al grado di integrazione raggiunto dal ricorrente in Italia, che risultava, oltre ad una risalente dichiarazione di possibile assunzione a tempo indeterminato presso un hotel di Roccaraso (che sembrava non avere avuto seguito), lo svolgimento di attività lavorativa stagionale come facchino presso un albergo di Roccaraso dal 24 ottobre 2017 al 20 gennaio 2018 (per dieci ore settimanali medie) e come bracciante agricolo presso alcune aziende di Avezzano dall'Il maggio 2020 al 30 settembre 2020 (per 39 ore settimanali); quanto, invece, alla vicenda personale e alla situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente, i giudici di secondo grado hanno fatto riferimento alle dichiarazioni rese alla Commissione territoriale e riportate nel verbale del 15 febbraio 2016 e hanno evidenziato che da tale narrazione non era evincibile alcuna violenza subita dal richiedente, né nel periodo in cui era vissuto nella casa paterna, né nel periodo in cui era vissuto nella casa dello zio paterno, né in quello in cui era vissuto a Tamale dalla zia materna per frequentare la scuola; inoltre, non era evincibile, salvo che per i due anni trascorsi transitoriamente in Liba, paese di mero transito, alcuna situazione di sfruttamento lavorativo o di sottoposizione; che l'attuale situazione del ricorrente in Italia non era molto diversa, poiché egli era riuscito ad ottenere per brevi periodi occupazioni di carattere esclusivamente manuale, l'ultima delle quali come bracciante agricolo, attività analoga a quella già svolta in Ghana, utili ad ottenere risorse economiche e finanziarie sufficienti al suo sostentamento, ma difficilmente tali da consentirgli di contribuire in modo significativo a quello della famiglia rimasta in Ghana o alle esigenze di cura della madre, affetta da problematiche cardiache, le quali integravano una condizione di vulnerabilità cui il richiedente era estraneo; l'esito della valutazione comparativa non consentiva, dunque, di ravvisare una situazione di vulnerabilità, anche cosiddetta «di ritorno» del richiedente, che non si sarebbe trovato in una situazione significativamente diversa da quella consentita dal livello di integrazione raggiunto in Italia e tale, comunque, da determinare la provazione della titolarità e dell'esercizio dei diritti umani, al di sotto della statuto della dignità personale. 4. L'Amministrazione intimata si è costituita ai soli fini dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione della causa ai sensi dell'art. 370, primo comma, cod. proc. civ.. 5. Il ricorrente ha depositato memoria.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, I SEZ. CIVILE - ORDINANZA 28 febbraio 2023 N. 6002 Valitutti Antonio

1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione, erronea e falsa applicazione dell'art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 286/1998 e dell'art. 32, comma 3, del decreto legislativo n. 25/2008, con riferimento anche agli artt. 383 e 384 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. e vizio di motivazione. Si duole il ricorrente che la Corte di appello abbia violato i principi regolanti il giudizio di rinvio e i limiti devolutivi della sentenza rescindente, avendo operato una valutazione preclusa dall'esistenza di un giudicato implicito sui fatti posti a fondamento della domanda in entrambe le precedenti pronunce di merito; in particolare, la Corte di merito non avrebbe dovuto o potuto estendere l'indagine sulla credibilità della narrazione, essendo tale questione oramai preclusa di fatto dall'esistenza di un giudicato implicito in entrambe le precedenti pronunce di merito e non avrebbe dovuto riconsiderare circostanze in fatto oramai definitivamente acquisite ed oggetto di un giudicato implicito.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione, erronea e falsa applicazione dell'art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 286/1998 e dell'art. 32, comma 3, del decreto legislativo n. 25/2008, con riferimento anche agli artt. 383 e 384 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. e vizio di motivazione.

Si duole il ricorrente che la Corte territoriale non abbia valutato adeguatamente elementi fortemente rilevanti e, in particolare, che non abbia considerato che anche un ragazzo minorenne che abbia assistito a ripetute violenze a carico della madre subisce una forma di violenza indiretta (nota come violenza assistita) che incide fortemente nel suo vissuto, anche perchè ne determina lo sradicamento dall'ambiente familiare; né la Corte aveva valutato la condizione di sfruttamento lavorativo e di sottoposizione subita per due anni in Libia, pur avendola espressamente riconosciuta, perchè paese di mero transito.

2.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perchè riguardanti entrambi la domanda di protezione umanitaria, sono fondati.

2.2 In proposito, questa Corte ha affermato che, in caso di accoglimento del ricorso per violazione di legge, l'efficacia vincolante della sentenza di cassazione nei confronti del giudice di rinvio non è limitata al principio di diritto enunciato da questa Corte, ma si estende ai presupposti di fatto che ne costituiscono la premessa necessaria, anche implicita, e che la predetta sentenza abbia ritenuto pacifici o comunque già accertati nel giudizio di merito, i quali non possono essere rimessi in discussione, poiché il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità: in sede di rinvio, non possono quindi essere sollevate tutte quelle questioni, anche di fatto, che avrebbero potuto essere prospettate dalle parti o rilevate d'ufficio, e che costituiscano il presupposto necessario ed inderogabile della pronuncia di annullamento, dovendo le stesse ritenersi precluse, quale premessa logico-giuridica del principio affermato, in quanto risolte in via definitiva, e coperte dal giudicato interno (cfr. ex plurimis, Cass., 10 dicembre 2019, n. 32132; Cass., 4 aprile 2011, n. 7656; Cass., 13 luglio 2006, n. 15952).

Più in particolare, deve ribadirsi che «in ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato e ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla "regola" giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione, attenendosi agli accertamenti già compresi nell'ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità» (Cass., 22 agosto 2018, n. 20887).

2.3 Ciò posto, la Corte di appello, facendo riferimento alle dichiarazioni rese alla Commissione territoriale e riportate nel verbale del 15 febbraio 2016, ha evidenziato che da tale narrazione non era evincibile alcuna violenza subita dal richiedente, sia nel periodo in cui era vissuto nella casa paterna, sia nel periodo in cui era vissuto nella casa dello zio paterno, sia in quello in cui era vissuto a Tamale dalla zia materna per frequentare la scuola; ma così facendo ha compiuto una lettura incompleta del provvedimento di rinvio di questa Corte che, proprio a pagina 2, aveva evidenziato che il ricorrente, secondo quanto riferito dallo stesso alla Commissione territoriale, aveva narrato di essere fuggito dal Ghana perchè la madre, di religione musulmana, aveva lasciato il padre, di religione cristiana, che non voleva convertirsi, portando con sé anche i fratelli più piccoli e di essere stato costretto a lasciare il paese per cercare di aiutare la madre nella cura dei fratelli perchè quest'ultima era gravemente malata, così ricollegando la vicenda personale del ricorrente alle violenze e vessazioni domestiche subite, ma non intendendo queste ultime come violenze e vessazioni direttamente subite, come, invece, hanno fatto, in modo estremamente riduttivo, i giudici di secondo grado, con ciò svincolandosi dal principio di diritto stabilito da questa Corte e soprattutto dai presupposti di fatto posti a fondamento della pronuncia di rinvio. 2.4 Del pari è fondata la censura riguardante il periodo trascorso dal ricorrente in Libia atteso che effettivamente il giudice di appello ha ritenuto del tutto irrilevante il lungo periodo di tempo trascorso in Libia, pur riconoscendo che il richiedente fosse rimasto in Libia per due anni in una condizione di sfruttamento lavorativo e di assoggettamento.

2.5 Al riguardo va rammentato che, con riguardo alla richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari, la condizione di «vulnerabilità» del richiedente deve essere verificata caso per caso, all'esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata alla situazione personale vissuta prima della partenza, a quella alla quale si troverebbe esposto in ipotesi di rimpatrio, ed anche a quella vissuta nel paese di transito se ne risulta l'afflittività, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è, invece, atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello «status» di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l'espulsione (Cass., 1 marzo 2022, n. 6741; Cass., 27 luglio 2021, n. 21522); che, in tema di protezione umanitaria, l'art. 8, comma 3, del decreto legislativo n. 25/2008 impone al giudice del merito di valutare la domanda alla luce di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione esistente nel Paese di origine del richiedente e «ove occorra» nel Paese in cui è transitato, allorché l'esperienza vissuta in quest'ultimo presenti un certo grado di significatività in relazione ad indici specifici quali la durata in concreto del soggiorno, in comparazione con il tempo trascorso nel paese di origine (Cass., 3 luglio 2020, n. 13758) e che il permesso di soggiorno per motivi umanitari può essere accordato per il fatto che il richiedente abbia subito violenze o maltrattamenti nel paese di transito, se tali violenze, per la loro gravità o per la durevolezza dei loro effetti, abbiano reso il richiedente «vulnerabile» ai sensi dell'art. 5 del decreto legislativo n. 286/1998 (Cass., 16 dicembre 2020, n. 28781).

2.6 In ultimo, va rilevato che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24413 del 9 settembre 2021 (successiva alla sentenza della Corte di appello in questa sede impugnata), sulla questione relativa al diritto della protezione umanitaria, nell'ipotesi in cui sia allegato e accertato il radicamento effettivo del cittadino straniero con riferimento ad alcuni indici quali la stabilità lavorativa e relazionale, hanno affermato il seguente principio di diritto: «In base alla normativa del T. U. Imm. anteriore alle modifiche introdotte dal d. I. n. 113 del 2018, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d'origine, in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta in Italia. Tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese d'origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano. Situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese d'origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia. Per contro, quando si accerti che tale livello sia stato raggiunto, se il ritorno in Paesi d'origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare, sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall'art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell'art. 5 T. U. cit., per riconoscere il permesso di soggiorno».

In particolare, è stato precisato che la necessità di una comparazione discende, nella prospettiva della sentenza 23 febbraio 2018, n. 4455, dal rilievo che «i seri motivi di carattere umanitario possono positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all'esito di tale giudizio comparativo, risulti un'effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art. 2 Cost.)», valorizzando il disposto dell'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, che tutela non solo le relazioni familiari, ma anche la vita privata dell'individuo centrale e, dunque, l'intera rete di relazioni che il richiedente si è costruito in Italia: relazioni familiari, ma anche affettive e sociali, come le esperienze di carattere associativo che il richiedente abbia coltivato, le relazioni lavorative e le relazioni economiche. Si ribadisce, dunque, il principio che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l'esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato; con la precisazione, tuttavia, che tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alle condizioni soggettive e oggettive del richiedente nel Paese di origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano. Non manca neppure una indicazione casistica degli indici che riscontrano un livello elevato d'integrazione effettiva nel nostro Paese, quali la titolarità di un rapporto di lavoro, anche se a tempo determinato (come quelli accertati, nel caso in esame, dalla Corte di appello); la titolarità di un rapporto locatizio; la presenza di figli che frequentino asili o scuole; la partecipazione ad attività associative radicate nel territorio di insediamento, con il conseguente corollario che i giudici di merito dovranno valutare non solo la sussistenza di un rischio di danno legato alle condizioni oggettive e soggettive che il richiedente potrebbe trovare nell'ipotesi di rientro nel paese di origine, ma anche l'esistenza di un rischio di danno da perdita di relazioni affettive, lavorative ed economiche maturate nel periodo di permanenza sul territorio italiano.

3. In conclusione, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di appello di L'Aquila, in diversa composizione, anche per le spese. 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di L'Aquila, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 7 giugno 2022.