Giu n tema di rimborso d’imposte, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 02 marzo 2023 N. 6314
Massima
«In tema di rimborso d’imposte, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio “quae temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum”»

Casus Decisus
1. la Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto l’appello della B.S.p.a. contro la decisione (sent. n. 11589/52/14) della Commissione tributaria provinciale di Roma, che aveva respinto il ricorso della contribuente avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso del credito Irpeg risultante dalla dichiarazione, per il 1989, dell’incorporata M. S.p.a., a causa della mancanza di prova del credito; 2. per la C.T.R., il credito Irpeg evidenziato in dichiarazione, in assenza di rettifica della dichiarazione da parte dell’ufficio, non poteva più essere contestato dal fisco e pertanto era rimborsabile, attesa anche l’assenza di fatti sopravvenuti, impeditivi, modificativi o estintivi del diritto al rimborso. Inoltre, erano dovuti alla contribuente anche gli interessi anatocistici fino al 3 luglio 2006, e cioè fino al giorno prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 223 del 2006, recante il divieto di interessi sugli interessi previsti per il rimborso di tributi; 3. l’Agenzia delle entrate ricorre, con due motivi, per la cassazione della decisione d’appello; la società resiste con controricorso.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 02 marzo 2023 N. 6314 Napolitano Lucio

1. con il primo motivo di ricorso [«1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 36 bis, 38 e 43 dpr 600/1973 ed art. 2697 cc, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) cpc»], l’ufficio premette che è pacifico che la società contribuente ha chiesto il rimborso dei crediti di imposta Irpeg esposti nella dichiarazione (dell’incorporata) per l’anno 1989 e che l’amministrazione finanziaria aveva negato il rimborso in quanto la società non aveva dato prova del credito, non essendo a tal fine sufficiente la mera esposizione del credito in dichiarazione. Dopodiché l’Agenzia delle entrate denuncia l’errore di diritto della sentenza impugnata che, aderendo alla tesi della società, corroborata da un recente arresto nomofilattico (Cass. n. 14805/2015), e discostandosi dal prevalente orientamento di legittimità, aveva ravvisato la sussistenza del credito di imposta, maggiorato di interessi anche anatocistici, in quanto esposto in dichiarazione e cristallizzatosi dopo la scadenza del termine di controllo ex art. 43, d.P.R. n. 600 del 1973;

2. il motivo è fondato;

3. questa Corte ha stabilito che «[i]ncombe sul contribuente, il quale invochi il riconoscimento di un credito d’imposta, l’onere di provare i fatti costitutivi dell’esistenza del credito, e, a tal fine, non è sufficiente l’esposizione della pretesa nella dichiarazione, poiché il credito fiscale non nasce da questa, ma dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo» (Cass. 26/10/2012, n. 18427; conf., Cass. 30/10/2018, n. 27580). Successivamente, le Sezioni unite (Cass. Sez. U., 15/03/2016, n. 5069; conf. Cass. 17/06/2016, n. 12557; Cass. 31/01/2018, n. 2392), dichiarando di non condividere alcune recenti pronunce di legittimità (segnatamente: Cass. n. 9339/2012 e n. 2277/2016) e di ritenere preferibile la soluzione accolta dalla pregressa giurisprudenza, hanno chiarito che «[i]n tema di rimborso d’imposte, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio “quae temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum”»;

4. la sentenza impugnata non si attiene a questo condivisibile principio di diritto, al quale va data continuità;

5. con il secondo motivo [«2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1283 cc ed art. 37 comma 50 d.l. 4 luglio 2006 n. 223 convertito nella legge n. 248/2006, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) cpc»], l’Agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata che non ha rilevato che gli interessi anatocistici non erano dovuti nemmeno fino al 03/07/2006, ossia fino al giorno prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 223 del 2006 (articolo 37, comma 50) che ha reso inapplicabile ai tributi l’art. 1283, cod. civ. Da un lato, infatti, per l’art. 1283, cod. civ., gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale; dall’altro, poiché la domanda era stata proposta con ricorso datato 06/10/2011, da tale data non potevano decorrere gli interessi sugli interessi per la preclusione di cui all’art. 37, comma 50, d.l. n. 223 del 2006;

6. il secondo motivo è fondato;

7. sulla premessa che la questione di diritto in esame, che riguarda il quantum debeatur, è logicamente dipendente dall’accertamento dell’an debeatur, devoluto al giudice del rinvio per effetto dell’accoglimento del primo motivo, ritiene la Corte che – dato che gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale (art. 1283, cod. civ.) – nella specie gli interessi anatocistici non siano dovuti per essere la data della relativa domanda giudiziale (06/10/2011) successiva al dies a quo (4/07/2006) del divieto ex art. 37, comma 50, d.l. n. 223 del 2006, di interessi composti sul rimborso di tributi;

8. in conclusione, accolti entrambi i motivi, la sentenza è cassata, con rinvio alla C.T.R. del Lazio, anche per le spese del giudizio di legittimità; 

P.Q.M. accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, in data 21 febbraio 2023.