5. I motivi di ricorso.
5.1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la falsa
applicazione di norme per avere la Corte erroneamente ritenuto
inammissibile l'appello principale proposto dal P.. Il ricorrente
deduce che la sentenza sarebbe affetta da nullità atteso che non
avrebbe considerato che le censure formulate con l'appello erano
specifiche; che nulla di più poteva dire il ricorrente che aveva
denunciato proprio un difetto di adempimenti e di pronuncia sulle
eccezioni formulate. Pertanto, la Corte di merito era chiamata
proprio a pronunciare su tali eccezioni tenuto conto anche del
fatto che lo stesso giudice di appello aveva dato atto che il
Tribunale nulla aveva detto sulle questioni dedotte. Chiede in
definitiva a questa Corte di dichiarare nulla la declaratoria di
inammissibilità dell'appello.
5.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce che la
"filtrabilità" dell'impugnazione deve essere decisa in prima
udienza. Rilava che, invece, la Corte aveva disposto la riunione
degli appelli ed aveva dato corso al normale svolgimento del
processo, ammettendo anche la prova testimoniale articolata
dall'appellante P.. Contraddittoriamente, perciò, aveva poi
dichiarato inammissibile il ricorso.
5.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia l'omesso esame di
un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360 primo
comma n. 5 c.p.c.. Il ricorrente deduce che sin dal primo grado era
stato eccepito che la domanda del J.M. non era determinata poiché
non era stato indicato contro chi si agiva ed a quale titolo era
stata imputata ad altri la responsabilità dell'accaduto che,
invece, era riconducibile solo al J.M. il quale aveva dichiarato di
aver messo un piede in fallo. Osserva il ricorrente che nel
giudizio non era stato chiarito perché la scala da cui era caduto
il lavoratore fosse inidonea all'uso che ne doveva essere fatto.
Inoltre, non era stata fornita la prova della proprietà della scala
stessa (che verosimilmente apparteneva al cantiere). Infine
rammenta che il lavoratore aveva sottoscritto una quietanza
liberatoria nei confronti dell'INAIL e dunque non poteva far valere
il risarcimento INAIL e poi negarne la responsabilità.
5.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce che la sentenza,
nell'escludere la responsabilità della DAMI s.r.l. sul rilievo che
non era stato nominato un responsabile della sicurezza, sarebbe
incorsa nell' erronea interpretazione dell'art. 93 del d.lgs.
n. 81 del 2008 che esonera il committente dalla responsabilità
solo nel caso in cui abbia proceduto alla sua nomina estraniandosi
così completamente dal cantiere.
5.5. Il quinto motivo di ricorso denuncia ancora un omesso esame di
fatto decisivo, ai sensi dell'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., per
avere la Corte di merito omesso di pronunciare su parte delle
eccezioni formulate in primo e secondo grado. Nello specifico non
avrebbe valutato la condotta processuale tenuta dal J.M. che nel
corso del giudizio aveva cambiato difensore ogni volta che veniva
raggiunto un accordo su una proposta transattiva. Ad ogni udienza
in appello aveva introdotto una domanda nuova e diversa chiedendo
addirittura di assumere a teste un soggetto, J.M., omonimo del
lavoratore, che nulla aveva a che vedere con la controversia (non
era presente in cantiere e non risultava da alcun atto). Inoltre,
il giudice di appello avrebbe trascurato di valutare le ammissioni
del lavoratore. Questi, infatti, aveva dichiarato di aver
utilizzato la scala da cui poi era caduto per propria scelta e con
un'operazione maldestra. Infine, la Corte territoriale non avrebbe
considerato che la DAMI non solo era committente ma era essa stessa
l'assegnataria che aveva poi frazionato l'appalto tra varie ditte
coordinandole.
5.6. Con il sesto motivo è denunciato l'omesso esame di un fatto
decisivo ai sensi dell'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. per avere
la Corte omesso di pronunciare sull'eccezione formulata di mancata
prova della titolarità della scala dalla quale il J.M. affermava di
essere caduto. Sostiene il ricorrente che in un cantiere nel quale
gravitavano cinque differenti imprese, e nella situazione di lavoro
del J.M., l'impresa facente capo al A.P. non aveva alcuna utilità a
fornire la scala che era invece presente in cantiere ma non ne era
stata accertata la proprietà. Inoltre, lo stesso J.M. aveva ammesso
di essere caduto a seguito di un suo maldestro uso della stessa. La
Corte, perciò, avrebbe dovuto affermare la responsabilità della
DAMI per la presenza della scala o dello stesso J.M. per il suo uso
inadeguato fatti entrambi imprevedibili da parte del A.P..
5.7. Il settimo motivo ha ad oggetto la nullità della sentenza e si
deduce che in appello, per effetto di una serie di rinvii
dell'udienza dovuti alla necessità di riunire i ricorsi ed
all'espletamento dell'istruttoria all'esito della quale mutava
anche la composizione del Collegio, si era determinata una perdita
di memoria dei fatti avvenuti nel corso del giudizio, ivi compresi
i tentativi di conciliazione della controversia solo sinteticamente
verbalizzati. Conseguentemente il P., unico ad aver offerto e
corrisposto al J.M. delle somme, è stato il solo ad essere
condannato al pagamento delle spese essendo state compensate tutte
le altre posizioni ed è stato del pari accolto un inesistente
appello incidentale già qualificato dal Collegio di appello come
mera memoria di costituzione .
5.8. Da ultimo il ricorrente sostiene che nel merito permarrebbero
dubbi sulla dinamica dei fatti e sottolinea che lo stesso
lavoratore, nell'avviare il giudizio, aveva dimostrato di non aver
chiaro chi fosse il suo datore di lavoro ed in via esplorativa
aveva convenuto in giudizio oltre all'architetto P. anche B. P. e
la DAMI s.r.l., trascurando di considerare che comunque l'INAIL gli
aveva corrisposto l'intero risarcimento. Sottolinea poi che il J.M.
pur avendo dichiarato di non poter più lavorare a causa delle
lesioni riportate, poi, non era stato ammesso al patrocinio a spese
dello Stato essendo risultato provato che era stato assunto con una
buona remunerazione.
6. Preliminarmente va rilevato che la DAMI s.r.l. ha notificato il
suo controricorso all'Avvocato Telesio Perfetti che tuttavia non
risulta essere incaricato della difesa dell'odierno ricorrente.
Conseguentemente il controricorso deve essere dichiarato
inammissibile non essendo stato ritualmente notificato nei termini
al ricorrente.
7. Tanto premesso il ricorso, pur ammissibile, non può essere
accolto per le ragioni che di seguito si espongono.
7.1. Quanto alla procura conferita per il ricorso per cassazione
questa risulta allegata all'atto depositato nel fascicolo
d'ufficio, è ad esso spillata, ed è chiaramente riferibile al
giudizio per il quale il ricorso per cassazione è stato
proposto.
7.2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile non essendo
specificato nell'ambito dell'intera censura quali siano le norme di
legge che si pretendono violate. Peraltro, la censura non prospetta
affatto, come invece sarebbe stato corretto, un error in procedendo
della Corte territoriale - censura che avrebbe eventualmente
autorizzato il Collegio ad un esame diretto degli atti (cfr. Cass.
21/04/2016 n. 8069, 13/08/2018 n. 20716) - ma piuttosto sembra
reiterare, per sintesi, il contenuto delle censure di cui non
riporta il contenuto. Neppure, poi, è riportato, per le parti che
rilevano, il contenuto della sentenza di primo grado sicché non è
possibile comprendere se e in che termini le censure articolate
fossero effettivamente idonee a censurare la decisione. Al riguardo
va rammentato in primo luogo che la deduzione della questione
dell'inammissibilità dell'appello, a norma dell'art. 342 e 434
c.p.c. integra un "error in procedendo", che deve essere denunciato
con riguardo all'art. 360 primo comma n. 4 c.p.c.. Solo ove la
censura sia sufficientemente specifica, nel rispetto degli artt.
366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c., la Corte è legittimata all'esercizio
del potere di esaminare direttamente gli atti del giudizio di
merito. Si tratta di un onere di specificazione che, come è noto,
deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza
CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri e/Italia), secondo
criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione
essenziale degli atti per la parte d'interesse (e nello specifico
pertanto i motivi di ricorso in appello e la sentenza del
Tribunale), in modo da contemperare il fine legittimo di
semplificare l'attività del giudice di legittimità e garantire al
tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione
della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della
Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario
in misura tale da non inciderne la stessa sostanza ( cfr. Cass.
04/02/2022 n. 3612). In tali limiti, perciò, il ricorrente non è
dispensato dall'onere di specificare il contenuto della critica
mossa alla sentenza impugnata e deve indicare con puntualità i
fatti processuali alla base dell'errore denunciato. Tale
specificazione deve essere contenuta, a pena d' inammissibilità,
nello stesso ricorso per cassazione. Pertanto, ove il ricorrente
censuri la statuizione di inammissibilità conseguente al ritenuto
difetto di specificità dell'appello, ha l'onere di precisare, nel
ricorso non solo le ragioni per cui ritiene erronea tale
statuizione e sufficientemente specifico, invece, il gravame
sottoposto al giudice d' appello, ma deve riportare il contenuto
dell'atto e della sentenza che intendeva impugnare nella misura
necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (cfr. anche Cass.
05/08/2019 n. 20924). Peraltro, la Corte territoriale ha fatto
applicazione di principi oramai consolidatisi misurando la sua
decisione con i parametri generali indicati da questa Corte per
accertare la ammissibilità dei motivi di gravame (successivamente
alla sentenza di questa Corte citata dalla Corte di appello, la n.
2143 del 2015, sono intervenute nello stesso senso le sezioni unite
con la sentenza 16/11/2017 n. 27199).
7.3. Il secondo motivo è infondato, non essendo ravvisabile alcuna
decadenza. Il giudice di secondo grado, davanti al quale pendevano
più appelli proposti avverso la stessa sentenza, li ha
correttamente riuniti, ha dato corso all'istruttoria necessaria ad
accertare le responsabilità per i danni conseguenti all'infortunio
occorso al J.M. ed eccedenti l'indennizzo liquidato dall'INAIL,
dando sfogo anche alle difese dello stesso P. negli altri giudizi
in cui si era costituito, e, all'esito, ha pronunciato
unitariamente su tutte le questioni che erano state poste ivi
compresa l'ammissibilità del gravame proposto dal P..
7.4. Il terzo motivo è inammissibile poiché, in contrasto con
quanto disposto dall'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. nel suo testo
novellato e applicabile alla fattispecie, il ricorrente lungi
dall'indicare il fatto decisivo pretermesso propone una diversa
lettura dei fatti allegati e tutti presi in esame dal giudice di
appello.
7.5. Il quarto motivo di ricorso, che denuncia una violazione
nell'interpretazione dell'art. 93 del d.lgs. n. 81 del 2008,
non può essere accolto. La Corte territoriale ha accertato in fatto
che la DAMI s.r.l., società committente dei lavori, non aveva
nominato per il cantiere un suo responsabile della sicurezza. Ha
sottolineato che l'Architetto F.T. rivestiva la diversa qualifica
di coordinatore per la sicurezza nei cantieri di cui all'art. 98
del d.lgs. n. 81 del 2008. Conseguentemente ha ritenuto che per
quello specifico cantiere la committente non si era in alcun modo
ingerita nelle scelte di sicurezza che erano rimaste affidate
all'appaltatore, la AG s.r.l. la quale a sua volta aveva
subappaltato alcune attività a terzi, l'architetto P. appunto,
senza che la committente ne fosse stata resa edotta. Alla luce di
tali accertamenti di fatto, in questa sede non riesaminabili, la
decisione della Corte di merito risulta conforme all'insegnamento
di questa Corte che ha affermato che la responsabilità per la
violazione dell'obbligo di adottare le misure necessarie a tutelare
l'integrità fisica dei prestatori di lavoro si estende al
committente solo ove lo stesso si sia reso garante della vigilanza
relativa alla misura da adottare in concreto e si sia riservato i
poteri tecnico-organizzativi dell'opera da eseguire (cfr. in tal
senso, Cass. 22 marzo 2002, n. 4129, id. 28 ottobre 2009, n.
22818; 7 marzo 2012 n. 3563; 8 ottobre 2012, n. 17092 e
11/07/2013 n.17178). Non è configurabile una responsabilità del
committente in re ipsa e cioè per il solo fatto di aver affidato in
appalto determinati lavori ovvero un servizio. È pur vero che è
espressamente prevista dalla normativa di settore (prima,
il d.lgs. n. 626 del 1994, art. 7; ora, trasfuso
sostanzialmente nel d.lgs. n. 81 del 2008, art. 26) tutta una serie
di obblighi a carico del committente connessi ai contratti di
appalto o d'opera o di somministrazione. Con riferimento ai lavori
svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione
d'opera, pertanto, il dovere di sicurezza è riferibile, oltre che
al datore di lavoro (di regola l'appaltatore, destinatario delle
disposizioni antinfortunistiche), anche al committente, con
conseguente possibilità, in caso di infortunio, di intrecci di
responsabilità, coinvolgenti anche il committente medesimo.
Tuttavia, va esclusa una applicazione automatica di tale principio,
non potendo esigersi dal committente un controllo pressante,
continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei
lavori. Orbene, nel caso in esame, la Corte di merito per escludere
la responsabilità del committente ha verificato che, in concreto,
non vi era stata alcuna incidenza della condotta del committente
nell'eziologia dell'evento; ha tenuto conto delle capacità
organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori; ha
considerato, in tale prospettiva la specificità dei lavori da
eseguire e le caratteristiche del servizio da svolgersi; i criteri
seguiti dal committente per la scelta dell'appaltatore, soggetto
del quale ha verificato l'adeguatezza con riguardo all'attività
commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della
stessa; ha tenuto conto dell' esistenza o meno di un'ingerenza del
committente nell'esecuzione dei lavori oggetto dell'appalto (che ha
escluso) e della agevole ed immediata percepibilità da parte del
committente di eventuali situazioni di pericolo. In conclusione, la
censura è infondata.
7.6. Il quinto ed il sesto motivo sono inammissibili poiché
pretendono un diverso esame delle emergenze istruttorie e comunque
non si confrontano con il nuovo testo dell'art. 360 primo comma n.
5 c.p.c. che come è noto introduce nell'ordinamento un vizio
specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di
un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti
dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia
costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere
decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un
esito diverso della controversia). Pertanto, in ossequio agli oneri
di specifica allegazione imposti dagli artt. 366 primo comma n. 6 e
369 secondo comma n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente de:ve , e
nello specifico non lo ha fatto, indicare il "fatto storico" il cui
esame sia stato omesso, il "dato" testuale o extratestuale da cui
esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia
stato oggetto di discussione processuale tra le parti e precisarne
la sua "decisività". Resta fermo poi che l'omesso esame di elementi
istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un
fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia
stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la
sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie
(cfr. Cass. 07/04/2014 n. 8053 per tutte).
7.7. Il settimo motivo è infondato. Con esso si denuncia una
nullità che si collega alla dispersione di conoscenza dovuta,
asseritamente, ai rinvii che si sono resi necessari per procedere
alla riunione dei giudizi prima, all'istruttoria testimoniale poi
oltre che alla circostanza che, nel mentre, la composizione del
collegio giudicante era cambiata. La censura non si confronta però
con il fatto che le nullità processuali sono solo quelle che la
legge espressamente prevede e nella specie non è neppure indicata
quale sia la norma che si assume essere stata violata.
7.8. Anche l'ultimo motivo di ricorso non può essere accolto. Con
esso si pretende da questa Corte una attiene nuova valutazione del
merito, diversa e più favorevole rispetto a quella già effettuata
operata dal giudice di appello e si prospetta una diversa
ricostruzione dei fatti che, come è noto, in questa sede non è
consentita.
8. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente
deve essere condannato al pagamento delle spese nei confronti del
solo controricorrente J.M. atteso che, come sopra accertato, il
controricorso della DAMI s.r.l. non è stato correttamente
notificato ed è perciò inammissibile. Ai sensi dell'art. 13 comma 1
quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza
dei presupposti processuali per il versamento da parte del
ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso a norma dell'art.13 comma 1
bis del citato d.P.R., se dovuto.
???????P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in
favore di J.M. che liquida in€ 5.000,00 per compensi
professionali,€ 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre
agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P. R. n. 115 del 2002 dà
atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente pell'ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a
norma dell'art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 26 ottobre 2022