Giu Riciclaggio continuato
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - SENTENZA 28 aprile 2021 N. 16375
Massima
In relazione al delitto di riciclaggio, la condotta di chi riceve una pluralità di beni, ciascuno dei quali abbia una propria autonomia ed una distinta provenienza delittuosa, realizza una pluralità di eventi giuridici e, quindi, di reati, che non può essere esclusa per il solo fatto che il soggetto abbia ricevuto i beni nel medesimo contesto temporale e dalla stessa persona.

Casus Decisus
Con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della decisione del locale Tribunale, riqualificato il fatto ascritto al ricorrente alla stregua del delitto di riciclaggio, determinava la pena nella misura di anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 400,00 di multa. L’E., secondo imputazione, è chiamato a rispondere del delitto di riciclaggio aggravato ex art. 61 c.p., n. 2 per aver ricevuto da C.F., suo parente, la somma di circa Euro 285mila, proveniente dal reato di furto pluriaggravato e continuato, commesso in danno della COFACE Compagnia Assicurativa mediante plurimi prelievi abusivi, effettuati utilizzando la smart. card del direttore finanziario della società. L’E., secondo le risultanze acquisite, riceveva sui propri conti le somme via via sottratte, bonificandole poco dopo a favore dello stesso C.. Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - SENTENZA 28 aprile 2021 N. 16375 Pres. Verga – est. De Santis

Ritenuto in fatto

 

1.Con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della decisione del locale Tribunale in data 11/6/2018, riqualificato il fatto ascritto al ricorrente alla stregua del delitto di riciclaggio, come da originaria contestazione, riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, determinava la pena nella misura di anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 400,00 di multa.

L’E. , secondo imputazione, è chiamato a rispondere del delitto di riciclaggio aggravato ex art. 61 c.p., n. 2 per aver ricevuto da C.F. , suo parente, la somma di circa Euro 285mila, proveniente dal reato di furto pluriaggravato e continuato, commesso in danno della COFACE Compagnia Assicurativa mediante plurimi prelievi abusivi, effettuati utilizzando la smart. card del direttore finanziario della società. L’E. , secondo le risultanze acquisite, riceveva sui propri conti le somme via via sottratte, bonificandole poco dopo a favore dello stesso C. , di congiunti dello stesso ovvero del coimputato C.R. .

Il primo giudice in esito all’istruttoria dibattimentale, ritenuta l’infondatezza delle proteste di buona fede del prevenuto, procedeva, nondimeno, a qualificare il fatto alla stregua dei delitti ex artt. 110 e 624 c.p., art. 625 c.p., n. 2, art. 61 c.p., nn 7 e 11 e art. 512 bis c.p., condannandolo alla pena ritenuta di giustizia. La Corte territoriale, dissentendo sull’operato inquadramento giuridico e ritenuta la correttezza dell’originaria contestazione, riformava nel senso sopradetto la sentenza di primo grado.

2. Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, Avv. Antonio Luciani, il quale ha dedotto:

2.1 la violazione degli artt. 43 e 648 bis c.p. e la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta integrazione del dolo. Secondo la difesa la Corte di merito ha affermato la responsabilità del prevenuto per fatti di riciclaggio ritenendo integrato l’elemento soggettivo, quantomeno nella forma del dolo eventuale, sulla scorta dell’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali, asserendo che, in ragione dei rapporti di parentela e di amicizia intercorrenti tra le parti, risulterebbe scarsamente credibile che il C. , esperto manager d’azienda, abbia proceduto a movimentare una cospicua somma di danaro in un ristretto arco temporale senza assicurarsi la preventiva collaborazione del ricorrente. Tuttavia, la sentenza impugnata non ha considerato che le mansioni del C. consistevano proprio nell’effettuazione di pagamenti per conto della Coface con significativa autonomia operativa e che il medesimo C. , dopo aver eseguito il primo bonifico ad insaputa dell’E. , gli chiedeva di poter utilizzare il conto corrente per depositarvi delle somme di cui disporre secondo le sue indicazioni, precisando che si trattava di benefit aziendali che egli intendeva nascondere alla coniuge. L’E. dunque, si prestò all’operazione senza conoscere l’entità degli importi che sarebbe stati convogliati sul suo conto corrente e la provenienza degli stessi poiché, come riferito dall’imputato, il C. percepiva un importante stipendio mensile e gratifiche annuali compatibili con le rimesse in suo favore. Con riguardo alla falsità delle causali indicate a giustificazione dei bonifici dal C. all’E. e da quest’ultimo ai successivi apparenti beneficiari, la difesa sostiene che l’E. agiva seguendo le disposizioni del cugino anche con riguardo a siffatte indicazioni e si trattava di causali veritiere, come nel caso del pagamento ad Agos al fine di estinguere un debito del C. o, comunque, plausibili. Aggiunge, inoltre, che la Corte territoriale non ha considerato che l’E. ha dichiarato che l’utilizzo dei suoi conti da parte del C. era dovuto non solo ai problemi con la moglie ma anche ad altri di vario genere ed ha spiegato che la mancata restituzione della somma di circa 6mila Euro alla fine residuata non costituiva profitto dell’attività prestata in favore del congiunto ma si giustificava in ragione dell’impossibilità di retrocederla a causa del ricovero in comunità del C. stesso.

A parere della difesa il ricorrente non poteva rappresentarsi come probabile la provenienza illecita del danaro nè poteva avere la consapevolezza e volontà di dissimulare detta provenienza mediante i successivi trasferimenti, effettuati tutti con bonifici tracciabili. La Corte territoriale ha, secondo il ricorrente, omesso di spiegare le ragioni dell’inaffidabilità delle dichiarazioni del C. , il quale nell’esame reso all’udienza del 19/3/2018 ha scagionato il cugino, riferendo di aver fornito risposte rassicuranti e plausibili alle richieste di informazioni del prevenuto.

2.2. la violazione degli artt. 110, 117 e 648 bis c.p., con riguardo alla riqualificazione del fatto nel reato di riciclaggio in luogo del concorso nell’intestazione fittizia di valori ex art. 512 bis c.p.. Il difensore deduce che nell’eventualità in cui l’E. fosse stato consapevole della provenienza delittuosa del danaro, la Corte di merito avrebbe dovuto, comunque, qualificare il fatto come concorso nell’intestazione fraudolenta di valori ex art. 512 bis c.p., poiché le condotte del C. integravano, oltre al reato di furto, detta fattispecie, finalizzata all’autoriciclaggio, dal momento che il predetto C. era rientrato nella disponibilità del danaro dopo l’interposizione fittizia del ricorrente e del genitore o aveva utilizzato l’interposizione dell’E. per estinguere un finanziamento. Il contributo causale fornito dall’imputato alla ripulitura del danaro attraverso bonifici eseguiti su indicazione del C. configura un concorso dell’extraneus nel reato di cui all’art. 512 bis c.p..

2.3 la violazione degli artt. 624 e 648 bis c.p. e correlato vizio della motivazione per avere i giudici d’appello escluso il concorso dell’E. nel furto. Assume la difesa che la Corte distrettuale avrebbe dovuto in ogni caso ritenere le condotte di trasferimento di danaro dal C. all’E. quale concorso nel reato presupposto di furto e considerare le condotte successive di trasferimento dello stesso danaro quale post factum non punibile. Infatti, nella specie si riscontra la contestualità tra le due condotte criminose, la sottrazione di danaro alla Coface e il trasferimento all’E. , che metteva a disposizione i conti correnti su cui affluiva il danaro, che appare dimostrativa di un previo accordo dei due soggetti mentre la circostanza che il C. potesse far affidamento sui conti correnti del cugino contribuisce a rafforzarne il proposito criminoso. Secondo il ricorrente la Corte di merito ha escluso il concorso nel reato presupposto con motivazione carente e contraddittoria laddove afferma che risulta implausibile che il C. avesse effettuato i trasferimenti di danaro senza assicurarsi la preventiva collaborazione ed acquiescenza dell’imputato;

2.4 la violazione dell’art. 648 bis c.p., con riguardo alla riqualificazione del fatto nel reato di riciclaggio in luogo del concorso in furto e nell’intestazione fittizia di valori. In via ulteriormente subordinata il ricorrente ritiene che la Corte avrebbe dovuto inquadrare la condotta dell’imputato come concorso nel furto e nell’intestazione fittizia di valori commessi materialmente dal C. e argomenta che l’esclusione di siffatta riqualificazione ha comportato ricadute sia in termini di procedibilità dell’azione che di dosimetria della pena;

2.5 la violazione dell’art. 61 c.p., n. 2 e correlato vizio della motivazione. Il ricorrente deduce che il delitto di riciclaggio, presupponendo l’esistenza di un reato rispetto al quale sussiste un rapporto di derivazione, sarebbe incompatibile con l’aggravante del nesso teleologico;

2.6 la violazione degli artt. 81 e 648 bis c.p., con riguardo al riconoscimento di una pluralità di reati di riciclaggio. Secondo la difesa, la Corte di merito ha errato nel ritenere che le singole operazioni economiche dell’E. integrino autonome fattispecie di riciclaggio, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che ha evidenziato come il delitto possa avere anche un’esecuzione progressiva e frammentaria;

2.7 la mancanza e la contraddittorietà della motivazione in relazione alla mancata applicazione delle attenuanti generiche nella massima estensione. La difesa lamenta che la sentenza impugnata ha negato l’applicazione delle attenuanti generiche nella massima estensione nonostante il comportamento collaborativo del prevenuto e l’avvenuto riconoscimento delle circostanze ex art. 62 bis in misura massima in favore dei coimputati.

Con i motivi nuovi depositati in data 16/2/2021 il difensore ha ulteriormente dedotto:

2.8 la violazione di legge e il vizio della motivazione per avere la Corte di merito escluso il concorso dell’E. nel furto ed aver ritenuto integrato il reato successivo di riciclaggio. La difesa attraverso richiami giurisprudenziali sviluppa la tesi, già esposta nel ricorso principale, del concorso dell’E. nel reato presupposto di furto aggravato;

2.9 la violazione di legge con riguardo alla riqualificazione del fatto nel reato di riciclaggio in luogo del concorso nel furto e nel favoreggiamento reale. Secondo il ricorrente, in mancanza dei presupposti integrativi del delitto di riciclaggio, la Corte avrebbe dovuto ritenere il delitto di favoreggiamento reale in quanto le operazioni ascritte all’imputato avevano al più la finalità di sottrarre i beni provenienti dai furti alle investigazioni della P.g. e della società danneggiata.

Nel terzo e quarto motivo la difesa approfondisce i rispettivi motivi del ricorso principale.

 

Considerato in diritto

 

3. Il primo motivo che revoca in dubbio la sussistenza del delitto di riciclaggio con riguardo alla componente del dolo è manifestamente infondato. L’”alibi difensivo” del prevenuto è stato oggetto di analitico scrutinio da parte del primo giudice (pag. 10 e segg.) che, con argomenti condivisi dalla sentenza impugnata, ha segnalato come la versione accreditata dal ricorrente sia inattendibile giacché, da un lato, deve escludersi che il C. , esperto manager d’azienda con esperienza pluriennale, abbia movimentato in un esiguo arco temporale, compreso l’ottobre 2014 e il febbraio 2015, una cospicua somma di danaro proveniente dai conti della società presso cui lavorava all’insaputa del cugino e senza assicurarsi la preventiva collaborazione ed acquiescenza dello stesso, dall’altro, l’asserita spiegazione fornita dal C. all’E. , secondo la quale il danaro costituiva frutto di premi aziendali, risulta del tutto implausibile alla luce dei dati retributivi forniti dallo stesso prevenuto in quanto l’importo bonificato era pari all’incirca agli emolumenti percepiti in un anno dal congiunto.

Il primo giudice evidenziava, altresì, che le causali dei versamenti sui conti dell’E. (saldo debito, restituzione importi non dovuti, restituzione/storno fatture non dovute) si pongono in stridente contrasto con la spiegazione fornita dal ricorrente, trattandosi di indicazioni distoniche in ipotesi di rimesse del tutto legittime, e che l’asserito fine perseguito dal C. di celare alla moglie la percezione degli emolumenti transitati sui conti dell’imputato non ha trovato riscontro alcuno in dibattimento ed è in via logica contrastato dal rilievo che l’E. , subito dopo la ricezione dei bonifici, aveva provveduto a bonificare a sua volta buona parte delle somme proprio su conti di C.F. . Aggiungeva, inoltre, il Tribunale che una chiara smentita alle proteste di buona fede dell’E. si ricava anche dalle causali delle retrocessioni delle somme ricevute, palesemente false, effettuate nella consapevolezza che egli non aveva alcun rapporto di debito con i soggetti destinatari delle stesse; dalla reticenza opposta alla richiesta di spiegazioni dello zio C.O. in ordine alle ragioni dei bonifici in suo favore nonché dal trattenimento dell’importo di circa seimila Euro, definito dal C. come una " mancia" elargita al cugino per la collaborazione prestatagli. Siffatti argomenti sono stati richiamati e ampiamente condivisi dalla Corte territoriale a pag. 12 sicché le doglianze difensive sul punto, aventi peraltro una spiccata connotazione fattuale, s’appalesano meramente reiterative di profili adeguatamente valutati e correttamente definiti dai giudici di merito.

4. I motivi secondo, terzo e quarto lamentano tutti la erronea qualificazione giuridica del fatto alla stregua del delitto di riciclaggio, proponendo alternative e variegate sussunzioni della condotta nel paradigma sanzionatorio delle fattispecie di intestazione fittizia ex art. 512 bis c.p. e/o furto, cui in sede di motivi nuovi la difesa ha aggiunto quella di favoreggiamento reale, mai prima prospettata.

Le censure non hanno pregio e debbono essere disattese. Risulta pacificamente accertata l’origine dei flussi finanziari in contestazione, costituiti da dieci bonifici effettuati dal C. dal conto corrente della società Coface verso due conti correnti intestati all’E. nel periodo compreso tra il 17 ottobre 2014 e il 25 febbraio 2015, mentre l’imputato nello stesso periodo risulta aver effettuato in retrocessione bonifici in favore dello stesso C.F. , del padre O. , di C.R. (collaboratore del C. e viceresponsabile amministrativo di Coface) nonché di altri soggetti legati al medesimo C. .

4.1 Questa Corte ha chiarito che in tema di riciclaggio di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, il criterio per distinguere la responsabilità in ordine a tale titolo di reato dalla responsabilità per il concorso nel reato presupposto- che escluderebbe la prima - non può essere solo quello temporale ma occorre, in più, che il giudice verifichi, caso per caso, se la preventiva assicurazione di "lavare" il denaro abbia realmente (o meno) influenzato o rafforzato, nell’autore del reato principale, la decisione di delinquere (Sez. 5, n. 8432 del 10/01/2007, Rv. 236254). Deve aggiungersi che l’affermazione di responsabilità a titolo di concorso nel reato presupposto per adesione al proposito dell’autore materiale e rafforzamento della determinazione delittuosa richiede la prova rigorosa della conoscenza delle modalità e del dettaglio esecutivo del reato a cui si presta un contributo psichico.

Infatti, se è vero che ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato il contributo concorsuale acquista rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento illecito, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore e di rafforzamento del proposito criminoso già esistente nei concorrenti, in modo da aumentare la possibilità di commissione del reato (Sez. 6, n. 36125 del 13/05/2014, Rv. 260235), non può prescindersi dalla necessità che il concorrente si sia rappresentato l’evento del reato ed abbia partecipato ad esso esprimendo una volontà criminosa uguale a quella dell’autore materiale (Sez. 2, n. 28855 del 08/05/2013, Rv. 256465) e delle emergenze atte a sostanziare il concorso manifestatosi in forme atipiche deve rinvenirsi puntuale riscontro motivazionale. Nella specie, dalle sentenze di merito non emerge alcun elemento che deponga per la conoscenza da parte dell’E. del divisato proposito criminoso del congiunto e delle concrete modalità di esecuzione nè della previa adesione allo stesso in guisa da rafforzarlo.

4.2 La Corte territoriale ha correttamente ritenuto che gli elementi indizianti valorizzati dal Tribunale per sostenere il dolo concursuale nel furto aggravato ascritto al C. sono pienamente compatibili con la ricostruzione di una mera consapevolezza in capo al ricorrente dell’origine illecita delle somme ricevute, che si coniuga alla sussistenza dell’elemento materiale del delitto ex art. 648 bis c.p.. La valutazione della sentenza impugnata è coerente con i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità, alla cui stregua integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni consapevolmente volte ad impedire in modo definitivo, od anche a rendere difficile, l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità: tra di esse rientra la condotta di chi deposita in banca denaro di provenienza illecita poiché, stante la natura fungibile del bene, in tal modo esso viene automaticamente sostituito con denaro pulito (Sez. 2, n. 52549 del 20/10/2017, Rv. 271530; n. 30265 del 11/05/2017, Rv. 270302; Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, Rv. 259485; n. 26746 del 06/04/2011, Rv. 250427).

Questa Corte ha anche chiarito il discrimine tra il reato di intestazione fittizia, previsto dalla L. n. 356 del 1992, art. 12-quinquies e il delitto di riciclaggio di cui all’art. 648-bis c.p., evidenziando che, mentre in quest’ultima fattispecie è necessario che i beni su cui vengono poste in essere le condotte incriminate siano provenienza di delitto, nella prima si persegue solo l’obiettivo di evitare manovre dei soggetti potenzialmente assoggettabili a misure di prevenzione, volte a non far figurare la loro disponibilità di beni o altre utilità, a prescindere dalla provenienza di questi da delitto, che, se provata, può integrare altri reati. (Sez. 2, n. 29455 del 13/11/2018, dep. 2019, Rv. 276669; Sez. 5, n. 39837 del 02/07/2013, Rv. 257364). V’è da aggiungere che il delitto di fittizia intestazione di beni sotto il profilo della condotta materiale postula la tendenziale stabilità della interposizione personale in conformità ai fini elusivi che connotano la fattispecie e in aderenza alla qualificazione del reato come fattispecie istantanea con effetti permanenti laddove nel caso a giudizio il trasferimento delle somme di danaro incriminate ha avuto carattere temporaneo con una tempestiva retrocessione al C. e a soggetti a lui vicini, così palesando lo scopo di mera "ripulitura" del danaro di provenienza furtiva.

5. Con riguardo alla contestata sussistenza dell’aggravante ex art. 61 c.p., n. 2, osserva la Corte che la doglianza è inammissibile per carenza di interesse, avendo la sentenza impugnata riconosciuto all’E. le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sull’aggravante. La giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni chiarito che difetta d’interesse all’impugnazione il ricorrente che chieda l’esclusione di una circostanza aggravante quando la stessa sia stata già ritenuta subvalente rispetto alle riconosciute attenuanti e non abbia, quindi, dispiegato alcuna efficacia nella determinazione della pena (Sez. 1, n. 43269 del 25/09/2019, Rv. 277144; Sez. 3, n. 19901 del 12/12/2018, dep. 2019, Rv. 275962; Sez. 5, n. 2311 del 13710/2015, Rv.266056; Sez. 2, n. 38697 del 24/6/2015, Rv.264803).

6. Quanto al sesto motivo che revoca in dubbio la ritenuta sussistenza del delitto di riciclaggio continuato in luogo di un illecito unitario a condotta frazionata deve osservarsi che il reato presupposto è integrato dal furto continuato e pluriaggravato consumato mediante l’esecuzione nell’arco di quattro mesi di dieci bonifici on line sui conti della Coface a favore dei conti dell’E. , cui facevano seguito bonifici in retrocessione a favore di C.O. , C.R. e C.F. . Si tratta, dunque, di distinti flussi finanziari, frutto ciascuno di un autonomo delitto presupposto, seppur riconducibile ad un unitario disegno criminoso, diretti a due diversi conti dell’E. , dai quali il medesimo ha poi effettuato le operazioni di bonifico verso i destinatari indicati dal C. .

Questa Corte ha precisato, in relazione al delitto di ricettazione ma con argomenti giuridici ben estensibili alla fattispecie a giudizio, che la condotta di chi riceve una pluralità di beni, ciascuno dei quali abbia una propria autonomia ed una distinta provenienza delittuosa, realizza una pluralità di eventi giuridici e, quindi, di reati, che non può essere esclusa per il solo fatto che il soggetto abbia ricevuto i beni nel medesimo contesto temporale e dalla stessa persona (Sez. 2, n. 11024 del 12/11/2019,dep. 2020, Alì Agenco, Rv. 278514). Nella specie, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, a ciascuna sottrazione di danaro convogliato verso uno dei due conti del prevenuto ha fatto seguito, in stretta correlazione temporale, lo smistamento degli importi bonificati ai destinatari individuati dal C. , sicché si è in presenza di distinte ed autonome condotte delittuose e non di una esecuzione progressiva e frazionata del medesimo illecito.

7. Il conclusivo motivo che lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche nella massima estensione è parimenti privo di fondamento, avendo la Corte territoriale giustificato la riduzione in misura inferiore a quella massima in ragione dell’entità delle somme oggetto di riciclaggio, con giudizio non suscettibile di rivisitazione in questa sede. Inoltre, il difforme trattamento riservato ai coimputati (che hanno patteggiato in primo grado ovvero in appello) non è profilo che possa essere apprezzato ai fini della pretesa illogicità della motivazione, attese le diverse opzioni processuali praticate.

8. Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile con condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria nella misura precisata in dispositivo, non ravvisandosi ragioni d’esonero.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.