Giu Quando sussiste concorso materiale tra abuso di ufficio e falso?
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 08 aprile 2021 N. 13250
Massima
Sussiste concorso materiale, e non assorbimento dell'abuso d'ufficio nel più grave reato di falso, qualora la condotta di abuso non si esaurisca nel compimento dell'atto falso, ma costituisca una parte della più ampia condotta di abuso.

Casus Decisus
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Brescia ha confermato la condanna, pronunciata all'esito di giudizio abbreviato, di Ri.Mo. e B.P.G., per i reati di cui all'art. 323 c.p. e art. 479 c.p.. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, le imputate, agenti in servizio presso il Comando della polizia municipale, in violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21-nonies, il D.P.R. n. 495 del 1992, artt. 383 e 386, D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 201, comma 5-bis e art. 204-bis, hanno redatto falsi atti di annullamento "in autotutela" delle contravvenzioni per eccesso di velocità elevate nei confronti dell'appuntato dell'arma dei Carabinieri L.A., dichiaratosi conducente della autovettura Subaru intestata al suocero G.F., e nei confronti del carabiniere scelto R.G., dichiaratosi conducente della autovettura Golf, intestata alla suocera I.A., così da procurare intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale ai soggetti sanzionati, dispensandoli dal pagamento della multa per eccesso di velocità. Avverso la sentenza ricorrono le imputate.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 08 aprile 2021 N. 13250 Pres. Palla – est. Morosini

RITENUTO IN FATTO

 

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Brescia ha confermato la condanna, pronunciata all'esito di giudizio abbreviato, di Ri.Mo. e B.P.G., per i reati di cui all'art. 323 c.p. (rispettivamente capi 1 e 3 della rubrica) e art. 479 c.p. (rispettivamente capi 2 e 4).

Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, le imputate, agenti in servizio presso il Comando della polizia municipale di (OMISSIS), in violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21-nonies, il D.P.R. n. 495 del 1992, artt. 383 e 386, D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 201, comma 5-bis e art. 204-bis, hanno redatto falsi atti di annullamento "in autotutela" delle contravvenzioni per eccesso di velocità elevate nei confronti dell'appuntato dell'arma dei Carabinieri L.A., dichiaratosi conducente della autovettura Subaru intestata al suocero G.F., e nei confronti del carabiniere scelto R.G., dichiaratosi conducente della autovettura Golf, intestata alla suocera I.A., così da procurare intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale ai soggetti sanzionati, dispensandoli dal pagamento della multa per eccesso di velocità.

In particolare:

- Ri.Mo. ha annullato in autotutela il verbale di contravvenzione elevato a L.A. indicando la causale "pubblica sicurezza", così da attestare falsamente che l'autovettura Subaru era in uso a personale di Pubblica Sicurezza nell'adempimento del servizio, circostanza non vera perché il L., nella istanza con cui chiedeva l'annullamento della sanzione, si era limitato a rappresentare che l'autovettura "veniva utilizzata per recarsi presso la Compagnia carabinieri di (OMISSIS) per servizio provvisorio programmato";

- B.P.G. ha annullato in autotutela il verbale di contravvenzione elevato a R.G., indicando la causale "altri casi", così da attestare falsamente che ricorrevano i presupposti di legge per l'archiviazione del caso, circostanza non vera perché R., nella istanza con cui chiedeva l'annullamento della sanzione, aveva sostenuto di essere incorso nella violazione del codice della strada "nell'adempimento di un dovere", posto che "come da telefonata del Comando, doveva intraprendere il turno in anticipo rispetto all'usuale turno".

L'originaria imputazione si estendeva anche ai due beneficiari, quali concorrenti esterni, tuttavia il giudice di primo grado ha assolto L.A. e R.G. per difetto dell'elemento soggettivo; la statuizione, in assenza di impugnazione del Pubblico ministero, é divenuta definitiva.

2. Avverso la sentenza ricorrono le imputate, tramite i difensori, esponendo le doglianze di seguito enunciate nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

3. Ri.Mo. articola cinque motivi, tutti declinati in termini di violazione di legge e vizio di motivazione.

3.1. Il primo si appunta sulla affermata sussistenza dell'elemento materiale dei reati di cui agli artt. 323 e 479 c.p..

I giudici di merito hanno ritenuto che l'imputata non avesse il potere di procedere all'annullamento in autotutela della contravvenzione; dunque l'atto amministrativo sarebbe affetto da nullità per difetto assoluto di attribuzione e pertanto geneticamente inidoneo a produrre effetti giuridici.

Tale nullità renderebbe inoffensivo il reato di falso.

Qualora, invece, si volesse accedere alla tesi difensiva secondo cui si sarebbe in presenza non di annullamento ma di una revoca, allora l'atto adottato sarebbe legittimo data la sussistenza di un pubblico interesse: il conducente apparteneva alle forze dell'ordine ed "era (quantomeno dal tenore letterale della dichiarazione) in servizio provvisorio programmato".

 

3.2. Il secondo motivo riguarda la configurabilità dell'elemento soggettivo dei reati ascritti alla ricorrente.

Si sostiene che l'agente Ri., preso atto del contenuto della dichiarazione rilasciata dal carabiniere, ha proceduto, tramite accesso al sistema informatico, all'annullamento in autotutela del verbale di contravvenzione indicando la causale "pubblica sicurezza".

Secondo quanto riferito dai testimoni escussi (tra i quali il comandante G.), l'imputata si sarebbe conformata a una prassi consolidata dell'ufficio, in base alla quale gli agenti procedevano autonomamente all'annullamento e alla conseguente archiviazione dei verbali di contravvenzione per violazioni del codice della strada.

Oltre ad aver seguito "consolidate direttive", la Ri. non conosceva L. e non ha agito con l'intenzione di favorirlo, altrimenti, per entrare nel sistema informatico, non avrebbe usato la propria password personale, ma quella "anonima" a disposizione di tutti gli utenti del sistema.

Inoltre la dichiarazione di L. era formulata in maniera generica prestandosi a più letture laddove l'autore affermava che si stava recando alla compagnia Carabinieri di (OMISSIS) "per servizio provvisorio programmato"; l'utilizzo della preposizione "per" poteva lasciare intendere (e così l'ha intesa l'imputata) che il servizio fosse in atto in quel momento, non che il servizio fosse ancora da intraprendere (come invece l'hanno interpretata i giudici di merito).

La sentenza impugnata é priva di motivazione in punto di elemento soggettivo; non tiene conto che:

- il reato di falso documentale non é punibile a titolo colposo, sicché il reato va escluso quando risulti che il falso deriva da una semplice leggerezza o negligenza dell'agente;

- il reato di abuso di ufficio richiede il dolo intenzionale, che non può ravvisarsi qualora il soggetto ponga in essere una condotta comunque diretta al perseguimento dell'interesse pubblico.

3.3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la mancata riqualificazione della condotta ai sensi dell'art. 480 c.p..

La causale dell'annullamento, "pubblica sicurezza", risulta avere carattere derivativo, quanto al suo contenuto, rispetto alla dichiarazione del L.. L'imputata si sarebbe limitata a registrare il contenuto originale di tale dichiarazione.

La riqualificazione nei termini richiesti avrebbe permesso all'imputata di accedere alla sospensione del processo con messa alla prova e di beneficiare della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., istituti alla cui applicazione ostano, invece, i limiti edittali dell'art. 479 c.p..

3.4. Con il quarto motivo la ricorrente sostiene che, in ragione della clausola di sussidiarietà di cui all'art. 323 c.p., il reato di abuso di ufficio rimarrebbe assorbito nel più grave reato di falso ideologico in atto pubblico, poiché secondo l'insegnamento della Corte di cassazione, la diversità dei beni giuridici é irrilevante, mentre quando l'abuso venga commesso con la condotta di falso documentale, ricorre una ipotesi di assorbimento e non di concorso formale di reati.

3.5. Con il quinto si denuncia, in relazione al delitto di abuso d'ufficio, la mancata applicazione dell'art. 131-bis c.p. e il diniego della circostanza attenuante di cui all'art. 323-bis c.p..

La motivazione resa dalla Corte di appello é illogica e contraddittoria poiché da un lato riconosce la non particolare gravità del fatto e l'assenza di finalità di lucro rispetto ad una pena assestata sul minimo edittale previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, dall'altro lato sostiene che l'ingiusto vantaggio economico arrecato al L., pur modesto, non é certamente ai limiti della inoffensività ed é il frutto di una strumentalizzazione della qualifica di pubblici ufficiali rivestita dalle imputate.

In realtà ricorrono i presupposti oggettivi e soggettivi dell'art. 131-bis c.p..

In ogni caso dovrebbe essere applicata la circostanza attenuante del fatto di particolare tenuità di cui all'art. 323-bis c.p., atteso che l'imputata ha annullato una sanzione di Euro 41,90 se pagata entro il quinto giorno di Euro 54,20 se pagata entro il sessantesimo giorno.

4. B.P.G. propone sei motivi.

4.1. Con il primo denuncia violazione di legge sostanziale e processuale e vizio di vizio di motivazione per difetto di correlazione tra accusa e sentenza ex art. 521 c.p.p..

Il carabiniere R. aveva chiesto di archiviare la contravvenzione dichiarando che teneva una velocità superiore a quella consentita "per motivi di servizio" perché era stato chiamato per intraprendere il turno in anticipo e dunque aveva violato le norme del codice della strada "nell'adempimento di un dovere".

La Corte di appello riconosce che dagli atti emerge pacificamente che l'imputata ha archiviato la pratica riconoscendo la causa di giustificazione dell'adempimento del dovere L. n. 689 del 1981, ex art. 4; nonostante ciò ha condannato l'imputata ritenendo la falsità della causale "altri casi" utilizzata per l'archiviazione della pratica.

Emergerebbe allora un difetto di correlazione tra capo di imputazione e decisione, poiché a fronte di una condotta descritta in rubrica come "avere addotto la falsa motivazione che il veicolo Volkswagen Golf era utilizzato da personale di pubblica sicurezza per ragioni di servizio", la ricorrente é stata condannata per il fatto, diverso, consistito nell'utilizzo della causale "altri casi".

4.2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce vizio di motivazione, rilevando una contraddizione tra la parte della sentenza in cui si dà atto che l'annullamento in autotutela é consentito "nel caso di notifica del verbale a soggetto estraneo alla violazione per errore di trascrizione del numero di targa, ovvero di risultanze dei pubblici registri o per altra causa", mentre poi ritiene l'imputata colpevole per aver archiviato la sanzione con la causale "altra causa" sostanzialmente sovrapponibile a quegli "altri casi" dei quali riconosce la liceità.

4.3. Con il terzo lamenta erronea applicazione dell'art. 323 c.p., con riferimento alla declinazione degli elementi costitutivi della "ingiustizia" e del carattere patrimoniale del vantaggio, ritenuti sussistenti pur in difetto dei requisiti di legge ed in contrasto con i consolidati canoni ermeneutici.

La Corte di appello avrebbe riconosciuto che il verbale di contravvenzione sarebbe stato comunque annullato dal Prefetto (atteso che il Carabiniere R. aveva effettivamente utilizzato il veicolo per ragioni di servizio) e individua il vantaggio ingiusto nell'aver consentito alla parte istante di evitare la più complicata via prefettizia o giurisdizionale. Tale situazione esulerebbe dalla nozione di vantaggio di cui all'art. 323 c.p., che concerne esclusivamente vantaggi di natura patrimoniale.

Peraltro il vantaggio non sarebbe ingiusto, considerato che il carabiniere R. avrebbe avuto diritto all'annullamento, ricorrendo l'esimente dell'adempimento del dovere.

4.4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione sulla configurabilità di una "immutatio veri" e sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.

La dichiarazione del carabiniere R. era rispondente al vero, in quanto lo stesso stava utilizzando la vettura per ragioni di servizio e l'agente B. non avrebbe attestato alcuna circostanza difforme dalla realtà nell'indicare quale causale dell'annullamento una "situazione diversa". L'espressione é talmente generica da non poter essere ritenuta intrinsecamente falsa soprattutto considerato che si tratta di una casella offerta dal terminale rispetto ad altre ancor meno calzanti rispetto al caso concreto.

Inoltre difetterebbe del tutto una motivazione in punto di elemento soggettivo del reato di falso, che non può ritenersi "in re ipsa".

4.5. Con il quinto motivo la ricorrente sviluppa il tema dell'assorbimento del delitto di abuso di ufficio in quello di falso in sintonia con il quarto motivo del ricorso Ri..

4.6. Con il sesto lamenta erronea applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 quinquies, con riferimento alla possibilità di revoca anche di atti ad efficacia istantanea.

La decisione della Corte di appello muove dalla considerazione che i provvedimenti amministrativi ad efficacia istantanea non sono suscettibili di revoca che é un rimedio riservato ai soli atti ad efficacia durevole.

Secondo la ricorrente tale premessa sarebbe errata, poiché L. n. 241 del 1990, art. 21 quinquies, fa espresso riferimento al comma 1-bis alla "revoca di provvedimenti ad efficacia durevole o istantanea" e dunque l'istituto della revoca sarebbe compatibile anche con atti istantanei laddove gli stessi non abbiano esaurito i loro effetti, come accade per la sanzione amministrativa in corso di esazione.

A differenza dell'annullamento - che serve a porre rimedio a vizi originari dell'atto - la revoca viene attivata nel caso in cui le ragioni della autotutela siano sopravvenute "come nel caso di specie avendo la B. solo successivamente all'elevazione del verbale di contravvenzione, acquisito agli atti la dichiarazione del Carabiniere R.".

Peraltro mentre l'annullamento in autotutela é atto vincolato, la revoca é espressione di un esercizio legittimo del potere discrezionale della Pubblica amministrazione e, quindi, il merito del provvedimento é insindacabile da parte della Autorità giudiziaria e non potrebbe certo essere penalmente perseguibile.

5. Nessuna delle parti ha avanzato tempestiva richiesta di discussione orale (la richiesta dell'avv. Alessandro Asaro, inviata il 12 febbraio 2021, é tardiva), dunque il processo segue il cd. "rito scritto" ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8. Il Procuratore generale ha trasmesso, tramite posta elettronica certificata, la propria requisitoria scritta con la quale ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; i difensori delle imputate hanno trasmesso memorie di replica con le quali riprendono gli argomenti svolti nei rispettivi ricorsi, di cui chiedono l'accoglimento.

 

Diritto

 

1. I ricorsi sono infondati.

Giova condurre un esame congiunto dei motivi comuni, dopo aver risolto la questione processuale sollevata da B.P.G..

2. E' manifestamente infondata l'eccezione di nullità per difetto di correlazione tra accusa e sentenza, sollevata dalla B. con il primo motivo di ricorso.

Secondo ius receptum, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e oggetto della statuizione di sentenza perché , vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione é del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 16 del 19 giugno 1996, Di Francesco, Rv. 205619; Sez. U, n. 36551 del 15 luglio 2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 31617 del 26 giugno 2015, Lucci, Rv. 264438).

Ne consegue che l'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato: la nozione strutturale di "fatto" contenuta negli artt. 516 e ss. c.p.p., va coniugata, infatti, con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sez. 2 n. 16817 del 27 marzo 2008, Muro, Rv. 239758; tra le ultime Sez. 5 n. 21226 del 15 settembre 2016, dep. 2017, Di Giovanni Rv. 270044).

Inoltre la contestazione non va riferita soltanto al capo di imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l'imputato in condizione di conoscere in modo ampio l'addebito (tra le altre Sez. 5, n. 51248 del 05/11/2014, Cutrera, Rv. 261741).

Nella specie nessuna violazione del diritto difesa risulta configurabile, posto che alla B. viene contestato il reato di falso in atto pubblico in relazione alla indicazione della causale dell'annullamento della sanzione, che é la medesima condotta per la quale l'imputata é stata condannata in primo e in secondo grado.

3. E' utile illustrare il quadro ricostruttivo offerto dalla cd. "doppia conforme" di condanna.

3.1. Si discute della "archiviazione" di due sanzioni amministrative per eccesso di velocità:

- l'archiviazione disposta dall'agente Ri.Mo. con la causale "pubblica sicurezza" in favore del carabiniere L.A. il quale aveva dichiarato "l'autovettura indicata (Subaru tg. (OMISSIS)) nel mio esclusivo utilizzo veniva utilizzata per recarsi c/o la Compagnia Carabinieri di (OMISSIS) per servizio provvisorio programmato";

- l'archiviazione adottata dall'agente B.P.G. con la causale "altri casi" a beneficio del carabiniere R.G. il quale aveva dichiarato: "come da telefonata del comando, dovevo intraprendere il turno in anticipo rispetto all'usuale turno; chiedo l'archiviazione del verbale in argomento, avendo violato la norma del C.d.S. nell'adempimento di un dovere".

Sia il carabiniere L. sia il carabiniere R. avevano chiesto l'annullamento della sanzione amministrativa per superamento dei limiti di velocità, rappresentando che, alla guida delle autovetture "sanzionate", si stavano recando in caserma per prendere servizio.

3.2. A parte la falsità o meno di tali dichiarazioni ( L. ha preso servizio a distanza di due ore dal fatto e R. non era stato affatto richiamato in servizio in anticipo rispetto al turno ordinario che aveva svolto dalle 1:00 alle 7.00) - falsità in origine contestata ma che non ha formato oggetto di devoluzione - é di palmare evidenza come le circostanze rappresentate dai due carabinieri non integrino i presupposti di fatto delle causali falsamente indicate dalle imputate come ragioni dell'annullamento delle sanzioni irrogate.

In sostanza:

- L. ha dichiarato che si stava recando in caserma a bordo dell'autovettura privata del suocero, il che non integra certo una situazione di "ordine pubblico" come falsamente riportato dalla Ri. quale causale nel provvedimento di annullamento;

- R. ha dichiarato che si stava recando in caserma per intraprendere il turno in anticipo, ciò non integra una situazione di "altra causa" come riportato falsamente dalla B. quale causale nel provvedimento di annullamento.

3.3 Le imputate, agenti della polizia municipale, non avevano il potere di "archiviare" le sanzioni (né con lo strumento dell'annullamento né con quello della revoca), poiché , in base alle disposizioni del codice della strada (artt. 200 e ss.), la sanzione amministrativa una volta emessa e notificata, può essere "eliminata" o dal Prefetto e dal Giudice di pace. Non é consentito all'organo accertatore, tanto meno a due agenti di polizia municipale, di "archiviare" ex officio le sanzioni, sulla base delle eventuali giustificazioni addotte dagli autori della violazione.

4. Questi sono i punti cardine della decisione, non scalfiti dai ricorsi.

Alla luce dei rilievi che precedono si rivelano infondati il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso Ri. e il secondo, il terzo, il quarto e il sesto del ricorso B..

L'analisi che segue riguarderà congiuntamente detti motivi, raggruppati per titolo di reato e depurati dai profili in fatto o valutativi inammissibili in sede di legittimità.

5. Delitto di cui all'art. 479 c.p. (capo 2 Ri. e capo 4 B.).

5.1 Non può revocarsi in dubbio che il provvedimento con cui il pubblico ufficiale "elimina" dal mondo giuridico un altro atto pubblico (che irroga una sanzione amministrativa) ha natura di atto pubblico. Ne consegue che integra il reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico il provvedimento con cui quest'ultimo ponga nel nulla una sanzione amministrativa attestando fatti che sia oggettivamente in contrasto con la realtà storica.

Non ha pregio la tesi proposta dalla ricorrente Ri., con il primo motivo di ricorso, secondo cui il falso non sarebbe configurabile in presenza di un atto privo ab origine di efficacia giuridica, perché affetto da nullità per difetto assoluto di attribuzione.

Un conto é il regime giuridico degli atti amministrativi nulli e annullabili, un conto il profilo degli effetti pratici, poiché é ovvio che fintantoché la nullità non venga dichiarata, l'atto, seppur viziato, continua ad esistere e a produrre i suoi effetti: le sanzioni amministrative sono state annullate, L. e R. non hanno dovuto pagare le multe per eccesso di velocità.

Ragionando nei termini proposti dalla ricorrente, il delitto di falso non sarebbe mai configurabile considerato che un atto pubblico falso (sotto il profilo materiale e ideologico) é sempre invalido e può essere annullato d'ufficio, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza che accerta il falso, ai sensi della L. n. 240 del 1990, art. 21 nonies, comma 2-bis.

5.2. Quanto alle differenze tra il reato di cui all'art. 479 e quello di cui all'art. 480 c.p. (evocate dal terzo motivo del ricorso Ri.), é sufficiente rammentare che, secondo ius receptum, per poter qualificare certificato amministrativo un atto proveniente dal pubblico ufficiale occorrono due condizioni: che esso non attesti i risultati di un accertamento compiuto dal pubblico ufficiale redigente, ma riproduca attestazioni già documentate; che l'atto non abbia una propria distinta ed autonoma efficacia giuridica, ma si limiti a riprodurre anche gli effetti dell'atto preesistente (Sez. 5, n. 10478 del 22/10/1996, Ungaro, Rv. 206548; Sez. 5, n. 4894 del 21/03/2000, Barbolini, Rv. 216049).

Requisiti pacificamente insussistenti nel caso di specie, poiché l'atto incriminato contiene il "falso" accertamento di una esimente da parte del pubblico ufficiale ed inoltre é munito di una propria e autonoma efficacia giuridica, consistente nella eliminazione della sanzione amministrativa.

5.3. E' infondata la questione concernente la immutatio veri.

I provvedimenti di annullamento adottati dalle imputate presentano un contenuto ideologicamente falso, rilevante ex art. 479 c.p., laddove espongono la causale della eliminazione della sanzione in misura del tutto dissonante dalle circostanze di fatto rappresentante dai carabinieri L. e R..

Analoga notazione vale per il profilo dell'adempimento del dovere, dedotto dalla ricorrente B., considerato che non vi é alcuna norma che legittimi un carabiniere a violare i limiti di velocità con un'autovettura privata al fine di prendere servizio, anche se in anticipo.

5.4. Quanto all'elemento soggettivo del reato, la Corte di appello fornisce ampia risposta ai motivi di gravame proposti dalle imputate sul punto (cfr. pag. 16 sentenza impugnata).

Di conseguente le censure di omessa motivazione sono manifestamente infondate.

5.4.1. In tema di elemento soggettivo del reato, va ricordato che é sufficiente il dolo generico, e cioè la volontarietà e la consapevolezza della falsa attestazione (Sez. 5, n. 12547 del 08/11/2018, dep. 2019, Sirianni, Rv. 276505; Sez. 3, n. 30862 del 14/05/2015, Di Stasi, Rv. 264328; Sez. 5, n. 35548 del 21/05/2013, Ferraiuolo, Rv. 257040; Sez. 5, n. 15255 del 15/03/2005, Scarciglia, Rv. 232138).

Nella specie la piena consapevolezza della carica decettiva degli atti viene rivelata dalla stessa modalità con cui le imputate hanno concepito e confezionato i provvedimenti di annullamento (nonché , per la B., gli stessi dubbi nutriti circa la legittimità dell'atto e la scelta di procedere, nonostante tutto, all'annullamento utilizzando l'anodina dicitura "altre cause"), laddove le stesse attestano circostanze esimenti non solo giuridicamente e fattualmente inesistenti, ma neppure evincibili, in quei termini, dalle dichiarazioni dei privati.

5.4.2. Va rilevato, poi, l'errore metodologico che si annida nell'argomento per cui, a fronte della identificazione dell'imputata quale autrice del reato grazie alla password utilizzata, si sostiene che se l'imputata fosse stata consapevole dell'illecito non avrebbe utilizzato le proprie password per accedere al sistema informatico.

Un ragionamento siffatto non può trovare ingresso nel procedimento penale, poiché condurrebbe al risultato inaccettabile per cui a una maggiore consistenza dell'elemento a carico, corrisponderebbe una minore valenza inferenziale rispetto alla prova della responsabilità.

Il vizio di tale ragionamento, nella dinamica della dimostrazione, riposa nel fatto che non si propone una "verità argomentata", ma si chiede una "adesione acritica ed intuitiva" alla interpretazione dei fatti ed alla soggettività del loro autore.

5.4.3. La prassi non rileva rispetto alla falsa attestazione, non solo perché la prassi era palesemente contra legem e dunque i relativi abusi non erano isolati ma frequenti (cfr. pag. 16 sentenza impugnata), ma soprattutto perché l'invocata prassi non atteneva alla attestazione di causali false.

6. Delitto di cui all'art. 323 c.p. (capo 1 Ri. e capo 3 B.).

6.1. Il tentativo di spostare l'attenzione sull'inquadramento giuridico (annullamento o revoca) dell'atto amministrativo posto in essere dalle imputate si rivela infruttuoso, perché comunque si vogliano qualificare gli atti (la categoria più pertinente è comunque quella dell'annullamento, mentre la revoca che presuppone una modifica successiva della situazione di fatto posta a base del provvedimento genetico), si tratta di atti illegittimi ex art. 323, perché adottati in violazione di norme di legge (sulla violazione di legge cfr. più ampiamente infra paragrafo 6.2.).

Nella corretta valutazione dei giudici di merito il profitto é consistito nell'aver evitato a L. e R., in solido con i proprietari dei veicoli, l'esborso dovuto per il pagamento della sanzione pecuniaria inflitta; l'ingiustizia del profitto riposa sulla considerazione che quelle sanzioni non sarebbero mai state annullate, data la palese assenza di circostanze esimenti.

Non é ipotizzabile alcun interesse pubblico.

6.2. L'art. 323 c.p. é stato modificato per effetto del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, art. 23, convertito dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, che ha sostituito le parole "di norme di legge o di regolamento" con quelle "di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità".

6.2.1. Come osserva una delle prime pronunce della Corte di cassazione sul tema, in luogo del generico richiamo della previgente disciplina alla indeterminata violazione "di norme di legge o di regolamento", si pretende oggi che la condotta produttiva di responsabilità penale del pubblico funzionario sia connotata, nel concreto svolgimento delle funzioni o del servizio, dalla violazione di regole cogenti per l'azione amministrativa, che per un verso siano fissate dalla legge (non rilevano dunque i regolamenti, né eventuali fonti sub-primarie o secondarie) e per altro verso siano specificamente disegnate in termini completi e puntuali. Di qui il lineare corollario della limitazione di responsabilità penale del pubblico funzionario, qualora le regole comportamentali gli consentano di agire in un contesto di discrezionalità amministrativa, anche tecnica: intesa, questa, nel suo nucleo essenziale come autonoma scelta di merito - effettuata all'esito di una ponderazione comparativa tra gli interessi pubblici e quelli privati - dell'interesse primario pubblico da perseguire in concreto (Sez. 6, n. 442 del 9/12/2020, dep. 2021).

Ergo la novella ha ristretto l'ambito di operatività dell'art. 323 c.p., determinando una parziale abolitio criminis in relazione alle condotte commesse prima dell'entrata in vigore della riforma mediante violazione di norme regolamentari o di norme di legge generali e astratte dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità (Sez. 6, n. 442 del 9/12/2020, dep. 2021, cit.).

6.2.2. Occorre allora verificare se nel caso in esame la condotta di abuso di ufficio delle imputate costituisca tuttora reato.

Al quesito va data soluzione positiva poiché , come osserva anche il Procuratore generale nella sua requisitoria, dalla sentenza impugnata risulta la violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge senza margini di discrezionalità.

In particolare le imputate hanno violato:

- La L. n. 241 del 1990, art. 21-nonies, che consente l'annullamento di ufficio dell'atto amministrativo solo in presenza dei vizi tipici di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, insussistenti nella specie, dato che i verbali di contestazione della violazione amministrativa erano stati emessi da personale della Polizia municipale (organo a ciò deputato), nei confronti dei soggetti intestatari dei veicoli, per eccesso di velocità;

- gli artt. 203,204,204 bis e 205 bis C.d.S., che prevedono che il destinatario di una sanzione amministrazione per violazione del codice della strada può proporre solo ricorso al Prefetto, ovvero, in alternativa, al giudice di pace e che stabiliscono come, nel caso di violazioni emerse attraverso apparecchi di rilevamento a distanza commesse da veicolo intestato a soggetto pubblico istituzionale, l'organo accertatore, in presenza di cause di esclusione della responsabilità previste dal L. n. 689 del 1981, art. 4, trasmetta gli atti al Prefetto per l'archiviazione (pag. 12 sentenza impugnata);

- La L. n. 241 del 1990, art. 21-quinquies, nel caso (improbabile) in cui si volesse qualificare l'atto come revoca, perché disposta in assenza dei presupposti di legge (pag. 13 sentenza impugnata).

7. Sono infondati i motivi in punto di assorbimento del reato di abuso di ufficio in quello di falso ideologico (quarto motivo ricorso Ri. e quinto ricorso B.).

7.1. Il testo dell'art. 323 c.p., contiene, in esordio, una c.d. clausola di riserva, che con l'espressione "salvo che il fatto non costituisca più grave reato", testualmente impone l'applicazione di una sola norma incriminatrice prevalente che si individua seguendo una logica diversa da quella di specialità (sul punto cfr. Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, in motivazione).

Tuttavia l'operatività dell'assorbimento postula l'unicità della condotta naturalistica, mentre resta impregiudicata la possibilità di ritenere sussistente, in concreto, il concorso tra i diversi reati, qualora l'agente ponga in essere una pluralità di condotte, nell'ambito di una progressione criminosa (Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, La Marca, in motivazione).

Dunque il reato di abuso di ufficio resta assorbito in quello, più grave, di falso ideologico, ma ciò a condizione che la condotta naturalistica coincida.

Quindi, da un lato, é stato ritenuto che: "Non sussiste il concorso formale tra il delitto di abuso d'ufficio e quello più grave di falso materiale in atto pubblico quando la condotta addebitata all'imputato si esaurisca nella mera commissione della falsità, stante la clausola di riserva di cui all'art. 323 c.p. - preordinata ad evitare la doppia incriminazione - la quale, con riguardo ad un unico fatto, impone di applicare esclusivamente la sanzione prevista per la fattispecie più grave, ancorché quest'ultima abbia ad oggetto la tutela di un bene giuridico diverso da quello tutelato dalla disposizione con pena meno severa" (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 13849 del 28/02/2017, Trombatore, Rv. 269482).

Mentre, dall'altro lato, la giurisprudenza di legittimità riconosce il concorso materiale, e non assorbimento dell'abuso d'ufficio nel più grave reato di falso, qualora la condotta di abuso non si esaurisca nel compimento dell'atto falso, ma costituisca una parte della più ampia condotta di abuso (Sez. 6, n. 3515 del 18/12/2019, dep. 2020, Pinto, Rv. 278324; Sez. 5, n. 45992 del 07/07/2017, 3elen, Rv. 271073).

7.2. Nella specie i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi appena illustrati laddove affermano che la condotta di falsificazione rappresenta soltanto un "un frammento della complessiva vicenda contra legem di annullamento in autotutela" (pag. 17 sentenza impugnata).

Invero alla attestazione falsa segue l'annullamento in autotutela che é condotta ulteriore e diversa dalla prima.

8. E' inammissibile il quinto motivo proposto da Ri. sui punti del diniego della causa di non punibilità dell'art. 131-bis c.p. e della circostanza attenuante di cui all'art. 323-bis c.p. in relazione al reato di abuso di ufficio.

8.1. La censura sulla mancata applicazione dell'art. 131-bis c.p. é intrinsecamente generica.

Essa fa riferimento alla modesta entità dell'offesa (che, va chiarito, é concetto diverso dalla speciale tenuità) evocando i parametri de:

- lo stato di incensuratezza, che, però, vale sotto il diverso profilo della assenza di abitualità, presupposto indiscusso;

- lo stato di buona fede, che, tuttavia, é insussistente, data la condanna per un delitto punito solo a titolo di dolo;

- l'assenza di lucro personale, che non incide sulla portata dell'offesa di una fattispecie tipica che contempla tra gli elementi costitutivi l'ingiusto vantaggio altrui.

8.2. Analoga genericità presenta la doglianza sul mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 323-bis c.p., che fa leva esclusivamente sulla "modestissima entità" del profitto del terzo (risparmio di una sanzione pecuniaria di importo tra 41,90 Euro e 54,20), senza confrontarsi con le ragioni addotte dal giudice di merito che, in linea con gli arresti della giurisprudenza di legittimità (cfr. da ultimo Sez. 6, n. 30178 del 23/05/2019, Fundarò, Rv. 276280), apprezzano il fatto nella sua globalità, ritenendo non decisa la sola entità del lucro conseguito (pagg. 17 e 18 sentenza impugnata).

9. Discende il rigetto dei ricorsi e la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.