Giu Promotore del patto mafioso
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - SENTENZA 09 luglio 2021 N. 26268
Massima
In tema di associazione mafiosa, è necessario che posizioni dirigenziali e ruoli apicali risultino in concreto esercitati e che siano riconoscibili e riconosciuti nell'ambito del sodalizio, oltre che, se esplicati a livello locale, dalle strutture gerarchicamente sovraordinate. Ne consegue che l'agevolazione del contatto fra cosche distinte può essere sintomatico di un ruolo apicale della nuova associazione che si forma, ma non necessariamente integra il più grave reato di promozione, direzione ed organizzazione del patto mafioso, previsto dall'art. 416 -bis, comma 2, c.p.

Casus Decisus
Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Palermo dichiarava un uomo responsabile del reato di cui all'art. 416 bis c.p., per aver fatto parte con il ruolo di organizzatore di una associazione mafiosa dal gennaio 2014 al 21 febbraio 2017 e la Corte di appello di Palermo confermava la condanna. Dalla valutazione del materiale investigativo era emerso l'importante contributo fornito all'associazione mafiosa dall’imputato, capace di mettere in atto i programmi immaginati dal capo mafia, a lui delegati da quest'ultimo. In particolare, era stato apprezzato il "ruolo di organizzatore" assunto dall’imputato, avendo costui costituito il ponte di collegamento tra diverse articolazioni territoriali di Cosa Nostra. Avverso la sentenza della Corte territoriale, l’imputato ricorreva in Cassazione, denunciando, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 416 bis c.p., atteso che difettavano elementi utili a dimostrare l'esistenza del vincolo associativo e soprattutto il ruolo di "organizzatore".

Annotazione
Nella sentenza in epigrafe la Suprema Corte chiarisce quando è integrato il reato di cui all’art. 416 bis, comma 2, c.p. ovvero quando un soggetto può dirsi promotore o organizzatore di un’associazione mafiosa. Nell’occasione i giudici di legittimità evidenziano che per assurgere al ruolo dirigenziale è necessario un precedente e verificato percorso da associato, oltre che il conferimento formale, ab externo, del grado apicale, che implica che esso sia riconosciuto e condiviso dalla compagine associativa e realizzi contemporaneamente quell'assoggettamento interno che, al pari dell'assoggettamento esterno, connota la fattispecie. Deve, dunque, escludersi che le caratteristiche strutturali storicamente assodate, piramidali, del sodalizio di tipo mafioso "Cosa Nostra" consentono di ipotizzare che taluno dei sodali possa acquisire il ruolo di dirigenza di un organismo locale per mera auto proclamazione o per conferimento a titolo di successione per volontà esclusiva di un singolo, senza apposita formale investitura a opera della dirigenza di livello superiore e, soprattutto, sotto l'aspetto sintomatico, senza che l'assunzione del ruolo si sia obiettivamente manifestata e abbia realizzato un effettivo risultato di assoggettamento interno. La regola è, dunque, che, indipendentemente dal riconoscimento di un ruolo genericamente definito "decisivo", è necessario che posizioni dirigenziali e ruoli apicali risultino in concreto esercitati e che siano riconoscibili e riconosciuti nell'ambito del sodalizio, oltre che, se esplicati a livello locale, dalle strutture gerarchicamente sovraordinate. Nella fattispecie in esame lo svolgimento di un ruolo effettivamente direttivo o organizzativo e il suo riconoscimento interno ed esterno non emerge con la necessaria chiarezza dalle conversazioni intercettate e dagli elementi valorizzati, che paiono tutti, invece, riferibili all'attività condivisa di un gruppo di sodali e a un rapporto fiduciario con il capo del mandamento, con conseguente esclusione della fattispecie di cui all’ art. 416 -bis, comma 2, c.p.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - SENTENZA 09 luglio 2021 N. 26268 Pres. Saraceno – est. Talerico

RITENUTO IN FATTO

 

1. Con sentenza del 29 marzo 2018, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Palermo dichiarava, per quanto qui rileva:

M.I. responsabile del reato di cui all'art. 416 bis c.p. (capo A della rubrica) per avere diretto e organizzato l'attività delittuosa del mandamento di (OMISSIS), nonché dei reati di cui ai capi B (estorsione aggravata anche ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, ai danni di C.G., L., A. e G., per averli costretti a pagare, nell'(OMISSIS), la somma di Euro 2.000,00), Euro (estorsione aggravata anche ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7 ai danni dei medesimi C.G., L., A. e G., per averli costretti a pagare, nell'(OMISSIS), la somma di Euro 1.500,00 nelle mani di T.V.) e F (reato di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 75, commesso dal (OMISSIS)) della contestazione e, ritenuta la continuazione con i reati per cui il predetto era stato condannato con sentenza del 31.10.2002 e con sentenza del 2.5.2008 della Corte di appello di Palermo, lo condannava alla pena di anni sei, mesi quattro di reclusione ed Euro 4.2000,00 di multa, già ridotta per la scelta del rito, in aumento a quella inflitta con la seconda sentenza citata; condannava, altresì, l'imputato alle pene accessorie di legge, applicandogli anche la misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di anni due, e al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili;

D.G.G. responsabile del reato di cui all'art. 416 bis c.p. (capo A della rubrica) per avere fatto parte della descritta associazione mafiosa dal gennaio 2015 al 21 febbraio 2017, ed escluse le aggravanti di cui all'art. 416 bis c.p., commi 4 e 5, concesse circostanze attenuanti generiche, operata la riduzione per la scelta del rito, lo condannava alla pena di anni quattro di reclusione, alle pene accessorie di legge e al risarcimento dei danni nei confronti delle costituite parti civili; applicava, altresì, al predetto imputato la misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di anni uno; assolveva, invece, il D.G. dai reati di estorsione aggravata contestati ai capi B, C della rubrica per non aver commesso il fatto e da quello sub capo D (detenzione e porto di un fucile con relative munizioni) perché il fatto non sussiste;

S.A. responsabile del reato di cui all'art. 416 bis c.p. (capo A della rubrica) per aver fatto parte, con il ruolo di organizzatore, della predetta associazione mafiosa dal gennaio 2014 al 21 febbraio 2017 ed escluse le circostanze aggravanti di cui all'art. 416 bis c.p., commi 4 e 5, concessegli le circostanze attenuanti generiche, operata la riduzione per la scelta del rito, lo condannava alla pena di anni sei di reclusione, alle pene accessorie di legge e al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili; applicava, altresì, al predetto imputato la misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di anni uno.

2. Con pronuncia resa in data 20 giugno 2019, la Corte di appello di Palermo decidendo sulle impugnazioni proposte dagli imputati nonché dal Centro Studi e iniziative (OMISSIS), dalle parti civili C.A., C.M., C.L., C.G. e C.G. - confermava l'appellata sentenza.

3. Evidenziavano i giudici di merito che la prospettazione accusatoria aveva preso le mosse da un'articolata attività di indagine iniziata sulla scorta dei contenuti di alcune intercettazioni ambientali carcerarie, proseguita a carico di M.I. in relazione all'estorsione programmata ai danni dell'impresa Cassano (risultata, in seguito, connessa a quella afferente l'estorsione ai danni degli imprenditori C. di Alcamo) attraverso servizi di osservazione e ulteriori intercettazioni ambientali e telefoniche; evidenziavano, altresì, che erano state acquisite agli atti anche le sentenze pronunciate nei confronti di alcuni degli imputati in quanto rappresentative del contesto socio/criminale che aveva costituito l'humus delle vicende oggetto del processo, cioè l'ambiente criminale del mandamento mafioso di Alcamo, comprensivo della famiglia di Castellammare del Golfo.

Tali emergenze investigative avevano consentito di dimostrare, sempre secondo le due concordi pronunce di merito, la persistenza di Cosa Nostra sul territorio di Alcamo e il ruolo verticistico di M.I., punto di riferimento di conclamati e pericolosi mafiosi, quali R.D. e S.M., che intratteneva rapporti con esponenti mafiosi operanti fuori dal territorio di Alcamo, come G.V., al fine di affrontare la questione dell'organizzazione mafiosa in seguito alla sua scarcerazione avvenuta nel 2012; avevano, altresì, consentito di acclarare che il M. era soggetto riconosciuto come capo mafia anche dagli imprenditori del luogo, come i C. nei confronti dei quali aveva posto in essere le estorsioni al medesimo contestate ai capi B) e C) della rubrica.

Secondo i giudici di merito, era risultato dimostrato, inoltre, il ruolo partecipativo all'associazione mafiosa del D.G.: il M. lo aveva scelto, per tre volte consecutive, come suo accompagnatore presso i C., facendolo assistere a colloqui coinvolgenti persino esponenti criminali estranei al territorio di Alcamo, come T.V.; e ciò era sintomo di "affidabilità mafiosa" ritenuta dal M. nei confronti del D.G., il quale aveva dimostrato la sua volontà di far parte dell'organizzazione mafiosa, ben conoscendo lo spessore criminale del M. e il contenuto e le ragioni degli incontri di quest'ultimo con i C., così dimostrando di condividere nel metodo e nel merito la condotta del capo mafia.

Dalla valutazione del materiale investigativo era emerso, infine, l'importante contributo fornito all'associazione di che trattasi da S.A., capace di mettere in atto i programmi immaginati dal capo mafia M. a lui delegati da quest'ultimo (in particolare gli era stata delegata l'attività di sopralluogo presso l'impresa Cassano) nel corso di riunioni segrete tenute nel retrobottega dell'esercizio commerciale messo a disposizione dall'altro sodale C.F.; rispetto alla posizione del predetto imputato, era stato apprezzato il "ruolo di organizzatore" assunto dallo stesso, avendo costui costituito il ponte di collegamento tra le diverse articolazioni territoriali di Cosa Nostra trapanese, facendo da tramite tra il M. e il mandamento di Mazara del Vallo, rappresentato da G.V..

4. Avverso la sentenza della Corte territoriale, hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di fiducia di M.I., D.G.G. e S.A..

5. L'avvocato Vito Di Graziano, nell'interesse del M., ha formulato tre distinti motivi di impugnazione.

5.1. Con il primo motivo, ha dedotto "violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all'art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6, contestato al capo A) della rubrica".

5.2. Con il secondo motivo, ha dedotto "violazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione all'art. 629 c.p., comma 2, con riguardo alle estorsioni nei confronti dei C.; capi b) e c) della rubrica".

5.3. Con il terzo motivo, dopo avere rappresentato che l'imputato è deceduto il (OMISSIS) (come da allegato certificato), ha chiesto che venga emessa declaratoria di estinzione per morte dello stesso.

6. L'avvocato Claudio Gallina Montana, nell'interesse di D.G.G., ha formulato due motivi di impugnazione.

6.1. Con il primo motivo, ha dedotto "violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione all'art. 192 c.p.p.".

Premesso che, secondo la sentenza della Corte territoriale, la prova della partecipazione del D.G. all'associazione mafiosa contestata sarebbe "data da due elementi: dal rapporto che lo stesso ha assunto nei confronti del M. in quanto si prestava ad accompagnarlo con la propria autovettura, nonché dalla circostanza che lo stesso millantasse che da grande avrebbe voluto fare il mafioso", ha sostenuto, con riguardo a quest'ultimo dato (tratto dal contenuto di una conversazione intercettata tra l'imputato e la sua fidanzata), che la mera e generica manifestazione di volontà di un soggetto di aderire al sodalizio criminoso non sarebbe dimostrativa di alcuna condotta associativa; ha, inoltre, rappresentato che la conversazione avrebbe fatto riferimento a un episodio in cui lo stesso, a causa della comprovata assunzione di sostanze stupefacenti, si sarebbe trovato in un oggettivo stato di alterazione tale da non potersi ritenere affidabili e decisive, per una pronuncia di condanna, le astratte affermazioni fatte in quel momento.

Ha, inoltre, sostenuto che la sentenza sarebbe illogica e contraddittoria nella parte in cui aveva affermato che il ruolo del D.G. quale accompagnatore del M. avrebbe consentito al predetto di partecipare a incontri riservati a fianco dello stesso M., nel corso dei quali erano state affrontate diverse questioni di interesse mafioso; ha osservato che quest'ultima affermazione sarebbe "il frutto di un travisamento dei fatti", avendo la Corte territoriale omesso di considerare che nel corso del giudizio di primo grado il D.G. era stato assolto, con formula piena, dalle condotte estorsive.

Secondo il ricorrente, inoltre, la sentenza impugnata, se avesse integralmente considerato il materiale probatorio a sua disposizione, avrebbe riscontrato esclusivamente la prova di una frequentazione del D.G. uti singulus con il M., ristretta ad alcuni episodi, non caratterizzati né da continuità né da illiceità (in molti casi il D.G. non era stato neppure disponibile agli incontri con il M.; in altri, aveva disdetto gli appuntamenti presi con rammarico e disappunto dello stesso M.); non sarebbe emerso che il D.G. avesse preso parte attiva a quei pochi incontri in cui si era limitato ad accompagnare il M. e neppure che egli fosse a conoscenza delle ragioni degli incontri stessi.

6.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto "violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione all'art. 378 c.p.".

Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata si fonderebbe su un'errata qualificazione giuridica della condotta del D.G. in termini di contributo all'associazione mafiosa, non essendovi alcun riscontro probatorio del fatto che la stessa fosse finalizzata al rafforzamento o all'esistenza dell'associazione medesima e che si fosse concretizzata in una offesa ai beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice.

7. Gli avvocati Armando Veneto e Diego Tranchida, nell'interesse di S.A., hanno formulato due distinti motivi di impugnazione.

7.1. Con il primo motivo, sono stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 416 bis c.p..

Secondo la difesa, la pronuncia impugnata avrebbe omesso di vagliare le deduzioni contenute nell'atto di appello, con le quali era stato evidenziato che il Giudice dell'udienza preliminare non avesse tratto le dovute conseguenze dai principi di diritto richiamati, pervenendo all'affermazione di responsabilità dello S. nonostante i contrari dati emergenti dalle sentenze, acquisite ex art. 238 bis c.p.p., e non considerando che: lo S. è soggetto incensurato; nessun elemento a suo carico sarebbe emerso nonostante fosse stato oggetto di attenzione investigativa nell'ambito di procedimenti penali nel 2002 e nel 2010; nessuno dei collaboratori di giustizia avrebbe mai fatto riferimento a un presunto coinvolgimento del prevenuto nella compagine associativa; non sarebbero stati accertati contatti tra costui e il M. all'indomani della scarcerazione di quest'ultimo avvenuta nel 2012 e sino al gennaio 2014, non sarebbero stati accertati contatti tra lo S. e altri presunti sodali.

Sempre secondo la difesa, non vi sarebbe prova dell'adesione dell'imputato all'associazione mafiosa in questione; non vi sarebbe prova che fosse stata programmata, seppure in fase embrionale, l'estorsione ai danni della ditta Cassano; non sarebbe noto il contenuto degli incontri tra lo S. e G.V. del 7 e del 20 luglio 2015; difetterebbero elementi utili a dimostrare l'esistenza del vincolo associativo e soprattutto il ruolo di "organizzatore", attribuito allo S., giustificato, in maniera del tutto immotivata, "per il fatto che lo stesso ha costituito il ponte di collegamento tra il M. e il mandamento di Mazzara del Vallo, rappresentato da G.V.", tanto più che lo stesso Giudice dell'udienza preliminare aveva affermato che "in considerazione delle concretamente lievi modalità della condotta e della natura del contributo organizzativo offerto (...1, il coinvolgimento di S.A. si è esaurito nell'attività di sola pianificazione e prima di allora non vi sono evenienze di un suo contributo criminale mafioso in altri reati fine".

7.2. Con il secondo motivo, i difensori dello S. hanno dedotto violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 110 e 416 bis c.p..

La motivazione con la quale la Corte ha affermato che la richiesta difensiva di riqualificazione del reato non poteva essere accolta non sarebbe, secondo la difesa, soddisfacente in considerazione dei seguenti dati: la condotta contestata sarebbe temporalmente circoscritta; l'attività estorsiva programmata sarebbe stata riconducibile a un momento di fibrillazione della cosca; non vi sarebbe prova di un organico inserimento dell'imputato nel sodalizio; non vi sarebbe prova di una condivisione da parte del predetto imputato del programma criminoso, stante la dimostrata mancata partecipazione dello stesso a fatti criminali diversi, pregressi, coevi o successivi alla programmazione dell'attività estorsiva (mai tentata né consumata) ai danni della ditta Cassano,

8. In data 26 maggio 2021, i difensori di S.A. hanno fatto pervenire presso la Cancelleria di questa Corte memoria nell'interesse del proprio assistito, con la quale hanno ribadito le argomentazioni svolte nel ricorso, censurando la sentenza impugnata con particolare riguardo al ritenuto ruolo di organizzatore attribuito al ricorrente.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

1. Il ricorso proposto dal difensore di M.I. è inammissibile per le ragioni che seguono.

Come rappresentato nel terzo motivo di impugnazione, il M. è deceduto in data il (OMISSIS), cioè successivamente alla pronuncia impugnata, emessa dalla Corte di appello in data 20 giugno 2019, e prima della proposizione del ricorso per cassazione, depositato il 6 marzo 2020.

Tale situazione comporta, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, che "l'impugnazione proposta dopo la morte dell'imputato è inammissibile per difetto di legittimazione e non può comportare né la condanna alle spese della parte privata (che, non essendo più soggetto del rapporto processuale, non può essere destinatario della statuizione), né del difensore (che, sia pur non legittimato al gravame, rappresentando la difesa tecnica, non è parte in senso tecnico e non è soggetto al principio della soccombenza)" (Cass. Sez. 2, n. 25738 del 20/03/2015, Rv. 264136; conformi: Cass. Sez. 3, n. 35217 del 11/04/2007, Rv. 237408, che ha affermato che "anche se il difensore dell'imputato ha, a norma dell'art. 571 c.p.p., comma 3, un autonomo potere di impugnazione, la sua legittimazione a impugnare viene meno con la morte dell'imputato, atteso che la stessa fa cessare gli effetti della nomina"; Cass. Sez. 3, n. 41801 del 10/07/2013, Rv. 256586).

2. Inammissibile è il ricorso proposto nell'interesse di D.G.G..

Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché fondato su censure manifestamente infondate e, comunque, non consentite nel presente scrutinio di legittimità.

E in vero, non ricorre il vizio della violazione di legge né sotto il profilo della inosservanza (per non avere il giudice a quo applicato una determinata norma in relazione all'operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della disposizione, ovvero per averla applicata sul presupposto dell'accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie), né sotto il profilo della erronea applicazione, avendo il giudice a quo esattamente interpretato la norma di cui all'art. 192 c.p.p., che attribuisce al giudice di merito esclusivamente il potere di valutazione della prova, ancorandolo soltanto alla necessità di indicazione specifica "dei risultati acquisiti e dei criteri adottati", al fine che esso non trasmodi in un uso arbitrario.

3. I giudici di merito hanno, infatti, adeguatamente spiegato le ragioni della loro decisione evidenziando che era stato lo stesso D.G., in una conversazione intercettata, intercorsa tra costui e la sua fidanzata, ad attribuirsi il ruolo di mafioso; hanno, altresì, specificato che non si trattava di "mere vanterie", come sostenuto dalla difesa, in considerazione del fatto che il "ruolo di accompagnatore e guardaspalle" di M.I. (capo mafia del mandamento di "Cosa Nostra" di Alcamo) assunto dall'imputato emergeva da una serie di risultanze investigative, compendiate nell'informativa della DIA del 30.6.2016.

Più specificatamente, secondo l'impugnata sentenza, il D.G., che si prestava ad accompagnare in auto il M., in quanto a quest'ultimo, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, era stata ritirata la patente di guida, non si era limitato a fare da autista al citato M., ma aveva partecipato a incontri riservati al suo fianco.

Le emergenze istruttorie avevano dimostrato che durante l'incontro con il M. gli imprenditori C. si erano rivolti a costui nella sua veste di autorevole capo mafia per risolvere una questione che loro ritenevano collegata ad ambienti mafiosi; nel corso della conversazione si era fatto esplicito riferimento a richieste di estorsione da parte di soggetti noti come mafiosi ed esplicitamente indicati per nome e cognome; a questo primo appuntamento ne erano seguiti altri due, entrambi con la partecipazione del D.G..

Ebbene, i giudici di merito hanno ritenuto che tali evenienze fossero il segno evidente dell'assoluta fiducia riposta dal M. nel D.G., evidenziando che proprio per detta fiducia era stato consentito al predetto di essere presente anche alla successiva fase, nel corso della quale si era concretizzata, secondo il racconto dei C., la richiesta di denaro del M., nonché all'incontro convocato da quest'ultimo allorquando aveva voluto mostrare a C.G. tutto il suo disappunto verso il fratello G., che aveva svelato a P.V. il contenuto del primo incontro segreto.

Peraltro, è stato messo in rilievo come, in occasione di un incontro tra il D.G. e il M., allorché il primo si era recato a prelevare il secondo, che si trovava presso l'abitazione del suocero, uno degli operatori di polizia giudiziaria, che stava svolgendo attività di osservazione, aveva avuto modo di sentire chiaramente il M. dire al D.G. "a chiddu ci dobbiamo dare fuoco"; i giudici di merito hanno, altresì, richiamato il significativo contenuto di un sms intercettato tra il M. e il D.G. (cfr. pag. 163 sentenza impugnata), nonché il contenuto delle conversazioni del 29.5.2016 e del 10.3.2016, riportate alle pagg. 68 e 69 sentenza di primo grado, tra il D.G. e la sua fidanzata (in particolare, il tenore della prima conversazione è stato ritenuto dai giudici di merito dimostrativo del fatto che l'imputato fosse perfettamente consapevole del contesto mafioso in cui si muoveva a fianco di M.I.), e altre importanti circostanze quali la scelta del D.G. di utilizzare il cellulare della fidanzata allo scopo evidente di evitare possibili intercettazioni.

4. Tali emergenze, secondo i giudici di merito, dovevano ritenersi sintomatiche della condotta di partecipazione del D.G. all'associazione mafiosa allo stesso contestata, essendosi l'imputato "messo a disposizione" dell'organizzazione stessa e avendo manifestato la sua intenzione mediante il contributo posto in essere nei riguardi del capo, il quale, a sua volta, nutriva nei suoi riguardi assoluta fiducia tanto da consentirgli di essere presente a incontri riservati di natura prettamente "mafiosa" al suo fianco.

La partecipazione ad associazione di stampo mafioso ben può esprimersi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, con la "messa a disposizione" dell'organizzazione criminale, purché sia ben chiaro, come nel caso di specie, che tale messa a disposizione deve rivolgersi incondizionatamente al sodalizio ed essere di natura e ampiezza tale da dimostrare l'adesione permanente e volontaria a esso per ogni fine illecito suo proprio.

La "messa a disposizione", rilevante ai fini della prova dell'adesione all'associazione mafiosa non può risolversi, pertanto, nella mera disponibilità eventualmente manifestata nei confronti dei singoli associati, a servizio di loro interessi particolari; ma ciò è stato motivatamente escluso dai giudici di merito, mentre le doglianze difensive si risolvono in censure di merito, volte a prefigurare una diversa e alternativa "lettura" della emergenze istruttorie, non consentita nel presente scrutinio di legittimità.

5. Inammissibile è il secondo motivo di ricorso perché fondato su censure manifestamente infondate.

E in vero, la condotta posta in essere dall'imputato, ricostruita dai giudici di merito nei termini in precedenza indicati, correttamente è stata sussunta sotto il paradigma di cui all'art. 416 bis c.p., in quanto la materialità della condotta tipica del delitto di partecipazione ad associazione criminosa si concreta nel compito o nel ruolo, anche generico, che il soggetto svolge o si è impegnato a svolgere nell'ambito dell'organizzazione, per portare il suo contributo all'esistenza o al rafforzamento del sodalizio criminoso, con la consapevolezza e la volontà di fare parte dell'organizzazione condividendone le finalità; mentre nel reato di cui all'art. 378 c.p. il soggetto aiuta in maniera episodica un associato, resosi autore di reati rientranti o meno nell'attività prevista dal vincolo associativo, a eludere le investigazioni della polizia o a sottrarsi alle ricerche di questa.

6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso del D.G. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - non escludendosi profili di colpa nella proposizione della impugnazione (cfr. Corte Cost. sent. n. 186 del 2000) - al versamento in favore della Cassa delle ammende della somma che la Corte determina nella misura congrua ed equa di Euro tremila.

Il D.G. va, altresì, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili indicate in dispositivo e liquidate nella misura in esso riportata.

7. La sentenza impugnata va, invece, annullata con rinvio per nuovo giudizio con riguardo alla posizione processuale di S.A..

A giudizio del Collegio, infatti, carente appare la motivazione riguardante il delitto di cui all'art. 416 bis c.p., comma 2; secondo approdi ormai consolidati, le ipotesi dell'art. 416 bis c.p., commi 1 e 2, sono da riferire a strutture criminose strutturalmente differenziate e di carattere tra loro alternativo, che hanno in comune il solo riferimento ad un'associazione di tipo mafioso, sicché la condotta di chi promuove, dirige o organizza l'associazione costituisce fattispecie autonoma di reato e non circostanza aggravante della partecipazione all'associazione medesima (cfr. Cass. Sez. 5, n. 8430 del 21/02/2014, Rv. 258304; Cass. Sez. 2, n. 40254 del 12/06/2014, Rv. 260444).

Tanto comporta che, non dovendosi in questa sede valutare la mera sussistenza di un'aggravante, bensì la configurabilità di una fattispecie autonoma di reato addebitabile in via esclusiva allo S., non sono allo stato rilevanti le doglianze difensive, peraltro per tale aspetto, nella sostanza, generiche, rivolte anche al ruolo di (eventuale) mero partecipe.

Costituisce nozione presupposta della fattispecie di cui all'art. 416 bis c.p., le cui connotazioni sono specificamente di natura storico - sociologica, una modalità di formazione dell'associazione di stampo mafioso, che non può che derivare da un processo di sedimentazione e consolidamento della capacità di intimidazione e delle condizioni di assoggettamento e omertà interne ed esterne che la contraddistinguono, cui è necessariamente connessa una strutturazione gerarchica per soggezione - adesione o affiliazione, avanzamenti e gradi, che rende indispensabile per assurgere al ruolo dirigenziale un precedente e verificato percorso da associato, oltre che il conferimento formale, ab externo, del grado apicale, che implica che esso sia riconosciuto e condiviso dalla compagine associativa e realizzi contemporaneamente quell'assoggettamento interno che, al pari dell'assoggettamento esterno, connota la fattispecie (cfr. Cass. Sez. 6. N. 40530 del 31/05/2017, Rv. 271482).

Deve, dunque, escludersi che le caratteristiche strutturali storicamente assodate, piramidali, del sodalizio di tipo mafioso "Cosa Nostra" consentono di ipotizzare che taluno dei sodali possa acquisire il ruolo di dirigenza di un organismo locale per mera auto proclamazione o per conferimento a titolo di successione per volontà esclusiva di un singolo, senza apposita formale investitura a opera della dirigenza di livello superiore e, soprattutto, sotto l'aspetto sintomatico, senza che l'assunzione del ruolo si sia obiettivamente manifestata e abbia realizzato un effettivo risultato di assoggettamento interno.

La regola (non solo di diritto, ma anche di ordine logico e sistematico) è, dunque, che, indipendentemente dal riconoscimento di un ruolo genericamente definito "decisivo", è necessario che posizioni dirigenziali e ruoli apicali risultino in concreto esercitati e che siano riconoscibili e riconosciuti nell'ambito del sodalizio, oltre che, se esplicati a livello locale, dalle strutture gerarchicamente sovraordinate.

La dimostrazione di un effettivo esercizio di tale ruolo, così come di un suo significativo riconoscimento esterno, anche solo per elementi sintomatici, difetta nella motivazione della sentenza impugnata.

In essa si afferma (per vero, assertivamente) che il ricorrente avrebbe assunto un importante ruolo di collegamento tra il M. e G.V., capo del mandamento di Mazara del Vallo; che sarebbe stato delegato dal M. a occuparsi della richiesta estorsiva in danno della ditta Cassano, non prima di avere acquisito notizie circa l'assolvimento, da parte della stessa, dei propri obblighi in favore di altro gruppo mafioso.

Si rimarcano: la duratura e reiterata messa a disposizione dell'imputato a favore della famiglia mafiosa di Alcamo e del suo reggente, con il quale aveva incontri riservati nei locali messi a disposizione da altro associato; le particolari cautele adottate in occasione dei medesimi, il ricorso a linguaggio criptico nelle comunicazioni, il riferimento in alcune di esse al G. e ai rapporti con esso intrattenuti da S..

Ma lo svolgimento di un ruolo effettivamente direttivo o organizzativo e il suo riconoscimento interno ed esterno non emerge con la necessaria chiarezza dalle conversazioni intercettate e dagli elementi valorizzati, che paiono tutti, invece, riferibili all'attività condivisa di un gruppo di sodali e a un rapporto fiduciario con il capo del mandamento.

Appare, infine, e in ogni caso, davvero inspiegata la circostanza che, a fronte della militanza contestata come risalente a gennaio 2014, lo S., nel giro di qualche mese, possa essere, tanto rapidamente, assurto al ruolo apicale di organizzatore, in apparente contrasto con i criteri di esperienza concernenti l'ingresso e l'ascesa ai vertici di un sodalizio mafioso.

La sentenza impugnata va, pertanto, annullata con riferimento all'ipotesi di cui all'art. 416 bis c.p., comma 2, (che, invero, non appare oggetto nemmeno di contestazione ma di implicita riqualificazione da parte del giudice di primo grado, cui quello di appello ha prestato adesione), con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo perché proceda a nuovo giudizio, attenendosi ai principi enunciati e colmando le lacune segnalate.

Restano, allo stato, assorbite, ma non precluse, le residue censure.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di S.A. con riferimento al ritenuto reato di cui all'art. 416 bis c.p., comma 2 con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo. Dichiara inammissibile il ricorso di M.I.. Dichiara inammissibile il ricorso di D.G.G., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, altresì, D.G.G. alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili: (OMISSIS) e Associazione (OMISSIS), assistite dall'avv. Giuseppe Novara, spese che liquida in complessivi Euro 5.200,00 oltre accessori come per legge; Associazione (OMISSIS) Onlus, Comune di Castellammare del Golfo, spese che liquida in complessivi Euro 3.600,00 per ciascuna di esse, oltre accessori come per legge; Associazione (OMISSIS) ammessa al patrocinio a spese dello Stato, spese che liquida in Euro 3.600,00, oltre accessori come per legge, disponendone il pagamento in favore dell'Erario.