Giu Insider trading di se stesso
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 11 agosto 2021 N. 31507
Massima
Ai fini dell'abuso di informazioni privilegiate, di cui all’art. 184 del d.lgs. n. 58 del 1998, non viene in rilievo la creazione di un'informazione ma la realizzazione di un'iniziativa non ancora nota al mercato (nella specie, un’OPA) destinata ad essere, piuttosto, oggetto dell'informazione, posto che tale iniziativa, se nota, sarebbe idonea ad incidere sulle condizioni del mercato.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 11 agosto 2021 N. 31507 Pres. Palla – est. De Marzo

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 15/01/2019 la Corte d'appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado, nella parte in cui aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia C.L., C.V. e A.I., in relazione al reato di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 184, comma 1, lett. a), per avere (il primo quale socio di controllo della C. s.p.a. e della (OMISSIS) s.r.l., nonché di presidente del consiglio di amministrazione della prima società; il secondo, nella qualità di amministratore delegato della C. s.p.a.; il terzo nella qualità di amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l.) disposto, mediante la (OMISSIS) s.r.l. l'acquisto di 1.875.350 azioni della C. s.p.a., realizzando un illecito profitto pari ad Euro 138.229 Euro, in quanto in possesso, per gli incarichi ricoperti, di un informazioné privilegiata costituita dal progetto di OPA funzionale al delisting della C. s.p.a.. In parziale riforma della decisione di primo grado, la Corte d'appello ha ridotto la durata delle pene accessorie. 2. Nell'interesse dei tre imputati è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo si lamenta nullità della sentenza, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, agli artt. 111 e 117 Cost., agli artt. 49,50 e 52, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (d'ora, innanzi, CDFUE), all'art. 649 c.p.p.. Si censura, in particolare, la decisione della Corte territoriale, la quale, pur riconoscendo la sussistenza dell'idem factum e della natura sostanzialmente penale delle sanzioni irrogate nei confronti (della (OMISSIS) s.r.l. e) degli odierni ricorrenti dalla Consob - sanzioni oggetto di procedimento giurisdizionale definito con sentenza n. 24310 del 16/10/2017 della II sezione civile di questa Corte -, ha, tuttavia, escluso la sussistenza di un secondo, vietato giudizio, concentrando la sua attenzione sul solo profilo della "proporzionalità" (in termini che sono criticati con l'ottavo motivo di ricorso) e trascurando i restanti parametri indicati dall'elaborazione giurisprudenziale sovranazionale (con particolare riguardo alla decisione della Grande camera della Corte Europea dei diritti dell'uomo 15/11/2016, A e B c. Norvegia, e ai successivi, coerenti sviluppi) ed Eurounitaria, puntualizzata nei termini di cui si dirà infra. Si osserva che, all'esito di una ricognizione astratta della giurisprudenza della Corte Europea, non illuminata dall'esame dei profili concreti delle vicende oggetto di decisione, e comunque senza cenno alcuno alla sentenza 18/05/2017, Johannesson c. Islanda (il cui impianto è poi stato confermato dalla successiva sentenza 16/04/2019, Bjarni Armansson c. Islanda), la Corte territoriale non aveva operato alcuna verifica concreta del profilo della necessaria connessione temporale dei procedimenti ("sufficiently close connection in substance and time"). Nel caso di specie, avendo riguardo al momento decisivo in cui la sanzione era divenuta eseguibile, il requisito era assente, poiché: a) le sanzioni amministrative sono state irrogate con provvedimento Consob, immediatamente esecutivo e non sospeso, del 15/05/2011, laddove la condanna penale era stata emessa, all'esito del giudizio di primo grado, in data 12/11/2015; b) l'irrevocabilità del provvedimento della Consob era intervenuta con il deposito della ricordata sentenza della Cassazione civile, ossia in data 16/10/2017, resa a seguito di ricorso proposto sin dal 2013, all'esito del deposito della sentenza del 29/10/2013 della Corte d'appello di Bologna. Si aggiunge che, fermo il carattere assorbente della violazione denunciata, sia in sé considerata, sia sotto il profilo dell'omessa motivazione, la Corte territoriale era incorsa, con riguardo al profilo dedotto, in altra violazione di legge, nel momento in cui aveva ritenuto di cogliere nell'interazione tra i due set procedimentali - e, in particolare, nella utilizzazione delle risultanze del procedimento amministrativo, oggetto di distinto motivo di ricorso -, un elemento positivo, per essere stata evitata la duplicazione di attività nella ricerca e nella valutazione della prova. Si osserva, al riguardo, che l'integrazione probatoria deve consistere nell'utilizzazione in sede amministrativa della prova acquisita dinanzi all'autorità giudiziaria, ossia deve tradursi in una utilizzazione legittima, giacché, diversamente opinando, si vanificherebbe la tutela di altro diritto fondamentale della persona, ossia quello al giusto processo, assicurato dalle norme che nell'ordinamento domestico presidiano siffatta posizione (art. 220 disp. att. c.p.p.). Nella prospettiva indicata, i ricorrenti rilevano che l'attenzione rivolta dalle sentenze della Corte di Giustizia UE del 20/03/2018 (Grande Sezione, Menci, C524/15; Garlsson Real Estate SA e altri contro Consob, C-537/16; Di Puma contro Consob e Consob contra Zecca, C-596/16 e C-597/16) al requisito della proporzionalità non vale a superare le più analitiche condizioni cumulative individuate dalla giurisprudenza di Strasburgo: ciò sia in generale, sia perché le decisioni della Corte di giustizia focalizzano la loro attenzione sui sistemi normativi e non costruiscono la ratio decidendi sulla valutazione analitica del fatto. Del resto, si osserva, siffatta conclusione trova conferma nella giurisprudenza delle Corti nazionali, dalla sentenza 02/03/2018, n. 43 della Corte costituzionale, per giungere a Sez. 5, n. 45829 del 21/06/2018. 2.2. Con il secondo motivo si lamenta nullità, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione agli artt. 111 e 117 Cost., all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (d'ora innanzi, CEDU), all'art. 220 disp. att. c.p.p., all'art. 191 c.p.p.. Si critica, in particolare, la decisione della Corte territoriale di disattendere le censure che erano state rivolte in relazione alla utilizzazione della relazione Consob del 24/10/2010 e dei relativi allegati, incorporanti elementi assunti, ai sensi del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 187 octies, (t.u.f.), per via dichiarativa e riconducibili a tre tipologie: a) dichiarazioni rese dagli imputati; b) dichiarazioni rese da terzi; c) dichiarazioni scritte, formalmente riconducibili a persone giuridiche, ma sostanzialmente provenienti da persone fisiche non identificate e ignote. La doglianza investe entrambi gli argomenti utilizzati dalla Corte d'appello per respingere la censura. Si osserva: a) che il rilievo - destinato a superare le diverse considerazioni del primo giudice - secondo il quale l'inquadramento della critica "pare corretto", ma condurrebbe ad effetti contrari al requisito dell'interazione probatoria tra i procedimenti indicato dalla citata sentenza A e 8 c. Norvegia, oltre all'illogicità manifesta derivante dalla circolarità del ragionamento, si traduce in una violazione dell'art. 117 Cost., e dell'art. 6 della CEDU; b) che la seconda considerazione (genericità del rilievo e comunque non rilevanza della questione sui profili della conoscibilità e della ricostruzione dell'arco temporale concernente la progressione del processo decisionale) finiva assertivamente per sottrarsi alle critiche con le quali nell'atto di impugnazione, attraverso un esame delle risultanze acquisite, si era osservato come la concatenazione temporale e il significato degli eventi nel periodo ritenuto rilevante (ossia, tra il dicembre 2007 e fine marzo 2008) potevano essere tratti unicamente dalle non utilizzabili fonti dichiarative. Si ribadisce: a) che il P.M. non aveva compiuto alcun atto di indagine e non aveva escusso in dibattimento alcuna delle fonti dichiarative utilizzate dal Tribunale; b) che lo stesso, unico teste d'accusa, il Dott. P. della Consob non aveva neppure proceduto all'assunzione delle prove dichiarative, talché non poteva neppure essere considerato come teste de relato. Da ultimo, si osserva che le superiori conclusioni, poiché attengono al rispetto delle regole attinenti alla formazione della prova nell'oralità e nel processo penale, non sono scalfite dall'origine Eurounitaria della disciplina che governa l'azione della Consob, in seno al procedimento sanzionatorio amministrativo, e dalle sanzioni che assistono l'obbligo di cooperazione con l'autorità di vigilanza: e ciò in disparte i rilievi svolti sul punto dall'ordinanza della Corte Cost. 10/05/2019, n. 117. 2.3. Con il terzo motivo si lamenta nullità ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 27 e 110 c.p., ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c), in relazione agli artt. 111 e 117 Cost., all'art. 6 della CEDU, all'art. 220 disp. att. c.p.p., agli artt. 191 e 192 c.p.p., art. 533 c.p.p., comma 1, art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), nonché, infine, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), sia con riferimento all'impatto dell'inutilizzabilità delle fonti dichiarative sul percorso argomentativo concernente il ritenuto contributo concorsuale degli imputati, sia con riguardo ai criteri di valutazione della prova impiegati a tal fine. Si sottolinea l'assenza di motivazione sul tema appena indicato (con profili di particolare evidenza nel caso di C.L., assente nell'ambito delle riunioni ritenute rilevanti, assente dal contesto degli acquisti incriminati e neppure ascoltato dalla Consob), anche nella prospettiva dell'articolazione della "prova di resistenza". 2.4. Con il quarto motivo si lamenta nullità, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all'art. 111 Cost., agli artt. 191,192 e 533 c.p.p.; nonché, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, sotto il profilo del criterio di valutazione della fonte dichiarativa indiziaria e indiretta, a fronte di prove testimoniali di segno contrario, dirette e di contenuto rappresentativo, anche in relazione al principio del ragionevole dubbio. Si osserva che, anche ipotizzando l'utilizzabilità di elementi dichiarativi indiretti, promanantì da fonti che non era stato possibile esaminare in contraddittorio, difetta nella sentenza una valutazione esplicita - ossia assoggettabile a verifica critica - delle fonti disponibili. Chiarito che il thema probandum, alla luce dell'art. 181, comma 3, lett. a) t.u.f., è dato dall'elemento costitutivo della precisione dell'informazione avente ad oggetto un evento price sensitive non ancora esistente, da apprezzarsi nel quadro di un processo decisionale a formazione progressiva (nel caso di specie, il futuro lancio dell'OPA totalitaria, dipendente da un evento intermedio anch'esso non esistente, ossia il finanziamento richiesto e accompagnato dalla condizione di non concedere agli istituti di credito il pegno sul pacchetto di maggioranza), si rileva: a) che il criterio della prognosi postuma oggettiva sulla concreta possibilità di realizzazione deve tener conto delle informazioni intermedie via via disponibili; b) che le prove dichiarative assunte in dibattimento attraverso l'audizione dei funzionari di banca avevano confermato la problematicità della richiesta del finanziamento non assistito dalla indicata concessione del pegno; c) che la sentenza impugnata, al pari di quella di primo grado, non aveva indicato i criteri di organizzazione della valutazione della prova, finendo per privilegiare fonti indirette, dalle quali nulla era dato apprendere, quanto al contenuto delle riunioni intercorse, ossia rendendo non conoscibile il reale percorso argomentativo seguito. Il carattere meramente speculativo della motivazione è denunciato rilevando: a) che, secondo la sentenza impugnata, l'esistenza di una decisione di lanciare I'OPA sarebbe stata "plausibile" già il 14/01/2008 (data, peraltro, successiva all'inizio degli acquisti incriminati), alla stregua di elementi che sono privi di correlazione con il tema specifico della maturazione delle sub-condizioni necessarie per la sua praticabilità; b) che, peraltro, la riunione tenuta in quest'ultima data non avrebbe condotto ad alcun risultato, visto che le trattative con BNP Paribas si sarebbero interrotte un mese dopo, proprio per l'inflessibile condizione posta dal C. di conservare il controllo del pacchetto di maggioranza; c) che, a fronte di tale dato oggettivo, la sentenza impugnata, pur di individuare una giustificazione a posteriori, aveva assertivamente osservato che i C. erano in grado di esercitare, nei confronti delle banche, le prerogative derivanti dalla rilevante posizione occupata nel mercato italiano; d) che, anche volendo riconoscere che la precisione della notizia - e il conseguente inizio delle inibizioni operative - dovesse collocarsi in un momento antecedente alla data nella quale il comitato di credito Unicredit aveva deliberato di approvare il finanziamento - poi stipulato il 14/04/2008 -, comunque la sentenza non aveva ancorato a dati processuali l'accertamento di siffatto momento e aveva anzi trascurato di considerare le ricordate prove dichiarative assunte in dibattimento; e) che il profilo assumeva particolare rilievo, visto che gli acquisti incriminati, tutti pacificamente dichiarati all'autorità di vigilanza, si erano esauriti ben prima della delibera interna, la cui assunzione era stata preceduta da contrapposte visioni anche all'interno dell'istituto bancario; f) che le considerazioni della sentenza impugnata, secondo cui non sarebbero ravvisabili, nella sfera soggettiva degli imputati, finalità diverse dallo sfruttamento della previsione dell'OPA, oltre a non poter razionalmente completare un nucleo argomentativo meramente speculativo, collidevano con le spiegazioni alternative plausibili prospettate con l'atto di appello e non confutate dalla Corte territoriale (convenienza immediata dell'investimento, nel convincimento che l'accordo con JBS, dichiarato al mercato, avrebbe liberato un valore non compreso immediatamente dal mercato stesso - ma che pure aveva indotto gli analisti a mutare le raccomandazioni da hold ad accumulate -, in tal modo inducendo ad assumere un indebitamento - diverso da quello necessario per l'OPA totalitaria incompatibile, per importo e durata, con un orizzonte di ragionevole prevedibilità dell'avveramento delle pre-condizioni dell'OPA); g) che il fatto che l'atteso apprezzamento del titolo non si fosse verificato è profilo irrilevante, sia perché occorre operare una valutazione ex ante, sia perché le regole dell'ambito operativo di rilievo si fondano sulle previsioni degli analisti, sia, infine, perché i consulenti della difesa aveva chiarito che l'aumento di valore di un titolo, a seguito della rivisitazione dei target price è evento da attendere nell'orizzonte temporale di un anno circa. 2.5. Con il quinto motivo si lamenta nullità, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 25 Cost., all'art. 1 c.p., agli artt. 181 e 184 t.u.f., nonché, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per contraddittorietà della motivazione, con riferimento all'individuazione del carattere di precisione dell'informazione privilegiata nei processi decisionali a formazione progressiva. Si rileva che, alla luce delle indicazioni della sentenza 28/06/2012 della Corte di Giustizia Ue, Markus Geltl c. Daimier, il carattere di precisione dell'informazione privilegiata non può essere fondato sull'intensità della volizione soggettiva dell'agente, quando essa sia contrastata dal contesto reale, con la conseguenza che nella sede processuale deve essere individuato, con l'applicazione delle regole di cui agli artt. 191 e 533 c.p.p., e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), il momento in cui sia verificata una qualche maturazione oggettiva dei presupposti del progetto: diversamente, si realizza un deragliamento dai necessari binari della concretezza della base oggettiva della prognosi postuma e, in ultima analisi, per quanto qui rileva, si rinuncia, in violazione del principio di legalità, all'accertamento di uno degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice. 2.6: Con il sesto motivo si lamenta nullità, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 25 Cost., all'art. 1 c.p., agli artt. 181 e 184 t.u.f., contestando la penale rilevanza della condotta di compiere operazioni su titoli da parte di soggetto che sia a conoscenza della propria decisione di realizzare, in relazione ai titoli medesimi, una futura operazione price sensitive (cd. insider di se stesso). Si osserva: a) che siffatta soluzione interpretativa, recepita dalla sentenza in rassegna, contrasta con il dato letterale della norma incriminatrice che assegna rilievo all'informazione (ossia non solo al contenuto, ma anche e necessariamente all'elemento che obiettivizza la rappresentazione), al possesso della stessa (che ne presuppone l'altruità), al rapporto causale tra la qualità dell'insider primario e il possesso dell'informazione (che vale ad escludere l'integrazione dell'elemento costitutivo della fattispecie, se l'agente genera la notizia, giacché, in tal caso, la causa del conoscere dipende dall'agire o dal pensare e non dall'appartenenza alle categorie soggettivamente enucleate dalla legge e dal collegato contatto comunicativo; b) che, a fronte della chiarezza del dato letterale, non è ammissibile una indebita utilizzazione, in malam partem, del criterio della finalità di tutela; c) che, nell'ambito penalistico (anche se forse non in quello Eurounitario e in quello amministrativo) la figura in esame pone un problema di determinatezza e precisione, poiché il contenuto di una mera rappresentazione interna sarebbe privo della precisione rilevante per esprimere la price sensitivity, richiesta dal legislatore e, in definitiva, non sarebbe processualmente accertabile. 2.7. Con il settimo motivo si lamenta nullità, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 27 Cost., all'art. 43 c.p., agli artt. 181 e 184 t.u.f.; nonché, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), con riferimento all'elemento psicologico del reato, da apprezzarsi alla luce sia del significato letterale della previsione, sia dell'esperienza soggettiva del fallimento delle trattative inaugurate nel gennaio 2008, in vista del finanziamento dell'OPA, sia della spiegazione alternativa formulata, quanto alle previsioni degli analisti sulla convenienza degli acquisti operati in termini di assoluta trasparenza. 2.8. Con l'ottavo motivo, in via subordinata, si lamenta nullità, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 24 Cost., art. 27 Cost., comma 3, artt. 111 e 117 Cost., all'art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU, agli artt. 49,50 e 52 della CDFUE, all'art. 187 terdecies t.u.f.; nonché, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), con riferimento alla ritenuta proporzionalità complessiva del trattamento sanzionatorio. Ribadita l'autonomia concettuale dell'aspetto sostanziale del principio, si osserva che l'art. 187 terdecies t.u.f. concerne il solo cumulo delle pene pecuniarie, non incidendo sulla rilevanza della pena detentiva e delle pene accessorie, nella valutazione della complessiva proporzionalità della risposta sanzionatoria, da operare anche attraverso una disapplicazione in mitius della norma. Si aggiunge che, nel caso di specie, le sanzioni amministrative pecuniarie risultano molto distanti dal minimo edittale previsto dagli artt. 187-ter e 187-quater t.u.f., giacché, rispetto ad una cornice edittale che spazia da un minimo di 20.000 Euro ad un massimo di 5.000.000 di Euro, è stata applicata la sanzione di 600.000 Euro per C.V. e L. e di 100.000 Euro per A.I. e quella accessoria, ex art. 187 quater t.u.f., della durata di quattro mesi per ciascuno dei primi due e di due mesi per il terzo. Le sanzioni penali inflitte non risultano assestate sul minimo edittale: a) per C.V. e L., tre anni di reclusione, 150.000 Euro di multa e la pena accessoria, ai sensi dell'art. 186 t.u.f., dell'interdizione dai pubblici uffici e dagli uffici direttivi delle persone giuridiche nonché dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per tre anni; b) per l' A., due anni di reclusione, la multa di 50.000 Euro e pene accessorie per la durata di due anni. In tale contesto, poiché la ritenuta proporzionalità è stata argomentata dalla Corte d'appello in termini non razionalmente controllabili, si propugna l'applicazione del metodo seguito da una recente sentenza di merito, che ha valorizzato l'art. 187-terdecies t.u.f., previa conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, con applicazione delle modalità di calcolo di cui all'art. 135 c.p., o, in subordine, si prospetta questione di legittimità costituzionale dell'art. 187 terdecies t.u.f, nella parte in cui non prevede un meccanismo di decurtazione della pena detentiva dalla sanzione amministrativa pecuniaria precedentemente inflitta, o ancora, la necessità di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, per eventuali chiarimenti interpretativi con riferimento alla seguente questione: "se l'art. 50 CDFUE osti alla possibilità di celebrare un procedimento penale avente ad oggetto un fatto (insider trading) per cui il soggetto abbia riportato sanzione amministrativa irrevocabile, qualora di tale sanzione amministrativa non si sia tenuto adeguatamente conto nella complessiva commisurazione della pena irrogata all'esito del procedimento penale". 2.9. Con il nono motivo si lamenta nullità, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 27 Cost., agli artt. 133,114 e 62 bis c.p.; nonché, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio, sottolineando: a) che la sentenza impugnata non si era confrontata con i profili fattuali e giuridici richiamati nell'atto di appello, né aveva considerato che il Tribunale aveva assegnato rilievo all'"entità non minimale del profitto lucrato" (criterio non menzionato dall'art. 133 c.p.) e non aveva apprezzato la circostanza - riconosciuta dallo stesso primo giudice - che nessuno degli imputati aveva tratto dalla vicenda un profitto personale; b) che neppure erano stati considerati i puntuali argomenti devoluti, in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante di cui all'art. 114 c.p., e comunque al contenimento della pena, in termini tali da consentire la concessione della sospensione condizionale della pena. 2.10. Con il decimo motivo si lamenta nullità, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 187 undecies t.u.f.; nonché, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza di motivazione, in relazione alle statuizioni civili. Si rileva che il riferimento dell'art. 187 undecies t.u.f. al danno arrecato all'integrità del mercato non può, per la sua indeterminatezza, consentire di individuare un danno aquiliano ed evoca l'astratto concetto di offesa al bene giuridico protetto dalle disposizioni incriminatrici, finendo per confondere e sfocare i piani della compensazione e della sanzione, con conseguente individuazione di un terzo binario schiettamente repressivo e incidenza sul tema della proporzionalità della risposta dell'ordinamento all'illecito. L'alternativa interpretativa proposta è quella di cogliere nella previsione del t.u.f. il rilievo assegnato ad un danno all'immagine della Consob, in ragione della percezione, da parte dei consumatori, dell'efficacia dell'azione dell'autorità di vigilanza: profili, tuttavia, in relazione ai quali manca ogni allegazione o prova delle quali era onerata la parte civile. In via subordinata, si prospetta violazione di legge, in relazione alla determinazione del quantum, con riferimento tanto alla valorizzazione della potenziale plusvalenza anziché all'utile effettivo, quanto alla mancata considerazione dei restanti criteri previsti dalla norma. 3. Sono state depositate memoria nell'interesse della parte civile Consob, memoria del P.G. e memoria di replica nell'interesse degli imputati.

 

Considerato in diritto

 

1. Il primo motivo è infondato. Va premesso che i vizi di motivazione indicati dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non sono mai denunciabili con riferimento alle questioni di diritto, non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l'intervenuta violazione di legge (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 - 05). Ciò posto, la questione sollevata sotto il profilo della violazione di legge impone di considerare la cornice di riferimento nella quale si è sviluppata la giurisprudenza di Strasburgo, muovendo proprio dalle indicazioni della sentenza della Grande Camera A. e B. c. Norvegia del 15/11/2016 che, per l'autorevolezza della fonte, consente di cogliere il fine garantistico perseguito e di illuminare il significato dei presupposti alla cui ricorrenza è subordinata la compatibilità del doppio binario sanzionatorio con le prescrizioni dell'art. 4 del Protocollo n. 7. In particolare, la Grande Camera, chiarito che siffatte prescrizioni non precludono la possibilità di irrogare sanzioni all'esito di procedimenti distinti, ha sottolineato la necessità che questi ultimi siano uniti da un "nesso materiale e temporale sufficientemente stretto" e ha aggiunto: "Questo significa non solo che gli scopi perseguiti e i mezzi utilizzati per raggiungerli devono essere in sostanza complementari e presentare un nesso temporale, ma anche che le eventuali conseguenze derivanti da una tale organizzazione del trattamento giuridico del comportamento in questione devono essere proporzionate e prevedibili per la persona sottoposta alla giustizia" (par. 130). Per quanto concerne la connessione materiale, la Grande Camera ha specificato (par. 132) che occorre verificare: a) se i diversi procedimenti perseguano scopi complementari e riguardino in tal modo, non soltanto in abstracto ma anche in concreto, aspetti diversi dell'atto pregiudizievole; b) se il carattere misto dei procedimenti in questione sia una conseguenza prevedibile, sia in diritto che in pratica, dello stesso comportamento sanzionàto (idem); c) se i procedimenti in questione siano stati condotti in maniera da evitare per quanto possibile qualsiasi ripetizione nella raccolta e nella valutazione degli elementi di prova, soprattutto grazie a una interazione adeguata tra le diverse autorità competenti, facendo apparire che l'accertamento dei fatti compiuto in uno dei procedimenti è stato ripreso nell'altro; d) soprattutto, se la sanzione imposta all'esito del procedimento conclusosi per primo sia stata tenuta presente nell'ambito del procedimento che si è concluso per ultimo, in modo da non finire con il far gravare sull'interessato un onere eccessivo, rischio, quest'ultimo, che è meno suscettibile di presentarsi se esiste un meccanismo compensatorio concepito per assicurare che l'importo globale di tutte le pene pronunciate sia proporzionato. Il concorrente e altrettanto importante requisito della connessione temporale viene esaminato nel par. 134 della sentenza citata, laddove si chiarisce che esso non richiede che i due procedimenti debbano essere condotti simultaneamente dall'inizio alla fine, giacché "lo Stato deve avere la facoltà di scegliere che i due procedimenti siano condotti progressivamente se tale procedura è giustificata da un intento di efficacia e di buona amministrazione della giustizia, persegue finalità sociali diverse e non causa un pregiudizio sproporzionato all'interessato. Tuttavia, come è stato già precisato, deve esservi sempre un nesso temporale. Quest'ultimo deve essere sufficientemente stretto affinché la persona sottoposta alla giustizia non si trovi in preda all'incertezza e a lungaggini e affinché i procedimenti non si protraggano troppo nel tempo (si veda, come esempio di lacuna di questo tipo, Kapetanios e altri, sopra citata, p. 67), anche nell'ipotesi in cui il regime nazionale pertinente preveda un meccanismo "integrato" che comporti un elemento amministrativo e un elemento penale diversi. Quanto più il nesso temporale è debole, tanto più lo Stato dovrà spiegare e giustificare le lungaggini di cui potrebbe essere responsabile nel condurre i procedimenti". La Grande Camera sottolinea, inoltre, la necessità di valutare se le sanzioni non formalmente penali non siano riconducibili al "nucleo essenziale" del diritto penale, poiché, "se, a titolo supplementare, tale procedimento non ha carattere veramente infamante, vi sono meno possibilità che faccia gravare un onere sproporzionato sull'accusato" (par. 133). La correlazione tra il requisito della connessione temporale e l'onere rappresentato per l'interessato dalla sottoposizione ad una pluralità dei procedimenti emerge anche nell'ambito della giurisprudenza Eurounitaria (v., ad es., il par. 53 della sentenza 20/03/2018, Menci, C-524/15, laddove si legge che è necessaria "l'esistenza di norme che garantiscano una coordinazione finalizzata a ridurre a quanto strettamente necessario l'onere supplementare che un siffatto cumulo comporta per gli interessati"). Senza ripercorrere in modo analitico puntualizzazioni estranee alla questione sollevata con il primo motivo, è qui sufficiente considerare che la Corte costituzionale ha recepito tale quadro giurisprudenziale (v., in particolare, i punti 6 e 7 del Considerato in diritto della sentenza 02/03/2018, n. 43; la tematica è stata poi ripresa da Corte Cost. 24/10/2019, n. 222, nel par. 2.1. del Considerato in diritto). In tale contesto, poiché il fine della connessione temporale è quello di evitare al destinatario l'onere della sottoposizione ad una pluralità di procedimenti, appare evidente che un riferimento astratto al momento della eseguibilità della sanzione non ha fondamento, potendo dipendere da una pluralità di fattori (anche correlati a scelte processuali dell'interessato: e, infatti, si veda il cenno in tale senso nel par. 151 della sentenza A. e 8. c. Norvegia; nella giurisprudenza interna, si veda la considerazione svolta da Sez. 5, n. 397 del 22/11/2019 - dep. 09/01/2020, Rosso, Rv. 278155 - 01, al punto 3 del Considerato in diritto, quanto alla scelta del destinatario di non impugnare la sanzione amministrativa) che non implicano di per sé una mancanza di coordinamento - nei meccanismi processuali, come nella loro concreta applicazione - idonea a incidere sulla posizione del destinatario. Non casualmente la sentenza della Corte Europea 8 ottobre 2020, Bareie c. Croazia, dopo avere ripercorso le coordinate interpretative della ricordata sentenza A. e 8. c. Norvegia, attribuisce rilievo, nel par. 45 della motivazione, alla data di inizio del procedimento amministrativo e di quello penale, aggiungendo che quest'ultimo, dopo essere avanzato parallelamente al primo per quattordici mesi, era proseguito per altri sei anni e dieci mesi. E questa circostanza, secondo la Corte di Strasburgo, non ha comportato in sé un venir meno del requisito della connessione temporale, in quanto il più ampio periodo richiesto dal procedimento penale non poteva essere considerato sproporzionato, abusivo o irragionevole, alla luce della maggiore complessità di quest'ultimo. Il che introduce anche il tema della rilevanza del corredo di garanzie che accompagnano la verifica dell'attribuibilità di un reato ad un soggetto. In questa linea interpretativa si è collocata Sez. 3, n. 4439 del 14/01/2021, Cella, non massimata, secondo la quale il requisito della connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta va valutato prendendo le mosse proprio dal momento di avvio dei procedimenti "i quali, essendo governati da regole e principi affatto diversi, hanno necessariamente tempi di definizione non coincidenti, anche in regione delle differenti modalità di formazione ed acquisizione della prova e dei mezzi di impugnazione previsti nei rispettivi ordinamenti". A identiche conclusioni sul punto è giunta Sez. 2, n. 5048 del 09/12/2020 - dep. 09/02/2021, Russo, Rv. 280570 - 0, che ha assegnato rilievo appunto alla data di avvio dei procedimenti. Certamente, come si vedrà subito infra, il dato iniziale non esaurisce l'oggetto della valutazione, ma ne rappresenta un momento fondamentale proprio in ragione della specifica esigenza di garanzia che la norma, così come interpretata dalla giurisprudenza, mira ad assicurare al destinatario di essere esposto indefinitamente a procedimenti aventi ad oggetto lo stesso fatto. I ricorrenti invocano a sostegno delle loro doglianze la sentenza 18/05/2017, Jóhannesson e altri c. Islanda, che, tuttavia, pur operando un cenno al momento in cui la sanzione amministrativa era divenuta eseguibile, effettua un'analisi molto più articolata, nel quale assume significato decisivo il lasso temporale intercorso tra la data in cui si era concluso il procedimento amministrativo (settembre 2007) e quella in cui si era esaurito il processo penale (febbraio 2013), senza che, da parte del Governo, fossero fornite spiegazioni e giustificazioni del ritardo (par. 54 della sentenza). La sentenza 16/04/2019 Bjarni Armannsson c. Islanda, anch'essa invocata dai ricorrenti, attribuisce rilievo al lasso di tempo intercorso tra la conclusione del procedimento amministrativo (agosto 2012) e il momento della formalizzazione dell'accusa (dicembre 2012). Peraltro, la lettura della giurisprudenza di Strasburgo, come ricordato da Sez. U, n. 8544 del 24/10/2019 - dep. 03/03/2020, Genco, Rv. 278054 - 01, alla stregua della giurisprudenza della Corte costituzionale (22/07/2011, n. 236; 26/03/2015, n. 49), impone di considerare la vocazione casistica dei suoi interventi decisori, legati alla situazione concreta esaminata e del loro flusso continuo di produzione in riferimento ad una pluralità e varietà di corpi legislativi di riferimento. In tale contesto, diviene decisivo rilevare, muovendo dalla cornice garantistica della sentenza della Grande Camera A. e B. c. Norvegia, che il coordinamento temporale nella presente vicenda è stato assicurato dal momento: a) che i due procedimenti hanno preso le mosse in momenti sostanzialmente coincidenti e si sono svolti in parallelo; b) che la pronuncia della Corte d'appello di Bologna, nel procedimento di opposizione alla sanzione amministrativa, è stata depositata il 29/10/2013, laddove la sentenza di primo grado in sede penale è del.12/11/2015, mentre quella di secondo grado è del 15/01/2019 e segue di poco più di un anno la decisione di questa Corte del 16/10/2017, con riferimento al tema della sanzione amministrativa. Il ricorso dinanzi alle sezioni penali della Corte è giunto in data 09/07/2019 ed è stato deciso nell'aprile del 2021 per effetto delle misure adottate a seguito del diffondersi della pandemia. Prima di trarre le conclusioni di sintesi sul motivo, occorre poi ribadire, con Sez. 5, n. 49869 del 21/09/2018, Chiarion Casoni, Rv. 274604 - 0, che le sanzioni amministrative comminate per l'abuso di informazioni privilegiate non sono riconducibili al "nucleo duro" del diritto penale (ossia non si presentano come connotate da particolare attitudine stigmatizzante). La giurisprudenza costituzionale ha invero messo in luce come la riconducibilità di una sanzione formalmente amministrativa alla materia penale secondo i canoni convenzionali non comporti la riferibilità tout court a detta sanzione dell'apparato di garanzie proprio della sanzione penale in senso stretto: infatti, "ciò che per la giurisprudenza Europea ha natura "penale" deve essere assistito dalle garanzie che la stessa ha elaborato per la "materia penale"; mentre solo ciò che è penale per l'ordinamento nazionale beneficia degli ulteriori presidi rinvenibili nella legislazione interna", non essendo precluso al legislatore interno il riconoscimento di determinate garanzie al (solo) "nucleo più incisivo del diritto sanzionatorio, rappresentato dal diritto penale, qualificato come tale dall'ordinamento interno" (Corte Cost. 24/02/2017, n. 43). In ultima analisi, ritiene la Corte che le garanzie procedurali dirette ad assicurare il più ampio svilupparsi del contraddittorio e l'esistenza di una correlazione (sulla questione generale, si veda il par. 57 della sentenza della Corte di giustizia 20/03/2018, Garlsson Real Estate Sa, C-537/16) sul piano probatorio (nei termini che verranno chiariti nell'esame del secondo motivo e, pertanto, nei limiti assicurati dalla legittima acquisizione del materiale istruttorio raccolto in sede amministrativa), puntualmente sottolineata anche dalla sentenza impugnata, consentano di escludere che il contemporaneo svolgersi dei due procedimenti abbia pregiudicato la garanza assicurata dalla regola del ne bis in idem al destinatario dell'attività statale di non essere esposto ad un peso eccessivo, in dipendenza dell'assenza di una unica risposta sanzionatoria. Le questioni legate alla proporzionalità della risposta sanzionatoria verranno affrontate nell'esame dei motivi che le investono direttamente. 2. Il secondo motivo e', nel suo complesso, infondato. E' certamente esatto che la correlazione procedimentale non può tradursi in un arretramento delle garanzie che esprimono l'attuazione dei principi del giusto processo, quali codificati nell'art. 111 Cost., e nell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. La ricostruzione del principio del ne bis in idem e, in particolare, l'esigenza sopra ricordata di evitare, per quanto possibile, qualsiasi ripetizione nella raccolta e nella valutazione degli elementi di prova intende assicurare un'ulteriore garanzia al destinatario delle iniziative sanzionatorie e non aggravarne la posizione, suggerendo o imponendo scorciatoie probatorie sottratte al contraddittorio. Ora, l'art. 220 disp. att. c.p.p., pone senz'altro una generale questione di inutilizzabilità dei risultati probatori acquisiti nell'ambito di attività ispettive o di vigilanza, ove, s'intende, l'inutilizzabilità o la nullità dell'atto sia autonomamente prevista dalle norme del codice di rito a cui l'art. 220 disp. att. rimanda (Sez. 3, n. 6594 del 26/10/2016 - dep. 13/02/2017, Pelini, Rv. 269299 - 01; Sez. 3, n. 54379 del 23/10/2018, G., Rv. 274131 - 0). Così la norma indicata solleva un problema - che è devoluto attraverso il motivo di ricorso - di utilizzazione a fini probatori di dichiarazioni raccolte nel procedimento - del quale si assume la necessaria correlazione con quello anche formalmente penale - al di fuori del contraddittorio. A proposito delle relazioni ispettive della Consob, questa Corte ha reiteratamente precisato (Sez. 5, n. 4324 del 08/11/2012 - dep. 29/01/2013, Dall'Aglio, Rv. 254325 - 0), che hanno natura documentale rispetto ai dati oggettivi in essa rappresentati (Sez. 6, n. 10996 del 17/02/2010, Vanacore, Rv. 246686; Sez. 5, n. 14759 del 02/12/2011, Fiorani, Rv. 252300). Per vero, siffatte decisioni si preoccupano principalmente di escludere la rilevanza delle valutazioni rispetto ai dati oggettivamente rilevati. E, tuttavia, occorre considerare che il documento rappresentativo di un atto descrittivo o narrativo può fungere da prova soltanto qualora la dichiarazione documentata rilevi di per sé come fatto storico, e non esclusivamente come rappresentazione di un fatto, poiché in tale ultima ipotesi, essa va acquisita e documentata nelle forme del processo, risultando altrimenti violato il principio del contraddittorio (Sez. 2, n. 29645 del 14/09/2020, D'Annibale, Rv. 279857 01). In tali casi, come chiarito più volte da questa Corte (Sez. 3, n. 3397 del 23/11/2016 - dep. 24/01/2017, Macor Rv. 269180 - 01; Sez. 1, n. 12305 del 15/01/2020, Gagliardi, Rv. 278696 - 0), non si tratta di negare la natura documentale dell'atto, giacché, secondo quanto precisato da Corte Cost. 30/03/1992, n. 142, l'art. 234 c.p.p., nel consentire l'acquisizione nel processo come prove documentali "di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo", identifica e definisce il documento - così come precisato nella Relazione al progetto preliminare del nuovo codice - "in ragione della sua attitudine a rappresentare". E ciò senza discriminare tra i diversi mezzi di rappresentazione e le differenti realtà "rappresentate" e, in particolare, senza operare distinzioni tra rappresentazione di fatti e rappresentazione di dichiarazioni, con la conseguenza che, in linea di principio, può costituire prova documentale, e, come tale, può trovare ingresso nel processo penale, qualsiasi documento che riproduca, unitamente ad altri dati, dichiarazioni di scienza. Ma la natura e l'attitudine del documento a rappresentare sono cosa diversa dal contenuto della dichiarazione incorporata nel documento stesso e perciò dovendosi, secondo una accreditata impostazione dottrinale, distinguere tra il contenuto e il contenente, ossia tra il documento e la dichiarazione. D'altro canto, dall'art. 111 Cost., comma 4, si trae il diritto dell'imputato a confrontarsi con l'autore della dichiarazione, anche se essa è contenuta in un documento. E, tuttavia, la doglianza finisce per risultare inammissibile, in quanto, attraverso un'astratta descrizione delle caratteristiche tipologiche delle fonti utilizzate dalla relazione Consob e senza considerare la documentazione presente presso le società coinvolte e le registrazioni degli ordini di acquisto (che pure, per quanto emerge dalla sentenza di primo grado, è entrata a far parte del materiale probatorio), si sottrae all'onere di specificità che deve caratterizzare il ricorso. Questa Corte ha ripetutamente chiarito, a partire da Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416 - 01, che, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato. E siffatta conclusione va apprezzata soprattutto con riferimento alle considerazioni che verranno svolte di seguito, nell'esame del quarto motivo, a proposito del contenuto dell'informazione privilegiata della quale si tratta - ossia dell'individuazione del thema probandum-, la cui precisione, può sin da ora anticiparsi, non può essere fatta discendere dall'avveramento delle condizioni che avrebbero condotto allo specifico finanziamento infine sottoscritto il 14/04/2008. 3. Per ragioni di economia espositiva, è opportuno esaminare il terzo motivo, dopo l'analisi del quarto, del quinto, del sesto e del settimo, che investono la stessa individuazione degli elementi, oggettivi e soggettivi, della fattispecie e la cui valutazione consentirà di riprendere in termini maggiormente documentati la questione della piattaforma probatoria utilizzata e dell'emersione dei profili di responsabilità dei vari imputati. 4. In particolare, il quarto e il quinto motivo, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione, pongono la questione, assolutamente preliminare, del carattere di precisione che deve rivestire l'informazione privilegiata il cui abuso, nel compimento delle operazioni descritte dall'art. 184, comma 1, lett. a), del t.u.f. è stato contestato agli imputati. Come ribadito dalla Corte di Giustizia con la sentenza 28/06/2012, Markus Geltl c. Daimler A.G., C-19/11, a proposito dell'interpretazione da dare all'art. 1, punto 1, della direttiva 2003/6/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato, l'"informazione privilegiata" va intesa come "un'informazione che ha un carattere preciso, che non è stata resa pubblica e che concerne, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti di strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari ovvero sui prezzi di strumenti finanziari derivati connessi". Il 3 considerando della direttiva 2003/124/CE della Commissione, del 22 dicembre 2003, recante modalità di esecuzione della direttiva 2003/6 per quanto riguarda la definizione e la comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate e la definizione di manipolazione del mercato, sottolinea che "occorre accrescere la certezza del diritto per i partecipanti al mercato, definendo in modo più preciso due degli elementi essenziali della definizione di informazione privilegiata, ossia il carattere preciso dell'informazione e l'importanza del suo impatto potenziale sui prezzi degli strumenti finanziari o degli strumenti finanziari derivati connessi". Proprio siffatto considerando illumina la lettura dell'art. 1, par. 1, della direttiva 2003/124, secondo il quale un'informazione ha carattere preciso qualora siano soddisfatti due requisiti cumulativi: a) da un lato, l'informazione deve riferirsi ad un complesso di circostanze esistente o di cui si possa ragionevolmente ritenere che verrà ad esistere o ad un evento verificatosi o di cui si possa ragionevolmente ritenere che si verificherà; b) dall'altro, essa deve essere sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto di detto complesso di circostanze o di detto evento sui prezzi degli strumenti finanziari o di strumenti finanziari derivati ad essi connessi. Poiché le nozioni di "complesso di circostanze" e di "evento" non sono definite in tale direttiva, occorre, secondo la Corte di Giustizia, fare riferimento al loro significato comune. Ora, secondo la sentenza in esame, una fase intermedia di una fattispecie a formazione progressiva (vengono menzionate, traendole dalle esemplificazioni di cui all'art. 3, par. 1, della direttiva 2003/124, le negoziazioni in corso nonché le decisioni adottate o i contratti conclusi dall'organo direttivo di un emittente, la cui efficacia sia subordinata all'approvazione di un altro organo dell'emittente) può essa stessa costituire un complesso di circostanze o un evento secondo il significato comunemente attribuito a tali espressioni. Tale conclusione è rafforzata dalla considerazione - sulla quale si avrà modo di tornare a proposito della rilevanza penale del cd. insider di stesso - per la quale la direttiva 2003/6 ha lo scopo, come in particolare ricordato nei suoi considerando 2 e 12, di assicurare l'integrità dei mercati finanziari dell'Unione e di accrescere la fiducia degli investitori in tali mercati. Tale fiducia riposa, in particolare, sul fatto che essi saranno posti su un piano di parità e tutelati contro l'utilizzazione illecita delle informazioni privilegiate e le manipolazioni dei prezzi di mercato. In definitiva, un'informazione relativa ad una fase intermedia che si iscrive in una fattispecie a formazione progressiva può rappresentare un'informazione avente carattere preciso, con la puntualizzazione che siffatta interpretazione non vale soltanto per le fasi che esistono già o che si sono già prodotte, bensì riguarda anche, conformemente all'art. 1, par. 1, della direttiva 2003/124, le fasi di cui si può ragionevolmente ritenere che esisteranno o che si verificheranno. D'altra parte, l'informazione deve essere sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto del complesso di circostanze o dell'evento sui prezzi degli strumenti finanziari in questione. Soprattutto esaminando la seconda questione pregiudiziale che le era stata sottoposta la Corte di giustizia ha osservato, sempre alla luce della finalità di tutela dell'integrità del mercato finanziario e di accrescere la fiducia degli investitori, che, impiegando l'espressione "si possa ragionevolmente ritenere", l'art. 1, par. 1, della direttiva 2003/124 ha riguardo alle circostanze e agli eventi futuri di cui appare, sulla base di una valutazione globale degli elementi già disponibili, che vi sia una concreta prospettiva che essi verranno ad esistere o che si verificheranno. La ricostruzione della Corte di giustizia appare fondamentale per intendere il significato della nozione di informazione privilegiata, quale recepita, all'epoca dei fatti, nell'art. 181 t.u.f. e oggi codificata nell'art. 7, par. da 1 a 4 del regolamento (UE) n. 596/2014 del 16/04/2014 cui rinvia l'attuale art. 180, comma 1, lett. b ter t.u.f. In particolare, il ricordato art. 181 t.u.f. disponeva, per quanto ora rileva: 1. Ai fini del presente titolo per informazione privilegiata si intende un'informazione di carattere preciso, che non è stata resa pubblica, concernente, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari. 3. Un'informazione si ritiene di carattere preciso se: a) si riferisce ad un complesso di circostanze esistente o che si possa ragionevolmente prevedere che verrà ad esistenza o ad un evento verificatosi o che si possa ragionevolmente prevedere che si verificherà; b) è sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto del complesso di circostanze o dell'evento di cui alla lettera a) sui prezzi degli strumenti finanziari. 4. Per informazione che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di strumenti finanziari si intende un'informazione che presumibilmente un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni di investimento. L'informazione - dotata dei ricordati caratteri di precisione - deve riguardare, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti o strumenti finanziari o più strumenti finanziari e deve essere tale, ove fosse resa pubblica, da influire in modo sensibile sul prezzo di tali strumenti. E' in tale cornice di riferimento che i giudici di merito nel presente processo hanno svolto le loro valutazioni, ancorandole non a meri soggettivi propositi confinati nel foro interno dei protagonisti, ma a solidi dati oggettivi. Questi ultimi sono razionalmente rappresentati non - all'evidenza - dallo specifico processo decisionale che ha condotto all'approvazione, prima, e alla stipulazione, dopo, del finanziamento che ha sostenuto l'OPA (giacché in tal caso, l'operazione finale sarebbe stata individuabile in termini di sostanziale certezza), ma da una serie di passaggi operativi che, indipendentemente dallo specifico contenuto di questa o quella riunione, sono apparsi rappresentare l'attuazione del progetto di delisting che, suggerito alla proprietà già nel 2007, era stato approfondito, in relazione agli aspetti societari e fiscali, ed era stato reso improcrastinabile dall'accordo concluso, nel dicembre dello stesso anno, con il gruppo brasiliano (OMISSIS). Il permanere, anche dopo quest'ultima operazione, del cd. holding discount, nonostante la significativa riduzione dell'indebitamento consolidato per circa trecento milioni di Euro, e lo svolgersi di trattative in un contesto nel quale il dinamismo operativo rivelato dalla pluralità di controparti bancarie contattate in brevissimo periodo dimostra la ferma determinazione di giungere al risultato dell'OPA (questo essendo l'evento futuro oggetto dell'informazione privilegiata e non la concretizzazione - in un modo o nell'altro - delle modalità negoziali del correlato finanziamento) rende del tutto prevedibile l'evento stesso, nei termini richiesti dall'art. 181 t.u.f. all'epoca vigente. Soprattutto, va segnalato - e la circostanza verrà ripresa nel prosieguo - che la prospettiva dell'OPA era certamente idonea ad influenzare il corso dei titoli, come confermato dal fatto - sottolineato anche dalla sentenza di primo grado -, che nella seduta di borsa del 31/03/2008, successiva alla diffusione del comunicato nel quale era annunciata la promozione dell'OPA al prezzo di 3,00 Euro, si era registrato un incremento del prezzo delle azioni da 2,63 Euro a 2,97 Euro e una mole di scambi dimostrativa dell'eccezionale rilievo attribuito dal mercato alla notizia. Si tratta di esiti coerenti con l'ordinario andamento del mercato e il rilievo ordinariamente price sensitive della comunicazione di un'OPA, secondo quanto riferito dal teste P.. Dalle superiori considerazioni che identificano il thema demonstrandum discende l'infondatezza, nel loro complesso, delle critiche sviluppate nel quarto motivo, le quali tutte ruotano attorno alla tesi - non condivisibile - per la quale si sarebbe dovuto avere riguardo al momento in cui era divenuta di ragionevole verificazione la sub-condizione dell'evento - finanziamento non accompagnato dalla costituzione del pegno sul pacchetto di maggioranza. In tale contesto, sono del tutto generiche le critiche rivolte con il quarto motivo alla sentenza impugnata, laddove quest'ultima sottolinea, alla luce del testo di una email inoltrata da M.D. di (OMISSIS) Group a P.P. ((OMISSIS)) e Cesare Buzzi ((OMISSIS) Group), che era C.V. a scegliere i propri finanziatori e non viceversa, proprio per la caratura del gruppo. Ma soprattutto le doglianze finiscono per confrontarsi con il dato che le garanzie potevano essere realizzate anche in modi diversi - infatti puntualmente riscontrati nel caso concreto - attraverso garanzie costituite sulle società controllate. Ma v'e' di più. Il dubbio ragionevole di cui all'art. 530 c.p.p., comma 1, deve identificarsi in una ricostruzione della vicenda non solo astrattamente ipotizzabile in rerum natura, ma la cui plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. E' dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalità, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 - dep. 03/04/2018, Troise, Rv. 272430). Nel caso di specie, l'ipotesi che gli acquisti dei titoli incriminati siano da ricondurre ad una scelta di investimento fondata sulle ragionevoli previsioni degli analisti è stata razionalmente smentita dalle sentenze di merito, alla luce dei seguenti dati, da leggere, per le ragioni che si diranno, in termini unitari: a) il fatto che la media dei prezzi ufficiali nel mese di dicembre 2007 (2,43 Euro ad azione), ossia nel periodo in cui è stato richiesto il finanziamento attraverso il quale si sarebbero realizzati gli acquisti incriminati, non si discostava dalla media dei prezzi del 2007 (2,46 Euro) ed era persino maggiore della media del secondo semestre (2,27 Euro), confermando l'assenza di una particolare convenienza dell'acquisto; b) la repentinità e aggressività degli acquisti (emergente in modo eloquente dalle conversazioni registrate e valorizzate in particolare dalla sentenza di primo grado), sostenuti da un finanziamento di ben ventuno milioni e mezzo di Euro (del tutto irragionevole in relazione alle caratteristiche del mercato, ossia al limitato volume delle azioni disponibili rispetto alla disponibilità all'acquisto) e iniziati in fretta, quando ancora la (OMISSIS) non disponeva di un conto titoli presso Banca Akros, al punto che li aveva fatti acquistare dalla banca per poi rilevarli successivamente fuori mercato; c) l'abbandono del programma a misura che si avvicinava la fine del percorso di allestimento dell'OPA; d) la correlazione temporale tra il lancio operativo delle trattative per la ricerca del finanziamento funzionale all'OPA e gli acquisti in esame. E, come si accennava, siffatta valutazione delle risultanze istruttorie risponde al fondamentale canone valutativo che deve guidare il giudice nell'apprezzamento dei risultati probatori e che gli impone l'esame di tutti e ciascuno degli elementi processualmente emersi, non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, verificando se essi, ricostruiti in sé e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante, che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verità processuale, ossia la verità del caso concreto (Sez. 2, n. 32619 del 24/04/2014, Pipino, Rv. 260071). D'altra parte, tramite gli acquisti effettuati tra il 09/01 e il 20/02/2008 la (OMISSIS) ha conseguito una plusvalenza, costituita dalla differenza tra il prezzo di acquisto dei titoli e il costo che essi avrebbero avuto in seno all'OPA, di 1.357.959 Euro. Il valore di 138.000 Euro rappresenta l'utile contabile, in quanto la (OMISSIS), nell'aprile del 2008, aveva poi ceduto le azioni acquistate alla società chiamata ad porre in essere l'OPA (la C. Investimenti) al prezzo "definito internamente al gruppo" di 2,34 Euro ad azione. Ma il fatto che il profitto si sia esaurito nella dimensione economica di gruppo non elide l'imponente valore sottratto al mercato attraverso le vendite aggressive delle quali s'e' detto e che rappresenta a posteriori ulteriore elemento di conferma logica della ricostruzione operata dai giudici di merito. 5. Il sesto motivo è infondato. Va premesso che, secondo quanto osservato dalla dottrina che si è occupata dell'ermeneutica (in generale e giuridica in particolare), oggetto dell'interpretazione, per l'inevitabile vaghezza o ambiguità di senso delle singole parole, è l'enunciato (nella specie, normativo) considerato nel suo insieme e non la somma dei singoli termini che lo compongono. E, infatti, l'art. 12 preleggi chiarisce che, nell'applicare la legge, non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore. Ne discende, sul piano metodologico, che la connessione delle singole parole orienta l'interpretazione, al pari della finalità perseguita dal legislatore, nei limiti in cui, s'intende, essa si sia obiettivata nella formula normativa. E, infatti, come ribadito dalla già ricordata sentenza Sez. U., n. 8544 del 24/10/2019, Genco, l'interpretazione non deve varcare la "linea di rottura" col dato positivo ed evadere da questo e solo in questi limiti assume un ruolo centrale nella precisazione del contenuto e della latitudine applicativa della norma e assolve sostanzialmente una funzione integrativa della medesima. Dal canto suo, la Corte costituzionale ha sottolineato (vedi, ad es., ord. 21/12/2018, n. 243) che il principio di determinatezza in materia penale, consacrato dall'art. 25 Cost., comma 2, assume una duplice direzione, perché non si limita a garantire, nei riguardi del giudice, la conformità alla legge dell'attività giurisdizionale mediante la produzione di regole adeguatamente definite per essere applicate, ma assicura a chiunque "una percezione sufficientemente chiara ed immediata" dei possibili profili di illiceità penale della propria condotta. D'altra parte, l'inclusione nella formula descrittiva dell'illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti elastici, non comporta un vulnus del principio di determinatezza, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta al giudice - avuto riguardo alle finalità perseguite dall'incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca - di stabilire il significato di tale elemento mediante un'operazione interpretativa non esorbitante dall'ordinario compito a lui affidato, permettendo, al contempo, al destinatario della norma, di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo (Corte Cost. 20/12/2019, n. 278). Ora, in tal modo precisato l'ambito entro il quale l'attività interpretativa deve svolgersi, si osserva che l'informazione altro non è se non insieme di dati descrittivi della realtà; il termine può anche indicare l'attività di raccolta e trasmissione delle informazioni, ma siffatta componente dinamica non elide la componente statica sopra ricordata (e, in questi termini, si è espressa questa Corte, con la sentenza n. 24310/2017, sopra citata, nel parallelo procedimento avente ad oggetto le sanzioni amministrative irrogate in relazione alla medesima vicenda; nello stesso senso, si veda anche, sempre della Cassazione civile, Sez. 2 n. 8782 del 12/05/2020, Rv. 657699 - 02). Invero, l'esigenza espressa dalla doglianza - ossia escludere che possa configurarsi il possesso di rappresentazioni proprie - è frutto di una scelta di valore e non il risultato di una considerazione del significato proprio del termine, anche isolatamente considerato. E basti pensare al fatto che in astratto è difficilmente dubitabile che possa qualificarsi come una informazione la conoscenza che l'omicida abbia del luogo in cui ha occultato il cadavere. E riprova dell'uso del termine "informazione" da parte del legislatore nel senso qui recepito si trae, ad es., dalla giurisprudenza in tema di applicazione dell'art. 316 ter c.p., laddove si è ritenuto che è configurabile il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche e non quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis c.p.) in una vicenda in cui all'imputato era contestata solamente la mancata comunicazione all'I.N.P.S. del proprio trasferimento all'estero, fatto implicante la perdita del diritto all'assegno sociale (Sez. 2, n. 47064 del 21/09/2017, Virga, Rv. 271242 - 01): è chiaro in questo caso che il termine "informazione" utilizzato dal legislatore indica sia la comunicazione che il dato di conoscenza, ancorché quest'ultimo sia rappresentativo di una realtà prodotta dal medesimo soggetto obbligato. Certamente come dato di conoscenza è usato il termine nella fattispecie incriminatrice di cui all'art. 371 bis c.p., o nel successivo art. 375 c.p.. Peraltro, a conforto della tesi qui accolta, va osservato che era piuttosto la L. 17 maggio 1991, n. 157, art. 2, comma 1, a sanzionare il compimento di operazioni su valori mobiliari, qualora l'autore fosse in possesso di informazioni riservate ottenute in virtù della partecipazione al capitale di una società ovvero in ragione dell'esercizio di una funzione, anche pubblica, professione o ufficio. La circostanza che poi che nella costruzione dell'illecito penale rilevino ordinariamente vicende di trasmissione o di mancata trasmissione di informazioni attiene al carattere relazionale del diritto e alla normale irrilevanza della mera conoscenza di notizie. Quanto poi alla tesi difensiva secondo la quale l'elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice che viene in rilievo nel presente processo non sarebbe integrato se il soggetto genera l'oggetto - notizia perché in tal caso la causa del conoscere dipende dall'agire e dal pensare e non dall'appartenenza alle categorie soggettive indicate dal legislatore nel delineare la fattispecie incriminatrice, si osserva: a) che, a fronte del carattere polisenso del termine "informazione", essa conferma la necessità di rendere oggetto dell'interpretazione l'enunciato normativo nella sua interezza; b) che, per il resto, la conclusione è fondata su un argomento non condivisibile, dal momento che - e sul punto si avrà modo di tornare subito infra - l'essere in possesso di informazioni "in ragione" di determinati ruoli, partecipazioni o attività, ai sensi dell'art. 184, comma 1, t.u.f. non orienta in alcun modo l'interprete verso una alterità tra fonte produttiva del fatto conosciuto e soggetto titolare dell'informazione. In realtà, è solo considerando la finalità perseguita dalla normativa Eurounitaria e dal legislatore interno che si trae l'unico significato ragionevole e perfettamente aderente alla lettera della previsione. L'obiettivo dell'intervento normativo, come si è sopra osservato, è quello di garantire l'integrità dei mercati finanziari dell'Unione e di accrescere la fiducia degli investitori in tali mercati, assicurando che questi ultimi siano posti su un piano di parità e tutelati contro l'utilizzazione illecita delle informazioni privilegiate e le manipolazioni dei prezzi di mercato. E allora, in un'economia di mercato, è del tutto ragionevole che non sia configurato un "abuso" di informazioni privilegiate quando la condotta rappresenti la mera attuazione di una decisione economica dell'operatore, ossia, per utilizzare l'espressione contenuta nel 30 considerando della direttiva 2003/6 sopra citata, quando venga in rilievo la realizzazione della preliminare decisione di acquisizione o la cessione di strumenti finanziari (regola oggi contenuta nell'art. 9.5 del regolamento (Ue) n. 596/2014 del 16/04/2014 relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato). Ma tale non è il caso che viene in rilievo nel presente processo, dal momento che altro è la decisione di procedere ad un'OPA, altro è il rastrellamento - operato con le caratteristiche sopra ricordate - dei titoli, una volta assunta la decisione menzionata e iniziate le trattative per definirne le modalità operative e prima che essa divenisse di pubblico dominio, provocando le indicate alterazioni del corso dei titoli, al fine di lucrare il differenziale di prezzo. In siffatta vicenda non emerge affatto lo sfruttamento di una mera decisione interna, ma una condotta che, rispetto ad un progetto ormai ragionevolmente prevedibile come destinato ad essere attuato, mira ad alterare la condizione di parità degli investitori, consentendo di conseguire prezzi di acquisto non altrimenti più ottenibili. In altri termini, l'informazione sfruttata non coincide genericamente con un mero proposito dell'agente, ma ha ad oggetto un insieme di circostanze quantomeno di ragionevole verificazione e sufficientemente specifiche da poter influire sui prezzi dei valori oggetto dell'attività negoziale dell'autore. E la condotta descritta dalla norma è assolutamente comprensibile e prevedibilmente determinata proprio attraverso il ricordato carattere della precisione. In queste vicende - e una volta intese nei sensi sopra ricordate le indicazioni del 30 considerando della direttiva 2003/6 (come pure dell'art. 9.5 del regolamento (Ue) n. 596/2014) - risulta non adeguatamente calibrata la tesi secondo cui il riferimento della disciplina legale (art. 184, comma 1, t.u.f.) alla qualità soggettiva dell'agente dovrebbe imporre di distinguere quei soggetti che possiedono un'informazione privilegiata per averla, loro stessi, creata o elaborata e che la impiegano al fine di migliorare le condizioni attuative del fatto gestionale che ne costituisce l'oggetto, dalla più ampia categoria degli insider, che sfruttano in maniera parassitaria l'informazione agevolmente appresa, sottraendosi così dal paradigma rischio-rendimento, intrinseco in ogni operazione di negoziazione. Avendo come punto di riferimento non generali scelte assiologiche, ma la esplicita finalità della normativa comunitaria e interna di garantire l'integrità dei mercati e la parità di condizione degli investitori, nei termini sopra ricordati, si osserva: a) che qui non viene in rilievo la creazione di un'informazione ma un'iniziativa non ancora nota al mercato (l'OPA) destinata ad essere, piuttosto, oggetto dell'informazione, la quale, in quanto abbia i ricordati caratteri della precisione, è idonea, se nota, ad incidere sulle condizioni del mercato; b) che riconoscere che l'utilizzazione dell'informazione privilegiata serve a migliorare le condizioni attuative del fatto gestionale significa appunto riconoscere l'abuso di informazioni privilegiate, nel senso che la gestione del fatto gestionale sul mercato oggetto di regolamentazione avviene non in condizioni di parità con gli altri operatori; c) che non si comprende per quali ragioni giuridicamente fondate, nell'ambito delle categorie soggettive delineate dall'art. 184, comma 1, t.u.f., dovrebbero isolarsi soltanto coloro che sfruttino "parassitariamente" l'informazione. D'altra parte, è appena il caso di osservare che a conclusioni contrarie non può condurre il fatto che altre previsioni normative facciano riferimento ad informazioni acquisite da soggetti terzi o informazioni riguardanti attività di terzi (come, ad es., secondo parte della dottrina, dovrebbe desumersi dal 25 considerando o dall'art. 7.1, lett. d) del cit. reg. 596/2014). Ed infatti tali indicazioni normative non sono affatto incompatibili né sul piano letterale, né sul piano logico, né infine sul piano giuridico con le superiori considerazioni, giacché investono specifiche ipotesi di abuso di informazioni privilegiate, che il legislatore comunitario identifica per chiarire alcune ipotesi rilevanti, senza per questo escluderne altre che ricadano nelle regole generali. In conclusione, la norma incriminatrice non punisce chi disponga di una mera posizione privilegiata derivante dalla possibilità di meglio leggere, valorizzare, interpretare informazioni, ivi incluse quelle di pubblico dominio, delle quali disponga, ma colui che, come nel caso di specie, essendo a conoscenza, in ragione delle qualità soggettive indicate dal legislatore, di eventi price sensitive nei termini sopra precisati, sfrutti siffatta conoscenza per operare in condizioni di disparità con gli altri investitori, finendo per danneggiare un valore (la fiducia nella trasparenza dei mercati), che mira ad incentivare e a non scoraggiare l'afflusso e la circolazione dei capitali nell'interesse degli stessi imprenditori interessati al loro utilizzo per iniziative produttive. 6. L'individuazione dei connotati materiali e cronologici dell'aggressiva condotta di rastrellamento dei titoli della C. s.p.a da parte della (OMISSIS) s.r.l. prima della comunicazione della decisione di procedere all'OPA, una volta inquadrata la portata applicativa della fattispecie incriminatrice, consente di superare, anche ricordando quanto considerato supra sub 2 con un giudizio di infondatezza i dubbi sollevati nel terzo motivo. Deve aggiungersi, quanto al tema della responsabilità di C.L. (sulla responsabilità del figlio Vincenzo e dell' A., alla luce della qualità operativa indicata e del tenore delle conversazioni e delle email indicate soprattutto nella sentenza di primo grado, non si coglie nel ricorso alcuna critica specifica), che la doglianza è di assoluta genericità, rispetto ad un apparato motivazionale della sentenza che non valorizza la mera posizione dell'imputato, socio di controllo della C. s.p.a (della quale era anche presidente) e della (OMISSIS) s.r.l., ma il carattere macroscopico delle operazioni delle quali si tratta (da un lato, la decisione di procedere al delisting e le stesse questioni sorte per la scelta strategica di non costituire il pegno sul pacchetto di maggioranza della C. s.p.a., dall'altro la richiesta di un finanziamento di circa ventuno milioni di Euro e un'operazione di massiccia acquisizione di titoli), tali da rendere evidente la partecipazione, sul piano oggettivo e, per quanto si dirà subito infra, anche sul piano soggettivo, dell'imputato. 7. Infondato è il settimo motivo. Premesso che la prova dell'elemento soggettivo può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell'azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato (v. in generale, Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Giunchiglia, Rv. 279908 - 01), si osserva che le considerazioni svolte supra a proposito della manifesta implausibilità della spiegazione alternativa del rastrellamento delle azioni del quale si discute valgono a superare ogni dubbio quanto alla coscienza e volontà degli imputati di operare illecitamente. Peraltro, che si trattasse di condotta idonea a presentarsi come palese manipolazione del mercato è conclusione che trova conferma straordinaria nella percezione in diretta degli interlocutori della conversazione del 15/01/2008. Infine, del tutto irrilevante è la questione del fallimento delle trattative inaugurate nel gennaio 2008, alla luce del sopra menzionato accertamento dei giudici di merito quanto al potere negoziale del quale il gruppo C. disponeva. 8. L'ottavo motivo e', nel suo complesso, infondato. Esso ripropone, sul piano della dimensione sanzionatoria, il tema del ne bis in idem, sopra affrontato con riguardo al profilo della connessione temporale dei procedimenti; profilo che non esaurisce la verifica unitaria demandata al giudice anche con riguardo all'aspetto della connessione materiale e in particolare alla valutazione della natura integrata della sanzione e proporzionata al disvalore del fatto (v., ad es., Sez. 2, n. 41007 del 22/5/2018, Bronconi, Rv. 274463 - 0; Sez. 3, n. 6993 del 22/9/2017, dep. 14/02/2018, Servello, Rv. 272588 - 0; Sez. 4, n. 12667 del 13/2/2018, Palmieri, Rv. 272533; Sez. 2, n. 9184 del 15/12/2016 - dep. 24/02/2017, Pagano, Rv. 269237 - 0). Questa Corte ha affrontato la questione, sulla scia della più volte ricordata sentenza A. e B. c. Norvegia, con Sez. 5, n. 49869 del 21/9/2018, Chiarion Casoni, Rv. 274604; Sez. 5, n. 45829 del 16/7/2018, Franconi, Rv. 274179; Sez. 5, n. 5679 del 19/11/2019, Erbetta, Rv. 275314; Sez. 5, n. 39999 del 15/04/2019, Respigo, Rv. 276963 - 0. Quest'ultima decisione, in particolare e per quanto qui rileva, ha ribadito, su un piano generale, che in tema di insider trading e ne bis in idem, la disapplicazione della disciplina penale potrà avere luogo soltanto nell'ipotesi in cui la sanzione amministrativa già inflitta in via definitiva sia strutturata in maniera e misura tali da assorbire completamente il disvalore della condotta ("coprendo" sia aspetti rilevanti a fini penali che a fini amministrativi e, in particolare, offrendo tutela complessivamente e pienamente adeguata e soddisfacente all'interesse protetto dell'integrità dei mercati finanziari e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari), poiché in tal caso il cumulo delle sanzioni risulta radicalmente sproporzionato e contrario ai principi sanciti dagli artt. 50 CDFUE e 4 Prot. n. 7 CEDU, come interpretati dalla giurisprudenza sovranazionale ed Eurounitaria sopra ricordata. Nel valutare la proporzionalità della sanzione è necessario tenere conto, con riguardo alla pena della multa, del meccanismo "compensativo" previsto dall'art. 187-terdecies t.u.f., secondo cui, quando per lo stesso fatto è stata applicata a carico del reo o dell'ente una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell'art. 187-septies, l'esazione della pena pecuniaria e della sanzione pecuniaria dipendente da reato è limitata alla parte eccedente quella riscossa dall'autorità amministrativa. L'art. 187-terdecies, pur essendo una norma dai limitati effetti, che risolve il problema del doppio binario sanzionatorio soltanto dal punto di vista della sanzione pecuniaria complessivamente irrogata, tuttavia dovrà essere tenuto in conto al momento di commisurare la pena pecuniaria in sede penale, una volta divenuta definitiva la sanzione pecuniaria amministrativa. Ovviamente, la rimodulazione del trattamento sanzionatorio dovrà essere compiuta mediante una verifica complessiva che attenga sia alla pena principale che alla confisca ex art. 187 t.u.f. ed alle pene accessorie. In altri termini, al fine di procedere alla valutazione sul rapporto tra afflittività globale della sanzione integrata e disvalore del fatto commesso, il richiamo ai parametri normativi previsti dall'art. 133 c.p., utili a modulare la sanzione complessivamente inflitta, deve tener conto di un "allargamento" dell'oggetto di tali valutazioni, che, per un verso, devono essere estese al trattamento sanzionatorio inteso come comprensivo anche della sanzione formalmente amministrativa (e, anzi, può qui aggiungersi in generale, salvo puntualizzarne la portata nell'esame del decimo motivo, la rimodulazione concerne, al fine di rendere proporzionata la risposta sanzionatoria, anche la componente eventualmente punitiva del risarcimento irrogato ai sensi dell'art. 187-undecies t.u.f.: Sez. 5, n. 397 del 22/11/2019 - dep. 09/01/2020, Rosso, Rv. 278155 -0) e, per altro verso, devono investire il fatto commesso nei diversi aspetti propri dei due illeciti (quello penale e quello "formalmente" amministrativo). Ora, proprio all'interno di siffatto quadro valutativo si è mossa la sentenza impugnata che, nel ridimensionare la durata delle pene accessorie (due anni per i C. e un anno per l' A., in relazione al rispettivo ruolo nell'azione delittuoso), ha tenuto conto del concreto disvalore del fatto (e si è sopra ricordato come il costo dell'operazione di rastrellamento delle azioni per il mercato (ossia per gli azionisti che hanno ceduto i loro titoli al prezzo più basso non ancora influenzato dalla determinazione di procedere all'OPA, ormai ragionevolmente prevedibile come esito delle decisioni assunte) sia stato quantificato in 1.375.959 Euro. Questo dato, ancorché non tradotto in profitto diretto degli imputati, ma assorbito in una dinamica infragruppo e occultato col più ridotto utile contabile prodotto dalla rivendita interna delle azioni, esprime in termini oggettivi il disvalore delle condotte e dà ampiamente conto, anche alla luce della cornice edittale rammentata dalla sentenza impugnata, della proporzionalità della complessiva sanzione irrogata, da considerare tenendo anche conto, quanto alle pene pecuniarie, del meccanismo correttivo di cui all'art. 187 terdecies t.u.f. (oltre alle pene accessorie sopra ricordate, i C. sono stati condannati, in sede penale, ciascuno, a tre anni di reclusione e a 150.000,00 Euro di multa, laddove, in sede amministrativa, la sanzione principale ammonta, sempre per ciascuno, a 600.000,00 Euro e la sanzione interdittiva è stata determinata nella durata di quattro mesi; l'Alatri è stato condannato, in sede penale, a due anni di reclusione e a 50.000,00 Euro di multa, laddove, in sede amministrativa, la sanzione principale ammonta a 100.000,00 Euro e la sanzione interdittiva è stata determinata nella durata di due mesi). Se si considerano i dati sopra indicati, il reale disvalore della condotta quale sopra puntualizzata e il fatto che la pena detentiva dell' A. si attesta sul minimo edittale e quella dei C. è di poco superiore, s'intendono con solare evidenza le ragioni del razionale giudizio di proporzionalità espresso dai giudici di merito. Sono proprio le ragioni appena indicate - che si inquadrano perfettamente nella giurisprudenza sovranazionale ed Eurounitaria e che consentono di apprezzare la proporzionalità della risposta sanzionatoria, pur senza prevedere meccanismi di adeguamento aritmetici identici a quelli previsti per le pene pecuniarie dall'art. 187 terdecies t.u.f. - che danno conto della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale di quest'ultima norma, nella parte in cui non prevede che la sanzione amministrativa pecuniaria possa essere decurtata in termini automatici dalla pena detentiva (naturalmente previa conversione di quest'ultima secondo i criteri di cui all'art. 135 c.p.). Quanto poi alla questione pregiudiziale comunitaria, va ricordato (v., di recente, Sez. 1, n. 14868 del 20/02/2020, Kacorri, non massimata; ma anche Sez. 4, n. 50998 del 19/7/2017, Vadardha, Rv. 271353 - 01; Sez. 3, n. 41152 del 6/7/2016, Sylla, Rv. 267783 - 01; Sez. 4 n. 27165 del 24/5/2016, Battisti, non massimata) che il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) non costituisce un rimedio giuridico esperibile automaticamente a sola richiesta delle parti, spettando solo al giudice di stabilirne la necessità (Sez. U. civ., ord. n. 20701 del 10/9/2013, Rv. 627458 - 01; cfr. anche Corte giust. 21/7/2011, Kelly, in C-104/10, in particolare, par. 61 - 64; 22/6/2010, Melki in C-188 e C189/10). Il rinvio pregiudiziale, infatti, ha la funzione di verificare la legittimità di una legge nazionale rispetto al diritto dell'Unione Europea e se la normativa interna sia pienamente rispettosa dei diritti fondamentali della persona, quali risultanti dall'evoluzione giurisprudenziale della Corte di Strasburgo e recepiti dal Trattato sull'Unione Europea; sicché il giudice, effettuato tale riscontro, non è obbligato a disporre il rinvio solo perché proveniente da istanza di parte (Sez. 3 civ., n. 13603 del 21/6/2011, Rv. 618393 - 01, in cui viene precisato che il rinvio pregiudiziale non è finalizzato ad ottenere un parere su questioni generali od ipotetiche, essendo deputato a risolvere una controversia effettiva ed attuale, fondata sulla rilevanza della questione pregiudiziale). Ora, nel caso di specie, a tacere del fatto che il quadro generale di operatività del divieto del bis in idem è stato ampiamente scandagliato dalla ricordata giurisprudenza della Corte di giustizia e che tali approdi sono stati recepiti dalle corti domestiche, si osserva che la stessa prospettazione della questione non investe un problema relativo a divergenze interpretative sul significato del diritto Eurounitario ma denuncia un contrasto con quest'ultimo della decisione di non tenere "adeguatamente conto" della sanzione amministrativa nella commisurazione della sanzione nel processo penale. E', pertanto, evidente l'assoluta estraneità della questione alla portata dell'art. 267 del TFUE. 9. Il nono motivo è inammissibile, poiché la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che nel caso di specie - non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596) Il tema dell'entità del profitto lucrato, valorizzato dal primo giudice e censurato con l'appello, va esattamente inquadrato nella compiuta disamina del percorso argomentativo delle decisioni di merito, in cui, in realtà, il dato è speculare al pregiudizio arrecato agli azionisti che hanno venduto azioni ad un prezzo inferiore a quello che sarebbe loro stato attribuito in caso di partecipazione all'OPA. Ne discende che esso, all'evidenza, investe la gravità del reato e si inquadra perfettamente nella griglia di riferimento prevista dall'art. 133 c.p.. L'assenza di un profitto personale è poi un dato razionalmente ritenuto recessivo, tenuto conto dell'oggettività giuridica del reato - che si concentra sull'integrità dei mercati e la partecipazione degli investitori alle operazioni in condizioni di parità - e del fatto che il risparmio di spesa conseguito è stato, per quanto detto sopra, rilevantissimo, ancorché, per scelta degli imprenditori, riversato in via immediata nel gruppo da loro gestito. Inammissibile è anche la doglianza relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla luce di tutte le considerazioni sopra ricordate e del fatto che la mancata concessione delle stesse è giustificata, nella sentenza impugnata, con motivazione esente da manifesta illogicità, che si sottrae, pertanto, al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244). Inammissibile per genericità, alla luce della ricostruzione delle vicende per cui è processo, è la doglianza che lamenta il mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 114 c.p.. 10. Il decimo motivo è infondato. La ricordata Sez. 5, n. 397 del 22/11/2019 - dep. 09/01/2020, Rosso, Rv. 278155 - 0, richiama tanto l'analitica riflessione di Sez. 5, n. 8588 del 20/01/2010, Banca Profilo, Rv. 246245 - 0, quanto gli approdi delle Sezioni Unite civili (il riferimento è da intendersi a Sez. U, n. 16601 del 05/07/2017, Rv. 644914 - 01). Ora, proprio quest'ultima pronuncia resa in sede civile ha sottolineato.come, attraverso singoli interventi normativi, si sia registrata l'emersione di una natura polifunzionale della responsabilità civile, che, accanto alla preponderante e primaria funzione compensativo - riparatoria dell'istituto (che immancabilmente lambisce la deterrenza), si proietta verso più aree, tra cui sicuramente principali sono. quella preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva. Proprio questa puntualizzazione, saldandosi alle ricordate riflessioni della giurisprudenza penale, dà conto del significato attribuito dalla sentenza impugnata al precetto normativo che correla la richiesta risarcitoria all'integrità del mercato, rivelando, attraverso i criteri normativamente previsti che devono orientare la liquidazione equitativa (offensività del fatto, qualità personali del colpevole, entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato), il significato dell'istituto (contro il quale, in linea generale, si dirige il motivo di ricorso), ma soprattutto i parametri di controllo della determinazione giudiziale del risarcimento. Rispetto a tale cornice di riferimento, per un verso, non si apprezza alcuna illogicità nei criteri valorizzati dalla sentenza impugnata - che ha confermato un risarcimento di 100.000,00 Euro rispetto ad una sottrazione di risorse al mercato di portata ben più ampia, per quanto sopra più volte detto - e, per altro verso, neppure si coglie una sproporzione della risposta sanzionatoria complessiva, all'interno delle coordinate interpretative di Sez. 5, n. 397 del 22/11/2019 - dep. 09/01/2020, Rosso, Rv. 278155 - O cit. 11. Per quanto rileva in questa sede, va osservato che, ai sensi della L. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 39, le pene previste dal t.u.f., sono raddoppiate entro i limiti posti per ciascun tipo di pena dal libro I, titolo II, capo II, del codice penale. Ne discende che, ai sensi dell'art. 157 c.p., comma 1, e art. 161 c.p., comma 2, il termine di prescrizione risulta essere di dodici anni (frutto del raddoppio disposto dalla L. n. 262 del 2005, citato art. 39) più un quarto, ossia quindici anni, che, tenuto conto dell'epoca di commissione dei reati (dal 09/01/ al 20/02/2008), non risultano ancora spirati. 12. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Del pari, i ricorrenti, in solido tra loro, vanno condannati alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimità, che, in relazione all'attività svolta, vengono liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in solido, alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per il presente giudizio, che si liquidano in Euro 6.400,00 oltre accessori di legge.