Giu Esercizio abusivo di una professione
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - SENTENZA 09 luglio 2021 N. 26294
Massima
La normativa inerente ai CAF e ai servizi di consulenza del lavoro affidati alle cooperative delle imprese artigiane e delle piccole imprese non obbliga per lo svolgimento dell’attività all’iscrizione all’albo speciale dei consulenti del lavoro. Ne consegue, nel caso di mancata iscrizione all’albo, non è possibile ricondurre l'attività di consulenza del lavoro svolta dai predetti centri nella fattispecie di reato prevista dall'art. 348 c.p.

Casus Decisus
La Corte d'appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale di Bergamo, con la quale il ricorrente era stato condannato per il reato previsto dall'art. 348 c.p. (esercizio abusivo di una professione), per avere, in qualità di legale rappresentante di una S.a.s, svolto attività di consulente del lavoro, in particolare occupandosi di adempimenti in materia lavoristica, in assenza di apposito titolo e d'iscrizione al relativo albo professionale. Pertanto, l’imputato ricorreva in cassazione, denunciando violazione di legge e vizio della motivazione per avere la Corte di appello non tenuto conto della speciale normativa prevista dal D.M. Finanze 31 maggio 1999, n. 164, art. 11, in materia di disciplina delle attività dei Centri di assistenza fiscale (denominati CAF imprese), e dalla L. 11 gennaio 1979, n. 12, art. 1, comma 4, in materia di disciplina delle attività di consulenza del lavoro svolta per i dipendenti delle imprese artigiane e piccole imprese e le cooperative di dette imprese, atteso che le associazioni di piccole imprese possono affidare le attività di consulenza del lavoro o ai CAF o a centri servizi da esse istituiti, senza quindi che sia necessario il ricorso a consulenti del lavoro iscritti nel relativo albo.

Annotazione
La normativa che disciplina la materia dei centri di assistenza fiscale e dei servizi di consulenza del lavoro affidati alle cooperative delle imprese artigiane e delle piccole imprese consente di ricondurre l'attività di consulenza del lavoro svolta dai predetti centri nella fattispecie di reato prevista dall'art. 348 c.p. in caso di mancata iscrizione all’albo speciale dei consulenti del lavoro? Questa la domanda posta ai giudici dei legittimità nella sentenza in epigrafe. La Suprema Corte dà risposta negativa al quesito, evidenziando che una diversa interpretazione seguita dalla Corte di appello implicherebbe una indebita riduzione degli spazi di autonomia che la legislazione in materia assegna alle piccole imprese ed alle imprese artigiane, finalizzata ad agevolare dette categorie produttive al fine di ridurre i costi di gestione dei relativi servizi. In particolare, vengono in rilievo il D.M. Finanze 31 maggio 1999, n. 164, art. 11, in materia di disciplina delle attività dei Centri di assistenza fiscale (denominati CAF imprese), e la L. 11 gennaio 1979, n. 12, art. 1, comma 4, in materia di disciplina delle attività di consulenza del lavoro svolta per i dipendenti delle imprese artigiane e piccole imprese attraverso le società di servizi costituite dalle cooperative di dette imprese. Quest’ultima legge prevede una deroga alla esclusiva attribuzione a consulenti del lavoro iscritti al relativo albo, ammettendo che tali mansioni con riguardo alle piccole imprese ed alle imprese artigiane possano essere gestite da parte delle cooperative cui aderiscono le predette categorie di imprese, che possono così delegare gli adempimenti in materia del lavoro a proprie cooperative, le quali a loro volta possono avvalersi sia di consulenti del lavoro e sia di altro personale comunque qualificato, selezionato sotto la propria responsabilità e che opera sotto il controllo di dette associazioni. Quindi, è la legge stessa che ammette che dette attività possono essere svolte o da centri di servizi che sono gestiti direttamente dalle associazioni con propri dipendenti o da società di servizio costituite per tale scopo dalle stesse associazioni di categoria, senza che sia richiesto che i soggetti adibiti a tali servizi siano consulenti del lavoro, ossia soggetti iscritti nell'albo di cui alla L. n. 12 del 1979, art. 8. Ne consegue che alla stregua della normativa vigente in materia, non vi sono ragioni per ritenere che i centri di servizio gestiti dalle associazioni attraverso la costituzione di società di servizio debbano obbligatoriamente avvalersi di consulenti del lavoro iscritti all'albo.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - SENTENZA 09 luglio 2021 N. 26294 Pres. Bricchetti – est. Amoroso

Ritenuto in fatto

 

1. Con il provvedimento in epigrafe indicato, la Corte d'appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Bergamo emessa in data 19 ottobre 2017, con la quale il ricorrente è stato condannato per il reato previsto dall'art. 348 c.p. (esercizio abusivo di una professione), per avere, in qualità di legale rappresentante della società (…) S.a.s. di M. S., svolto attività di consulente del lavoro, in particolare occupandosi di adempimenti in materia lavoristica, in assenza di apposito titolo e d'iscrizione al relativo albo professionale (in (omissis) ).

2. Con atto a firma del difensore di fiducia, M.S. ha proposto ricorso, articolando un unico motivo per violazione di legge e vizio della motivazione per avere la Corte di appello non tenuto conto della speciale normativa prevista dal D.M. Finanze 31 maggio 1999, n. 164, art. 11, in materia di disciplina delle attività dei Centri di assistenza fiscale (denominati CAF imprese), e dalla L. 11 gennaio 1979, n. 12, art. 1, comma 4, in materia di disciplina delle attività di consulenza del lavoro svolta per i dipendenti delle imprese artigiane e piccole imprese e le cooperative di dette imprese.

Si rappresenta che l'imputato ha svolto le contestate attività di consulenza del lavoro come titolare di un Centro Servizi terziario (CTS), costituito in forma di società in accomandita semplice, facente capo all'associazione ALAR che fornisce servizi solo alle piccole imprese associate, sia in quanto centro di assistenza fiscale (CAF imprese) abilitato D.M. Finanze n. 164 del 1999, ex art. 11, e sia in quanto centro di servizio di associazione di categoria L. n. 12 del 1979, ex art. 1, comma 4.

Ogni CTS costituisce un'articolazione, diffusa su tutto il territorio nazionale, della stessa associazione ALAR, che è socia di maggioranza assoluta (70%) di ciascuno di detti centri, come anche nel caso del CTS di M.S. , che ne è socio di minoranza.

Si obietta che erroneamente nel verbale ispettivo il predetto  (...) di M.S. è stato assimilato ad un semplice CED (Centro elaborazione dati) di cui alla L. n. 12 del 1979, art. 1, comma 5, anziché ad un centro di servizi di cui al citato comma 4, dello stesso articolo di legge, e che non è stato tenuto in considerazione che tali  (...) svolgono le loro attività esclusivamente a favore delle imprese iscritte alla Associazione Lavoratori Artigiani e piccole e medie imprese Riuniti (ALAR).

Si censura anche il riferimento alla circolare n. 17/2013 che si fonda su un precedente erroneo della Corte di Cassazione (sentenza n. 367/2013 della Sesta Sezione penale) che ha confuso le percentuali di possesso delle quote sociali con le percentuali di ripartizione degli utili, essendo il socio accomandatario titolare di una quota del 30% pur avendo una partecipazione agli utili del 99%, ed essendosi esclusa per tale via l'esistenza del controllo da parte della associazione Alar che detiene il 70% della quota di partecipazione, in osservanza della L. n. 12 del 1979, art. 1, comma 4.

In particolare, si sostiene che la predetta disposizione, in deroga alla esclusiva assegnazione ai professioni iscritti nell'albo dei consulenti del lavoro, e con riferimento alle sole piccole imprese e imprese artigiane ed alle loro cooperative, legittima l'affidamento delle relative mansioni a servizi o a centri di assistenza fiscali (CAF) istituiti dalle rispettive associazioni di categoria, prevedendo che tali servizi possono ma non necessariamente essere svolti dalle predette associazioni a mezzo di consulenti del lavoro anche se dipendenti delle medesime associazioni.

In altre parole, le predette associazioni di piccole imprese possono affidare le attività di consulenza del lavoro o ai CAF o a centri servizi da esse istituiti, senza quindi che sia necessario il ricorso a consulenti del lavoro iscritti nel relativo albo.

Si rileva che dopo la sentenza della Corte di Cassazione sopra citata sono stati sollecitati chiarimenti interpretativi al Ministero del Lavoro (rimasti senza risposta) e sono intervenute numerose sentenze di merito che hanno sempre assolto in tutti i procedimenti penali che ne sono sortiti i relativi imputati, mentre altri procedimenti si sono definiti con l'archiviazione, evidenziandosi che quella impugnata è stata l'unica sentenza di condanna.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è fondato.

La normativa che disciplina la materia dei centri di assistenza fiscale e dei servizi di consulenza del lavoro affidati alle cooperative delle imprese artigiane e delle piccole imprese non consente di ricondurre l'attività di consulenza del lavoro svolta dai predetti centri nella fattispecie di reato prevista dall'art. 348 c.p., non essendo richiesta per tale attività l'iscrizione all'albo speciale dei consulenti del lavoro.

La diversa interpretazione seguita dalla Corte di appello non appare corretta perché opera una indebita riduzione degli spazi di autonomia che la legislazione in materia assegna alle piccole imprese ed alle imprese artigiane con l'evidente intento di agevolare dette categorie produttive al fine di ridurre i costi di gestione dei relativi servizi.

In particolare, vengono in rilievo il D.M. Finanze 31 maggio 1999, n. 164, art. 11, in materia di disciplina delle attività dei Centri di assistenza fiscale (denominati CAF imprese), e la L. 11 gennaio 1979, n. 12, art. 1, comma 4, in materia di disciplina delle attività di consulenza del lavoro svolta per i dipendenti delle imprese artigiane e piccole imprese attraverso le società di servizi costituite dalle cooperative di dette imprese.

Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, l'imputato ha svolto le contestate attività di consulenza del lavoro come titolare di un Centro Servizi terziario (CTS), costituito in forma di società in accomandita semplice, facente capo all'associazione ALAR che fornisce servizi solo alle piccole imprese associate, sia in quanto centro di assistenza fiscale (CAF imprese) abilitato D.M. Finanze n. 164 del 1999, ex art. 11, e sia in quanto centro di servizio di associazione di categoria L. n. 12 del 1979, ex art. 1, comma 4.

È anche stato accertato che ogni  (...) costituisce un'articolazione, diffusa su tutto il territorio nazionale, della stessa associazione ALAR, che è socia di maggioranza assoluta (70%) di ciascuno di detti centri, come anche nel caso del  (...) di M.S. , che ne è socio di minoranza.

Dalla lettura delle disposizioni richiamate si evince chiaramente che gli adempimenti previdenziali e assistenziali dei lavoratori delle imprese associate, possano essere curati da centri di servizio istituiti dall'associazione di categoria, senza che rilevi la natura del rapporto di lavoro che intercorre tra i soggetti incaricati di svolgere dette attività e le associazioni di categoria.

La L. n. 12 del 1979, art. 1, comma 4, prevede, infatti, una deroga alla esclusiva attribuzione a consulenti del lavoro iscritti al relativo albo, ammettendo che tali mansioni con riguardo alle piccole imprese ed alle imprese artigiane possano essere gestite da parte delle cooperative cui aderiscono le predette categorie di imprese che possono così delegare gli adempimenti in materia del lavoro a proprie cooperative, le quali a loro volta possono avvalersi sia di consulenti del lavoro e sia di altro personale comunque qualificato, selezionato sotto la propria responsabilità e che opera sotto il controllo di dette associazioni.

È bene ricordare che in linea di principio le mansioni di amministrazione della busta paga, dei rapporti con enti previdenziali, ed in genere della contrattualistica di lavoro, sono rimesse al datore di lavoro che deve occuparsene personalmente o per mezzo di propri dipendenti e sotto la propria responsabilità.

Attesa la sempre maggiore complessità di detti adempimenti, è stato opportunamente previsto in alternativa, L. n. 12 del 1979, ex art. 1 comma 1, che il datore di lavoro possa delegare tali incombenze ad un consulente del lavoro abilitato, iscritto nel relativo albo professionale nonché ad altre figure professionali (professionisti iscritti negli albi degli avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali).

La citata L. n. 12 del 1979, medesimo art. 1, comma 4, fa un'eccezione per le piccole imprese e quelle artigiane che possono organizzarsi in cooperative per gestire, attraverso delle associazioni di categoria, gli adempimenti in materia fiscale e di lavoro, tramite centri di servizi gestiti da dette associazioni, o tramite i centri di assistenza fiscale (CAF) istituiti sempre da tali associazioni D.M. Finanze 31 maggio 1999, n. 164, ex art. 11, che ne regola le forme di costituzione.

La surrichiamata disposizione della legge professionale dei consulenti del lavoro stabilisce, infatti, testualmente al comma 4 che "Le imprese considerate artigiane ai sensi della L. 25 luglio 1956, n. 860, nonché le altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, possono affidare l'esecuzione degli adempimenti di cui al comma 1 a servizi o a centri di assistenza fiscale istituiti dalle rispettive associazioni di categoria. Tali servizi possono essere organizzati a mezzo dei consulenti del lavoro, anche se dipendenti dalle predette associazioni".

Giova anche considerare che secondo la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta; sentenza n. 243 del 2 marzo 1999), è pacificamente ammesso che le piccole imprese possano, ai sensi della L. 11 gennaio 1979, n. 12, art. 1, comma 4, affidare gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale, anziché ai consulenti del lavoro, ai servizi istituiti dalle rispettive associazioni di categoria.

Quanto alle forme organizzative, il citato D.M. n. 164 del 1999, art. 11, prevede che dette cooperative di imprese e le relative associazioni che abbiano istituito un Centro di assistenza fiscale (CAF), possano per lo svolgimento dell'attività di assistenza fiscale, avvalersi di una società di servizi il cui capitale sociale sia posseduto, a maggioranza assoluta, dalle associazioni o dalle organizzazioni che hanno costituito il CAF o dalle organizzazioni territoriali di quelle che hanno costituito i CAF, ovvero sia posseduto interamente dagli associati alle predette associazioni e organizzazioni.

2. Nel caso in esame tali condizioni risultano pacificamente osservate.

L'imputato è risultato, infatti, essere socio al 30% della S.a.s. nella veste di socio accomandatario, mentre l'altro socio al 70% è risultato essere l'ALAR, quale socio accomandante, ovverosia l'associazione rappresentativa delle imprese piccole e artigiane che ne fanno parte e che ha istituito, nella forma di una società di capitali un CAF legittimamente autorizzato a svolgere per conto delle imprese associate sul territorio nazionale oltre agli adempimenti fiscali anche quelli in materia di lavoro.

Quindi è errato affermare che l'associazione ALAR non potesse affidare le mansioni di assistenza dei datori di lavoro a dei soggetti giuridicamente distinti, ma solo a propri dipendenti.

 

È la legge stessa che ammette che dette attività possono essere svolte o da centri di servizi che sono gestiti direttamente dalle associazioni con propri dipendenti o da società di servizio costituite per tale scopo dalle stesse associazioni di categoria, senza che sia richiesto che i soggetti adibiti a tali servizi siano consulenti del lavoro, ossia soggetti iscritti nell'albo di cui alla L. n. 12 del 1979, art. 8.

3. Quindi, alla stregua della normativa vigente in materia, non vi sono ragioni per ritenere che i centri di servizio gestiti dalle associazioni attraverso la costituzione di società di servizio debbano obbligatoriamente avvalersi di consulenti del lavoro iscritti all'albo.

Non solo non sono previste limitazioni all'utilizzo di società di servizi all'uopo costituite da dette associazioni, ma con riferimento ai centri di assistenza fiscale, che pure possono essere adibiti per le categorie produttive in esame alla cura degli adempimenti in materia di lavoro, devono ritenersi valide le disposizioni adottate con il regolamento ministeriale di attuazione per la istituzione dei centri di assistenza fiscale di cui al D.M. Finanze 31 maggio 1999, n. 164, art. 11.

Ciò proprio in considerazione del fatto che il più volte citato art. 1, comma 4, della legge professionale, prevede che in alternativa ai centri di servizio gestiti dalle associazioni possono essere create strutture delocalizzate dei Caf-imprese che fanno capo alla cooperativa di imprese che si avvalgono di tale opportunità.

Quel che rileva è solo che tali servizi siano svolti per le sole imprese artigiane o piccole imprese associate, trattandosi di una deroga al regime obbligatorio dell'albo professionale che non ammette ovviamente ampliamenti nella gestione dei servizi di consulenza che non possono essere svolti per imprese diverse da quelle associate e rappresentate dalle cooperative di categoria ma per le sole tipologie di impresa considerate dalla legge (piccole imprese ed imprese artigiane).

È errato anche ritenere, nel caso di specie, che il  (...) dell'imputato non operasse per conto di un CAF abilitato, atteso che il citato D.M. n. 164 del 1999, art. 11, ammette che le attività di consulenza ed assistenza fiscale possono essere svolte anche da società di servizi partecipate dalla associazione che ha costituito il CAF e che ha ricevuto l'autorizzazione ministeriale a svolgere detta attività.

Ed è altrettanto errato il riferimento alla necessità che l'operatore professionale incaricato dalle associazioni di categoria in esame sia un dipendente dell'associazione stessa.

La normativa esaminata non impone che i centri di servizio siano gestiti dalle associazioni di categoria attraverso propri dipendenti, ma solamente che detti centri siano controllati dalle associazioni da cui sono stati costituiti.

In ordine alla forma societaria, ove si tratti di centri istituiti da una associazione che abbia a sua volta provveduto a costituire un CAF, non deve confondersi la forma societaria prescritta per la costituzione del CAF (D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, ex art. 33, comma 1, in base al quale è richiesta la forma di società di capitali) con la forma organizzativa richiesta per le società di servizio che operano per conto del CAF.

Per quest'ultime il D.M. n. 164 del 1999, art. 11, cit., norma regolamentare attuativa della normativa di settore D.L. n. 241 del 1997, ex art. 40, prevede che dette società di servizio siano controllate dalla associazione di categoria, ma non impone alcuna forma societaria, sempre che operino nell'ambito dell'organizzazione del CAF autorizzato, costituito nella forma di una società di capitali.

A tale riguardo la norma del cit. D.M. n. 164 del 1999, art. 11, stabilisce che per lo svolgimento dell'attività di assistenza fiscale, il CAF può avvalersi di una società di servizi il cui capitale sociale sia posseduto, a maggioranza assoluta, dalle associazioni o dalle organizzazioni che hanno costituito il CAF.

È poi previsto al comma 2 che le attività delle società di servizio di cui al comma 1, sono effettuate "sotto il diretto controllo del CAF che ne assume la responsabilità".

Pertanto, la responsabilità dell'attività svolta dalle società di servizio, così strutturate, ricade direttamente per legge sul CAF e di conseguenza sulla società di capitali istituita a tale fine, e ciò anche se il singolo operatore che cura l'attività di consulenza fiscale e del lavoro per conto del centro di servizi sia socio di una società di persone e non già dipendente dell'associazione.

Il controllo della società di servizio è assicurato attraverso la previsione che il socio di maggioranza sia la stessa cooperativa che ha istituito il CAF.

Mentre la responsabilità del CAF-società di capitale, che si avvale delle società di servizio dislocate sul territorio, deriva direttamente dalla normativa di legge (D.M. n. 164 del 1999, ex art. 1, comma 2) e prescinde dall'entità del capitale sociale della società di servizi, che potendo essere anche una società di persone non assume rilievo ai fini della garanzia patrimoniale che grava in via diretta sul Caf, che, invece, in quanto costituito in forma di società di capitale è soggetto alla normativa più rigorosa posta a tutela della garanzia patrimoniale per i debiti societari.

Si tratta, in definitiva, di un sistema normativo complesso che per quanto interessa l'aspetto penale non si presta ad essere interpretato nel senso di ritenere che il socio della società di servizio, cui è stato affidato lo svolgimento delle attività di consulenza del lavoro - prescindendo dalle competenze in materia fiscale possa essere ritenuto responsabile del reato di abusivo esercizio della professione di consulente del lavoro.

4. Per quanto sopra esposto, non può essere accolta ma deve anzi essere qui disattesa e superata anche la diversa interpretazione seguita nell'unico ed isolato precedente di legittimità (Sez. 6, n. 97256 del 21/02/2013, Trovanelli, Rv. 254591), che aveva affermato il principio opposto secondo cui "sussistono gli estremi del reato di esercizio abusivo di una professione laddove la gestione dei servizi e degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale venga curata, non da dipendenti di un'associazione di categoria, cui la L. n. 12 del 1979, art. 1, comma 4, eccezionalmente riconosce la possibilità di quella gestione, ma da un soggetto privo del titolo di consulente del lavoro, ovvero non iscritto al relativo albo che sia socio di una società solo partecipata da una di quelle associazioni di categoria".

Si tratta di una interpretazione che confonde il piano della responsabilità amministrativa e civile dell'operatore che sia socio di una società di servizio partecipata e controllata da una associazione di categoria con quello della responsabilità penale per esercizio abusivo della professione di consulente del lavoro.

La responsabilità civile e amministrativa che grava sull'operatore ed eventualmente sulle associazioni di categoria nel caso di errori imputabili ad una consulenza del lavoro svolta in modo inappropriato non giustifica la tesi secondo cui, in ragione della limitata consistenza patrimoniale delle associazioni di categoria, si dovrebbe ritenere inoperante la deroga al regime dell'obbligatorio affidamento dei servizi di assistenza in materia di lavoro ad un consulente iscritto all'albo, con la conseguente affermazione di responsabilità per esercizio abusivo della professione di consulente del lavoro.

Non si tratta, invero, nella fattispecie di evitare l'aggiramento delle norme stabilite a tutela dell'interesse a che possano essere garantite determinate prestazioni professionali solo da soggetti che hanno un minimo di standard di qualificazione.

Quanto, piuttosto, di salvaguardare gli interessi dei piccoli imprenditori, trattandosi di servizi che vengono delegati per volontà degli stessi soggetti tutelati dalla normativa che regola la professione di consulente del lavoro grazie alla facoltà loro consentita di avvalersi di servizi gestiti in forma di assistenza cooperativistica con l'evidente intento di favorire quelle categorie di imprese che, per le loro ridotte dimensioni e caratteristiche socio-economiche, potrebbero essere esposte a costi non sostenibili per curare dette onerose incombenze di carattere amministrativo.

L'opposto principio oltre a pregiudicare tale legittimo interesse si pone in contraddizione con la deroga prevista al comma 4, dell'arti legge professionale all'obbligo per le piccole imprese e le imprese artigiane di rivolgersi a consulenti iscritti all'albo per lo svolgimento delle relative incombenze attinenti la materia del lavoro, privandole della facoltà loro concessa di organizzare tali servizi attraverso proprie cooperative di categoria.

La necessità che dette cooperative si avvalgono solo di propri dipendenti comporterebbe degli oneri economici evidentemente non sopportabili, ove non si consentisse a queste di avvalersi di forme organizzative differenti per regolare i rapporti con i predetti operatori, fermo restando il solo limite della necessità di un controllo degli operatori affidato alle cooperative stesse e la conseguente responsabilità per la selezione di personale professionalmente competente.

5. In conclusione, l'unico spazio per ravvisare il reato di esercizio abusivo della professione di consulente del lavoro in questo ambito rimane quello ristretto alla diversa casistica della utilizzazione di tale sistema operativo oltre l'ambito delle piccole imprese e le imprese artigiane associate.

Ed in linea con tale orientamento va ricordato che la circolare Min. Lavoro n. 20 del 21.8.08 raccomanda agli ispettori del lavoro di verificare che i Centri di Servizio svolgano la loro attività esclusivamente per le imprese associate e iscritte.

Nel caso di specie, non essendovi alcuna questione sotto tale specifico profilo circa l'ambito di operatività del Centro di Servizio Territoriale Alar, facente capo all'odierno ricorrente, deve disporsi l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Materie
Azioni