Giu Responsabilità medica
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - SENTENZA 08 ottobre 2021 N. 36730
Massima
In tema di responsabilità medica, nel caso in cui il comportamento del sanitario sia rispettoso delle linee guida e delle buone pratiche mediche, l’elemento discretivo tra condotta lecita e illecita è dato dal grado della colpa, che genera responsabilità penale soltanto se è grave.

Casus Decisus
Con sentenza n. 8080 del 2017 la IV Sezione della Corte di cassazione annullava con rinvio la sentenza con la quale la Corte di appello di Catania aveva confermato la sentenza del Tribunale di Catania e con la quale era stata dichiarata la penale responsabilità di un infermiere e un anestesista in relazione al reato di lesioni colpose gravissime, cagionate in danno di un paziente sottoposto ad un piccolo intervento chirurgico. La Corte di legittimità, più precisamente annullava con rinvio l'affermazione della penale responsabilità dell’anestesista e la conseguente condanna di questo, avendo rilevato che in sede di merito non si era fatta corretta applicazione della normativa contenuta nella cosiddetta L. Balduzzi che, all'art. 3, limita la responsabilità del soggetto esercente l'attività sanitaria che si sia attenuto alle linee guida e alle buone pratiche accreditate presso la comunità scientifica ai soli casi in cui la sua condotta, se colposa, esuli rispetto al parametro della colpa lieve, e ciò sia che l'addebito abbia ad oggetto una condotta di tipo imperito sia che lo stesso abbia ad oggetto una condotta non improntata alla doverosa diligenza del sanitario. Con sentenza emessa nel giudizio di rinvio in data 25 giugno 2020 la Corte di appello, riformando la sentenza del giudice di primo grado, dichiarava il proscioglimento del medico dal reato a lui ascritto per intervenuta prescrizione, non ritenendo che il medico fosse esente da responsabilità penale. Pertanto, avverso la sentenza della Corte di rinvio l’imputato ricorreva nuovamente per cassazione, denunciando la violazione di legge, atteso che, stante l'evidente insussistenza del requisito della colpa grave a carico del medico, la Corte etnea avrebbe errato nel pronunziare la sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione e non, invece, l'assoluzione nel merito del prevenuto.

Annotazione
Quando può configurarsi la responsabilità penale a carico dell’anestesista per lesioni colpose subite dal paziente a seguito di intervento chirurgico? A questa domanda risponde la Suprema Corte nella sentenza in epigrafe. Nell’occasione si evidenzia che è necessario distinguere fra "fase di risveglio" e "fase di recupero", la prima - finalizzata all'esecuzione delle manovre tecniche necessarie per il ripristino delle normali funzioni vitali del paziente già sottoposto ad anestesia - è attribuita al personale medico e la seconda, consistente nella assidua osservazione del normale successivo decorso post-operatorio, è, invece, affidata prioritariamente al personale infermieristico, cui è demandato il compito di sollecitare l'intervento del medico ove necessario. Premessa tale distinzione, nella fattispecie in esame una volta verificata la corretta applicazione da parte dell’anestesista delle "linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica", è necessario verificare se nel comportamento concretamente tenuto da costui fossero ravvisabili profili di colpa grave, in quanto solo la presenza di essi, lungi dal graduare -come è la regola - la responsabilità dell'agente, si pone a guisa di elemento di discrimine fra la condotta penalmente rilevante e quella, invece, non significativa sotto il versante ora in esame. Nel caso in esame, è stato provato che l’anestesista si è personalmente occupato della "fase di risveglio" assistendo il paziente siano al suo pieno riacquisto della coscienza, affidando, poi, la "fase di recupero" alle cure dell'infermiere e rimanendo, peraltro, in zona prossima a quella ove il paziente era, o meglio doveva essere, ancora sorvegliato, tanto da intervenire non appena allertato. In altri termini, è stato provato che il medico ha ottemperato alle linee guida ed ai protocolli sanitari maggiormente accreditati e non essendo stata adeguatamente dimostrata la presenza nel suo operato degli estremi della colpa grave, il fatto a lui ascritto, in base al dettato del più volte ricordato D.L. n. 158 del 2012, art. 3, comma 1, convertito con modificazioni con L. n. 189 del 2012, è esente da rilevanza penale.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - SENTENZA 08 ottobre 2021 N. 36730 Pres. Di Nicola – est. Gentili

Ritenuto in fatto

 

Con sentenza n. 8080 del 2017 la IV Sezione della Corte di cassazione ha annullato con rinvio la sentenza con la quale, il precedente 12 novembre 2015, la Corte di appello di Catania aveva confermato la sentenza emessa in data 23 aprile 2014 dal Tribunale di Catania e con la quale.era stata dichiarata la penale responsabilità di T.C. e di B.S. in relazione al reato di lesioni colpose gravissime loro ascritto, in cooperazione fra i medesimi, dagli stessi cagionati, il primo quale infermiere il secondo quale medico anestesista, in danno di M.G., paziente sottoposto ad un piccolo intervento chirurgico presso l'Ospedale (OMISSIS) di (OMISSIS), e li aveva, pertanto, condannati alla pena ritenuta di giustizia, ed in solido fra loro e la Azienda ospedaliera, in qualità di terzo responsabile civile, al risarcimento del danno patito dalla costituita parte civile. La Corte di legittimità, rigettato il ricorso del T. e quello del responsabile civile, in relazione alle cui posizioni, pertanto, le rispettive condanne sono divenute definitive, ha invece annullato, con rinvio, l'affermazione della penale responsabilità del B., e la conseguente condanna di questo, avendo rilevato che in sede di merito non si era fatta corretta applicazione della normativa contenuta nella cosiddetta L. Balduzzi che, all'art. 3, limita la responsabilità del soggetto esercente l'attività sanitaria che si sia attenuto alle linee guida e alle buone pratiche accreditate presso la comunità scientifica ai soli casi in cui la sua condotta, se colposa, esuli rispetto al parametro della colpa lieve, e ciò sia che l'addebito abbia ad oggetto una condotta di tipo imperito sia che lo stesso abbia ad oggetto una condotta non improntata alla doverosa diligenza del sanitario. Nella fattispecie, ha osservato questa Corte, i giudici del merito, nel valutare il grado di diligenza proprio della condotta del B. e la rispondenza di esso ai protocolli ed alle buone prassi, non hanno tenuto conto della differente ripartizione dei compiti che caratterizzerebbe le mansioni del medico, il B., e dell'infermiere, il T., nelle due fasi postoperatorie rispettivamente del risveglio dalla sedazione e dalla anestesia del paziente fase nella quale i compiti di sorveglianza e verifica dello stato di salute del paziente stesso sono affidati al sanitario anestesista - e del recupero - fase nella quale il medico anestesista svolge, invece, solo una funzione di supervisione dei compiti di assistenza e controllo che sono, in essa, affidati principalmente al personale infermieristico, salvo prontamente intervenire ove, avvisato dal tale personale, gli sia riferito il palesarsi di problematiche intervenute a carico della salute del paziente -; secondo l'avviso espresso da questa Corte di legittimità con la citata sentenza n. 8080 del 2017 la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente verificato il rispetto delle linee guida e della buone prassi da parte del B., evenienza che avrebbe imposto, ove riscontata positivamente, la valutazione a carico del medico della responsabilità solo in caso di condotta gravemente colposa, essendosi, invece, limitata detta Corte territoriale ad affermazioni generiche circa la perdurante sussistenza dell'obbligo della sorveglianza da parte del medico anche durante la fase del recupero, obbligo che sarebbe sovrapponibile, secondo la tesi formulata in sede di merito a quello gravante, in tale fase sull'infermiere, essendo invece ragionevole ritenere, è precisato nella citata sentenza di questa Corte, che nella fase del recupero l'obbligo di sorveglianza gravi prioritariamente sull'infermiere. Si e', altresì rilevato che nella specie il rispetto di tale obbligo è stato pacificamente disatteso, essendosi il T. allontanato dal capezzale del paziente a lui affidato e non essendosi pertanto tempestivamente avveduto del fatto che questi aveva subito un arresto cardiocircolatorio ed avendo, pertanto omesso di dare avviso al Dott. B. dell'evento avverso verificatosi. Con sentenza emessa nel giudizio di rinvio in data 25 giugno 2020 la Corte di appello di (OMISSIS), riformando la sentenza del giudice di primo grado, ha dichiarato il proscioglimento del B. dal reato a lui ascritto per intervenuta prescrizione. In particolare, la Corte di rinvio, ha osservato che l'aver correttamente assolto alla fase di risveglio del paziente non ha esaurito i compiti del sanitario rispetto alla successiva fase del recupero, tanto più ove siano considerati i possibili effetti collaterali dell'anestetico, idonei a determinare la gravissime conseguenze verificatesi a carico del paziente; da tale rilievo la Corte territoriale ha fatto derivare la gravità della colpa del comportamento del B., il quale si è allontanato dal paziente senza accertarsi che l'infermiere si fosse trattenuto presso quello e senza avere fornito a questo le opportune indicazioni sul da farsi in caso di insorgenza di eventi avversi. Ha, altresì, osservato la Corte di merito come sia estranea alla presente vicenda la valutazione sulla applicabilità alla stessa della cosiddetta legge Balduzzi, presupponendo questa che il medico si sia attenuto alle linee guida ed alla buone pratiche, posto che, secondo la ricostruzione del giudice del merito, la condotta dell'imputato non si è affetto conformate a queste, non avendo egli svolto il ruolo di supervisore che le stesse linee guida affidano al medico durante la fase del recupero del paziente successivo alla cessazione dell'effetto principale dell'anestetico. Sulla base di tali elementi, non essendo manifesta la innocenza del prevenuto la Corte territoriale, considerato il tenore dell'art. 129 c.p.p., comma 2, ha prosciolto il Budella dalla imputazione a lui contestata esclusivamente per la intervenuta prescrizione del reato a lui contestato. Considerata la espressa revoca della costituzione di parte civile ha annullato la sentenza di merito anche in relazione alle statuizioni civili a carico dell'imputato. Avverso la sentenza della Corte di rinvio ha nuovamente interposto ricorso per cassazione la difesa del B., affidando le proprie rimostranze a tre motivi di impugnazione, volti a dimostrare che vi era la evidenza della prova della innocenza del B., il quale doveva, pertanto essere assolto nel merito e non prosciolto per la mera prescrizione del reato a lui contestato. Con il primo motivo di ricorso la difesa dell'imputato ha lamentato la violazione di legge in relazione al contenuto della regola cautelare che deve orientare il comportamento del medico anestesista durante la fase del recupero postoperatorio del soggetto anestetizzato; ha, in particolare, lamentato la difesa del prevenuto che la Corte territoriale avrebbe nuovamente errato nell'attribuire al medico ed all'infermiere nella fase del recupero del paziente i medesimi compiti di sorveglianza che, ad avviso della ricorrente difesa, le linee guida e le buone prassi aeneralmente riconosciute in campo scientifico assegnano solamente all'infermiere; nel fare ciò, peraltro, il giudice del rinvio avrebbe operato una lettura alla sentenza n. 8080 del 2017 della Corte di cassazione erronea, essendo stata in questa accertata la correttezza, in linea di principio del comportamento del B., dovendo, pertanto, esclusivamente verificarsi da parte del giudice del rinvio se in tale comportamento erano ravvisabili gli estremi della colpa grave che, secondo i termini della cosiddetta L. Balduzzi, avrebbero fatto residuare in capo all'imputato la responsabilità penale. Ha aggiunto il ricorrente che neppure era ascrivibile a colpa grave il non avere previsto i possibili effetti collaterali che il farmaco somministrato alla persona offesa quale anestetico avrebbe potuto causare, trattandosi di farmaco abitualmente in uso e non presentando la persona offesa della patologie che avrebbero giustificato nel caso in esame uno scostamento dalla abituali prassi cliniche relativa alla fase postoperatoria. Così come non poteva addebitarsi al B. di non avere espressamente istruito il T. sul corretto comportamento che lo stesso avrebbe dovuto tenere, posto che la gestione della fase di recupero del paziente già oggetto di anestesia rientrerebbe, secondo la ricorrente difesa, nell'ordinario svolgimento dei compiti dell'infermiere avente la qualificazione ed il ruolo professionale del T., sicché lo stesso non doveva essere istruito in ordine allo svolgimento dei suoi compiti abituali. Con il secondo motivo di ricorso è stata dedotta, sempre con riferimento alla violazione di legge la illegittimità della sentenza impugnata quanto alla valutazione della mancata rispondenza del comportamento del B. alle linee guida ed alla evidente insussistenza della gravità della colpa nella condotta da questo tenuta; ha osservato il ricorrente che la stessa Corte regolatrice, in occasione della precedente sentenza di annullamento con rinvio aveva evidenziato il corretto comportamento del B. relativamente al rispetto delle linee guida che indirizzano l'operato dei sanitari in casi quale è quello ora in esame; ha, al riguardo rilevato il ricorrente che egli aveva rispettato il suo obbligo di supervisione del comportamento del T., cui era stata affidata la sorveglianza sul paziente, rimanendo nei pressi della sala ove quello era stato portato dopo la conclusione dell'intervento chirurgico e dopo il suo risveglio, tanto che lo stesso B., una volta che fu riscontrata, da altro infermiere che non era il T., essendosi quest'ultimo indebitamente allontanato dal capezzale del paziente, la complicazione insorta nella fase postoperatoria, egli era immediatamente sopraggiunto, unitamente ad un altro medico, per praticare, sebbene con limitato successo, gli interventi di rianimazione del paziente. Acquisita, pertanto, la correttezza del comportamento del B. rispetto alle linee guida, avrebbe dovuto la Corte di merito evidenziare i profili di condotta gravemente colposa nel comportamento del prevenuto, cosa che, invece, la Corte di merito parrebbe avere affermato sulla base di una pretesa, ma inesistente, violazione delle medesime linee guida. Infine, con il terzo motivo di impugnazione la difesa del ricorrente ha rilevato come, stante l'evidente insussistenza del requisito della colpa grave a carico del B., non essendo necessarie verifiche in fatto ai fini del riscontro di quanto sopra, la Corte etnea avrebbe errato nel pronunziare la sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione e non, invece, l'assoluzione nel merito del prevenuto. Ha, infatti, rilevato il ricorrente che, una volta verificato il rispetto delle linee guida di intervento, avrebbe dovuto la Corte di merito, anche sulla base del mandato ad essa assegnato dalla Corte di legittimità in occasione dell'annullamento con rinvio della precedente sentenza di appello, segnalare in quale modo e per quale evidente ragione la condotta del B., che sarebbe dovuta essere diversa rispetto a quella tenuta, si sarebbe dovuta atteggiare, posto che non vi era alcun elemento che avrebbe dovuto indurre il medico a discostarsi, data la peculiarità della fattispecie, dal contenuto della linee guida e della buone prassi abitualmente riconosciute dalla comunità scientifica.

 

Considerato in diritto

 

Il ricorso è fondato e, pertanto, lo stesso merita accoglimento con il conseguente annullamento della sentenza impugnata. Ritiene la Corte che, trattandosi della impugnazione di una sentenza emessa in sede di giudizio di rinvio, è metodologicamente prioritario - tanto più laddove di rifletta sulla circostanza che la sentenza ora impugnata e', nella sua parte argomentativa, non in contrasto logico con la precedente decisione assunta dai giudici del gravame - esaminare le ragioni per le quali la citata il decisione era stata annullata da questa Corte e quale era stato il contenuto del "mandato" che era stato, in occasione dell'annullamento con rinvio, affidato al giudice cui era stato appunto rinviato il nuovo esame della posizione del B., onde verificare la correttezza o meno dell'adempimento da parte della Corte territoriale del compito ad essa affidato. Con sentenza n. 8080 del 2017, deliberata in data 22 novembre 2016 ed in cui motivi sono stati depositati il successivo 20 febbraio 2017, la Quarta Sezione penale di questa Corte ebbe ad osservare che la sentenza della Corte di appello di (OMISSIS) del 12 novembre 2015, con la quale era stata dichiarata la penale responsabilità, in cooperazione colposa con T.C., in ordine al delitto a lui ascritto di B.S., era viziata. Ciò poiché, in estrema sintesi, la motivazione della sentenza in tale occasione emessa dalla Corte territoriale avrebbe presentato molteplici carenze in quanto - premessa la riconducibilità normativa della vicenda sottoposta al suo esame alla disciplina dettata dal D.L. n. 158 del 2012, convertito con modificazioni con L. n. 189 del 2012 (si tratta della cosiddetta "legge Balduzzi"), il quale, all'art. 3, comma 1, nel testo risultante a seguito della entrata in vigore della legge di conversione, prevede che "L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 c.c.. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo" - non si era "confrontata esplicitamente e congruamente con la novità normativa introdotta dalla legge "Balduzzi" sebbene oramai la valutazione del rispetto delle linee guida e delle buone pratiche, unitamente al grado della colpa, costituiscano le premesse per discernere l'ambito del penalmente rilevante in ambito di responsabilità del medico". In particolare, ha aggiunto questa Corte, nella redazione dei motivi della sentenza a suo tempo annullata, la Corte di merito non ha tenuto nel debito conto, onde verificare il comportamento del Dott. B., la distinzione fra "fase di risveglio" e "fase di recupero", la prima delle quali - finalizzata all'esecuzione delle manovre tecniche necessarie per il ripristino delle normali funzioni vitali del paziente già sottoposto ad anestesia - è attribuita al personale medico ed è stata espletata, secondo quanto rilevato in termini di definitività dalla Corte di cassazione con la citata sentenza n. 8080 del 2017, dal Dott. B. in termini di correttezza operativa, avendo il Dott. B. lasciato la stanza ove il paziente si trovava solo dopo che questi aveva pienamente ripreso conoscenza, laddove la seconda, consistente nella assidua osservazione del normale successivo decorso post-operatorio, e', invece, "affidata prioritariamente al personale infermieristico" cui è demandato il compito di "sollecitare l'intervento del medico ove necessario". Ha ulteriormente precisato questa Corte che i giudici del gravame non si erano fatti carico della esistenza di tale dualità, affermando, invece, ma genericamente, che anche nella "fase di recupero" l'obbligo di sorveglianza del medico era sovrapponibile a quello dell'infermiere, dovendosi, invece logicamente ritenere che in tale fase la sorveglianza costante e diretta del paziente debba essere assicurata solo dal personale infermieristico. Una volta verificata, pertanto, la corretta applicazione da parte del dott, B. delle "linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica", avrebbe dovuto la Corte di merito, onde accertare la responsabilità del predetto sanitario, verificare se nel comportamento concretamente tenuto da costui fossero ravvisabili profili di colpa grave, in quanto solo la presenza di essi, lungi dal graduare -come è la regola - la responsabilità dell'agente, si pone - in una fattispecie quale è la presente - a guisa di elemento di discrimine fra la condotta penalmente rilevante e quella, invece, non significativa sotto il versante ora in esame. In tal modo delimitato l'ambito di indagine demandato alla Corte di rinvio, rileva ora il Collegio come esso non sia stato adeguatamente occupato con la sentenza ora impugnata. La Corte etnea, infatti, oltre ad avere - in termini del tutto singolari nella forma oltre che del tutto impropri nella sostanza - contestato la pertinenza al thema decidendum degli elementi di criticità segnalati da questa Corte nella motivazione della precedente sentenza della Corte catanese (rivendicando in tal modo dei margini di apprezzamento che non le competono, non essendo suscettibile di rivalutazione da parte del giudice del rinvio la puntualità del contenuto della sentenza di annullamento pronunziata in sede di legittimità), ha ribadito che nella "fase del recupero" del paziente vi sia una concorrente responsabilità a titolo di vigilanza sull'andamento di essa, del medico anestesista, vigilanza cui il Dott. B. si sarebbe sottratto, in quanto lo stesso si sarebbe allontanato dal luogo ove si trovava il paziente "senza accertarsi che l'infermiere fosse rimasto in sala e senza avere indicato al medesimo direttive sul da farsi in caso di insorgenza di problematiche". Ha aggiunto la Corte di merito che, neppure avrebbe rilevanza la verifica se tale comportamento del B. fosse o meno tale da integrare gli estremi della "colpa grave", posto che con tale sua condotta lo stesso si sarebbe discostato dalle linee guida e dalle buone prassi, non avendo egli svolto il ruolo di supervisore che le stesse linee guida affidano al medico anestesista nella "fase di recupero". Una siffatta motivazione non si sottrae alle censure formulate dal ricorrente con il suo atto impugnatorio. Deve, preliminarmente, rilevarsi che, come attestato nella sentenza emessa da questa Corte in occasione del precedente annullamento della decisione assunta dai giudici del merito, mentre, in base alle linee guida ed al protocollo operativo ospedaliero, la "fase di risveglio" del paziente è affidata alle esclusive cure del medico anestesista, quella, successiva, definita "di recupero" è affidata "prioritariamente" - salvo il migliore chiarimento del significato concretamente da attribuire a tale avverbio - alla attenzione del personale infermieristico. A questo deve intendersi demandato il compito, chiarendosi in tal senso il concetto espresso con l'espressione "prioritariamente", di sorvegliare in prima battuta il decorso delle condizioni del paziente, verificandone il corretto andamento ed allertando il personale medico, che, perciò, deve garantire non la presenza fisica ma la immediata reperibilità ed il rapido intervento, ove, invece, si realizzino delle condizioni di anomalia rispetto a tale andamento. Nel caso in esame è chiaramente emerso che il Dott. B. si è personalmente occupato della "fase di risveglio" assistendo il paziente siano al suo pieno riacquisto della coscienza, affidando, poi, la "fase di recupero" alle cure dell'infermiere T., rimanendo, peraltro, in zona prossima a quella ove il paziente era, o meglio doveva essere, ancora sorvegliato, tanto da intervenire non appena allertato. Come emerso dall'accertamento dei fatti, non più suscettibile di riesame, la origine della serie causale che ha condotto al consolidarsi degli effetti dell'evento avverso occorso a carico del paziente, è da ravvisare nel fatto che il T., contravvenendo ai suoi compiti di sorveglianza del decorso del paziente, si sia allontanato dal capezzale di questo disinteressandosi del decorso post-operatorio, alla cui sorveglianza egli era preposto, e non avvedendosi, pertanto, dell'arresto cardiocircolatorio cui quello era andato incontro, tanto che di ciò si e', come puntualmente riportato anche nelle sentenza impugnata, accorta casualmente una altra infermiera che ha, appunto, sollecitato l'intervento del medico, in persona del Dott. B. che, correttamente, si trovava nelle immediatezze della sala di recupero. La affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo la quale la condotta del Dott. B. - come detto conforme delle linee guida ed ai protocolli sanitari maggiormente accreditati pur in considerazione della sua uscita dalla sala ove il paziente si trovava, atteso che l'attività di sola "supervisione" che gli stessi giudici del meriti assegnano ai doveri del medico nel corso della "fase di recupero" (evidentemente caratterizzata da una minore acuzie clinica rispetto a quella del risveglio) non richiede la costante presenza del sanitario lì dove si trovi il paziente, ma solo la possibilità di un suo pronto intervento in caso di necessità - sia stata caratterizzata da colpa grave per essersi quello allontanato dal paziente "senza accertarsi che l'infermiere fosse rimasto nella sala" è chiaramente viziata in quanto presupporrebbe l'avvenuto accertamento, mai compiuto, del fatto che il B. non abbia affidato il paziente all'infermiere, essendosi, pertanto, quest'ultimo allontanato dalla sala ove il malato era ricoverato prima che se ne fosse allontanato il medico, così come è viziata la successiva affermazione relativa alla sussistenza della colpa grave a causa della mancata attribuzione da parte del B. di specifici compiti al T., considerato che questo era incaricato, come intuitivamente comprensibile attraverso l'esame dei protocolli sanitari, semplicemente di sorvegliare l'andamento post-operatorio del paziente e di allertare il personale sanitario in caso di riscontrate anomalie, attività queste che, non esulando dagli ordinari compiti infermieristici, non avrebbero necessitato di specifici mandati o chiarimenti operativi. Deve, pertanto, osservarsi che il giudice del rinvio non ha, nella sostanza, congruamente corrisposto ai quesiti che, in sede di annullamento con rinvio, la Corte di cassazione aveva posto, avendo questa segnalato i profili di criticità che avevano determinato l'annullamento della prima decisione assunta dalla Corte territoriale, ed essendosi, invece, questa limitata a reiterare gli argomenti che avevano condotto alla adozione della precedente sentenza, già, come detto, oggetto di annullamento. Per tali ragioni anche la sentenza ora impugnata deve essere annullata. Il nuovo annullamento deve, peraltro, essere pronunziato senza rinvio, posto che - essendo risultato che il B. ha ottemperato, quanto all'episodio in esame, alle linee guida ed ai protocolli sanitari maggiormente accreditati e non essendo stata adeguatamente dimostrata la presenza nel suo operato degli estremi della colpa grave - il fatto a lui ascritto, in base al dettato del più volte ricordato D.L. n. 158 del 2012, art. 3, comma 1, convertito con modificazioni con L. n. 189 del 2012, secondo il quale, si ribadisce, il grado della colpa non comporta esclusivamente un giudizio di maggiore minore gravità del reato ma opera quale vero è proprio criterio distintivo fra il penalmente lecito e l'illecito, non costituisce reato.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di B.S. perché il fatto non costituisce reato.