Giu Rimessione alle S.U. e art. 131 bis c.p.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 25 ottobre 2021 N. 38174
Massima
Deve essere rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione: "Se, ai fini dell'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., sia di per sé ostativa la continuazione tra i reati".

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 25 ottobre 2021 N. 38174 Pres. Pezzullo – est. Carusillo

Ritenuto in fatto

 

1. Il difensore di U.U., avv. M.B., ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona del 12 maggio 2020 che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ancona, confermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine al delitto di cui all'art. 81 c.p., comma 2, e art. 610 c.p. - per aver ripetutamente (dal 19 marzo al 19 aprile 2016) posizionato il proprio veicolo sulle corsie di accesso all'area del distributore di carburante gestito dal fratello, così impedendo o comunque rendendo difficoltoso ai clienti l'utilizzo del servizio-, ha sostituito la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria. 2. La difesa articola le proprie censure in due motivi. 2.1 Con il primo motivo, proposto a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per erronea applicazione della legge in relazione all'art. 131-bis c.p. e per vizio di motivazione, lamenta che, con motivazione carente, la Corte distrettuale ha rigettato la richiesta di declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto in ragione della incompatibilità tra questa e il vincolo della continuazione, ritenuto sussistente tra le condotte ascritte all'imputato. 2.2 Con il secondo motivo, proposto a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea applicazione della legge in relazione all'art. 610 c.p., lamenta l'errore di diritto in cui è incorsa la Corte di appello nel ritenere la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto, là dove, diversamente, secondo la prospettazione difensiva, il ricorrente, invalido, si era limitato a mantenere l'abitudine, risalente ad epoca antecedente all'apertura dell'area di servizio, di parcheggiare i veicoli a lui in uso in prossimità della sua abitazione, lungi dalla volontà di limitare il gestore dell'area nel regolare esercizio della sua attività lavorativa.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso deve essere rimesso alle Sezioni Unite. 2. Con la sentenza impugnata, la Corte distrettuale ha rigettato la richiesta di applicazione dell'art. 131-bis c.p. sul presupposto che il vincolo della continuazione, riconosciuto tra le ripetute condotte del ricorrente, è di ostacolo alla non punibilità per particolare tenuità del fatto. La decisione trae fondamento dalla disciplina contenuta nell'art. 131-bis c.p. che, dopo aver stabilito, al comma 1, che "nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, comma 1, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale", al successivo comma 3 chiarisce che "il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali.e reiterate". 3. -Con il primo motivo il ricorrente denuncia l'errore di diritto in cui è incorsa la Corte di appello che, nel ravvisare quale motivo ostativo alla declaratoria di non punibilità per particolare tenuità della condotta il riconoscimento del vincolo della continuazione tra le reiterate condotte dell'imputato, articolatesi nel lasso temporale di un mese, ha identificato sic et simpliciter i concetti di continuità e di abitualità, senza una puntuale verifica degli elementi sintomatici di una reale tendenza o inclinazione al crimine dell'imputato. Sul tema si registra un contrasto nella giurisprudenza della Corte di cassazione che richiede brevi preliminari considerazioni sui caratteri essenziali dell'istituto previsto dall'art. 131-bis c.p., introdotto nell'ordinamento dal D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, art. 1, comma 2. 4. Nell'intenzione del Legislatore le disposizioni di cui all'art. 131-bis c.p. perseguono obiettivi di mera deflazione processuale, di alleggerimento della macchina giudiziaria, gravata da un pesante carico di arretrato e di nuove notitiae criminis, nella sostanza di difficile gestione, sicché la ratio fondante dell'istituto è quella di perseguire obiettivi di ultima ratio della sanzione penale, se non addirittura di proporzione tra il disvalore del fatto e la risposta sanzionatoria, attraverso l'espunzione dall'area della punibilità di quei fatti storici che ne appaiano "immeritevoli". 5. Con la sentenza n. 13681 del 25 febbraio 2016, Tushaj, le Sezioni Unite di questa Corte, pronunciando su plurime questioni concernenti la non punibilità per particolare tenuità del fatto, hanno approfondito l'esame della natura giuridica dell'istituto introdotto dall'art. 131-bis c.p.. - Partendo dal dato letterale e dalla collocazione sistematica dell'istituto, nel corpo motivazionale della decisione dianzi citata si è evidenziato, in primo luogo, che la "tenuità del fatto", definita e disciplinata come causa di non punibilità, costituisce una figura di diritto penale sostanziale; sul presupposto che l'art. 131-biS c.p. perseguefinalità connesse ai principi di proporzione ed extrema ratio della sanzione penale, ai quali conseguono effetti in tema di deflazione, sicché, se lo scopo primario, dell'istituto è quello di espungere dal circuito penale fatti marginali, non meritevoli dell'irrogazione di una sanzione penale, l'effetto che ne consegue è la non necessarietà di impegnare i complessi meccanismi del processo. 5.1 Nell'affermare la natura sostanziale della causa di non punibilità, inoltre, le Sezioni Unite, con la sentenza "Tushaj", hanno chiarito che tale istituto opera su un piano diverso rispetto al principio di offensività, poiché mentre quest'ultimo "attiene all'essere o non essere di un reato o di una sua circostanza", la non punibilità per tenuità del fatto - riguardando fatti che sicuramente rientrano nella fattispecie tipica, in quanto offensivi del bene giuridico tutelato -, è applicabile a qualsivoglia fattispecie di reato - sia essa commissiva od omissiva, di evento ovvero di pericolo -, rispetto alla quale può sempre operarsi una valutazione in concreto della gravità della condotta posta in essere (Rv. 666590 - 01). La non punibilità, dunque, secondo la Corte, deriva-non già dall'inoffensività della condotta, bensì dal riconoscimento di un grado minimo dell'entità dell'aggressione al bene giuridico protetto, a fronte del quale il Legislatore ritiene non necessaria l'irrogazione della sanzione penale, ragion per cui l'istituto si giustifica alla luce della riconosciuta graduabilità del reato in relazione al disvalore dell'azione e dell'evento, nonché all'intensità della colpevolezza. 5.2 Proseguendo con l'analisi strutturale dell'istituto, i cui presupposti applicativi, che devono - necessariamente sussistere congiuntamente, sono, da un lato, la particolare tenuità dell'offesa, - di natura oggettiva, riguardante il fatto di reato e la cui sussistenza si desume, a sua volta, da due "indici-requisiti": le modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi ai sensi dell'art. 133 c.p., comma 1, - e, dall'altro lato, la non abitualità del comportamento 1- di natura più soggettiva, inerente all'autore -, le Sezioni unite "Tushaj", in riferimento a quest'ultimo presupposto, in relazione al quale l'art. 131-bis c.p., comma 3, non offre alcuna definizione, hanno affermato che, lì dove la norma fa riferimento a "più reati della stessa indole", la locuzione va intesa nel senso che "il comportamento è abitiiale quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame". Ne deriva che, ai fini della valutazione del presupposto indicato - la "non abitualità" del comportamento -, il giudice può fare riferimento non solo alle condanne irrevocabili ed agli illeciti sottoposti alla sua cognizione- nel caso in cui il procedimento riguardi distinti reati della stessa indole, anche se tenui -, ma anche ai reati in precedenza ritenuti non punibili ex art. 131-bis c.p. (Rv. 666591-01). E' questo un principio che, tuttavia, non esaurisce il contenuto esplicativo della pronuncia. Invero le Sezioni Unite, con riferimento alle ulteriori ipotesi di condotta abituale tipizzate dalla norma, in motivazione, hanno evidenziato che l'art. 131-bis c.p., nella parte in cui indica quale causa ostativa la commissione di condotte abituali e reiterate, ha inteso riferirsi alle ipotesi di reati abituali ed a quelli che prevedono la serial.ità quale elemento della fattispecie, rispetto ai quali la ripetitività delle condotte, proprio perché è elemento costitutivo del reato, consente di per sé di "configurare l'abitualità che esclude l'applicazione della disciplina, senza che occorra verificare la presenza di distinti reati". 5.3 Infine, quanto alla previsione delle "condotte plurime", la decisione "Tushaj" ha negato che la locuzione rappresenti una mera ripetizione delle condotte già indicate come abituali o reiterate, ritenendo, invece, che la previsione normativa abbia un'autonoma portata precettiva, ragion per cui nel novero delle "condotte plurime" ben potranno essere ricondotte quelle ipotesi in cui il reato sia conseguito al compimento di "ripetute e distinte condotte implicate nello sviluppo degli accadimenti" - come avviene nel caso di reati colposi conseguenti ad una pluralità di violazioni della normativa cautelare -, nel qual caso la "pluralità e, magari, la protrazione dei comportamenti colposi imprime al reato un carattere seriale, id est abituale". 5.4 Dunque, facendo ricorso ad un concetto diverso da quello di "occasionalità", la volontà del Legislatore sembra essere quella di adottare un criterio più ampio, tale per cui la presenza di un precedente giudiziario non è di per sé sola ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto. Resta comunque fermo che "comportamento non abituale" significa, in ogni caso, che l'autore non deve essere stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, né deve aver commesso commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, né che si tratti di reati che hanno ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. 6. Con la sentenza "Tushaj", le Sezioni Unite, pur avendo preso posizione in ordine alle diverse ipotesi di abitualità della condotta, disciplinate dall'art. 131-bis c.p., non hanno affrontato, tuttavia, la tematica concernente il reato continuato, nonostante la compatibilità della tenuità del fatto con la continuazione fosse stato indicato come uno degli aspetti maggiormente problematici fin dai primi commenti sulla riforma, così lasciando sostanzialmente aperta la questione in merito alla compatibilità della continuazione con la tenuità del fatto, in relazione alla quale si agita il ravvisato contrasto tra due opposti orientamenti di legittimità. 7. Secondo un primo orientamento, seguito da Sez. 3, n. 29897 del 28/05/2015, Gau, Rv. 264034-01; Sez. 3, n. 43816 del 01/07/2015, Amodeo, Rv. 265084-01; Sez. 2, n. 1 del 15/11/2016, dep. 2017, Cattaneo, Rv. 268970-01; Sez. 5, n. 4852 del 14/11/2016, dep. 01/02/2017, De Marco, Rv. 269092-01; Sez. 2, n. 28341 del 05/04/2017, Modou, Rv. 271001-01; Sez. 5, n. 48352 del 15/05/2017, Mogoreanu. Rv, 271271-01; Sez. 1, n. 55450 del 24/10/2017, Greco, Rv. 271904-01, che fa leva sul tenore letterale della norma di cui all'art. 131-bis c.p., comma 3, lo sbarramento di cui al citato comma deve ritenersi operante non solo nel caso di pregresso accertamento in sede giudiziaria dell'abitualità, ma anche con riferimento a condotte prese in considerazione nell'ambito di un medesimo procedimento e, quindi, anche con riferimento ai reati avvinti dal vincolo della continuazione. Analogamente, Sez. 6, n. 3353 del 13/12/2017, dep. 2018, Lesmo, Rv. 272123-01, esclude in radice l'applicabilità della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p. nel caso di più reati esecutivi di un medesimo disegno criminoso che, pur unificati al fine del trattamento sanzionatorio, appaiono espressione di un "comportamento abituale", di una "devianza non occasionale", ostativa al riconoscimento del beneficio in quanto priva di quel carattere di trascurabile offensività che, invece, deve caratterizzare "il fatto" ove lo si voglia sussumere nel paradigma normativo di cui al citato art. 131-bis. Tali sentenze sottolineano, tutte, non solo che, per il riconoscimento dell'occasionalità, i comportamenti contestati non devono replicare condotte già oggetto di accertamento giudiziale e non devono neanche avere una struttura intrinsecamente abituale o inserirsi in una progressione criminosa consolidabile con il riconoscimento della continuazione, ma anche che il riconoscimento della continuazione, che pure incide sul trattamento sanzionatorio nella misura in cui segnala la minore intensità del dolo espresso nel corso della progressione criminosa, non consente, tuttavia, di ritenere il fatto, anche nella dimensione consolidata dal riconoscimento dell'unicità del disegno criminoso, come una devianza "occasionale", ovvero non reiterata, ragion per cui il riconoscimento della continuazione, valorizzando l'identità del disegno criminoso, incide sulla sola valutazione del complessivo disvalore della progressione criminosa, ma non elide la circostanza che osta al riconoscimento del beneficio, ovvero l'"oggettiva" reiterazione di condotte penalmente rilevanti. Affrontando la questione da un diverso angolo prospettico, talune pronunce (Sez. 5, n. 26813 del 10/02/2016, Grosoli,, Rv. 267262-01; Sez. 5, n. 4852 del 1/02/2017, De Marco, Rv. 26909201; Sez. 3, n. 776 del 04/04/2017, dep. 2018, Del Galdo, Rv. 271863-01) hanno evidenziato che l'incompatibilità del reato continuato con il riconoscimento della tenuità del fatto è in linea con il principio di non meritevolezza della pena per un fatto oggettivamente tenue che innerva l'istituto di cui all'art. 131-bis c.p., in ragione del fatto che il soggetto, che abbia violato più volte la stessa o più disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio, non possa avvantaggiarsi della menzionata causa di non punibilità perché, in tale evenienza, è la norma stessa a considerare il "fatto" secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l'eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola e prevale la sua dimensione "plurima" e la sua gravità. 7.1 A sostegno di tale orientamento ermeneutico, talune pronunce di legittimità evidenziano, oltre al dato letterale, ulteriori argomenti sistematici (Sez. 3, n. 19159 del 29/03/2018, Fusaro, Rv. 273198-01, Sez. 2, n. 41453 del 16/05/2018, Ndaye, Rv. 274237-01, Sez. 4, n. 44896 del 25/09/2018, Abramo, Rv. 274270-01 e, da ultimo, Sez. 6, n. 18192 del 20/03/2019, Franchi, Rv. 275955-01). In particolare, nel percorso argomentativo di Sez. 3, n. 19159/2018, Fusaro, secondo cui "La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un'ipotesi di comportamento abituale, ostativa al riconoscimento del beneficio", si evidenzia da un lato che la disposizione di cui all'art. 131-bis c.p., comma 3, non autorizza a ritenere che il Legislatore abbia voluto riferirsi solo ai casi in cui il reo sia gravato da precedenti penali specifici, in quanto, altrimenti, avrebbe fatto espresso riferimento alla recidiva specifica, e dall'altro, lato, che, invece, dal punto di vista logico, appare più coerente dedurre da siffatta disposizione che l'agente non possa beneficiare della menzionata causa di non punibilità quando abbia violato più volte la stessa o più disposizioni criminose avvinte da un'unica ratio punendi, in quanto è la norma stessa che, valutando complessivamente "il fatto", conseguentemente svaluta la rilevanza della particolare tenuità dei singoli segmenti dello stesso. A conforto della decisione adottata, la sentenza "Fusaro" richiama la relazione illustrativa al D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28 che ha introdotto l'art. 131-bis c.p., evidenziando che questa, dopo aver premesso che il comma 3 del citato articolo descrive "soltanto alcune ipotesi in cui il comportamento non può essere considerato non abituale, ampliando quindi il concetto di abitualità, entro il quale potranno collocarsi altre condotte ostative alla declaratoria di non punibilità", espressamente rileva che "non vi e', nel testo, alcun indizio che consenta di ritenere, considerati i termini utilizzati, che l'indicazione di abitualità presupponga un pregresso accertamento in sede giudiziaria ed, anzi, sembra proprio che possa pervenirsi alla soluzione diametralmente opposta, con la conseguenza che possono essere oggetto di valutazione anche condotte prese in considerazione nell'ambito del medesimo procedimento, il che amplia ulteriormente il numero di casi in cui il comportamento può ritenersi abituale, considerata anche la ridondanza dell'ulteriore richiamo alle condotte plurime, abituali e reiterate". La Terza sezione ha ritenuto, quindi, nella sentenza di cui sopra, che, in ogni caso, anche negli arresti che seguono una diversa opzione interpretativa, il distinto principio della riconoscibilità del beneficio anche nel caso di reato continuato non è formulato in termini assoluti in quanto si richiede, nell'ambito di un medesimo disegno criminoso, la sostanziale unità della condotta, stante la contemporanea e non già ripetuta esecuzione nel tempo delle distinte azioni delittuose sorrette da un'unica e circoscritta volizione criminosa. Dunque, solo quando il fatto-reato sia espressione di una condotta estemporanea di persona altrimenti osservante delle regole poste dal diritto penale e dal vivere civile, può trovare applicazione la causa di esclusione della punibilità che, invece, non ricorre quando la commissione di più reati sia espressione di una pervicacia criminale. 8. In posizione diamentralmente opposta all'orientamento di cui innanzi, si pongono altre pronunce di legittimità secondo le quali, invece, è sostenibile, sia pur a determinate condizioni, la compatibilità tra il reato continuato ed il riconoscimento della particolare tenuità del fatto. Esse valorizzano una pluralità di elementi, quali la gravità del. reato, la capacità a delinquere, i precedenti penali e giudiziari, la durata temporale della violazione, il numero delle disposizioni di legge violate, gli effetti della condotta antecedente, contemporanea e susseguente al reato, gli interessi lesi o perseguiti dal reo e le motivazioni, anche indirette, sottese alla condotta, elementi questi che possono contribuire ad escludere il connotato della "abitualità" della condotta nel caso della mera continuazione, sicché la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto può essere dichiarata anche in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, purché non espressivi di una tendenza o inclinazione al crimine. Tale orientamento è stato inaugurato da Sez. 2, n. 19932 del 29/03/2017, Di Bello, Rv. 270320-01, secondo cui "La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p. può essere dichiarata anche in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, giacché quest'ultima non si identifica automaticamente con l'abitualità nel reato, ostativa al riconoscimento del beneficio, non individuando comportamenti di per se stessi espressivi del carattere seriale dell'attività criminosa e dell'abitudine del soggetto a violare la legge (In motivazione, la Corte ha specificato che il giudice, in presenza di un reato continuato, per decidere sulla meritevolezza o meno, del beneficio da parte dell'imputato, è chiamato a soppesare - in relazione alla modalità della condotta ed all'esiguità del danno o del pericolo - l'incidenza della continuazione in tutti i suoi aspetti, tra cui la gravità del reato, la capacità a delinquere, i precedenti penali e giudiziari, la durata temporale della violazione, il numero delle disposizioni di legge violate, gli effetti della condotta antecedente, contemporanea e susseguente - al reato, gli interessi lesi ovvero perseguiti dal reo e le motivazioni a delinquere)". A tale decisione si sono allineate sia Sez. 5, n. 35590 del 31/05/2017, Battizocco, Rv. 27099801 che, in motivazione, ha evidenziato che "l'unitarietà del contesto, in cui sono poste in esser diverse condotte illecite, può fondatamente lumeggiare che l'azione criminosa rimarrà fatto estemporaneo e cosi probabile il recupero sociale del reo, principio alla base dello scopo della pena secondo il dettato costituzionale", sia Sez. 5, n. 5358 del 15/01/2018, Corradini, Rv. 272109-01, nella quale si osserva che quando più reati vengono commessi in un contesto sostanzialmente unico, essendo composto da fattispecie poste in essere nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e nei confronti della medesima persona, va riconosciuta l'esistenza di un'unica e circoscritta deliberazione criminosa, incompatibile con l'abitualità presa in considerazione - in negativo - dall'art. 131-bis c.p., con la conseguenza che la continuazione, a fronte delle descritte circostanze fattuali, non può essere ritenuta ostativa al riconoscimento della tenuità del fatto. Si tende, dunque, con tale decisione a mitigare, seppure con qualche opportuna precisazione connessa alla peculiarità del caso di volta in volta da decidere, la rigidità e la generale applicazione di quegli arresti che escludono che la causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. possa essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione. 8.1 Per tale indirizzo ermeneutico, dunque, il solo fatto che il reato, per il quale si chiede l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, sia stato posto in continuazione con altri non è di ostacolo, in astratto, all'operatività dell'istituto occorrendo valutare, in concreto, se "il fatto" nella sua globalità, avuto riguardo alla natura degli illeciti unificati,. alle modalità esecutive della condotta, all'intensità dell'elemento psicologico, al numero delle disposizioni di legge violate, agli interessi tutelati, sia meritevole di un apprezzamento in termini di speciale tenuità. 8.2 Si sono allineate a tale orientamento, di recente, Sez. 2, n. 9495 del 7/2/2018, Grasso, Rv.272523-01 e, subito dopo, Sez. 5, n. 32626 del 26/3/2018, P., Rv. 274491-01 che, in motivazione, ha evidenziato come l'adesione alla diversa opzione interpretativa, che esclude tout court l'applicabilità del beneficio all'ipotesi di reato continuato, appaia distonica rispetto alla stessa sistematica sanzionatoria di cui costituiscono espressione le disposizioni di cui all'art. 81 c.p., in quanto pregiudica il reo che, pur beneficiando del regime di favore previsto dalla norma, non può accedere alla suddetta causa di non punibilità. Seguono tale indirizzo interpretativo anche Sez. 2, n, 41011 del 6/6/2018, Ba Elhadji, Rv. 274260-01, secondo cui l'obiettivo di deflazione processuale perseguito dal Legislatore del 2015 verrebbe sostanzialmente frustato nel caso in cui si escludesse automaticamente la possibilità di declaratoria della causa di non punibilità; Sez. 4, n. 4649 dell'11/12/2018, Xhafa, Rv. 27495901; Sez. 2, n. 42579 del 10/9/2019, D'Ambrosio, Rv. 277928-01. 9. Con riferimento alla molteplicità delle condotte, la Quarta sezione, con sentenza n. 10111 del 13/11/2019, dep. 2020, De Angelis, Rv. 278642-01, ha affermato il principio, secondo cui "Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p. non osta la presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, qualora questi riguardino azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo, di luogo e nei confronti della medesima persona, da ciò emergendo una unitaria e circoscritta deliberazione criminosa, incompatibile con l'abitualità ostativa considerata dall'art. 131-bis c.p.". In motivazione è stato precisato che "la logica antinomia tra reato continuato e particolare tenuità del fatto è infatti rilevabile solo nel caso in cui le violazioni espressione del medesimo disegno criminoso siano in numero tale da costituire di per sé espressione di una certa serialità ò nel delinquere ovvero di una progressione criminosa, indicative di una particolare intensità del dolo o della versatilità offensiva tali da porre in evidenza un insanabile contrasto con il giudizio di particolare tenuità dell'offesa in tal modo arrecata", ed è stato richiamato quanto affermato da Sez. 3, n. 16502 del 20/11/2018, dep. 2019, Pintilie, non mass., secondo cui il Legislatore non a caso ha fatto puntuale riferimento ad aggettivi riferiti alle condotte - plurime, abituali, ò reiterate - aventi un ben chiaro spettro semantico, dovendosi, dunque, ritenere che una condotta sia "reiterata" ove sia ripetuta nel tempo con identiche modalità fenomeniche, che essa sia "abituale" ove si caratterizzi per una certa metodicità, che essa sia "plurima" ove si registrino almeno tre condotte tra loro disomogenee "posto che la valenza di significato del lemma utilizzato (...) si discosta dal concetto di semplice pluralità dell'azione richiedendo il relativo concetto un quid pluris, costituito da un ulteriore elemento fattuale che si aggiunga alla mera pluralità, la quale richiede anche la sola duplicità dei comportamenti". 9.1. Ancor più di recente, in senso conforme si sono espresse Sez. 2, n. 11591 del 27/1/2020, T., Rv. 278830-01, secondo cui la compatibilità, in astratto, tra la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto e la circostanza che un reato sia posto in continuazione con altri, richiede di valutare, anche in ragione del suo inserimento in un contesto più articolato, se la condotta sia espressione di una situazione episodica, se la lesione all'interesse tutelato dalla norma sia comunque minimale e, in definitiva, se il fatto nella sua complessità sia meritevole di un apprezzamento in termini di speciale tenuità, e Sez. 5, n. 30434 del 13/03/2020, Innocenti, Rv. 279748-01 secondo cui "La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131-bis c.p., può essere dichiarata anche in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione purché non espressivi di una tendenza o inclinazione al crimine. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la decisione di appello che aveva omesso di valutare ia causa di non punibilità in relazione alla continuazione tra più reati di furto commessi nel medesimo contesto di tempo e di luogo presso esercizi commerciali diversi)", in linea con quanto, in epoca di poco precedente,, era stato già affermato da Sez. 6, n. 6551 del 09/01/2020, Kostandine, Rv. 278347-01, secondo cui "In tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il presupposto ostativo del comportamento abituale ricorre quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, abbia commesso almeno altri due reati della stessa indole, incidentalmente accertabili da parte del giudice procedente. (Fattispecie, in cui, in un procedimento per il reato di evasione, la Corte di appello aveva escluso la causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p., avendo valutato l'esistenza di analoghe condotte pregresse risultanti dagli atti)". 9.2. Tra le pronunce in linea con tale ultimo orientamento, secondo il quale la presenza del vincolo della continuazione tra diversi reati non postula ex se l'inapplicabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., merita di essere segnalata Sez. 4, n. 47772 del 25/9/2018, Bommartini, Rv. 274430-01 secondo cui "Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non osta la presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, qualora questi riguardino azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi. la sentenza che aveva escluso la causa di non punibilità in relazione ad ipotesi di continuazione tra reati commessi in tempi diversi)". La Quarta sezione, riprendendo il ragionamento già sviluppato nella pronuncia "Corradini", sottolinea che, sebbene la presenza del vincolo della continuazione tra diversi reati non postuli un'incompatibilità tra la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto e la continuazione tra i reati qualora questa sia sincronica, ossia nel caso di delitti commessi nelle medesime circostanze di tempo e di luogo, considerazioni diverse possono valere in ipotesi di continuazione diacronica, ossia quando la continuazione sia ravvisata tra reati commessi, seppure in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in momenti spazio-temporali diversi, non contemporanei, poiché, in questo caso, la volizione criminosa diventa dimostrativa di pervicacia criminale. 9.3. Negli stessi termini si è espressa, da ultimo, Sez. 3, n. 35630 del 13/07/2021, Nenci, non mass., che pur ravvisando, in astratto, la compatibilità tra il reato continuato ed il riconoscimento della particolare tenuità del fatto, tuttavia ritiene necessaria la valutazione di elementi dai quali escludere in termini concreti il connotato della "abitualità" della condotta. Nella specie, il Collegio, che ha annullato la pronuncia del giudice di merito - che aveva dichiarato la causa di esclusione della punibilità ai sensi dell'art. 131-bis c.p. nei confronti di una dipendente comunale, imputata del delitto di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 55-quinquies (Testo unico sul pubblico impiego), la quale, in almeno una dozzina di occasioni, aveva attestato falsamente la sua presenza in ufficio, dal quale si allontanava per motivi personali, talora timbrando come servizio esterno e talora non timbrando affatto -, poiché le condotte, pur reiterate con identiche modalità fenomeniche, si erano ripetute per svariati mesi, così disvelando una volizione criminosa tutt'altro che unitaria e circoscritta. In tale decisione, che si è posta sul solco arato da Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, Derossi, Rv. 265448-01 e da Sez. 5, n. 32626 del 26/03/2018, P., Rv. 274491-01, la Terza sezione ha precisato, in motivazione, che l'adesione alla diversa opzione interpretativa, che esclude in radice l'applicabilità del beneficio all'ipotesi di reato continuato, appare distonica rispetto alla stessa sistematica sanzionatoria di cui costituiscono espressione le disposizioni di cui all'art. 81 c.p., giacché va a pregiudicare l'imputato che, pur beneficiando del regime di favore previsto dall'art. 81 c.p., non potrebbe accedere alla suddetta causa di non punibilità, così dando vita ad un'ingiustificabile disparità di trattamento con la figura del concorso formale tra reati, prevista sempre nell'alt: 81, al comma 1, nel qual caso, nonostante la pluralità di illeciti commessi unificati quoad poenam, parrebbe potersi consentire l'eventuale applicabilità delle disposizioni di cui all'art. 131-bis c.p. in quanto il concorso formale è caratterizzato da una unicità di azione od omissione che rende impossibile collocarlo tra le ipotesi di "condotte plurime, abituali e reiterate" menzionate dall'art. 131-bis c.p., comma 3. Tanto anche in ragione del fatto che il Legislatore, per molti versi considera le due figure in modo identico al fine di mitigare il cumulo materiale delle pene "trattandosi di più reati espressione di una spinta unitaria a delinquere, ritenuta di minor allarme rispetto ad una reiterazione delittuosa che trovi rinnovate e autonome causali nell'agente" (Sez. 2, n. 9495/2018, Grasso, cit.), obiettivo, questo, che verrebbe sostanzialmente frustato nel caso in cui si escludesse automaticamente la possibilità di declaratoria della causa di non punibilità (Sez. 2, n. 41011/2018, Ba Elhadji, cit.). 10. Alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere rimesso alle Sezioni Unite sulla seguente questione: "Se, ai fini dell'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., sia di per sé ostativa la continuazione tra i reati". La soluzione di tale questione include, eventualmente, anche quella subordinata concernente le condizioni alle quali possa ritenersi operante la particolare tenuità del fatto in presenza del reato continuato - nel caso in cui non si reputi in sé ostativo tale reato all'applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p. - ciò in relazione agli ulteriori diversi indirizzi riportati sub 9) e ss.. All'uopo appare opportuno sottolineare che all'imputato sono stati contestati più episodi di violenza privata, posti in essere nel periodo 19 marzo - 19 aprile 2016, volti; tutti, a limitare il gestore dell'area di servizio nel regolare esercizio della sua attività lavorativa. 11. Non appare superfluo evidenziare, altresì, che la rimessione del presente ricorso alle Sezioni Unite scaturisce dalla preliminare valutazione della genericità e comunque manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso, la cui analisi in ordine logico precede quella del primo motivo. Nella sentenza impugnata, infatti, sono puntualmente spiegate le ragioni per le quali la vicenda ascritta a U.U. è stata inquadrata nel delitto di cui all'art. 81 c.p., comma 2, e art. 610 c.p. atteso che dalle risultanze dibattimentali, è emerso non solo che, dalle prime ore del mattino e sino alla sera, l'imputato di frequente soleva parcheggiare i veicoli in posizione tale da impedire o, comunque, rendere difficoltoso il transito dei mezzi nell'area del distributore di carburante gestito dal fratello, ma anche che, ripetutamente invitato, espressamente rifiutava di spostare i mezzi o di sistemarli in modo da non creare intralcio, auspicando la prossima chiusura dell'attività.

 

P.Q.M.

 

Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.