Giu Quando il femminicidio è aggravato da futili motivi?
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - SENTENZA 03 novembre 2021 N. 39323
Massima
Deve ravvisarsi la sussistenza dell'aggravante dei futili motivi di cui all'art. 61 c.p., n. 1. nel caso in cui sussista l'oggettiva sproporzione tra il reato concretamente realizzato e il motivo che lo ha determinato, nonché il dato soggettivo, costituito dalla possibilità di connotare detta sproporzione quale espressione di un moto interiore assolutamente ingiustificato, tale da configurare lo stimolo esterno come mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale.

Casus Decisus
Con sentenza del 22/6/2020 la Corte d'Assise di appello di Salerno confermava la sentenza del 23/7/2018 del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Nocera Inferiore che, a seguito di giudizio abbreviato, aveva condannato un uomo alla pena di anni trenta di reclusione per l'omicidio della moglie, aggravato dai futili motivi, uccisa con quarantasei coltellate davanti alla mamma e al figlio di 5 anni, dopo la fine della relazione matrimoniale. Avverso detta sentenza l'imputato proponeva ricorso per cassazione, deducendo, tra gli altri motivi, profili di violazione di legge e correlato vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), con riguardo al riconoscimento dell'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 1.

Annotazione
Un uomo, davanti alla suocera e al figlio di 5 anni, uccide la moglie con quarantasei coltellate, perché non si rassegnava alla fine della relazione coniugale: si configura l’aggravante dei futili motivi? A questa domanda risponde la Suprema Corte nella sentenza in epigrafe, evidenziano che l'impulso uxoricida va ricondotto nella dimensione delittuosa ordinaria, sicché non è in alcun modo censurabile la valutazione espressa da entrambi i giudici di merito circa la futilità del motivo che induceva l'uomo ad uccidere la moglie a fronte di una spinta delittuosa lieve ed altrimenti componibile, quale quella del disagio coniugale, affrontata invece con puro istinto criminale e con effetti amplificati dall'uso di cocaina, ritenuta senz'altro fattore di eliminazione delle controspinte all'azione. L'esegesi di legittimità formatasi sul tema del motivo abietto o futile, per omicidi o altri gravi delitti originati da violenza di genere ammantata da gelosia, convalida l'impostazione seguita nell'impugnata sentenza. Già in tempi risalenti si era affermato che nell'attuale momento storico, che attribuisce sempre maggiore rilevanza alla libertà di autodeterminazione, deve ravvisarsi la sussistenza dell'aggravante dei motivi abietti nel caso in cui un omicidio sia compiuto non per ragioni di gelosia collegate ad un sia pur abnorme desiderio di vita in comune, ma sia espressione di spirito punitivo nei confronti della vittima considerata come propria appartenenza, della quale pertanto non può tollerarsi l'insubordinazione. Nel caso in esame, come hanno inteso i giudici di merito congruamente motivando il loro convincimento, si è rimarcata l'oggettiva sproporzione tra il reato concretamente realizzato e il motivo che lo ha determinato, nonché il dato soggettivo, costituito dalla possibilità di connotare detta sproporzione quale espressione di un moto interiore assolutamente ingiustificato, tale da configurare lo stimolo esterno come mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - SENTENZA 03 novembre 2021 N. 39323 Pres. Tardio – est. Liuni

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 22/6/2020 la Corte d'Assise di appello di Salerno ha sostanzialmente confermato la sentenza del 23/7/2018 del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Nocera Inferiore che, a seguito di giudizio abbreviato, aveva condannato S.S. alla pena di anni trenta di reclusione per l'omicidio della moglie M.N. , aggravato dai futili motivi, commesso in (omissis) . 1.1. La modifica apportata nel secondo grado di giudizio ha riguardato l'accoglimento dell'appello proposto dalla parte civile Comune di Cava dei Tirreni, la cui pretesa risarcitoria era stata respinta dal primo giudice per mancanza di prova del danno, ed invece è stata riconosciuta sia sotto il profilo patrimoniale che in termini di danno morale. 1.2. La vicenda - nei suoi contorni un tipico "femminicidio", essendo stata motivata dall'esaurirsi della relazione matrimoniale tra l'imputato e la vittima giungeva al culmine della crisi coniugale tra il S. e la M. , ed era esitata nell'improvvisa aggressione dell'uomo, armato di coltello (e positivo al test per l'assunzione di cocaina), il quale - incurante della presenza della suocera e del figlio M. di cinque anni - aveva assalito la moglie, colpendola ripetutamente con quarantasei coltellate, una delle quali aveva trapassato l'emitorace sinistro cagionando la morte della vittima. 1.3. Nel corso del processo di appello, in accoglimento dell'istanza di rinnovazione istruttoria della difesa dell'imputato, è stata espletata una perizia collegiale (affidata al prof. Ma. ed alla Dott.ssa Z. ), le cui conclusioni hanno escluso all'epoca del fatto l'esistenza di elementi psicopatologici di pregnante significato clinico, tali da attribuire alla condotta del S. valore di malattia in senso medico-legale e psichiatrico. L'aggressione improvvisa è stata ricondotta ad un mero stato emotivo e passionale - ininfluente sull'imputabilità, a tenore dell'art. 90 c.p. - innescato dal rifiuto della moglie di riconciliarsi con il marito e, nell'immediato, di prestarsi ad un rapporto sessuale. 2. Avverso detta sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo dei difensori, avv.ti P.S. e D.C.A., deducendo profili di violazione di legge e correlato vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), con riguardo al disconoscimento del vizio parziale di mente, al riconoscimento dell'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 1, nonché all'esclusione delle circostanze attenuanti generiche. 2.1. Con il primo motivo di impugnazione si contesta il mancato riconoscimento del vizio parziale di mente, a seguito di una valutazione acritica dei risultati dell'indagine peritale, della quale il ricorso censura vari snodi di criticità. Premessi rilievi sulle modalità (da remoto) di conduzione dell'intervista del periziando e sull'assenza di esami clinici, pure richiesti dai periti, come la risonanza magnetica cerebrale, si denuncia la mancanza di ogni analisi della vicenda in termini di crimino-dinamica, la svalutazione dell'esito del test di Millon, indicante un valore elevato pari a 105, tale da oltrepassare il disturbo di personalità per approdare alla grave patologia della personalità, l'assenza di analisi della categoria dell'omicidio/suicidio, in cui si iscrive il fatto per cui è causa, trattandosi del più frequente tipo di 0/S in ambito coniugale, quello determinato dalla gelosia. Secondo il ricorrente, vi sono tutti gli elementi per catalogare la condotta del S. nell'ambito del disturbo di personalità tale da costituire causa idonea ad escludere o gravemente scemare la capacità di intendere e di volere del soggetto agente, a tenore dei parametri indicati nella nota sentenza Raso (Sez. Unite, sentenza n. 9163 del 25/1/2005). 2.2. Nel secondo motivo si contesta il riconoscimento dell'aggravante dei futili motivi, affermata dalla Corte di secondo grado in assenza di dati probatori, in modo assertivo, postulando che il S. fosse stato ispirato da una visione arcaica della coppia in cui la donna è percepita in una immodificabile dimensione oggettuale, come proprietà del marito. In particolare, risulta del tutto assente la prova che l'aggressione del S. non sia stata frutto esclusivo della gelosia delirante, ma ispirata dalla volontà di punire l'insubordinazione della moglie, desiderosa di separarsi. Il ricorso censura il ragionamento motivazionale della Corte di secondo grado, che - discostandosi dall'impostazione del primo giudice che aveva ravvisato un dolo d'impeto generato da un una psicosi indotta da convinzioni e da un'interpretazione della realtà delirante da gelosia parossistica ha invece teorizzato una sorta di "premeditazione condizionata" in contrasto con la gelosia pura, ed espressiva dell'intenzione di possedere la vita della moglie, ciò necessariamente conducendo all'affermazione dell'aggravante qui contestata. Nel ricorso, il S. viene descritto come una persona mite che mai aveva perpetrato violenze nei confronti della M. , e desiderava soltanto recuperare l'armonia familiare, anche se era stato allertato su una possibile relazione extraconiugale della moglie, che aveva cagionato l'accumulo di rabbia ed infine la violenta esplosione dell'imputato. Tali argomentazioni erano state espresse dalla difesa nel processo di appello, ma sono state svilite o trascurate nell'impugnata sentenza, in cui non è stata valutata la progressione degli eventi che ha condotto all'omicidio, in un crescendo di sintomi di allontanamento della donna (la richiesta di separazione, il blocco della piattaforma WhatsApp onde impedire accessi del marito in funzione di controllo dopo la scoperta del messaggio "Ciao gioia", l'abbandono del letto coniugale e l'interruzione dei rapporti intimi). Tutto ciò aveva scavato un solco nella mente obnubilata del S. , anche a causa dell'uso di sostanze stupefacenti, determinando un accumulo di sofferenza e rabbia, che non si può certamente definire come un motivo futile. 2.3. L'ultimo motivo di ricorso censura il diniego delle circostanze attenuanti generiche, motivato con argomenti contrari al consolidato orientamento giurisprudenziale, senza valorizzazione dell'incensuratezza dell'imputato e della sua confessione, nonché del particolare contesto emotivo e psicologico in cui era maturata la condotta uxoricida, che si è riflesso nel successivo tentativo di suicidio del S. , indicativo della sofferenza e della resipiscenza immediatamente concepita dall'imputato. Ricorda la difesa ricorrente che, con la sentenza n. 183 del 10/6/2011, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 62-bis c.p., per contrasto con il criterio di ragionevolezza, laddove prevedeva che, ai fini dell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, non si potesse tenere in considerazione la condotta del reo, susseguente al reato. Invero, anche tale riferimento è funzionale alla valutazione della capacità a delinquere di una persona, potendo la condotta post-delictum risultare talora anche più significativa per giudicare la complessiva personalità dell'imputato.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è basato su motivi vietati dalla legge, in quanto in parte ripetitivi delle censure già vagliate come motivi di gravame, oltre che generici e rivalutativi. 1.1. Preliminarmente si precisa che ci si trova al cospetto della conferma nei medesimi termini della sentenza di condanna pronunciata in primo grado, cioè ad una cosiddetta "doppia conforme". Tale costruzione postula che il vizio di motivazione deducibile e censurabile in sede di legittimità sia soltanto quello che - a presidio del devolutum - discende dalla pretermissione dell'esame di temi probatori decisivi, ritualmente indicati come motivi di appello e trascurati in quella sede (Sez. 5, n. 1927 del 20/12/2017, dep. 2018, Petrocelli e altri, Rv. 272324; Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015, Giugliano, Rv. 263129; Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013, dep. 2014, Dall'Agnola, Rv. 257967); o anche manifestamente travisati in entrambi i gradi di giudizio (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018). Al di fuori di tali binari, resta precluso il rilievo del vizio di motivazione secondo la nuova espressione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) nel caso di adeguata e logica valutazione conforme nei gradi di merito del medesimo compendio probatorio. Deve altresì ribadirsi che nei casi di doppia conforme, le motivazioni delle sentenze di merito convergono in un apparato motivazionale integrato e danno luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218), che in tali termini deve essere assunto anche nella denuncia dei vizi di legittimità, nei limiti della loro rilevanza. Infine, in ordine alle critiche rivolte alla valutazione di elementi probatori, giova ricordare che trattasi di terreno interdetto alla verifica di legittimità, che può riguardare soltanto il corretto e completo apprezzamento del materiale probatorio sotto il profilo indicato e l'assenza di manifesto travisamento delle prove. E, sul punto, le argomentazioni espresse dalla Corte di appello risultano corrette ed esaustive. 2. Ciò premesso, iniziando l'analisi dal motivo che denuncia il mancato riconoscimento del vizio parziale di mente, addebitandolo all'acritica valutazione dei risultati dell'indagine peritale, a loro volta viziati dall'assenza di considerazione per la dinamica criminale del fatto e per gli indicatori di grave patologia della personalità, più che di mero disturbo, deve rilevarsi che in tal modo si postula un apprezzamento di merito della perizia medico-legale, che non risulta allegata al ricorso, così come la consulenza di parte ivi citata, dando perciò luogo ad un vizio di autosufficienza. 2.1. Alla stregua dell'impugnata sentenza, unica fonte utile in questa sede, non è dato rilevare alcun vizio di omissione o di travisamento degli esiti peritali, risultando che la Corte territoriale ha debitamente esaminato la dinamica dell'omicidio (pur non qualificandola con il termine di "criminodinamica", peraltro equivalente), alla pagina 7, desumendo dall'estrema violenza dell'azione - ricavata dal numero dei colpi inferti alla vittima, dai morsi sull'avambraccio e sul gomito, dalle contusioni al volto e dalla frattura del setto nasale - "la lucidità patognomica tipica di chi ha voluto punire con l'eliminazione fisica colei che continuava a rifiutarlo". La discussione delle contrapposte valutazioni dei periti e dei consulenti di parte è stata analitica ed ha investito anche il tema del picco di punteggio risultante dal test di Millon, che si è rilevato evidenziare un unico tratto paranoide - superiore alla soglia critica - ma non associato a segni clinici o emersi in sede di intervista: pertanto, si è escluso che tale isolato valore elevato della scala paranoide abbia rivestito un decisivo significato psicopatologico, non essendo confermato dall'osservazione clinica e dai dati obiettivi. Si è,quindi, concluso che tale dato non integra un'infermità o una seminfermità di mente, bensì un tratto della personalità che non è sfociato in un pensiero delirante, fluido e sistematico, tale da integrare un disturbo di personalità paranoidea. 2.2. Così riassunti i contenuti della sentenza più direttamente attinti dalle critiche del ricorso, allo scopo di evidenziare la completa disamina delle tematiche ivi evocate, deve però ribadirsi che l'accertamento della capacità di intendere e di volere dell'imputato costituisce una questione di fatto la cui valutazione compete al giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se esaurientemente motivata, anche con il solo richiamo alle valutazioni delle perizie, se immune da vizi logici e conforme ai criteri scientifici di tipo clinico e valutativo (Sez. 1, n. 11897 del 18/05/2018, dep. 2019, P., Rv. 276170); tanto più che il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d'ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, non può essere gravato dell'obbligo di fornire, in motivazione, autonoma dimostrazione dell'esattezza scientifica delle prime e dell'erroneità, per converso, delle altre, dovendosi al contrario considerare sufficiente la dimostrazione del fatto che le conclusioni peritali siano state valutate in termini di affidabilità e completezza, e che non siano state ignorate le argomentazioni del consulente (Sez. 6, ord. n. 5749 del 09/01/2014, Homm, Rv. 258630), come per l'appunto è avvenuto nel caso di specie. 3. Il motivo che rivendica l'esclusione dell'aggravante dei futili motivi è manifestamente infondato e trascura di prendere atto delle diffuse argomentazioni dell'impugnata sentenza sul punto. La sua prospettazione nel ricorso tende a recuperare, sotto questo profilo, il disagio psichico del S. , corroborato dal tentato suicidio post crimen patra-tum, per ricavarne che la gelosia delirante era motivo unico ed assorbente dell'omicidio, che non vi era alcuna concezione proprietaria della moglie, ma esorbitante sofferenza all'idea di perdere la donna amata, coacervo di pulsioni che aveva scatenato l'impulso aggressivo. 3.1. La descritta impostazione è tuttavia contraddetta dal ragionamento motivazionale - ancorato alle emergenze fattuali e confermato dagli esiti dell'indagine peritale - che ha condotto la Corte territoriale a concludere che l'uxoricidio era stato determinato non tanto dalla gelosia (invero, il messaggio "Ciao gioia" era stato scoperto sul cellulare della vittima un mese prima), ma soprattutto dalla frustrazione per il fallimento dei tentativi di ricomposizione familiare attuati insistentemente dal S. , senza alcun esito, ed in definitiva dal mancato rispetto della volontà di autodeterminazione della M. , che aveva deciso di porre fine al matrimonio e, nell'immediato, si era rifiutata di prestarsi ad un rapporto sessuale che il S. pretendeva a suggello della vagheggiata intesa coniugale. In questi termini la motivazione della sentenza, lungi dal risultare assertiva ed incoerente, come afferma il ricorrente, si fonda sui risultati della perizia che aveva segnalato che la condotta delittuosa non dipendeva da fattori psicopatologici, bensì da un mero stato emotivo e passionale. Esclusa, dunque, ogni sfumatura patologica nell'azione del S. , l'impulso uxoricida va ricondotto nella dimensione delittuosa ordinaria, sicché non è in alcun modo censurabile la valutazione espressa da entrambi i giudici di merito circa la futilità del motivo che induceva l'uomo ad uccidere la moglie a fronte di una spinta delittuosa lieve ed altrimenti componibile, quale quella del disagio coniugale, affrontata invece con puro istinto criminale e con effetti amplificati dall'uso di cocaina, ritenuta senz'altro fattore di eliminazione delle controspinte all'azione. Incidentalmente deve poi segnalarsi che il riferimento alla "premeditazione condizionata", che è stato ripreso nel ricorso, non è una elaborazione dei giudici di appello, bensì il richiamo ad una osservazione del locale Procuratore generale che aveva riferito tale figura alla preordinazione dei mezzi (coltello a serramanico) per commettere l'omicidio, ma che nell'ambito dell'analisi della sussistenza del futile motivo appare come una sorta di obiter dictum. 3.2. L'esegesi di legittimità formatasi sul tema del motivo abietto o futile, per omicidi o altri gravi delitti originati da violenza di genere ammantata da gelosia, convalida l'impostazione seguita nell'impugnata sentenza. Già in tempi risalenti si era affermato che,"Alla luce del comune sentire nell'attuale momento storico che attribuisce sempre maggiore rilevanza alla libertà di autodeterminazione, deve ravvisarsi la sussistenza dell'aggravante dei motivi abietti nel caso in cui un omicidio sia compiuto non per ragioni di gelosia collegate ad un sia pur abnorme desiderio di vita in comune, ma sia espressione di spirito punitivo nei confronti della vittima considerata come propria appartenenza, della quale pertanto non può tollerarsi l'insubordinazione" (Sez. 1, n. 9590 del 22/09/1997, Pm e Scarola, Rv. 208773; in termini: Sez. 1, n. 49673 del 01/10/2019, P., Rv. 278082). Si è poi ammesso che,"In tema di circostanze, anche la gelosia può integrare l'aggravante prevista dall'art. 61 c.p., comma 1, n. 1, che giustifica un giudizio di maggiore riprovevolezza dell'azione e di più accentuata pericolosità dell'agente, per la futilità della spinta motivazionale che ha determinato a commettere il reato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva ritenuto tale aggravante in relazione ad un delitto di lesioni commesso con l'investimento della vittima, rilevando che la condotta risultava del tutto sproporzionata rispetto alla spinta criminosa, individuata nella mancata accettazione della fine di una relazione sentimentale e nell'istinto di conservare un controllo sul partner) (Sez. 5, n. 44319 del 21/05/2019, M., Rv. 276962). 3.3. Anche nel caso in esame, come hanno inteso i giudici di merito congruamente motivando il loro convincimento, si è rimarcata l'oggettiva sproporzione tra il reato concretamente realizzato e il motivo che lo ha determinato, nonché il dato soggettivo, costituito dalla possibilità di connotare detta sproporzione quale espressione di un moto interiore assolutamente ingiustificato, tale da configurare lo stimolo esterno come mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale: tale approccio costituisce corretta applicazione del metodo bifasico che la giurisprudenza di legittimità ha indicato come adeguato alla verifica della sussistenza dell'aggravante in questione (Sez. 5, n. 45138 del 27/06/2019, Vetuschi, Rv. 277641). 4. Anche il motivo di censura riguardante la negazione delle circostanze attenuanti generiche è inammissibile in quanto generico e confutativo, riproducendo le stesse doglianze avanzate come motivi di gravame, incurante della risposta oltremodo completa già ottenuta dai giudici di appello. Si ripete che sono stati ritenuti recessivi gli elementi favorevoli indicati dall'imputato nella confessione - ritenuta inutile a fronte di un quadro probatorio assolutamente lampante - e nel suo stato di incensuratezza, elemento neutro per espressa previsione di legge (art. 62 bis c.p., comma 3), al cospetto dei seguenti indici di senso negativo: l'estrema aggressività della condotta; l'atteggiamento possessivo acuito dal libero uso della cocaina. In particolare, si è stigmatizzata l'efferatezza della condotta, culminata nell'accoltellamento brutale ed insistito, con quarantasei fendenti, peraltro alla presenza del figlio della coppia di appena cinque anni (il che astrattamente integra l'aggravante ex art. 61 c.p., n. 11 quinquies). Dopo tale rassegna, risulta superfluo evidenziare che il diniego delle attenuanti generiche risulta più che esaustivamente motivato, rammentando altresì che,"In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione." (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269). 5. In conclusione, il ricorso è inammissibile, da ciò conseguendo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro tremila alla Cassa delle Ammende, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., non risultando l'assenza di profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, a tenore della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000. L'imputato deve essere altresì condannato alla rifusione delle spese processuali affrontate dalle parti civili costituite, nelle rispettive qualità, come da liquidazione effettuata nel dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, altresì, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili M.M. , in proprio e quale affidatario dei minori S.M. e S.M. , D.F.M.T. , M.V. , M.B. , Ma.Cl. , V.G. , B.M. , M.M.L. , B.G. , B.F. , M.G. e L.M. , in proprio e nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sui minori M.F. e M.G. , M.F. , M.G. e B.V. , spese che liquida, come da richiesta, in complessivi Euro 10.530, oltre accessori di legge. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione in favore della parte civile Comune di Cava dè Tirreni delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio che liquida, come da richiesta, in complessivi Euro 3.015,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.