Giu Illegittimità costituzionale degli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lett. a), c.p.p.
CORTE COSTITUZIONALE - 18 gennaio 2022 N. 7
Massima
E' dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lett. a), c.p.c., nella parte in cui non prevedono che il giudice dell'esecuzione deve essere diverso da quello che ha pronunciato l'ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena, a seguito di declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, (annullata con rinvio dalla Corte di cassazione). "...In sede di rinvio dopo l'annullamento da parte della Corte di cassazione, il giudice dell'esecuzione - per essere "terzo e imparziale" (art. 111, secondo comma, Cost.) - deve essere persona fisica diversa dal giudice che, in precedenza, si è già pronunciato con l'impugnata (e annullata) ordinanza sulla richiesta di nuova determinazione della pena. In sostanza, ogni qual volta il giudice deve provvedere sulla richiesta di rideterminazione della pena a seguito di declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, deve trovare applicazione una regola analoga a quella posta dall'art. 623, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., secondo cui "se è annullata la sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale; tuttavia, il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata".

Testo della sentenza
CORTE COSTITUZIONALE - 18 gennaio 2022 N. 7

Motivi della decisione

1.- Con ordinanza del 20 gennaio 2021 (reg. ord. n. 65 del 2021), il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario di Verona, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 (recte: artt. 3, primo comma, e 111, secondo comma) della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 34 (in realtà: 34, comma 1) e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono l'incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio in capo al giudice dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della pena a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata dalla Corte di cassazione.

1.1.- Al fine di individuare esattamente il petitum del giudizio incidentale, occorre infatti precisare che, benché nell'ordinanza e nel dispositivo il giudice a quo abbia fatto riferimento all'intero art. 34 cod. proc. pen., il sospetto di illegittimità costituzionale ha ad oggetto, come chiaramente si evince dalla complessiva motivazione dell'ordinanza di rimessione, il solo comma 1 della norma.

In via subordinata, il giudice a quo ha sollevato, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali, questioni di legittimità costituzionale delle stesse disposizioni, nella parte in cui non prevedono l'incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio in capo al giudice dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della pena a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale, ad opera della sentenza n. 40 del 2019 di questa Corte, dell'art. 73, comma l, del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), annullata dalla Corte di cassazione.

1.2.- Quanto alla vicenda processuale del giudizio a quo, il rimettente afferma di aver emesso, ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, passata in giudicato l'11 gennaio 2019, nei confronti del ricorrente - detenuto in carcere, al momento della proposizione dell'incidente di legittimità costituzionale - per il reato di cui agli artt. 73, comma 1, e 80 del D.P.R. n. 309 del 1990.

Il rimettente riferisce che il condannato ha proposto incidente di esecuzione - che veniva assegnato al medesimo giudice a quo - al fine di ottenere la rideterminazione della pena patteggiata in quanto, dopo la formazione del giudicato, questa Corte, con la citata sentenza n. 40 del 2019, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 73, comma 1, del D.P.R. n. 309 del 1990, nella parte in cui prevedeva la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni, anziché di sei anni. A sostegno della istanza, il ricorrente ha invocato la giurisprudenza di legittimità che ha affermato il principio secondo cui è illegale la pena applicata con la sentenza in esecuzione, in forza della norma dichiarata costituzionalmente illegittima.

Dopo aver fissato, ai sensi dell'art. 666 cod. proc. pen., l'udienza per la rinegoziazione della pena, non avendo le parti raggiunto l'accordo, il giudice a quo riferisce di aver rigettato, con ordinanza, la richiesta di nuova commisurazione della pena, in quanto il condannato si era reso colpevole di un fatto di allarmante gravità, in relazione al quale la pena base, originariamente fissata nella misura di anni nove e mesi nove di reclusione, doveva essere tenuta ferma anche dopo la già citata sentenza della Corte costituzionale.

Il difensore del condannato ha, quindi, impugnato l'ordinanza di rigetto proponendo ricorso innanzi alla corte di cassazione che ha annullato l'ordinanza impugnata, disponendo il "rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Verona, Ufficio GIP" (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 16 luglio-4 settembre 2020, n. 25097).

Il giudizio di rinvio è stato assegnato al medesimo giudice, persona fisica, in applicazione della disposizione di cui all'art. 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., secondo cui "se è annullata un'ordinanza, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l'ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento".

1.3.- Il rimettente - richiamando la giurisprudenza di legittimità in ordine ai poteri/doveri del giudice dell'esecuzione per la rideterminazione della pena nei casi, come quello in esame, in cui vengono in rilievo gli effetti della sentenza n. 40 del 2019 di questa Corte - ritiene che, a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione dell'ordinanza di rigetto dell'istanza di rideterminazione della pena, non possa essere il medesimo giudice-persona fisica, che si sia già espresso, nell'ordinanza annullata dalla Corte di cassazione, a decidere nel giudizio di rinvio su un aspetto fondamentale, qual è quello della quantificazione della pena, che implica "penetranti poteri di valutazione di merito".

Ad avviso del giudice a quo, le norme censurate contrasterebbero con l'art. 3, primo comma, Cost., perché, quanto al regime dell'incompatibilità del giudice, determinano una ingiustificata disparità di trattamento tra le fasi della cognizione e dell'esecuzione, ove si tratti di decisioni attinenti alla commisurazione della pena.

Inoltre, secondo il rimettente, sarebbe violato anche l'art. 111, secondo comma, Cost., in quanto le disposizioni censurate, nella parte in cui non prevedono l'incompatibilità per il caso considerato, si porrebbero in contrasto con il principio di imparzialità e di terzietà del giudice.

2.- Va, preliminarmente, ritenuta la rilevanza delle questioni e quindi la loro ammissibilità.

2.1.- In primo luogo, il rimettente richiama l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il giudice dell'esecuzione deve rideterminare la pena nel caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale di norme incidenti sulla stessa, non ancora interamente espiata.

L'esigenza di non lasciare senza rimedio l'illegalità, lato sensu intesa, della condanna o del trattamento sanzionatorio, anche se oggetto di res iudicata, è all'origine della elaborazione del principio della cosiddetta flessibilità del giudicato, secondo il quale quando dopo una sentenza irrevocabile di condanna sopravviene la dichiarazione d'illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, e quest'ultimo non sia stato interamente eseguito, il giudice dell'esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 29 maggio-14 ottobre 2014, n. 42858).

L'efficacia del giudicato penale, quindi, non implica l'immodificabilità, in assoluto, del trattamento sanzionatorio stabilito con la sentenza irrevocabile di condanna, nei casi in cui la pena debba subire modificazioni imposte dal sistema a tutela dei diritti primari della persona.

Del resto, sotto il profilo della "ampiezza dei poteri ormai riconosciuti dall'ordinamento processuale" al giudice dell'esecuzione, questa Corte ha affermato che ben può tale giudice essere investito anche della istanza volta ad ottenere l'adeguamento a una decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo, che accerta l'illegalità convenzionale della pena (sentenza n. 210 del 2013).

Consegue da ciò che, nella fattispecie in esame, il giudice rimettente, quale giudice dell'esecuzione, doveva - e deve tuttora in sede di giudizio di rinvio - procedere alla rideterminazione della pena, quale operazione resasi necessaria a seguito della citata sentenza n. 40 del 2019.

A tal fine, il giudice rimettente ha fatto applicazione, in particolare, dello schema processuale di cui all'art. 188 del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) - in tema di concorso formale e reato continuato nel caso di più sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti - secondo le indicazioni della giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 7-21 luglio 2020, n. 21815).

Pertanto, in assenza dell'accordo delle parti sulla rinegoziazione della pena, il rimettente, attivando i propri poteri di ufficio, l'ha inizialmente rideterminata, ma confermando - con l'ordinanza poi annullata dalla Corte di cassazione con rinvio al medesimo giudice - quella originariamente inflitta con la sentenza emessa ex art. 444 cod. proc. pen.

2.2.- Non esclude la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale la circostanza - evidenziata dal rimettente - che, nelle more del giudizio di costituzionalità, "il condannato terminerà di espiare la pena inflitta con la sentenza in esecuzione, allo stato non ancora "rideterminata", alla data del 1.10.2021".

L'incidente di legittimità costituzionale è, infatti, scaturito dalla richiesta del condannato di rideterminazione della pena, in ordine ad un trattamento sanzionatorio non ancora definitivamente espiato, che ha determinato l'obbligo per il rimettente, nella funzione di giudice del rinvio, di procedere ad una nuova commisurazione della pena.

Perciò l'integrale espiazione del trattamento sanzionatorio durante la pendenza del giudizio di legittimità costituzionale - in disparte ogni profilo attinente alla riparazione da ingiusta detenzione - non incide sulla perdurante rilevanza delle questioni prospettate in quanto l'art. 21 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione temporis, reca "un principio generale di autonomia del giudizio incidentale di costituzionalità, che come tale non risente delle vicende di fatto successive all'ordinanza di rimessione (ex multis, sentenza n. 270 del 2020); sicché la rilevanza delle questioni rispetto alla decisione del processo a quo deve essere vagliata ex ante, con riferimento al momento della prospettazione delle questioni stesse (sentenza n. 84 del 2021)" (sentenza n. 127 del 2021).

2.3.- Va altresì considerato che l'ordinanza di rimessione - "recando una formale e testuale qualificazione delle due questioni sollevate, rispettivamente, come "principale" (la prima) e "subordinata" (la seconda)" - mostra, con chiara evidenza, il nesso sequenziale che ne caratterizza la prospettazione e che esclude ogni connotazione ancipite del petitum (sentenza n. 152 del 2020).

3.- Deve poi rilevarsi come il rimettente muova da una corretta premessa ermeneutica nell'affermare che le norme censurate vanno interpretate nel senso che il giudizio di rinvio, a seguito dell'annullamento dell'ordinanza di rideterminazione della pena da parte della Corte di cassazione, possa essere celebrato innanzi allo stesso giudice, persona fisica, che ha pronunciato l'ordinanza impugnata.

Nella fattispecie in esame, con norma speciale rispetto all'art. 34, comma 1, cod. proc. pen., l'art. 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., prevede che, in riferimento al giudizio di rinvio, "se è annullata un'ordinanza, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l'ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento".

Parimenti, lo stesso art. 623, comma 1, cod. proc. pen., alla lettera d), prevede che "se è annullata la sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale"; ma aggiunge: "tuttavia, il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata".

Quest'ultima prescrizione, presente nella lettera d) e non anche nella lettera a) - quella secondo cui il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata -, conferma la correttezza del presupposto interpretativo del giudice rimettente: ove oggetto di annullamento sia un'ordinanza e non già una sentenza, non opera tale più specifica prescrizione.

Del resto, al riguardo, va anche evidenziato che questa Corte nella sentenza n. 183 del 2013 - dichiarativa della illegittimità costituzionale delle medesime disposizioni oggi censurate, nella parte in cui non prevedevano che non potesse partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento il giudice che avesse pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o di rigetto della richiesta di applicazione, in sede esecutiva, della disciplina del reato continuato, ai sensi dell'art. 671 cod. proc. pen. - ha affermato che la premessa interpretativa da cui partiva allora il rimettente, analoga a quella da cui muove attualmente l'odierno rimettente, fosse "oggettivamente conforme al dato normativo e comunque rispondente al corrente orientamento della giurisprudenza di legittimità, così da poter essere assunta quale "diritto vivente"".

4.- Passando all'esame del merito, giova ricordare, in estrema sintesi, il contesto normativo e giurisprudenziale in cui si collocano le sollevate questioni di legittimità costituzionale.

4.1.- La vicenda processuale da cui scaturisce l'incidente di legittimità costituzionale trae origine da una fattispecie, del tutto peculiare, determinata dalla sentenza di questa Corte n. 40 del 2019, che ha dichiarato, in riferimento alla violazione degli artt. 3 e 27 Cost., l'illegittimità costituzionale dell'art. 73, comma 1, del D.P.R. n. 309 del 1990, nella parte in cui prevedeva la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni.

In tale pronunzia, questa Corte - nel solco già tracciato dalla sentenza n. 179 del 2017, recante "un pressante auspicio affinché il legislatore proceda rapidamente a soddisfare il principio di necessaria proporzionalità del trattamento sanzionatorio" - ha osservato che la divaricazione di quattro anni, determinatasi a seguito del D.L. 23 dicembre 2013, n. 146 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria), convertito, con modificazioni, nella L. 21 febbraio 2014, n. 10, tra il minimo edittale di pena previsto per i fatti non lievi connessi al traffico di stupefacenti (pari ad otto anni di reclusione) e il massimo edittale della pena comminata dal comma 5 del medesimo art. 73 per i fatti lievi (pari a quattro anni di reclusione), costituisse un'anomalia sanzionatoria in contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza, oltre che con il principio di rieducazione della pena.

A seguito di tale dichiarazione di illegittimità costituzionale, "sostitutiva" del minimo della cornice edittale del reato di traffico di sostanze stupefacenti, i condannati per tale reato, anche a seguito di patteggiamento, hanno avuto la facoltà di richiedere, nel corso della espiazione della pena originariamente inflitta, l'applicazione del trattamento sanzionatorio più mite sicché i giudici dell'esecuzione sono stati investiti - come nel caso di specie - di richieste di nuova commisurazione della pena.

4.2.- Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal rimettente attengono, in particolare, all'ambito di operatività delle cause di incompatibilità, disciplinate dall'art. 34 cod. proc. pen., del quale, nel caso di specie, rileva il comma 1.

Da tale norma sono disciplinate le incompatibilità che attengono alla progressione "in verticale" del processo, determinata dall'articolazione e dalla sequenzialità dei diversi gradi di giudizio.

Vi sono poi i casi di incompatibilità relativi allo sviluppo "orizzontale" del processo, attinenti, cioè, alla relazione tra la fase del giudizio e quella immediatamente precedente (art. 34, comma 2, cod. proc. pen.), e i casi di incompatibilità del giudice, derivanti dall'aver esercitato, nel medesimo procedimento, altre funzioni o uffici (art. 34, comma 3, cod. proc. pen.).

Con specifico riferimento alla disposizione di cui all'art. 34, comma 1, cod. proc. pen., questa Corte ha affermato che essa "dettando la regola primaria in tema di incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento, delinea una incompatibilità di tipo "verticale" - in senso tanto "ascendente" quanto "discendente" - escludendo segnatamente che il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento possa esercitare funzioni di giudice negli altri gradi, ovvero partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento o al giudizio per revisione" (sentenza n. 224 del 2001).

Tale norma, secondo l'orientamento costante della giurisprudenza di questa Corte, mira ad assicurare la tutela del principio fondamentale dell'imparzialità del giudice, obiettivo cui tendono anche gli istituti dell'astensione e della ricusazione.

Come affermato da questa Corte (sentenza n. 131 del 1996), il "giusto processo" comprende l'esigenza di imparzialità del giudice, la quale non è che "un aspetto di quel carattere di "terzietà" che connota nell'essenziale tanto la funzione giurisdizionale quanto la posizione del giudice, distinguendola da quella di tutti gli altri soggetti pubblici, e condiziona l'effettività del diritto di azione e di difesa in giudizio"; pertanto - ha sottolineato questa Corte - "le norme sulla incompatibilità del giudice sono funzionali al principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione e ciò ne chiarisce il rilievo costituzionale".

In questa prospettiva, la disciplina sulla incompatibilità del giudice è volta a evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire condizionata dalla "forza della prevenzione" - ovvero dalla naturale propensione a confermare una decisione già presa o a mantenere un atteggiamento già assunto - derivante da valutazioni che il giudice abbia precedentemente svolto in ordine alla medesima res iudicanda (ex plurimis, sentenze n. 66 del 2019, n. 18 del 2017, n. 183 del 2013, n. 153 del 2012, n. 177 del 2010, n. 224 del 2001, n. 283 del 2000 e n. 241 del 1999).

E perché possa configurarsi una situazione di incompatibilità, nel senso della esigenza costituzionale della relativa previsione, è necessario che la valutazione "contenutistica" sulla medesima res iudicanda si collochi in una precedente e distinta fase del procedimento, rispetto a quella della quale il giudice è attualmente investito (sentenza n. 66 del 2019).

A tal riguardo, si è costantemente affermato che "è del tutto ragionevole, infatti, che, all'interno di ciascuna delle fasi - intese come sequenze ordinate di atti che possono implicare apprezzamenti incidentali, anche di merito, su quanto in esse risulti, prodromici alla decisione conclusiva - resti, in ogni caso, preservata l'esigenza di continuità e di globalità, venendosi altrimenti a determinare una assurda frammentazione del procedimento, che implicherebbe la necessità di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere (ex plurimis, sentenze n. 153 del 2012, n. 177 e n. 131 del 1996; ordinanze n. 76 del 2007, n. 123 e n. 90 del 2004, n. 370 del 2000, n. 232 del 1999)" (sentenza n. 18 del 2017).

In pronunce più risalenti, questa Corte ha anche chiarito che non è sufficiente per determinare una situazione di incompatibilità la semplice conoscenza degli atti anteriormente compiuti riguardanti lo svolgimento del processo, ma occorre che il giudice sia stato chiamato a compiere "una valutazione non formale, di contenuto" di essi, strumentale alla decisione da assumere che riguardi il merito dell'accusa (sentenza n. 177 del 2010; nello stesso senso, ex multis, sentenze n. 153 del 2012 e n. 131 del 1996).

5.- Ciò premesso, le questioni sono, nel merito, fondate.

La mancata previsione dell'incompatibilità del giudice dell'esecuzione, persona fisica, che abbia pronunciato l'ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena proposta a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, poi annullata con rinvio dalla Corte di cassazione, confligge con entrambi i parametri evocati dal giudice rimettente (artt. 3, primo comma, e 111, secondo comma, Cost.).

6.- La regola generale di incompatibilità del giudice che abbia già compiuto atti nel procedimento è posta dall'art. 34 cod. proc. pen., che ne definisce termini e limiti, e che, in particolare, stabilisce al comma 1 che il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non può partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento.

Questa regola poi è declinata più specificamente dall'art. 623 cod. proc. pen. che, con riferimento alla pronuncia di annullamento con rinvio a seguito del giudizio di cassazione, prevede - alle lettere b), c) e d) - i vari casi di annullamento della sentenza impugnata, indicando il giudice competente per il giudizio di rinvio.

Se è annullata una sentenza di un giudice collegiale (corte di assise di appello o corte di appello o corte di assise o tribunale in composizione collegiale) il giudizio è rinviato rispettivamente a un'altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale o, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini.

Se è annullata una sentenza di un giudice monocratico (tribunale in composizione monocratica o giudice per le indagini preliminari) il giudizio è rinviato al medesimo tribunale, ma il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata.

Ove invece sia annullata un'ordinanza, il medesimo art. 623, comma 1, cod. proc. pen., alla lettera a), detta una regola diversa. Prevede che la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l'ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento, senza che sia prescritto - come nella successiva lettera d) con riferimento alla sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari - che il giudice, se monocratico, debba essere diverso da quello che ha pronunciato l'ordinanza annullata.

Vi è, in particolare, che l'ordinanza è il tipico provvedimento decisorio del giudice nel procedimento di esecuzione (art. 666, comma 6, cod. proc. pen.); il quale ha caratteristiche e peculiarità ben distinte dal procedimento di cognizione. Il giudice dell'esecuzione esercita un'attività pur sempre giurisdizionale, ma entro confini limitati, quali sono in particolare quelli del giudicato formatosi in sede di cognizione.

È, in generale, nell'attività della cognizione che il giudice del rinvio, in caso di annullamento pronunciato dalla Corte di cassazione, è esposto alla forza della prevenzione insita nel condizionamento per aver egli adottato il provvedimento impugnato.

Ma ciò accade anche quando nel procedimento di esecuzione il giudice del rinvio, al pari del giudice dell'ordinanza annullata, è chiamato a una valutazione che travalica la stretta esecuzione del giudicato e attinge, in via eccezionale, il livello della cognizione; ossia quando al giudice dell'esecuzione è demandato un "frammento di cognizione inserito nella fase di esecuzione penale" (sentenza n. 183 del 2013).

7.- Si ha, infatti, che il giudice dell'esecuzione - in caso di annullamento dell'ordinanza pronunciata sulla commisurazione della pena, a seguito di istanza di rideterminazione della stessa proposta dal condannato in ragione della dichiarazione di illegittimità costituzionale che, riguardando la misura della pena edittale, rende recessivo, in questa parte, il giudicato penale - è chiamato a esprimersi nuovamente sulla medesima istanza.

In tale evenienza il giudice dell'esecuzione, nel giudizio di rinvio conseguente all'annullamento dell'ordinanza con cui egli stesso si è già pronunciato sulla rideterminazione della pena, è nuovamente investito della decisione circa la "misura" della responsabilità del condannato, dovendo a tal fine esercitare incisivi poteri di merito, volti alla rivalutazione sanzionatoria del fatto illecito, alla luce del nuovo e più favorevole minimo edittale.

Non si tratta di una operazione da condurre alla stregua di criteri oggettivi, di mero riproporzionamento automatico della pena già quantificata in sede di cognizione, nell'ambito della diversa cornice edittale, in quanto - come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 3 marzo-30 aprile 2020, n. 13453) - il giudice deve effettuare una nuova valutazione alla stregua dei parametri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., per assicurare la finalità rieducativa della pena ai sensi dell'art. 27 Cost.

Ed è proprio nella prospettiva della finalità rieducativa della sanzione penale, che il giudice dell'esecuzione procede alla necessaria riduzione della pena, perché la modifica sopravvenuta del minimo edittale rende non adeguata al fatto concreto una sanzione calcolata quando la previsione edittale per quel reato - nel caso di specie, per il reato di cui all'art. 73, comma 1, del D.P.R. n. 309 del 1990 - era, nel minimo, sensibilmente più elevata (otto anni di reclusione invece di sei).

Quando sopravviene la dichiarazione della illegittimità costituzionale di una norma che incide sul trattamento sanzionatorio - di cui la sentenza n. 40 del 2019 costituisce una tipica fattispecie - il giudice dell'esecuzione, dovendo far ricorso ai parametri di cui all'art. 133 cod. pen., "ritorna" sulla valutazione del fatto illecito, già compiuta in sede di cognizione, occupandosi nuovamente della gravità del reato.

Al pari del giudice della cognizione, dunque, il giudice dell'esecuzione, in sede di giudizio di rinvio in relazione al caso considerato, esercita un potere discrezionale di commisurazione della pena per adeguare la risposta punitiva al fatto concreto, che, per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale della pena, ha assunto un diverso disvalore.

Del resto, questa Corte ha affermato che ""l'individualizzazione" della pena, in modo da tenere conto dell'effettiva entità e delle specifiche esigenze dei singoli casi, si pone come naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali" così da rendere "quanto più possibile "personale" la responsabilità penale, nella prospettiva segnata dall'art. 27, primo comma; ... e quanto più possibile "finalizzata" nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma, Cost." (sentenza n. 50 del 1980).

8.- Si ha, allora, che l'apprezzamento demandato al giudice in sede di rinvio assume, con riferimento alla individuazione del "giusto" trattamento sanzionatorio, la natura di "giudizio" che, in quanto tale, integra il "secondo termine della relazione di incompatibilità ..., espressivo della sede "pregiudicata" dall'effetto di "condizionamento" scaturente dall'avvenuta adozione di una precedente decisione sulla medesima res iudicanda" (sentenza n. 183 del 2013).

A tal proposito, questa Corte ha affermato che "la locuzione "giudizio" è di per sé tale da comprendere qualsiasi tipo di giudizio, cioè ogni processo che in base ad un esame delle prove pervenga ad una decisione di merito" (ordinanza n. 151 del 2004).

Pertanto, è un ""giudizio" contenutisticamente inteso, ... ogni sequenza procedimentale - anche diversa dal giudizio dibattimentale - la quale, collocandosi in una fase diversa da quella in cui si è svolta l'attività "pregiudicante", implichi una valutazione sul merito dell'accusa, e non determinazioni incidenti sul semplice svolgimento del processo, ancorché adottate sulla base di un apprezzamento delle risultanze processuali" (sentenza n. 224 del 2001).

La valutazione complessiva del fatto illecito, che compete al giudice dell'esecuzione nell'attività di commisurazione della pena, resa necessaria a seguito di una pronuncia di illegittimità costituzionale, presenta, pertanto, tutte le caratteristiche del "giudizio" per come delineate dalla giurisprudenza di questa Corte. Sicché, in sede di rinvio dopo l'annullamento da parte della Corte di cassazione, il giudice dell'esecuzione - per essere "terzo e imparziale" (art. 111, secondo comma, Cost.) - deve essere persona fisica diversa dal giudice che, in precedenza, si è già pronunciato con l'impugnata (e annullata) ordinanza sulla richiesta di nuova determinazione della pena.

In sostanza, ogni qual volta il giudice deve provvedere sulla richiesta di rideterminazione della pena a seguito di declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, deve trovare applicazione una regola analoga a quella posta dall'art. 623, comma 1, lettera d), cod. proc. pen., secondo cui "se è annullata la sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale; tuttavia, il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata".

9.- Gli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., vanno pertanto dichiarati costituzionalmente illegittimi, nella parte in cui non prevedono che il giudice dell'esecuzione deve essere diverso - nel senso di persona fisica diversa - da quello che ha pronunciato l'ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena a seguito di declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata con rinvio dalla Corte di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono che il giudice dell'esecuzione deve essere diverso da quello che ha pronunciato l'ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena, a seguito di declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata con rinvio dalla Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 novembre 2021.

Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2022.