Ritiene in proposito il Collegio che l'inclusione dell'IVA all'importazione nel novero dei "diritti di confine" sia stata un'operazione correttamente effettuata dal Tribunale distrettuale, avendo la Suprema Corte di recente affermato che "In tema di contrabbando doganale, la nozione di "diritti di confine" di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 34, la cui evasione integra il delitto di cui all'art. 292, del citato D.P.R., comprende anche l'IVA all'importazione" (così Sez. 3, n. 4978 del 13/01/2022, PMT c/Gostner Thomas, Rv. 282921-01).
1. Il ricorso presentato nell'interesse di A.A. è manifestamente infondato per le ragioni che di seguito si espongono.
2. Destituito di fondamento risulta il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 69, e art. 74 Regolamento CE n. 952 del 2013 in punto di determinazione del valore del bene da assumere come base imponibile per il calcolo del dazio e dell'IVA all'importazione, sostenendo che, nel caso concreto, tale valore sarebbe stato genericamente e illegittimamente determinato mediante il riconoscimento al veicolo importato della "valutazione esperita su siti specializzati".
Osserva al riguardo il Collegio che, dietro lo schermo della violazione di legge, si è di fatto prospettato, con il motivo di ricorso de quo, un vizio motivazionale, posto che si sono stigmatizzate le argomentazioni con cui si è giunti ad assegnare al bene importato il valore da assumere come base imponibile per il calcolo del dazio e dell'IVA all'importazione, sostenendo che esso sarebbe stato determinato in maniera censurabilmente semplicistica, merce il ricorso alla valutazione effettuata da siti specializzati e senza tener conto della vetustà della res e del suo grado di usura.
Orbene, l'ipotizzata carenza motivazionale non è suscettibile di deduzione con l'azionata impugnativa, trovando applicazione, nella subiecta materia, il consolidato principio di diritto secondo cui "Il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice" (così Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli e altro, Rv. 269656-01, nonchè Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893-01 e Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093-01).
D'altro canto, appare di lampante evidenza la sussistenza, nel caso di specie, di un impianto argomentativo lineare e coerente, di certo idoneo a escludere la configurabilità dei gravi vizi motivazionali dianzi evocati.
3. Privo di pregio risulta anche il secondo motivo di ricorso, con cui ci si duole di violazione di legge in relazione a quanto previsto dal D.P.R. n. 443 del 1973, art. 282, sostenendo che si sarebbe illegittimamente inclusa nella nozione di "diritti di confine" anche l'IVA all'importazione, con conseguente superamento della soglia di punibilità di Euro 10.000,00 ed ingiustificato inquadramento della vicenda in ambito penale.
Ritiene in proposito il Collegio che l'inclusione dell'IVA all'importazione nel novero dei "diritti di confine" sia stata un'operazione correttamente effettuata dal Tribunale distrettuale, avendo la Suprema Corte di recente affermato che "In tema di contrabbando doganale, la nozione di "diritti di confine" di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 34, la cui evasione integra il delitto di cui all'art. 292, del citato D.P.R., comprende anche l'IVA all'importazione" (così Sez. 3, n. 4978 del 13/01/2022, PMT c/Gostner Thomas, Rv. 282921-01).
4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v'è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi in favore della Cassa delle Ammende la somma, determinata in via equitativa, di Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2022