Giu SOLLEVATA LA QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE SULLO SLITTAMENTO AL 30 DICEMBRE 2022 DELLA RIFORMA CARTABIA
TRIBUNALE - 24 novembre 2022
Massima
Tribunale Siena, 11/11/2022

È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 d.l. n. 162 del 2022, per contrasto con gli artt. 73, comma 3, 77, comma 2, 3 e 117, comma 1, Cost. in relazione all'art. 7 Cedu, nella parte in cui si dispone il rinvio dell'entrata in vigore del d.lg n. 150 del 2022 alla data del 30 dicembre 2022.

Testo della sentenza
TRIBUNALE - 24 novembre 2022

1. Sullo svolgimento del processo.

1.1.- Con decreto depositato in data 20 gennaio 2020, il Pubblico Ministero ha esercitato l'azione penale nei confronti di (...), articolando l'accusa in due distinti capi di imputazione: al capo a) della rubrica è stato contestato il delitto di violenza privata, ai sensi dell'articolo 610 del codice penale, mentre al capo b) quello di danneggiamento, ai sensi dell'articolo 635, primo comma, del codice penale.

1.2.- Il giudizio dibattimentale, svoltosi in una prima fase davanti ad altra giudice professionale, a seguito della mutata posizione tabellare di quest'ultima è poi proseguito innanzi allo scrivente, che all'udienza del 18 ottobre 2022 ha sentito numerosi testimoni ammessi d'ufficio ai sensi dell'articolo 507 del codice di procedura penale e ha quindi disposto, infine, un rinvio del processo all'udienza dell'8 novembre 2022.

1.3.- All'udienza del giorno 8 novembre 2022, il Pubblico Ministero ha prodotto dichiarazione di remissione di querela da parte di (...), persona offesa di entrambi i reati per cui è processo, ricevuta a verbale in data 9 novembre 2019 da ufficiali di polizia giudiziaria. L'imputato, con dichiarazione raccolta a verbale, ha quindi espressamente accettato tale remissione di querela ed il giudice ha dichiarato utilizzabili tutti gli atti legittimamente acquisiti nel corso del giudizio, disponendo un rinvio, per discussione, ad altra udienza.

1.4.- Alla successiva udienza del giorno 11 novembre 2022, su invito del giudice, le Parti hanno quindi rassegnato le rispettive conclusioni, il cui contenuto è stato più sopra sinteticamente riportato. Il giudice ha poi dichiarato chiuso il dibattimento, si è ritirato in camera di consiglio e, all'esito, ha disposto la sospensione del processo e l'immediata trasmissione degli atti del presente giudizio alla Corte costituzionale.

2. Sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale.

2.1.- Deve innanzitutto rilevarsi che, nell'ambito del presente procedimento, doverosamente in data 20 gennaio 2020 è stata esercitata l'azione penale, da parte del Pubblico Ministero, seppure in atti fosse documentata l'espressa volontà della persona offesa, risalente al 9 novembre 2019, di non persistere nella sua richiesta di punizione, originariamente avanzata con querela del 17 luglio 2019. Né per il delitto di cui all'art. 610 del codice penale, né per quello di cui all'art. 635, primo comma, del codice penale, la procedibilità dell'azione penale risulta(va) infatti condizionata da una previa richiesta di punizione da parte della persona offesa.

2.2.- A fronte di un tale quadro normativo, ricavabile dal coordinato disposto degli articoli 50 capoverso del codice di procedura penale ("Quando non è necessaria la querela... l'azione penale è esercitata di ufficio"), nonché 610 e 635 del codice penale, si deve tuttavia registrare l'intervenuta emanazione e successiva pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre 2022, del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, intitolato: "Attuazione della L. 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari".

Gli articoli 2 e 3 di tale decreto, peraltro, hanno previsto l'ampliamento del novero dei reati procedibili a querela, così radicalmente mutando il regime di procedibilità di otto delitti (quelli previsti dagli artt. 582, 590-bis, 605, 610, 614, 624, 634 e 635 cod. pen.) e due contravvenzioni (quelle previste dagli artt. 659 e 660 cod. pen.).

2.3.- Il citato decreto legislativo è stato emanato in attuazione della L. 27 settembre 2021, n. 134, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 237 del 4 ottobre 2021 e recante "Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari".

L'iter complessivo di formazione del decreto si è aperto con l'approvazione preliminare da parte del Consiglio dei Ministri, nella seduta del 4 agosto 2022, del relativo schema, cui hanno fatto seguito i distinti pareri favorevoli su di esso espressi da parte del Senato della Repubblica (in data 13 settembre 2022) e della Camera dei Deputati (in data 15 settembre 2022).

All'esito dei pareri resi dalle competenti commissioni dei due rami del Parlamento è poi seguita la definitiva approvazione, deliberata dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 28 settembre 2022, del testo finale del decreto, rimasto immutato rispetto a quello su cui le predette commissioni avevano espresso i rispettivi pareri favorevoli.

Da ultimo, in data 10 ottobre 2022, ha fatto quindi seguito l'emanazione da parte del Presidente della Repubblica e, infine, la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre 2022.

Non essendo stato stabilito, nel corpo del decreto legislativo, un termine di vacatio legis diverso da quello previsto dall'articolo 73, terzo comma, della Costituzione, l'entrata in vigore del decreto sarebbe dovuta discendere per effetto diretto del citato disposto costituzionale, ossia in data 1 novembre 2022, decorsi quindici giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

2.4.- Il testo si compone di novantanove articoli, che nel complesso incidono, mediante novelle ai codici penale e di procedura ed alle principali leggi complementari, tanto sul diritto penale sostanziale (v. ad esempio gli artt. da 1 a 3), quanto e soprattutto sul diritto processual-penale (v. agli artt. da 4 a 40), introducendo anche una disciplina organica della giustizia riparativa (agli artt. da 42 a 67) ed altresì riformando la disciplina delle pene pecuniarie e delle pene sostitutive di quelle detentive brevi.

2.5.- Particolare rilievo, nell'ambito del presente procedimento, assumono le lettere e) ed n) dell'articolo 2, primo comma, del citato d.lgs., le quali dispongono che "all'articolo 610, dopo il secondo comma, è aggiunto il seguente: "Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre la circostanza di cui al secondo comma."" e, rispettivamente, che "all'articolo 635, dopo il quarto comma, è aggiunto il seguente: "Nei casi previsti dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso in occasione del delitto previsto dall'articolo 331 ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità."".

2.6.- Si tratta di disposizioni che costituiscono diretta attuazione dei principi e criteri di delega fissati dall'articolo 1, comma 15, della L. 27 settembre 2021, n. 134, a mente del quale: "Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, i decreti legislativi recanti modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di condizioni di procedibilità, per le parti di seguito indicate, sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) ...; b) prevedere l'estensione del regime di procedibilità a querela di parte a ulteriori specifici reati contro la persona o contro il patrimonio nell'ambito di quelli puniti con pena edittale detentiva non superiore nel minimo a due anni; prevedere che ai fini della determinazione della pena detentiva non si tenga conto delle circostanze, facendo salva la procedibilità d'ufficio quando la persona offesa sia incapace per età o per infermità...".

2.7.- Il legislatore delegante prima, e il legislatore delegato poi, hanno quindi l'uno prestabilito e l'altro statuito definitivamente, in un'ottica di deflazione in concreto degli affari penali, un mutamento nel regime di procedibilità, tra gli altri, anche dei delitti di violenza privata (ex art. 610 cod. pen.) e di danneggiamento (ex art. 635, co. 1, cod. pen.).

Rispetto a tali delitti, in tal modo, si è condizionata la procedibilità dell'azione penale ad una concreta manifestazione di volontà da parte del soggetto offeso, riservando così a quest'ultimo il potere di decidere circa l'opportunità di una tutela penale dei beni offesi dai predetti reati.

2.8.- Al contempo, sempre con riferimento ai reati di danneggiamento e violenza privata, si è però così conseguito un altro, importante effetto: quello di ampliare il novero delle fattispecie estintive della punibilità ad essi relative, ricomprendendovi anche la remissione di querela, ossia quell'atto o contegno espressivo della volontà della persona offesa di non persistere più nella sua originaria richiesta di punizione del reo.

2.9.- Mutamenti normativi siffatti, che prevedono l'introduzione della più favorevole perseguibilità a querela in luogo della già prevista procedibilità d'ufficio, come noto rappresentano il terreno elettivo di applicazione del principio di retroattività della norma penale più favorevole al reo, inscritto nell'articolo 2, secondo comma, del codice penale; disposizione, quest'ultima, che ad avviso della Suprema Corte opera infatti "non soltanto al fine di individuare la norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, ma anche in ordine al regime della procedibilità che inerisce alla fattispecie, dato che è inscindibilmente legata al fatto come qualificato dal diritto" (così, Cass. pen. Sez. 2, Sentenza n. 21700 del 17/04/2019, Sibia, Rv. 276651, punto 3 del considerato in diritto).

Su questa stessa linea, in ragione dell'incidenza che può dispiegare anche sulla punibilità, oltre che sulla procedibilità, si è invero riconosciuta all'istituto della querela una natura mista, sostanziale e processuale, con l'effetto che "nella successione delle leggi... deve applicarsi il disposto dell'art. 2 comma cod. pen., secondo il quale se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo", con l'ulteriore precisazione per cui "l'intervenuta remissione della querela comporta l'obbligo di dichiarare la non procedibilità ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen." (così, sempre Cass. pen. 21700/2019, ivi).

2.10.- Decorrendo a far data dal 1 novembre 2022 l'entrata in vigore dei citati, più favorevoli mutamenti in punto di procedibilità dell'azione penale, nonché alla luce di quanto sin qui esposto, è allora chiaro come il presente giudizio non possa che concludersi con una sentenza di non doversi procedere, adottata ai sensi dell'articolo 531 del codice di procedura penale, a seguito dell'intervenuta estinzione di entrambi i reati di danneggiamento e violenza privata ascritti all'imputato.

Per essi, infatti, non ricorre alcuna delle ipotesi in cui l'azione penale permane procedibile d'ufficio: nessuno dei due delitti risulta infatti essere stato commesso nei confronti di "persona incapace, per età o per infermità"; quanto alla violenza privata, poi, non è stata elevata alcuna delle circostanze previste dall'articolo 339 del codice penale; mentre per quel che riguarda il danneggiamento, il fatto non è stato commesso in occasione del delitto di interruzione di un pubblico servizio (ex art. 331 cod. pen.), né si verte in una delle ipotesi di danneggiamento di beni pubblici o, comunque, di interesse o utilità pubblica, di cui al secondo comma dell'articolo 635 del codice penale.

D'altra parte, l'espressa remissione di querela operata in data 9 novembre 2019 dalla persona offesa non può che ritenersi pienamente efficace, in ragione dell'intervenuta accettazione della stessa da parte dell'imputato, con dichiarazione ricevuta e raccolta a verbale all'udienza del giorno 8 novembre 2022.

2.11.- Su tale complessivo quadro normativo è, tuttavia, intervenuto il D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 255 del 31 ottobre 2022, recante "Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali".

Siffatto provvedimento provvisorio con forza di legge, in virtù di quanto espressamente previsto al suo articolo 9, è peraltro entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, avvenuta in data 31 ottobre 2022.

2.12.- In forza dell'articolo 6 del citato decreto-legge viene interpolato nel corpo del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 un nuovo articolo, rubricato "Art. 99-bis (Entrata in vigore)" e composto da un comma unico: "" 1. Il presente decreto entra in vigore il 30 dicembre 2022. "".

Pertanto, proprio per effetto dell'istituzione di tale nuovo termine di entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in seno al presente processo non può allora dispiegarsi la concreta efficacia operativa dei più favorevoli mutamenti, nel regime di procedibilità relativo ai reati per cui si procede, disposti all'articolo 2, primo comma, lettere e) ed n) del citato D.Lgs. n. 150 del 2022.

Di talché, pur essendo maturate per entrambi i delitti oggetto di giudizio le relative fattispecie estintive della punibilità, costituite dall'intervenuta remissione di querela da parte della persona offesa, resta precluso al Tribunale l'accertamento dell'estinzione di siffatti reati, in ragione della perdurante procedibilità d'ufficio dell'azione penale per gli stessi prevista, quale conseguenza della mancata entrata in vigore al 1 novembre 2022 del disposto di cui all'articolo 2, primo comma, lettere e) ed n) del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.

2.13.- D'altra parte, a fronte dell'obbligo di immediata declaratoria di improcedibilità ove si riconosca l'integrazione di una causa d'estinzione di un reato, che discende dall'articolo 129, primo comma, del codice di procedura penale, non risulta in concreto percorribile l'alternativa strada di una pronuncia assolutoria nel merito, da adottare ai sensi del secondo comma dell'articolo da ultimo citato.

Sul punto, si deve anzitutto richiamare il consolidato principio di legittimità, integralmente condiviso dal Tribunale, secondo cui il giudice, in presenza di una causa di estinzione del reato, è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'articolo 129, secondo comma, del codice di procedura penale soltanto nell'ipotesi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato ovvero la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente incontrovertibile e incontestabile, tanto da rendere la valutazione allo stesso devoluta più simile al concetto di "constatazione" e percezione "ictu oculi" che a quello di "apprezzamento"; con l'effetto che tale esito è sempre incompatibile con qualsivoglia necessità di accertamento, vaglio o approfondimento delle risultanze istruttorie (v., sul punto, Cass. pen., Sez. U, sentenza n. 35490 del 28/05/2009, T., Rv. 244274, nonché tutta la giurisprudenza successiva, sempre conforme a tale indirizzo).

Ciò posto, pur essendosi ormai chiuso il dibattimento, si deve in concreto rilevare come il complessivo materiale probatorio acquisito nel corso dell'istruttoria non consenta in alcun modo di pervenire ad una pronuncia assolutoria a norma dell'articolo 129, secondo comma, del codice di procedura penale, dagli atti non essendo emersa alcuna circostanza chiara, evidente, manifesta ed obiettiva, in grado di escludere in radice l'esistenza dei fatti contestati o la loro rilevanza penale ovvero la non commissione degli stessi da parte dell'imputato.

2.14.- Le considerazioni e i rilievi innanzi esposti, allora, depongono tutti nel senso di escludere che il presente giudizio possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 6 del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162.

2.15.- D'altro canto, a sostegno della fondatezza della questione di legittimità costituzionale che qui si propone, esistono plurimi, distinti e articolati argomenti.

2.15.1.- Tali argomenti, più in particolare, attengono innanzitutto all'invalidità formale del denunciato articolo 6, correlata alla violazione di distinte norme costituzionali: in particolare, dell'articolo 73, terzo comma, della Costituzione, che preclude ad una legge o ad un atto ad essa equiparato di interferire nel procedimento di formazione di un'altra legge o di altro atto ad essa equiparato, con particolare riferimento alla fase cd. d'integrazione dell'efficacia (v. infra, paragrafo 3); ma anche dell'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, che disciplina l'esercizio del potere legislativo adottato da parte del Governo in via d'urgenza, circoscrivendone e limitandone l'impiego al solo verificarsi di casi straordinari di necessità e di urgenza (v. infra, paragrafo 4).

2.15.2.- Ulteriori argomenti, infine, attengono all'invalidità sostanziale della disposizione qui censurata, legata al contrasto con il coordinato disposto degli articoli 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'articolo 7, primo paragrafo, della CEDU e all'articolo 15, primo comma, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, che preclude al legislatore di disporre, in assenza di sufficienti giustificazioni, la perdurante efficacia in malam partem di trattamenti penali, rispetto ai quali risulta già acquisita una mutata valutazione legislativa in senso più favorevole al reo, con l'effetto di concretamente impedire il riverberarsi di siffatte modifiche mitigatrici anche a vantaggio di coloro che hanno posto in essere la condotta in un momento anteriore (v. infra, paragrafo 5).

3. Sul contrasto con l'articolo 73, terzo comma, della Costituzione.

3.1.- Prevede l'articolo 73, terzo comma, della Carta Costituzionale che l'entrata in vigore di ogni legge avvenga, in via ordinaria, al quindicesimo giorno dalla data della sua pubblicazione ("Le leggi... entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione..."). Nell'ipotesi in cui s'intenda operare una deroga a tale ordinario termine, cd. di vacatio legis, il predetto articolo stabilisce tuttavia, in maniera chiara ed esplicita, che "termini diversi" possano essere stabili soltanto "dalle leggi stesse" ("... salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso").

La citata disposizione costituzionale, come precisato anche dal Giudice costituzionale, disciplina pertanto "il momento della entrata in vigore delle leggi, e più precisamente la vacatio legis, ponendo la regola del termine di quindici giorni dalla loro pubblicazione e ammettendo la possibilità di eccezioni" (Corte cost., sentenza n. 71 del 1957).

3.2.- Ciò posto, si ritiene che la Carta fondamentale, con la norma in esame, abbia istituito uno stretto e inscindibile legame tra una legge (o altro atto ad esso equiparato) ed il relativo termine di entrata in vigore, tanto da escludere la possibilità che un atto normativo possa incidere sui termini di vacatio legis riguardanti altri e diversi atti normativi.

3.3.- Al periodo di vacatio legis, come noto, è invero ricollegata la finalità di assicurare la conoscibilità della legge da parte della collettività. Ma, in disparte tale finalità, allo scadere del termine di vacatio legis è ancorato - cosa ben più rilevante - un effetto proprio e tipico di ogni atto normativo e da questo non dissociabile: l'inizio della sua efficacia, ossia dell'attitudine ad "innovare" l'ordinamento giuridico, istituendo, modificando o estinguendo obblighi, divieti, poteri o facoltà; un profilo, quest'ultimo, cui risulta invero correlato, dal lato dei destinatari, siano essi organi pubblici o privati cittadini, il dovere di sua osservanza ed applicazione (v. art. 54 Cost.).

3.4.- L'attivazione del dovere di osservanza ed applicazione è tuttavia collegato ad un ulteriore profilo: quello dell'applicabilità della legge, ben potendo esistere leggi vigenti (e dunque: efficaci) ma non ancora applicabili, per effetto di disposizioni transitorie che, nel tempo, ne delimitano o dilazionano l'applicabilità.

3.5.- Da questo punto di vista, appaiono allora chiare le ragioni sottese alla disciplina in esame. Il profilo dell'efficacia di una legge, ossia del momento a partire dal quale essa potrà iniziare a produrre i suoi effetti giuridici, trova infatti una compiuta regolamentazione nella Carta Costituzionale, nell'ambito della previsione di cui all'art. 73, terzo comma, Cost., volta a disciplinare la fase conclusiva del procedimento legislativo (cd. integrativa dell'efficacia), che comprende la promulgazione, la pubblicazione e l'entrata in vigore dell'atto.

Nell'ambito di tale disciplina procedimentale, ove per la vacatio legis è fissata la regola del termine quindicinale, la Costituzione - come visto - "autorizza il legislatore, nel suo potere discrezionale, a disporre diversamente da quel termine" (Corte cost., sentenza n. 170 del 1983). Ma un siffatto potere discrezionale, consistente nella possibilità di stabilire un termine di entrata in vigore diverso da quello fissato in via ordinaria dalla Carta fondamentale, può essere legittimamente esercitato soltanto nell'ambito del medesimo procedimento di formazione della legge cui tale termine deve riferirsi.

3.6.- D'altra parte, sussistono evidenti similitudini tra promulgazione e vacatio legis: come una legge, anche se approvata a maggioranza assoluta dalle Camere, non può infatti stabilire un diverso termine di promulgazione che riguardi un'altra legge (v. art. 73 cpv. Cost.), così una legge non può stabilire o modificare il termine di entrata in vigore di un'altra legge. Al riguardo, soccorre infatti l'evidente simmetria tra quanto disposto al secondo comma della citata disposizione ("... se le Camere ne dichiarano l'urgenza... la legge è promulgata nel termine da essa stabilito.") e quanto disposto al comma successivo ("... Le leggi... entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso.").

3.7.- L'art. 73, terzo comma, della Costituzione, dunque, disponendo che "le leggi... entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso", attribuisce carattere di modificabilità al termine relativo all'entrata in vigore delle leggi. Una modificabilità analoga, benché non perfettamente identica, a quella prevista per il termine di promulgazione dal secondo comma della citata disposizione costituzionale, poiché non essendo la variazione del termine di pubblicazione condizionata al requisito della dichiarazione d'urgenza della legge, tale modificabilità è piena e non limitata alle sole riduzioni, come invece avviene per la promulgazione.

Ma al di là di tale limitata differenza, ciò che invece accomuna la modificabilità del termine di pubblicazione alla modificabilità del termine di entrata in vigore delle leggi è l'ambito in cui i relativi poteri possono legittimamente svolgersi: circoscritto alla sola legge formata nel procedimento in cui le modifiche ai predetti termini vengono adottate.

3.8.- Il Costituente ha invero racchiuso, nell'ambito della citata disposizione, l'intera disciplina procedimentale relativa alla fase cd. integrativa dell'efficacia: che si apre con la promulgazione di un testo di legge già approvato da parte delle due Camere e si perfeziona con l'entrata in vigore della legge medesima. E ciò ha fatto prevedendo termini e scandendo tempistiche ("... entro un mese... subito dopo... entro il quindicesimo giorno..."), nonché ammettendo al contempo la possibilità di limitate deroghe, a determinate condizioni ivi puntualmente descritte e stabilite.

L'uso dell'espressione "salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso" da parte dell'art. 73 Cost., in luogo dell'impersonale formula "salvo che sia altrimenti disposto" (propria dell'art. 10 disp. prel. cod. civ. e, quindi, astrattamente replicabile in identici termini), marca e segna, infatti, la mutata finalità perseguita dal Costituente con l'elevazione a disciplina di rango costituzionale della fase di entrata in vigore delle leggi: che consiste nel porre la "regola del termine di quindici giorni dalla loro pubblicazione e ammettere la possibilità di eccezioni" (Corte cost., sentenza n. 71 del 1957), non limitandosi però ad una generica indicazione della astratta fonte abilitata ad operare siffatte deroghe (intervento, questo, che sarebbe stato di per sé solo superfluo), ma significativamente aggiungendo l'aggettivo "stesse", così da riservare soltanto alla medesima legge la possibilità di operare deroghe con riferimento al proprio termine di vacatio legis e, quindi, alla propria suscettibilità e capacità di produrre effetti giuridici.

3.9.- In definitiva, appartenendo la fase di entrata in vigore di una legge al procedimento legislativo, avente disciplina e rilievo costituzionale, non possono allora che confliggere con l'articolo 73, terzo comma, della Costituzione interventi normativi terzi ed esterni, volti ad incidere sulla fase integrativa dell'efficacia di una legge, per contrasto con la disciplina costituzionalmente prevista in materia e riassumibile nella seguente alternativa: o trova applicazione il termine quindicinale disposto dal citato articolo, oppure "la Carta costituzionale autorizza il legislatore, nel suo potere discrezionale, a disporre diversamente da quel termine" (Corte cost., sentenza n. 170 del 1983), ma soltanto ad opera "della legge stessa" e, quindi, nell'ambito del medesimo procedimento legislativo diretto a formare l'atto il cui termine di entrata in vigore si vuole differenziare da quello ordinario.

3.10.- Né può ammettersi che un atto normativo equiparato alla legge ordinaria e adottato dal Governo stabilisca, su previa delegazione delle Camere o in virtù di auto-assunzione provvisoria di potestà legislativa, un diverso termine di entrata in vigore di una legge ovvero di un altro e diverso atto normativo equiparato alla legge ordinaria e già adottato dal Governo.

A sostegno di una simile conclusione interpretativa, milita infatti il rilievo per cui - in un sistema costituzionale ove la regola risiede nell'esercizio collettivo della funzione legislativa ad opera delle due Camere (v. art. 70 Cost.) e l'eccezione è invece rappresentata dalla possibilità per il Governo di adottare atti equiparati alla legge ordinaria (v. art. 77 Cost.) - quel che non è consentito al Parlamento, a fortiori non sarà permesso al Governo.

D'altra parte, la piena equiparazione e fungibilità tra legge ordinaria e atti aventi forza di legge è stata in più occasioni affermata dalla stessa Corte costituzionale, che ha infatti riconosciuto la "parificazione alle leggi formali degli 'atti aventi forza di legge'", riconoscendo come questi ultimi siano pienamente abilitati "a incidere validamente, al pari delle leggi, nelle materie a queste riservate" (così Corte cost., sentenza n. 184 del 1974, punto 5 del considerato in diritto; ma v. altresì Corte cost., sentenza n. 330 del 1996).

3.11.- Peraltro, giova sul punto precisare che altra è la categoria delle cd. disposizioni transitorie, altro è il concetto di "entrata in vigore di una legge": esclusivamente legato, quest'ultimo, al periodo di vacatio legis ed espressamente disciplinato dall'art. 73, terzo comma, della Costituzione, quale specifica fase dell'iter di formazione di un atto legislativo.

Le cd. disposizioni transitorie, più in particolare, si risolvono in norme mediante le quali è possibile operare il differimento dell'applicabilità di una o più disposizioni, appartenenti alla medesima o a diversa legge, ad un momento successivo a quello della sua entrata in vigore. Esse, quindi, implicano e presuppongono sempre l'entrata in vigore della legge, o dell'atto alla stessa equiparato, su cui sono chiamate a spiegare la propria incidenza, senza che ciò implichi, da parte delle stesse, alcuna modifica al relativo procedimento di integrazione dell'efficacia.

Siffatte disposizioni, allora, si limitano soltanto a circoscrivere nel tempo, in forza della loro propria ed autonoma vigenza, la concreta applicabilità di disposizioni, anch'esse già per l'appunto vigenti, della legge ovvero dell'atto ad essa equiparato che hanno ad oggetto.

Ne discende, pertanto, la radicale diversità - quanto a natura, struttura e funzione - delle cd. disposizioni transitorie rispetto alla categoria della vigenza, che rappresenta un segmento procedimentale all'interno del più ampio, ma pur sempre unitario, procedimento di formazione degli atti legislativi, la cui disciplina - come visto - gode di integrale e piena copertura costituzionale.

3.12.- Per meglio chiarire le differenze tra le citate categorie, può essere utile richiamare, a titolo esemplificativo, la vicenda intertemporale che ha riguardato il D.Lgs. 29 dicembre 2017, n. 216 (Disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 82, 83 e 84, lettere a), b), c), d) ed e), della L. 23 giugno 2017, n. 103), emanato in data 29 dicembre 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'11 gennaio 2018.

Non essendo previsto, in esso, un termine di vacatio legis diverso da quello disciplinato in via ordinaria dall'art. 73, terzo comma, della Costituzione, tale decreto è dunque entrato in vigore il 26 gennaio 2018, ossia decorsi quindici giorni dalla sua pubblicazione, per diretto effetto del citato disposto costituzionale. Da questa data, dunque, può correttamente assumersi come perfezionata la fase integrativa dell'efficacia di tale atto e, così, definitivamente completato il suo procedimento di formazione.

3.13.- Ferma, quindi, l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 216 del 2017 a far data dal 26 gennaio 2018, si sono tuttavia susseguiti, nel tempo, diversi e distinti atti legislativi recanti specifiche disposizioni transitorie, con cui è stata differita nel tempo l'applicabilità dell'intera disciplina, in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, in esso prevista agli articoli 2, 3, 4, 5 e 7: si tratta, più in particolare, del D.L. 25 luglio 2018, n. 91, della L. 30 dicembre 2018, n. 145, del D.L. 14 giugno 2019, n. 53, del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161 e, da ultimo, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28.

3.14.- La vicenda sin qui esposta rende piena evidenza, ad avviso del Tribunale, della diversità tra cd. disposizioni transitorie - nella specie costituite da quelle via via previste con i numerosi atti legislativi, alcuni dei quali adottati anche in via d'urgenza, poc'anzi menzionati - e fase finale di formazione del citato decreto delegato, costituita dalla sua entrata in vigore: perfezionatasi, in assenza di espresse disposizioni stabilite nel corpo normativo dello stesso D.Lgs. n. 216 del 2017, per effetto diretto del disposto di cui all'art. 73, comma terzo, della Costituzione, ossia decorsi quindici giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Siffatta vicenda, in altri termini, si presta ad offrire una chiara esemplificazione della differenza tra profilo dell'efficacia di una legge, che si ricollega esclusivamente al decorso del periodo di vacatio legis, e profilo della sua applicabilità, che può temporalmente coincidere con il momento in cui la legge diviene vigente, oppure può da quest'ultimo discostarsi, per effetto di una o più disposizioni transitorie, presenti nella stessa o in altra e diversa legge.

3.15.- Ciò premesso, appare allora palese il contrasto con l'art. 73, terzo comma, della Costituzione da parte dell'articolo 6 del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162. Come, infatti, plasticamente emerge sin dal titolo del decreto-legge ("Misure urgenti in materia di... entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150") e dalla stessa rubrica dell'articolo da ultimo citato, tale disposizione prevede non già un'autonoma disciplina transitoria o intertemporale, relativa all'intero decreto delegato ovvero ad una o più disposizioni di quest'ultimo, ma piuttosto un chiaro ed esplicito intervento di "modifica dell'entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150" (così la rubrica).

Lo stesso testo dell'articolo 6, d'altra parte, non lascia adito ad alcun dubbio di sorta, essendo espressamente previsto l'inserimento, nel corpo del D.Lgs. n. 150 del 2022, del seguente articolo: "" Art. 99-bis (Entrata in vigore). - 1. Il presente decreto entra in vigore il 30 dicembre 2022. "".

3.16.- Non sarà sfuggito, peraltro, come in aggiunta alla chiara lettera della legge vi sia un ulteriore indice che conforta quanto qui sostenuto, dato dall'interpretazione sistematica della disposizione oggetto di censura e, più in particolare, dal rilievo della sedes in cui, entro l'articolato del D.Lgs. n. 150 del 2022, il novello articolo 99-bis viene inserito: dopo l'ultimo articolo di tale complesso normativo, ossia nel luogo destinato abitualmente ad accogliere le disposizioni istituenti deroghe alla previsione costituzionale dettata dall'articolo 73, terzo comma, della Costituzione, in punto di entrata in vigore.

3.17.- Ma vi è di più. Ad escludere ogni possibile interpretazione, quale mera disposizione transitoria "travestita" sotto altro nome, dell'articolo in esame soccorrono proprio le stesse relazioni, illustrativa e tecnica, al disegno di legge di conversione del D.L. n. 162 del 31 ottobre 2022, presentato dal Governo al Senato della Repubblica (Atto Senato n. 274), annunciato nella seduta n. 5 del 3 novembre 2022 ed assegnato alla 2a Commissione permanente (Giustizia), in sede referente, in data 10 novembre 2022. Tali relazioni, infatti, confermano entrambe, in maniera inequivoca, la volontà del Governo di intervenire proprio sull'iter di integrazione dell'efficacia, costituzionalmente presidiato, del D.Lgs. n. 150 del 2022, mediante auto-assunzione provvisoria e in via d'urgenza di potestà legislativa.

Tanto si ricava, con estrema agilità, sia nella parte della relazione tecnica ove può leggersi che "con l'articolo 6 si interviene sull'entrata in vigore del decreto n. 150 del 2022, stabilendone... con l'inserimento dell'art. 99-bis, il differimento al 30 dicembre 2022", riferendosi all'iter di integrazione dell'efficacia del ridetto d.lgs. come "viziato dall'impellenza determinata dall'immediatezza dell'entrata in vigore fissata al 1 novembre 2022"; sia - e soprattutto - nella parte della relazione illustrativa ove, sotto la chiara rubrica "Differimento dell'entrata in vigore della riforma penale", si afferma esplicitamente che "la scelta di un rinvio dell'entrata in vigore, piuttosto che di una applicabilità o efficacia delle disposizioni è imposta dalla necessità di assicurare la corretta e certa operatività anche delle disposizioni transitorie contenute nel titolo VI del citato decreto legislativo, che assumono proprio nell'entrata in vigore del decreto il punto di riferimento per l'applicazione differenziata di vecchi e nuovi istituti".

3.18.- Ed è proprio da quest'ultimo frammento della relazione illustrativa che, con scarse possibilità di fraintendimento, si ritraggono le maggiori conferme circa il senso e lo scopo dell'intervento normativo in questione: che coincidono con la dichiarata volontà, da parte del Governo, di interferire direttamente sulla fase finale del procedimento di formazione del D.Lgs. n. 150 del 2022, relativa alla sua integrazione dell'efficacia, mediante la previsione di un diverso termine di entrata in vigore dello stesso, con forme e modalità che si pongono, però, in stridente contrasto con il disposto di cui all'articolo 73, terzo comma, della Costituzione.

3.19.- Conclusivamente, dall'esame del titolo del decreto-legge adottato in data 31 ottobre 2022, nonché della rubrica dell'articolo 6 in esso contenuto, in uno con i testi di tale articolo e delle relazioni illustrativa e tecnica che ne accompagnano il disegno di legge di conversione in legge, si ricava che il Governo, auto-assumendo - e così esercitando - potestà legislativa in via d'urgenza, abbia interferito nella fase finale di formazione del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, relativa alla sua entrata in vigore, in tal modo contravvenendo a quanto previsto dall'articolo 73, terzo comma, della Costituzione.

4. Sul contrasto con l'articolo 77, secondo comma, della Costituzione.

4.1.- Oltre al sopra esposto contrasto con l'articolo 73, terzo comma, della Costituzione, vi è poi un ulteriore vizio formale di cui, ad avviso del Tribunale, è affetta la disposizione qui oggetto di censura, che consiste nella manifesta violazione dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione.

Si tratta, più in particolare, della palese carenza di quei presupposti di straordinaria necessità e urgenza che, secondo il Giudice delle leggi, delimitano "l'ambito delle possibilità applicative costituzionalmente previste" della decretazione d'urgenza (così Corte cost., sentenza n. 29 del 1995, in un noto obiter dictum, al punto 2 del considerato in diritto); ambito, quindi, fuori dal quale non può legittimamente procedersi, da parte del Governo, all'adozione di provvedimenti provvisori con forza di legge.

4.2.- L'esercizio del potere di decretazione d'urgenza, da parte del Governo, è infatti circoscritto e presidiato, nel nostro sistema costituzionale, dai "ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell'art. 77 Cost., concepiti dal legislatore costituente per interventi specifici e puntuali, resi necessari e improcrastinabili dall'insorgere di "casi straordinari di necessità e d'urgenza"" (Corte cost., sentenza n. 220 del 2013, punto 12.1 del considerato in diritto).

La preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e urgenza di provvedere, mediante lo strumento eccezionale della decretazione d'urgenza, costituisce allora "un requisito di validità costituzionale dell'adozione del predetto atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura... un vizio di legittimità costituzionale del decreto-legge" (così sempre Corte cost., sentenza n. 29 del 1995, ivi).

4.3.- Né la decretazione d'urgenza può essere intesa, per il Governo, quale surrogato dell'iniziativa legislativa ordinaria, ovvero quale impropria tecnica di co-legislazione e co-decisione tra Governo e Parlamento. L'unica configurazione dello strumento decretizio coerente con la Carta Costituzionale, e quindi compatibile con la complessiva forma di governo dalla stessa disegnata, è infatti quella che ne limita la competenza - individuandone con ciò i requisiti di validità formale - alla sola necessità di provvedere a fronte di vicende straordinarie, ossia non prevedibili ex ante.

Ciò che è straordinario, infatti, per definizione non è mai prevedibile ex ante, mentre quel che è prevedibile ex ante, all'inverso, non è mai straordinario, rappresentando piuttosto la precondizione affinché il decisore politico proceda ad adottare - nel tempo, per tempo e secondo iter prestabiliti, programmati e pianificati - una o più misure normative che come tali, essendone ex ante prevedibile la relativa "necessità", non possono allora ricadere nell'alveo dei "casi straordinari di necessità e di urgenza" di cui all'articolo 77, secondo comma, della Costituzione.

4.4.- Quel che è prevedibile ex ante, in altri termini, può e quindi deve rientrare non già nei ristretti e angusti tempi della decretazione urgente, ma in ben più ampi e dilatati spazi, tali da consentire una meditata ponderazione di tutti gli interessi in gioco. Spazi che, ove si verta in materia penale, la Carta fondamentale affida e riserva al Parlamento, cui spetta "il monopolio della competenza penale", quale "organo ... che vede riunito, attraverso i suoi rappresentanti, tutto il popolo sovrano" (così Corte cost., sentenza n. 487 del 1989, punto 3 del considerato in diritto), nonché "massima espressione della rappresentanza politica" e sede in cui la meditata ponderazione si concreta nel "preventivo confronto dialettico tra tutte le forze politiche, incluse quelle di minoranza, e, sia pure indirettamente, con la pubblica opinione" (in questi termini, Corte cost., sentenza n. 230 del 2012, punto 7 del considerato in diritto).

4.5.- È ben vero - secondo quanto riconosciuto dal Giudice costituzionale - che "non si può affermare, in linea di principio, che i decreti-legge non possano toccare fattispecie e sanzioni penali", pena l'introduzione di un ulteriore limite "al contenuto dei decreti-legge, non previsto dall'art. 77 della Costituzione e che non può essere desunto dal principio di riserva di legge in materia penale (art. 25 della Costituzione)" (così Corte cost., sentenza n. 330 del 1996, punto 3.1. del considerato in diritto). Ma è del pari vero che, sempre seguendo le indicazioni della Consulta, siffatta riserva di legge in materia penale, in astratto osservata anche da atti aventi forza di legge, richiede comunque un rispetto espressamente qualificato dalla Consulta come "rigoroso... dei presupposti costituzionali ad essi inerenti" (così sempre Corte cost., sentenza n. 330 del 1996, ivi).

4.6.- Soltanto la necessità di "provvedere rispetto all'imprevedibile", in definitiva, rappresenta il legittimo ambito in cui il decreto-legge, in virtù della sua natura provvedimentale e secondo quanto richiesto dall'art. 77 cpv. Cost., è dunque abilitato ad operare, pena la trasformazione della decretazione d'urgenza in decretazione governativa tout court, libera nei presupposti e nelle condizioni legittimanti, con conseguente indebita intromissione del Governo in un ambito, qual è la funzione legislativa, dalla Costituzione devoluto e riservato, in via esclusiva, al solo Parlamento.

4.7.- Collegato alla sua natura provvedimentale è, poi, il requisito dell'omogeneità del decreto-legge, che deve necessariamente sussistere "sin dalla sua origine, poiché l'inserimento di norme eterogenee quanto all'oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell'urgenza del provvedere ed 'i provvedimenti provvisori con forza di legge', di cui alla norma costituzionale citata" (così Corte cost., sentenza n. 8 del 2022, punto 6.1. del considerato in diritto).

4.8.- Il riscontro del vizio da evidente mancanza dei presupposti costituzionali di straordinaria necessità e urgenza passa, allora, innanzitutto da una verifica circa il difetto di omogeneità del decreto-legge.

L'inserimento di norme eterogenee in un unico decreto-legge, infatti, lascia intendere che quest'ultimo, ben più che un necessitato mezzo adoperato per far fronte ad imprevedibili e perciò straordinarie situazioni di necessità e urgenza, rappresenti piuttosto uno strumento utilizzato dal Governo per disciplinare situazioni prevedibili e - in ipotesi - financo già ampiamente previste, mediante misure normative la cui adozione, per il grado e livello dalle stesse ricoperto nella gerarchia delle fonti, è demandata e attribuita, da parte della Costituzione, al solo Parlamento.

4.9.- Verificata la presenza di norme eterogenee quanto all'oggetto o alla finalità del decreto, occorrerà ancora valutare se il decreto-legge, "ancorché articolato e differenziato al proprio interno, appaia fornito di una sua intrinseca coerenza" (così Corte cost., sentenza n. 244 del 2016, punto 3.2.2. del considerato in diritto), ritraibile "o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico" (così sempre Corte cost., sentenza n. 8 del 2022, ivi).

In presenza di decreti-legge cd. omnibus o ad oggetto plurimo - che contengono, cioè, disposizioni vertenti su più oggetti o materie e che sono quindi destinati a regolare ambiti e settori diversi - l'urgente necessità del provvedere, più in particolare, potrà ricavarsi "o dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero dall'intento di fronteggiare una situazione straordinaria complessa e variegata, che richiede interventi oggettivamente eterogenei, in quanto afferenti a materie diverse, ma indirizzati tutti all'unico scopo di approntare urgentemente rimedi a tale situazione" (così ancora Corte cost., sentenza n. 8 del 2022, ivi).

4.10.- Secondo l'orientamento del Giudice costituzionale, peraltro, lo scrutinio di conformità a Costituzione del decreto-legge, in tali casi, si concentra e risiede nell'individuazione della matrice unitaria del provvedimento decretizio, corrispondente all'unitaria finalizzazione delle norme in esso raccolte e, quindi, alla complessiva ragione giustificativa dello stesso ovvero alla "ratio dominante l'intervento normativo d'urgenza" (così sempre Corte cost., sentenza n. 8 del 2022, ivi).

Il difetto di una matrice unitaria, in grado di raccordare le eterogenee norme contenute all'interno di un medesimo decreto-legge, rappresenta allora l'inequivoco segno dell'evidente carenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza di ciascuna delle norme raccolte nel medesimo; ove sia invece rinvenibile una ratio dominante l'intervento normativo d'urgenza, potrà dirsi adottata in evidente carenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza quella disposizione che risulti incongrua e non pertinente con la ratio giustificativa dell'intero decreto-legge, tanto da farla apparire "come "totalmente 'estranea'" o addirittura "intrusa", analogamente a quanto avviene con riguardo alle norme aggiunte dalla legge di conversione" (così Corte cost., sentenza n. 213 del 2021, punto 9.1. del considerato in diritto).

4.11.- In ipotesi di decreto-legge ad oggetto plurimo, conclusivamente, si pongono in contrasto con l'articolo 77, secondo comma, della Costituzione - e devono pertanto ritenersi illegittime - le disposizioni che si collocano al di fuori del ristretto perimetro che circoscrive l'urgente necessità del provvedere, definito in base alla ragione giustificativa dell'intero decreto e alla sua complessiva ratio ed unitaria finalità.

4.12.- Il potere di normazione primaria, in definitiva, trova una puntuale e precisa ripartizione tra organo Esecutivo e organo Legislativo in base alla regola dell'urgente necessità del provvedere, scolpita dall'articolo 77, secondo comma, della Costituzione; ove si scavalchi e oltrepassi tale precetto fondamentale si produce e determina, pertanto, un'inammissibile alterazione della forma di governo disegnata dalla Carta costituzionale.

4.13.- Da ultimo, vertendo la questione qui proposta su una disposizione incidente nella materia penale (producendo, peraltro, effetti ultrattivi in malam partem: sul punto, v. più diffusamente infra, paragrafo 5), è utile precisare come la "verifica sull'esercizio da parte del Governo della funzione legislativa" - sia esso avvenuto su delegazione delle Camere oppure in via d'urgenza, come nel caso di specie - costituisce un fondamentale "strumento di garanzia del rispetto del principio della riserva di legge in materia penale, sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost." (così Corte cost., sentenza n. 5 del 2014, punto 5.2. del considerato in diritto), siffatta riserva venendo sì "osservata anche da atti aventi forza di legge", ma "purché nel rigoroso rispetto dei presupposti costituzionali ad essi inerenti" (così Corte cost., sentenza n. 330 del 1996, punto 3.1. del considerato in diritto).

4.14.- Tanto premesso, non può allora che ritenersi manifestamente carente, nel disposto di cui all'articolo 6 del D.L. n. 162 del 2022, quell'urgente necessità di provvedere che, unica e sola, può legittimare l'esercizio della funzione legislativa da parte del Governo, in deroga all'ordinario disegno costituzionale, che la vuole riservata e attribuita soltanto al Parlamento. A riprova di ciò, infatti, emergono tanto la palese eterogeneità delle norme raccolte nel D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, quanto - e soprattutto - l'assoluta impossibilità di individuare una complessiva ratio ed un'unitaria finalità dell'intero provvedimento decretizio, che sia in grado di abbracciare tutte le eterogenee norme in esso raccolte, tra le stesse non ravvisandosi alcuna coerenza, né dal punto di vista oggettivo-materiale, né dal punto di vista finalistico-funzionale.

4.15.- Si deve, in proposito, rilevare come il D.L. 31 ottobre 2022, n. 162 abbia in effetti accorpato, al proprio interno, una pluralità di norme tra loro ictu oculi manifestamente eterogenee, anzitutto dal punto di vista oggettivo-materiale.

4.15.1.- Il provvedimento in esame, infatti, nell'arco di soli sette articoli interviene con quattro distinti interventi in due ambiti e settori tra loro affatto distanti: ossia nelle materie "ordinamento penale" (v. articoli 1, 2, 3, 4, 5 e 6) e "profilassi internazionale/tutela della salute/protezione civile" (v. articolo 7), per riprendere la tipologia classificatoria operata dalla Costituzione all'articolo 117, secondo comma, lettere l) e q), nonché terzo comma (ricadendo, peraltro, le misure adottate per far fronte ad un'emergenza sanitaria in materia connotata dall'avocazione in sussidiarietà allo Stato di funzioni amministrative e legislative, attesi i preminenti aspetti di profilassi internazionale alle stesse ricollegati; così Tar Calabria, sentenza n. 841 del 9 maggio 2020, punto 18.2.).

4.15.2.- Quanto al profilo oggettivo-materiale, pertanto, non vi è dubbio alcuno che l'intervento normativo in questione non sia affatto riconducibile ad una matrice unitaria: altro è infatti intervenire in materia di profilassi sanitaria, di emergenza pandemica e di tutela della salute pubblica, altro è invece provvedere in materia penale, incidendo così sui fondamentali diritti di libertà delle persone.

4.16.- D'altra parte, nel citato decreto-legge si possono poi riscontrare, in maniera piuttosto agevole, direttrici e linee d'intervento non soltanto tra loro eterogenee, ma per certi versi financo opposte e divergenti (v. più in particolare infra, punto 4.19. del presente paragrafo), così ulteriormente approfondendosi, anche da punto di vista teleologico-finalistico, la già ampia distanza riscontrabile dal punto di vista oggettivo-materiale tra le varie norme inscritte nel citato provvedimento.

4.16.1. - Da un lato, infatti, vi sono articoli che non introducono nuove discipline, ma si limitano piuttosto a disporre la cessazione degli effetti di disposizioni appartenenti a diversi atti legislativi già vigenti oppure ad impedire l'entrata in vigore di un atto legislativo già formato, ma tuttavia ancora in attesa di completare il relativo iter d'integrazione dell'efficacia.

Appartengono a questa prima categoria, per un verso, le misure disposte con l'articolo 7 del citato decreto, che determinano l'anticipata cessazione degli effetti di alcune di misure in materia di profilassi sanitaria (quali l'obbligo di vaccinazione anti SARS-CoV-2 per gli esercenti professioni sanitarie), introdotte il 1 aprile 2021 con la finalità di garantire adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza dagli svolte da parte degli esercenti medesimi e degli operatori di interesse sanitario che svolgano la loro attività nelle strutture pubbliche, private o in studi professionali; per altro verso, la misura disposta con l'articolo 6 qui censurato, che stabilisce un (nuovo) termine di entrata in vigore di una complessa, particolarmente ampia, articolata ed organica riforma della giustizia penale, qual è quella inscritta nel D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.

4.16.2.- Dall'altro lato, invece, vi sono articoli che introducono nuove discipline, anche piuttosto articolate e dettagliate.

Appartengono a questa seconda categoria, per un verso, gli articoli da 1 a 4 del citato decreto, con cui si predispone una dettagliata disciplina in materia di reati cd. ostativi, allargando il perimetro dell'ostatività (v. l'articolo 4, lettera a, numero 1) e al contempo definendo i presupposti per l'ammissione ai benefici penitenziari esterni (dal permesso premio alla liberazione condizionale), in assenza di collaborazione; per altro verso, l'articolo 5, con il quale si estende l'area del penalmente rilevante, mediante l'istituzione di una nuova figura di reato che, sotto minaccia di reclusione da tre a sei anni, proibisce le riunioni organizzate ("raduni"), cui partecipi un numero di persone non inferiore a cinquanta, connotate da condotte di invasione o ingresso in terreni ed edifici pubblici o privati e alle quali siano ricollegati, disgiuntamente, rischi per l'ordine pubblico, l'incolumità pubblica o la salute pubblica (aspetto, quest'ultimo, cui peraltro si appunta quel maggior disvalore tradotto nella previsione di un minimo edittale di pena pari al triplo, rispetto alla vicina ipotesi di cui all'articolo 633 del codice penale, e di un massimo pari al doppio); e con il quale si prevede l'applicabilità della misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza nei confronti di quanti siano indiziati della nuova figura di reato.

4.17.- Sotto altro aspetto, è facile rilevare, ancora, come nel citato decreto si fronteggino misure tipologicamente assai distanti le une rispetto alle altre: tre dei quattro interventi normativi in esso previsti - quali l'introduzione di un nuovo delitto, la disciplina dei benefici penitenziari in materia di ergastolo ostativo e l'anticipata cessazione dell'obbligo vaccinale per gli esercenti professioni sanitarie - sono infatti di natura apertamente strutturale e/o definitiva; mentre il quarto ed ultimo intervento - l'introduzione di un (nuovo) termine per l'entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 - assume natura dichiaratamente temporanea.

4.18.- Ma la palese eterogeneità delle norme incluse nel decreto-legge in esame si coglie, soprattutto, dal punto di vista finalistico-funzionale, in nessun caso potendosi sostenere che i quattro interventi normativi sopra già enumerati siano riconducibili ad un'unica "traiettoria finalistica portante" (così Corte cost., sentenza n. 8 del 2022, punto 6.2. del considerato in diritto), né che gli stessi possano ritenersi in rapporto, tra loro, di congruenza funzionale.

In altri termini, nel citato provvedimento provvisorio con forza di legge non è dato rinvenire alcuna unitaria finalizzazione delle eterogenee norme in esso raccolte, né può individuarsi una vera e propria omogeneità di scopo, così risultandone l'adozione, da parte del Governo, costituzionalmente illegittima.

4.18.1.- I quattro indicati interventi normativi, innanzitutto, non appaiono infatti tra loro legati dall'unitario intento di fronteggiare un'unica situazione straordinariamente complessa e variegata, né possono dirsi indirizzati all'unico scopo di approntare urgentemente rimedi per far fronte a siffatta, unitaria situazione. Di contro, proprio dall'esame del preambolo del decreto-legge, nonché delle relazioni tecnica e illustrativa di accompagnamento al relativo d.d.l. di conversione in legge, si trae la convinzione che siffatti interventi siano privi, tra loro, di qualsiasi legame finalistico e teleologico, tanto da essere ognuno di essi assistito da una propria, autonoma e sempre diversa ratio giustificativa, ciascuna delle quali non appare in alcun modo conciliabile o compatibile con le altre.

4.18.2.- Già il preambolo del citato decreto-legge fornisce, in questo senso, chiare ed esplicite indicazioni, là dove prevede diverse e tra loro concettualmente distinte ragioni giustificative, ciascuna indicata come fondamento dell'"urgente necessità" di provvedere rispetto ai quattro, già citati, interventi normativi con esso disposti.

In relazione all'intervento in materia di ergastolo ostativo, e di connessa disciplina dei benefici penitenziari esterni, si evocano infatti i "moniti rivolti dalla Corte costituzionale al legislatore per l'adozione di una nuova regolamentazione dell'istituto al fine di ricondurlo a conformità con la Costituzione" e, soprattutto, "l'imminenza della data dell'8 novembre 2022, fissata dalla Corte costituzionale per adottare la propria decisione in assenza di un intervento del legislatore".

Circa il differimento dell'entrata in vigore dell'intero D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, si invoca invece la necessità di "consentire una più razionale programmazione degli interventi organizzativi di supporto alla riforma".

A fronte dell'intervento volto ad ampliare l'area del penalmente proibito, mediante l'introduzione di una nuova figura di delitto, peraltro affiancata da una misura di prevenzione speciale, si adduce poi la necessità di "prevenire e contrastare il fenomeno dei raduni dai quali possa derivare un pericolo per l'ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica".

Da ultimo, riguardo l'intervento in materia di anticipata cessazione degli effetti di alcune misure in materia di profilassi sanitaria, quali l'obbligo di vaccinazione anti SARS-CoV-2 per gli esercenti professioni sanitarie, si avanzano le necessità di "far fronte alla preoccupante carenza degli esercenti le professioni sanitarie... mediante il reintegro del personale sanitario nell'esercizio delle relative funzioni" e, ad un tempo, di "riavviare un progressivo ritorno alla normalità nell'attuale fase post pandemica".

4.18.3.- Le ragioni giustificative di ciascuno dei predetti interventi, rese ben evidenti da parte del legislatore governativo nel preambolo del decreto-legge, sono all'evidenza tra loro tutte distanti, dal punto di vista finalistico e funzionale.

Con esse, infatti, si spazia dalla necessità di reintegrare il personale medico nelle strutture ospedaliere, all'obiettivo di prevenire e reprimere le riunioni organizzate ("raduni") ritenute pericolose per l'ordine pubblico, la pubblica incolumità o la salute pubblica, perseguito tramite l'introduzione di un'apposita figura di reato, in uno con la prevista applicazione di misure di prevenzione, per coloro che di tale reato siano indiziati; dalla necessità di approntare interventi organizzativi di supporto alla riforma della giustizia penale, a quella di impedire pronunce d'incostituzionalità, già peraltro accertata da parte della Corte costituzionale con l'ordinanza n. 97 del 2021, in materia di ergastolo ostativo.

4.18.4.- Né l'utilizzazione dello strumento decretizio, come in più occasioni confermato dallo stesso Giudice costituzionale, può essere certo sostenuta "dall'apodittica enunciazione dell'esistenza delle ragioni di necessità e di urgenza" nel relativo preambolo (così Corte cost., sentenza n. 171 del 2007, punto 6 del considerato in diritto) ovvero dalla mera ed "apodittica enunciazione della sussistenza dei richiamati presupposti" (così Corte Cost., sentenza n. 128 del 2008, punto 8.2 del considerato in diritto), così come essa non può parimenti "esaurirsi nella eventuale constatazione della ragionevolezza della disciplina" (così Corte cost., sentenza n. 128 del 2008, ivi).

Di talché, sotto tale profilo, le predette, singole e sempre diverse ragioni giustificative, evocate in relazione ad ognuno dei quattro interventi normativi più volte enumerati, non sono di per se stesse in grado di fondare, ciascuna con riferimento al relativo intervento, la legittimità costituzionale degli stessi, stante la carente assenza di un'unitaria matrice che tutti li leghi e raccolga, onde così comprovare l'effettiva sussistenza dell'urgente necessità di provvedere mediante decreto-legge.

4.18.5.- È chiaro, allora, come già nella stessa mens legis non si riscontri affatto quella reductio ad unum di una pluralità di distinti interventi, intesi come nel loro complesso volti a fronteggiare un'unica situazione connotata dal carattere della straordinarietà e, per tale motivo, in grado di legittimare l'urgente necessità, da parte del Governo, di provvedere mediante un atto equiparato alla legge, in deroga all'ordinario disegno costituzionale.

Non v'è infatti nessun collegamento funzionale, neppure labile o remoto, tra una misura qual è quella che dispone, per gli esercenti professioni sanitarie, l'anticipata cessazione dell'obbligo di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e un'altra che statuisce il differimento dell'entrata in vigore di un'articolata ed organica riforma della giustizia penale; così come non v'è nessun apprezzabile nesso finalistico tra una misura volta ad istituire un nuovo reato e un'altra diretta ad introdurre una disciplina in materia di benefici penitenziari concedibili a persone ristrette o internate per reati cd. ostativi, se non quello rappresentato dalla comune appartenenza di tali interventi all'identica materia "penal-punitiva", come tale tuttavia assolutamente inidonea ad istituire quella finalistica e funzionale reductio ad unum, di cui si è più volte trattato.

4.18.6.- La lettura delle relazioni tecnica e illustrativa che accompagnano il d.d.l. di conversione in legge del D.L. n. 162 del 2022, d'altro canto, conferma e conforta in via integrale quanto sin qui esposto ed argomentato, in punto di eterogenea frammentarietà delle rationes fondanti i singoli interventi normativi e all'impossibilità di ricondurli ad unità.

La ratio dell'intervento in materia di ergastolo ostativo, ad esempio, viene individuata dal Governo nella necessità di "adempiere al monito della Corte costituzionale". Un monito che tuttavia la Corte costituzionale, per ben due volte, aveva espressamente riservato e rivolto al solo "Parlamento": dapprima con l'ordinanza n. 97 del 2021, con cui sono stati disposti "il rinvio del giudizio in corso" e la fissazione di "una nuova discussione delle questioni di legittimità costituzionale in esame all'udienza del 10 maggio 2022, dando al Parlamento un congruo tempo per affrontare la materia" (v. punto 11 del considerato in diritto); poi con l'ordinanza n. 122 del 2022, con cui è stato disposto "un ulteriore rinvio dell'udienza, per consentire al Parlamento di completare i propri lavori", relativi all'iter del disegno di legge C. 1951-A, in materia di "divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia", a quella data (il 13 maggio 2022) all'esame della 2a Commissione permanente del Senato (Giustizia), a seguito della già intervenuta approvazione da parte della Camera dei Deputati. Decorso inutilmente il periodo di tempo assegnato al Parlamento dal Giudice delle leggi, pari a ben cinquecentosessantaquattro giorni, il Governo è stato tuttavia dell'avviso, pur a fronte delle chiare indicazioni fornite dalla Consulta, di ritenere che "solo un intervento di urgenza potesse oggi consentire di adempiere al monito della Corte", atteso l'imminente approssimarsi dell'udienza pubblica dell'8 novembre 2022, in cui la Corte costituzionale avrebbe dato seguito alla già accertata incostituzionalità dell'ergastolo ostativo (v. ordinanza n. 97 del 2021), in quella sede procedendo a rimuovere concretamente dall'ordinamento quel che con esso era già stato dichiarato essere non compatibile.

All'introduzione della nuova figura di reato "in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali" è invece ricollegata la diversa finalità di "introdurre alcune misure volte a rafforzare il sistema di prevenzione e contrasto del fenomeno dei grandi raduni musicali, organizzati clandestinamente (cd. rave party)".

L'urgente necessità di "garantire l'effettività del diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione", mediante "il reintegro del personale sanitario nell'esercizio delle relative funzioni" e in tal modo "contrastare la grave carenza di personale sanitario che si registra sul territorio" è invece l'ancòra differente giustificazione che il Governo evoca a base della scelta di anticipare, per gli esercenti professioni sanitarie, la cessazione dell'obbligo di vaccinazione anti SARS-CoV-2.

Il "differimento dell'entrata in vigore della riforma penale" di cui al D.Lgs. n. 150 del 2022 trova, da ultimo, la sua ratio giustificativa, ulteriormente distinta e diversa dalle altre, nella "riscontrata necessità di approntare misure attuative adeguate a garantire un ottimale impatto della riforma sull'organizzazione degli uffici".

4.18.7.- Anche l'epigrafe del decreto-legge, d'altra parte, là dove reca l'intestazione "Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali", contribuisce poi a restituire, plasticamente, il quadro di tale frammentata pluralità di interventi, che non trovano alcuno scopo in grado di accomunarli tutti, né una comune ratio che li possa avere ispirati.

Sotto il profilo teleologico-funzionale, non è infatti possibile conciliare un intervento volto a far cessare anticipatamente, per gli esercenti sanitari, l'obbligo di vaccinazione anti SARS-CoV-2, con uno diretto invece a proibire e reprimere, sotto minaccia penale, le riunioni organizzate ("raduni") partecipate da un rilevante numero di persone e giudicate pericolose per l'ordine pubblico o la sicurezza pubblica; l'uno, infatti, è dichiaratamente volto a tutelare il diritto alla salute e, più in generale, deve essere coerentemente inscritto all'interno della più ampia e vasta area di interventi - per vero tuttavia assenti nel testo del D.L. n. 162 del 2022 - in materia di gestione e fronteggiamento di un'emergenza sanitaria connessa a malattie infettive e diffusive; l'altro, invece, nulla ha a che vedere con la gestione dell'emergenza sanitaria ma è, piuttosto, espressione e frutto di autonome valutazioni in materia di politica criminale, come tali irriducibili ad unità funzionale con la materia degli obblighi vaccinali.

4.19.- A partire dal testo del provvedimento e dall'esame delle relazioni tecnica e illustrativa che ne accompagnano il d.d.l. di conversione in legge, ad avviso del Tribunale è inoltre possibile cogliere una netta cesura e divergenza tra interventi che ampliano ed estendono la sfera giuridica di alcune classi di persone, quali gli esercenti professioni sanitarie, eliminando obblighi sugli stessi già gravanti (v. obbligo di effettuare la vaccinazione anti SARS-CoV-2), ed interventi che invece più o meno direttamente comprimono e restringono la sfera giuridica di altre classi di persone, introducendo nuovi divieti e proibizioni (quali quelli implicati dalla nuova fattispecie di cui all'articolo 434-bis cod. pen.), ovvero precludendo l'espansione di una sfera già ristretta, pur se già prevista, quale effetto di altre disposizioni normative, di cui si inibisce infatti l'entrata in vigore.

4.20.- È, quest'ultimo, proprio il caso dell'articolo 6 qui oggetto di censura, che stabilendo un (nuovo) termine di entrata all'intero D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, impedisce alle numerose norme penali più favorevoli in esso contenute di spiegare la loro efficacia in mitius sin dal 1 novembre 2022.

In proposito, non pare peraltro potersi assumere come evento straordinario, come tale imprevedibile, l'entrata in vigore al 1 novembre 2022 del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.

4.21.- Né è d'altro canto possibile includere, nell'alveo delle possibilità applicative della decretazione d'urgenza, fatti quali gli intervenuti mutamenti nella composizione personale dell'organo Esecutivo o nell'indirizzo politico espresso da quest'ultimo, che come tali esulano del tutto dal requisito dell'urgente necessità del provvedere, dovendo lo strumento decretizio restare pur sempre ancorato alla sola urgente necessità di fronteggiare una situazione imprevedibile e, come tale, straordinaria.

Da questo punto di vista, è forse utile rammentare come il pur "largo margine di elasticità" che - secondo il costante orientamento del Giudice costituzionale (v. sentenze n. 8 del 2022, 5 del 2018, n. 93 del 2011 e n. 171 del 2007) - connota l'espressione usata dall'articolo 77 della Costituzione "per indicare i presupposti della decretazione d'urgenza, onde consentire al Governo di apprezzare la loro esistenza con riguardo a una pluralità di situazioni per le quali non sono configurabili rigidi parametri" (così Corte cost., sentenza n. 8 del 2022, punto 6.1 del considerato in diritto), deve pur sempre e comunque ruotare intorno alla "straordinarietà del caso", cui infatti si ricollega "la necessità di dettare con urgenza una disciplina in proposito", che "può essere dovuta ad una pluralità di situazioni (eventi naturali, comportamenti umani e anche atti e provvedimenti di pubblici poteri) in relazione alle quali non sono configurabili rigidi parametri, valevoli per ogni ipotesi" (così Corte cost., sentenza n. 171 del 2007, punto 4 del considerato in diritto).

Ciò posto, è allora chiaro come il pur largo margine di elasticità riconosciuto al Governo nell'individuare le situazioni che impongono, in funzione della straordinarietà del caso che alle stesse si lega, l'urgente necessità di provvedere, non possa dilatarsi a tal punto da farvi rientrare eventuali mutamenti nell'indirizzo politico espresso dall' organo Esecutivo (su cui v. art. 95 Cost.), pena un'inammissibile alterazione della forma di governo disegnata dalla Carta costituzionale, che attribuisce e riserva esclusivamente al Parlamento la funzione legislativa.

4.22.- Conclusivamente, l'esame del testo del decreto-legge adottato in data 31 ottobre 2022, nonché degli articoli in esso contenuti, in uno con le relazioni illustrativa e tecnica che ne accompagnano il disegno di legge di conversione in legge, conforta e conferma la presenza di norme a tal punto tra loro eterogenee, quanto ad oggetto e finalità, da non potersi ricavare una finalizzazione unitaria delle stesse, né una complessiva ratio che giustifichi la valutazione fatta dal Governo dell'urgenza del provvedere, così risultando violata la previsione di cui all'articolo 77, secondo comma, della Costituzione.

5. Sul contrasto con gli articoli 3 e 117, primo comma, della Costituzione.

5.1.- La disposizione normativa qui censurata, da ultimo, non appare neppure in grado di superare il vaglio di ragionevolezza intrinseca imposto dall'articolo 3 della Costituzione, non rinvenendosi alcuna sufficiente ragione giustificativa nella necessità di stabilire, peraltro in via d'urgenza, un (nuovo) termine di vacatio legis relativo all'intero D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che tra i suoi effetti annoveri quello di impedire l'applicazione, sin dal 1 novembre 2022, delle modifiche più favorevoli al reo previste dal decreto da ultimo citato, in tal modo consentendo un'ultrattiva applicazione in malam partem della precedente disciplina.

5.2.- Sotto tale profilo, deve evidenziarsi che il principio di non ultrattività delle norme penali più sfavorevoli, pur non avendo la stessa tutela costituzionale accordata al principio di irretroattività delle norme incriminatrici meno severe, non è affatto privo di copertura costituzionale. Esso, infatti, non può che mutuare le basi e i fondamenti costituzionali propri del principio di retroattività delle norme penali più favorevoli, del quale rappresenta un diretto corollario, in ragione dell'evidente specularità dell'uno rispetto all'altro.

5.3.- Il principio di retroattività della lex mitior in materia penale - sancito dai commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 2 del codice penale - non è d'altra parte riconducibile "alla sfera di tutela dell'art. 25 della Costituzione" (in questo senso, da ultimo, v. Corte cost., sentenza n. 198 del 2022, punto 7 del considerato in diritto). Tuttavia, la regola dell'applicazione retroattiva delle disposizioni penali più favorevoli al reo "non è priva di un fondamento costituzionale" (in questi termini, v. Corte cost., sentenza 215 del 2008, punto 7 del considerato in diritto), pur avendo - come detto - un "rango diverso dal principio d'irretroattività della norma incriminatrice, di cui all'art. 25, secondo comma, della Costituzione" (ibidem).

5.4.- Tale fondamento, come noto, ha origine eminentemente sovranazionale e, nel nostro ordinamento, trova ingresso per il tramite dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione.

5.4.1.- Tra le norme veicolate mediante il citato articolo 117 vi sono, innanzitutto, l'articolo 15, primo comma, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (v. sul punto Corte cost., sentenze n. 238 del 2020, n. 63 del 2019 e n. 236 del 2011) e l'articolo 7, primo paragrafo, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (Grand Chamber, case of Scoppola v. Italy, n. 10249/03, 108-109; décision Morabito et autres c. Italie, 27 avril 2010; affaire Agrati et autres c. Italie, 7 juin 2011, 80; case of Mihai Toma v. Romania, n. 1051/06, 26-31; affaire Gouarré Patte v. Andorre, n. 33427/10, 28-36; case of Ruban v. Ukraine, n. 8927/11, 37-40).

5.4.2.- Accanto a tali norme internazionali, vi è infine l'articolo 49, paragrafo 1, terza frase, della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea ("... non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest'ultima..."), che peraltro assume rilievo non soltanto ex art. 117, primo comma, Cost., ma anche ai sensi dell'articolo 11 della Costituzione.

Non ricadendo, tuttavia, la disciplina qui censurata nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione europea - "ciò che condiziona in via generale, ai sensi dell'art. 51 CDFUE, l'operatività dei diritti riconosciuti dalla Carta, e di conseguenza la stessa possibilità di invocarli quali parametri interposti nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale" (così Corte cost., sentenza n. 28 del 2022, punto 4.2.3. del considerato in diritto) - tale articolo della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea non appare invocabile, quale parametro interposto, nell'ambito della presente questione di costituzionalità, seppur lo stesso contribuisca, quale strumento ermeneutico, a restituire l'articolata e complessiva dimensione sovranazionale del principio di retroattività delle norme penali più favorevoli.

5.5.- Dal complesso delle norme sin qui evocate si ricava la comune ratio sottesa al principio di retroattività favorevole in materia penale, ben elucidata dalla Consulta nella pronuncia n. 63 del 2019 e costituita dal "diritto dell'autore del reato a essere giudicato, e se del caso punito, in base all'apprezzamento attuale dell'ordinamento relativo al disvalore del fatto da lui realizzato, anziché in base all'apprezzamento sotteso alla legge in vigore al momento della sua commissione" (punto 6.1 del considerato in diritto). In forza di tale principio, in altri termini, "le modifiche mitigatrici della legge penale, disposte dal legislatore in dipendenza di una mutata valutazione del disvalore del fatto tipico, devono riverberarsi anche a vantaggio di coloro che hanno posto in essere la condotta in un momento anteriore, salvo che, in senso opposto, ricorra una sufficiente ragione giustificativa" (v. in questo senso Corte cost. sentenza n. 210 del 2013; ma v. altresì le sentenze n. 394 e n. 393 del 2006, n. 80 del 1995, n. 74 del 1980, n. 6 del 1978 e n. 164 del 1974).

5.6.- Il principio di retroattività delle norme penali più favorevoli trova, in definitiva, un solido e complessivo ancoraggio nel coordinato disposto degli articoli 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'articolo 15, primo comma, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, nonché all'articolo 7, primo paragrafo, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

5.7.- Deroghe a tale principio, ad avviso del Giudice costituzionale (ma anche del Giudice convenzionale: v. case of Ruban v. Ukraine, n. 8927/11, 45-46), sono ben possibili, ma "solo se superano un vaglio positivo di ragionevolezza, in quanto mirino a tutelare interessi di analogo rilievo rispetto a quelli... relativi a esigenze dell'intera collettività connesse a valori costituzionali" (Corte cost., sentenza n. 72 del 2008, punto 12 del considerato in diritto).

5.8.- È peraltro facile convenire che il principio di non ultrattività delle norme penali più sfavorevoli abbia lo stesso rango e la stessa base costituzionale del principio di retroattività favorevole di cui si è sin qui trattato, in ragione dell'evidente specularità dell'uno rispetto all'altro.

Pertanto, dovendosi riconoscere la piena rilevanza costituzionale anche al principio di non ultrattività delle norme penali sfavorevoli, occorre allora vagliare la ragionevolezza intrinseca dell'articolo 6 del D.L. n. 162 del 2022, nella parte in cui, stabilendo un unico e indifferenziato termine per l'entrata in vigore dell'intero D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, inibisce l'applicazione, a decorrere dal 1 novembre 2022, delle disposizioni in esso previste come più favorevoli al reo, tra le quali - per quel che qui in particolare rileva - l'art. 2, primo comma, lettere e) ed n).

A tal fine, appare utile delineare, in premessa, lo schema logico-argomentativo del giudizio cd. di ragionevolezza intrinseca, da condursi ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione.

5.9.- Il giudizio di ragionevolezza intrinseca di una disposizione, come chiarito dalla Consulta, si svolge "attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti" (Corte cost., sentenza n. 1130 del 1988, punto 2 del considerato in diritto). Il Giudice costituzionale, sempre sul punto, ha inoltre avuto modo di chiarire che la "regola della ragionevole proporzionalità e della necessarietà della limitazione di un diritto inviolabile dell'uomo in riferimento all'adempimento di un dovere costituzionale inderogabile ... impone che il legislatore, nel suo discrezionale bilanciamento dei valori costituzionali, possa restringere il contenuto di un diritto inviolabile dell'uomo soltanto nei limiti strettamente necessari alla protezione dell'interesse pubblico sottostante al dovere costituzionale contrapposto" (Corte cost., sentenza n. 467 del 1991, punto 5 del considerato in diritto).

5.10.- Alla luce di siffatte coordinate giurisprudenziali, è dunque possibile strutturare e articolare il vaglio di ragionevolezza in tre distinti sotto-giudizi, l'uno logicamente successivo all'altro, essendo il primo implicato dal secondo ed il secondo a sua volta implicato dal terzo: 1) il giudizio di idoneità di un intervento normativo; 2) il successivo giudizio di necessità di tale intervento; 3) il giudizio, ultimo, di proporzionalità in senso stretto dello stesso.

Da questo punto di vista, di un intervento normativo potrà allora predicarsi l'intrinseca irragionevolezza in quanto lo stesso o risulti di per sé non idoneo allo scopo perseguito, oppure si riveli come non necessario rispetto a siffatto scopo, pur risultando comunque in astratto idoneo a perseguirlo; da ultimo, l'irragionevolezza potrà altresì affermarsi anche in riferimento ad un intervento idoneo e necessario, ove tuttavia lo stesso non superi il vaglio di cd. stretta proporzionalità.

5.11.- Il controllo di idoneità, più in particolare, impone di valutare e verificare che l'intervento normativo adottato sia effettivamente in grado di realizzare gli obiettivi perseguiti dal legislatore.

Il successivo giudizio di necessità, altrimenti noto come regola "del mezzo più mite", impone poi di verificare che l'intervento adottato, in quanto limitativo di un altro diritto, valore o interesse costituzionalmente presidiato, sia il meno invasivo possibile tra quelli in astratto praticabili. Lo stesso, quindi, presuppone sempre che l'obiettivo dichiarato dal legislatore sia perseguibile tramite diverse misure; e si risolve, in definitiva, nel verificare che, tra le varie misure tutte egualmente idonee a conseguire il fine dichiarato, sia stata adottata quella che imponga il minor sacrificio possibile ai concorrenti diritti, valori o interessi, di pari rango e dignità, coinvolti nell'intervento.

L'ultimo vaglio da operare, cd. di proporzionalità in senso stretto, consiste invece in un vero e proprio giudizio di bilanciamento tra beni-interessi contrapposti, dovendosi valutare se il sacrificio imposto ad un diritto, valore o interesse fondamentale, ad opera di un intervento normativo che persegue un concorrente obiettivo di pari rango e rilievo, sia equilibrato rispetto al grado di soddisfazione di quest'ultimo. In altre parole, in quest'ultimo tipo di valutazione occorre verificare se al sacrificio imposto ad un diritto, valore o interesse fondamentale corrisponda effettivamente un grado di soddisfazione dell'obiettivo perseguito, da parte del legislatore, mediante l'intervento adottato.

5.12.- Nel giudicare della ragionevolezza intrinseca di un intervento normativo, in sintesi, occorre dapprima valutare l'idoneità del mezzo prescelto rispetto allo scopo dichiarato e perseguito; si deve, poi, verificare che tale mezzo sia "il più mite" tra quelli egualmente idonei al raggiungimento dell'obiettivo prefissato; da ultimo, dovrà operarsi una la valutazione del "peso" che l'obiettivo perseguito ha nel caso concreto, saggiando il grado di sua realizzazione e, in definitiva, procedendo ad una verifica in termini di bilanciamento tra sacrificio imposto al bene o interesse inciso e obiettivo perseguito con l'intervento normativo in questione.

5.13.- Seguendo lo schema argomentativo poc'anzi tracciato, diviene allora facile rilevare come l'intervento normativo racchiuso nell'articolo 6 del D.L. n. 162 del 2022, benché in astratto idoneo a perseguire lo scopo voluto dal legislatore governativo, non superi indenne il sotto-giudizio di necessità, in quanto l'adottata misura, costituita da un indiscriminato e generalizzato differimento della vigenza di un intero corpus normativo, non può certo annoverarsi tra quelle meno invasive e dannose possibile nei confronti dei concorrenti diritti e valori coinvolti, in ragione dell'esistenza di altre opzioni in grado di raggiungere il fine perseguito e, al contempo, di garantire il minor sacrificio possibile dei predetti diritti e valori.

Tra siffatti valori e diritti - come sopra già visto, di rango e rilievo costituzionale - vi è quello, in capo all'autore del reato, ad "essere giudicato, e se del caso punito, in base all'apprezzamento attuale dell'ordinamento relativo al disvalore del fatto da lui realizzato, anziché in base all'apprezzamento sotteso alla legge in vigore al momento della sua commissione" (così Corte cost., sentenza n. 63 del 2019, punto 6.1 del considerato in diritto). Esso consiste, in altri termini, nel principio di non ultrattività delle norme penali più sfavorevoli, quale valore speculare, in materia penale, al principio di retroattività in mitius.

5.14.- Per altro verso, lo scopo perseguito con l'intervento in questione, corrispondente alla sua dichiarata ratio, è agevolmente ricavabile dalla stessa relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del D.L. n. 162 del 2022, ove può leggersi che lo stesso "si giustifica per la riscontrata necessità di approntare misure attuative adeguate a garantire un ottimale impatto della riforma sull'organizzazione degli uffici".

A ciò si aggiunga, poi, quanto espressamente evidenziato nella relazione tecnica al citato d.d.l. di conversione: "la necessità del differimento dell'entrata in vigore del decreto legislativo indicato, recante attuazione dell'intero processo penale nelle sue diverse fasi prevista dalla legge delega 27 settembre 2021 n. 134, corrisponde all'esigenza di consentire a livello organizzativo di approntare le migliori soluzioni applicative alle mutate discipline e nel contempo favorire l'individuazione... di prassi e linee interpretative condivise indispensabili per il positivo impatto della riforma".

5.15.- Da una parte si ha quindi il diritto dei singoli, di rango e rilievo costituzionale (ex artt. 3 e 117 Cost.: v. la già citata Corte Cost., n. 63 del 2019), ad essere giudicati, in un procedimento penale, in base agli apprezzamenti attualmente operati dall'ordinamento circa il mutato disvalore del fatto a suo tempo realizzato e non già in base a precedenti e più sfavorevoli apprezzamenti, allo stato superati.

Dall'altra si ha invece il bene-interesse dell'efficienza del processo e dell'amministrazione della giustizia, di rango parimenti costituzionale, in quanto "enucleabile dai principi costituzionali che regolano l'esercizio della funzione giurisdizionale" (così Corte cost., sentenza n. 353 del 1996, punto 3.2 del considerato in diritto) e di certo rispondente a quella "esigenza dell'intera collettività connessa a valori costituzionali" di cui vi è menzione nella pronuncia n. 72 del 2008 della Corte costituzionale (v. punto 12 del considerato in diritto).

5.16.- Ciò posto, si osserva che la statuizione di un (nuovo) termine di entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022 costituisce, almeno in astratto, una misura effettivamente in grado di realizzare l'obiettivo perseguito dal legislatore governativo, rappresentato dalla necessità di predisporre quelle misure, di natura organizzativo-gestionale, necessarie affinché i singoli Uffici giudiziari possano far fronte a talune innovazioni normative, riguardanti determinati segmenti o fasi processuali, che implicano e presuppongono previ adeguamenti strutturali e tecnici, con riferimento a talune tipologie di servizi amministrativi.

Da questo punto di vista, è infatti facile rilevare che in tanto è possibile implementare e introdurre misure di carattere tecnico-organizzativo, in quanto siano al contempo previsti congrui tempi per l'adozione delle stesse, così da non provocare disfunzioni o financo paralisi del servizio giustizia, con conseguente lesione del bene-interesse dell'efficienza del processo e dell'amministrazione della giustizia.

5.17.- Ma tali lesioni al bene-interesse dell'amministrazione della giustizia e dell'efficienza del processo sono invero correlate, all'evidenza, soltanto a quelle modifiche normative che abbiano impatti sul servizio giustizia, inteso quale organizzazione di servizi e processi lavorativi, di persone e risorse materiali, e non già sull'attività giudiziaria, intesa quale attività interpretativo-applicativa di norme operata nell'ambito di singoli procedimenti e giudizi.

Menomazioni a siffatto bene-interesse, di contro, non possono essere invece ipotizzate nei casi in cui le modifiche normative non abbiano concreti impatti sull'organizzazione del servizio giustizia, ma si limitino piuttosto ad incidere sul piano - non empirico, fenomenico o materiale - dell'esistenza giuridica dei reati, dei presupposti delle pene e, in definitiva, del diritto penale sostanziale. In tali ipotesi, infatti, l'incidenza delle modifiche normative adottate non potrà che ricadere sulla sola attività interpretativo-applicativa delle leggi, quotidianamente operata dagli organi giudiziari nell'ambito di giudizi, processi o procedimenti.

5.18.- Di talché, se l'obiettivo dichiarato dal legislatore governativo è rappresentato dalla necessità di adottare e predisporre misure di natura tecnico-organizzativa o gestionale, un intervento che si proponga di perseguire siffatto scopo dovrà allora avere ad oggetto non già un'intera e complessiva riforma, specie ove questa sia organica e di sistema, ma soltanto le parti di quest'ultima che concretamente richiedano la previa adozione di tali misure.

Di contro, tutto quel che di più viene precluso e inibito, in termini di impossibilità per gli organi giudiziari di applicare nuove discipline normative sostanziali, esula e così fuoriesce dallo scopo di preservare il bene-interesse dell'amministrazione della giustizia e dell'efficienza del processo, in siffatta parte palesandosi pertanto la misura come non necessaria.

5.19.- Ove, peraltro, ad essere precluse ed inibite siano, come nella materia penale, modifiche normative cui sarebbero conseguiti trattamenti più favorevoli per gli imputati, la (maggiore) invasività di tale misura è allora resa ancor più chiara ed evidente dalla diretta collisione con valori e diritti di rango e rilievo costituzionale (ex artt. 3 e 117 Cost.), tra cui - come visto - deve annoverarsi quello ad essere giudicati, in seno ad un procedimento penale, in base agli attuali e più favorevoli apprezzamenti dell'ordinamento circa il mutato disvalore di un fatto, prima punito più gravemente ovvero in misura deteriore.

Un intervento che producesse tali esorbitanti effetti e, al contempo, limitasse diritti e valori costituzionalmente presidiati, non può allora ritenersi il "meno invasivo possibile" tra quelli in astratto praticabili, ben potendosi, piuttosto, operare rinvii selettivi di soltanto alcune delle parti di una complessa e organica riforma, lasciando che quest'ultima dispieghi i propri effetti nelle altre parti che dispongono modifiche sostanziali in mitius, la cui applicazione non implica certo misure di carattere tecnico-organizzativo, richiedendo piuttosto che si svolga, da parte degli organi giurisdizionali, l'ordinaria attività interpretativo-applicativa, da versare in una concreta decisione giudiziaria.

5.19.- La misura normativa disposta con l'articolo 6 del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162 esorbita, in definitiva, dai confini segnati dalla ragionevolezza intrinseca, in quanto produce effetti ulteriori rispetto a quelli necessari a perseguire lo scopo dichiarato dal legislatore governativo e, in tale parte, invade e comprime la portata di un principio-valore di rango e rilievo costituzionale, qual è quello del divieto di ultrattività delle norme penali più sfavorevoli al reo.

5.20.- Alla luce di tali argomenti, appare allora evidente il contrasto di siffatto articolo con il coordinato disposto degli articoli 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione sia all'articolo 7 CEDU che all'articolo 15 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, nella misura in cui - per quel che qui in particolare rileva - inibisce l'applicabilità, a decorrere dal 1 novembre 2022, delle modifiche mitigatrici previste dall'articolo 2, primo comma, lettere e) ed n) del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che dispongono mutamenti nel regime di procedibilità per taluni reati, prevedendone la perseguibilità esclusivamente a querela della persona offesa, così impedendo la possibilità di riconoscere il perfezionamento di già maturate fattispecie estintive della punibilità, quali l'intervenuta remissione di querela da parte della medesima persona offesa e la successiva accettazione della stessa da parte dell'imputato.

6. Sul tentativo di interpretazione conforme a Costituzione.

6.1.- Né appare concretamente esperibile un tentativo ermeneutico volto a ricercare, della disposizione qui censurata, un significato compatibile con il principio di non ultrattività delle norme penali più sfavorevoli al reo, così da poterne elidere in radice i rilevati profili di attrito.

Da questo punto di vista, più in particolare, non si ritiene utilmente praticabile la via interpretativa percorsa da un recente orientamento di legittimità, volto ad estendere l'applicabilità in giudizio dello ius novum più favorevole al reo, già durante il periodo di vacatio legis (si tratta di Cass. pen., Sez. 1, n. 39977 del 14/05/2019, Addis, Rv. 276949, in tema di nuovi limiti scriminanti di cui agli artt. 52 e 55 cod. pen. introdotti dall'art. 1 L. n. 36 del 2019; nonché Cass. pen., Sez. 1, n. 53602 del 18/05/2017, Carè, Rv. 271639, in tema di depenalizzazione del reato di ingiuria ex art. 1, co. 1, lett. e, D.Lgs. n. 7 del 2016).

Alla percorribilità di tale via ermeneutica, ad avviso del Tribunale, ostano infatti due distinte classi di argomenti, ciascuna delle quali peraltro idonea, di per sé sola, ad escludere in radice la possibilità di procedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell'articolo 6 del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162.

6.2.- La prima classe di argomenti ruota intorno a temi e questioni già esposte nel terzo paragrafo della presente ordinanza: quali l'insuscettibilità, per una legge non in vigore, di spiegare i propri effetti innovativi, estintivi o modificativi nell'ordinamento giuridico, in quanto atto normativo non efficace e, dunque, privo dell'attitudine ad "innovare" l'ordinamento giuridico che gli è propria. Inefficacia cui, dal lato dei naturali destinatari delle norme, siano essi privati cittadini od organi pubblici, si associa peraltro la mancata attivazione, in capo agli stessi, della doverosa osservanza e applicazione di tali norme, che trova il proprio diretto fondamento nell'articolo 54 della Costituzione.

6.2.1.- La stessa Corte costituzionale, d'altra parte, ha in più occasioni ancorato la concreta efficacia di una legge o di un atto ad essa equiparato soltanto allo spirare del suo termine di vacatio legis.

Il riferimento corre, innanzitutto, all'ordinanza n. 255 del 1985, con cui la Consulta ha fatto dipendere la declaratoria di inammissibilità della questione alla stessa proposta proprio dal mancato decorso della "vacatio legis di centoventi giorni disposta dall'art. 5, secondo comma, della L. 27 luglio 1984, n. 397", rilevando come l'ordinanza del giudice a quo, nel caso di specie, fosse stata emessa "prima che entrasse in vigore, e fosse quindi applicabile".

Sulla stessa linea, poi, si collocano le pronunce n 134 del 2002 (in particolare, il punto. 4.3. del considerato in diritto) e n. 187 del 1984, là dove il Giudice costituzionale ha avuto cura di distinguere "tra l'efficacia del testo normativo... e la sua entrata in vigore, che rimane determinata a seguito della normale vacatio dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (artt. 73, terzo comma Cost. e 10 preleggi)" (così, il punto 5 del considerato in diritto).

Rispetto allo specifico tema qui evocato, infine, di peculiare rilievo appare la pronuncia n. 74 del 1975, ove lo spirare del termine di entrata in vigore delle leggi viene elevato ad "elemento essenziale ed imprescindibile per la loro efficacia che, per quanto si riferisce alla norma penale, non può mai essere anticipata rispetto al momento della vigenza" (così il punto 3 del considerato in diritto).

6.2.2.- Da questo punto di vista, in definitiva, nessun fenomeno di successione di leggi penali nel tempo può mai predicarsi con riferimento a norme non entrate in vigore e, dunque, prive di qualsivoglia efficacia.

6.2.3.- A ciò si aggiunga, inoltre, che la questione qui proposta verte su una disposizione collocata in un decreto-legge ancora convertibile e allo stato non convertito e, quindi, su un provvedimento per definizione provvisorio e con efficacia parimenti precaria, come agevolmente si ritrae dalla piana lettura dell'articolo 77, commi secondo ("... provvedimenti provvisori con forza di legge...") e terzo ("I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione") della Costituzione.

Sotto tale profilo, allora, non può non registrarsi un'evidente analogia con il caso della norma penale più favorevole disposta da un decreto-legge poi non convertito, per il quale vale il noto principio scolpito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 51 del 1985, secondo cui "la norma contenuta in un 'decreto-legge non convertito' non ha... attitudine, alla stregua del terzo e ultimo comma dell'art. 77 Cost., ad inserirsi in un fenomeno 'successorio', quale quello descritto e regolato dai commi secondo e terzo oggi: secondo e quarto dell'art. 2 c.p.." (così il punto 3 del considerato in diritto).

6.2.4.- Diversamente opinando, peraltro, si porrebbero non irrilevanti problemi in punto di certezza del diritto e di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, "principi d'indubbio interesse generale e di rilievo costituzionale" (così Corte cost., sentenza n. 15 del 2012, punti 3.2. e 3.3. del considerato in diritto), ben potendo accadere che soltanto alcuni organi giudiziari, diversamente da altri, applichino lo ius novum più favorevole al reo già durante il periodo di vacatio legis.

6.3.- Ove non si ritenessero tuttavia sufficienti le considerazioni sin qui svolte, v'è comunque una seconda classe di argomenti che impedisce di utilmente percorrere, in questa sede, la via tracciata dal sopra richiamato orientamento di legittimità. Si tratta di rilevare, in breve, la radicale differenza tra il caso di specie e quelli esaminati dalla Suprema Corte di Cassazione nelle citate pronunce n. 53602/2017 e n. 39977/2019: il primo di semplice modificazione in mitius, gli altri di vera e propria abolitio criminis.

6.3.1.- Il percorso argomentativo svolto dal giudice nomofilattico nella sentenza n. 53602/2017 si riferisce, più in particolare, soltanto all'ipotesi in cui "la nuova norma consista in una abolitio criminis" ed è essenzialmente basato sulla funzione di garanzia associata al principio di irretroattività delle leggi penali più sfavorevoli, che gode infatti della tutela rafforzata prevista dall'articolo 25 della Costituzione e in virtù del quale "non può farsi discendere anche un perdurante dovere del giudice di fare applicazione e dare esecuzione alla norma penale oramai abrogata per effetto di una successiva disposizione legislativa già valida" (così il punto 2 del considerato in diritto), qual è quella disposta da una legge già pubblicata ma non ancora entrata in vigore.

6.3.2.- Diverso è invece il caso di specie, in cui a venire in gioco non è certo la rafforzata tutela prevista, dall'articolo 25 della Costituzione, per il solo principio di irretroattività delle leggi penali più sfavorevoli, ma piuttosto la sfera di applicazione del principio di non ultrattività delle norme penali più sfavorevoli, che del principio di retroattività in mitius costituisce il corollario diretto e speculare.

Sulla scorta delle considerazioni svolte nel precedente quinto paragrafo, è allora facile rilevare come altro sia applicare già durante il periodo di vacatio legis lo ius novum più favorevole al reo, in ipotesi di abolitio criminis, facendosi così diretta applicazione di una regola, qual è quella espressa dall'articolo 25 della Costituzione, che in effetti corrisponde ad un "principio supremo dell'ordinamento, posto a presidio dei diritti inviolabili dell'individuo, per la parte in cui esige che le norme penali ... non abbiano in nessun caso portata retroattiva." (così Corte cost., ordinanza n. 24 del 2017, punto 2 del considerato in diritto); ben altro è invece applicare, già durante il periodo di vacatio legis, lo ius novum più favorevole al reo in ipotesi in cui - qual è il caso di specie - non vi sia stata alcuna abolitio criminis, ma soltanto una "successione" (ove tale fenomeno si ritenga davvero instaurabile; ciò che, come detto, non si ritiene comunque possibile) di una legge penale più favorevole al reo rispetto ad altra più deteriore, ma vigente al momento di commissione del fatto-reato.

6.3.3.- Appare dunque dirimente, ai fini che qui rilevano, individuare gli effetti dello ius novum intermedio più favorevole intervenuto nel periodo di vacatio legis, avendosi cura di distinguere l'ipotesi in cui tale ius novum consista in una abolitio criminis, cum o sine abrogatione, da tutte le altre.

Nel primo caso, infatti, viene in gioco un principio supremo dell'ordinamento, qual è quello espresso dall'articolo 25 della Costituzione, al cui confronto potrebbe anche ammettersi, in ipotesi, la cedevolezza dei principi di certezza del diritto e di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, di cui è espressione il termine di vacatio legis, procedendosi ad opera del giudice penale all'immediata applicazione in favor della norma non ancora in vigore e così pervenendosi alla definizione del giudizio con una pronuncia assolutoria, da adottare a mezzo formula "perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato".

Nel secondo caso, di contro, a venire in gioco è invece un principio bilanciabile, come tale privo di quella rafforzata tutela propria del solo principio di irretroattività delle leggi penali più sfavorevoli, e di cui il giudice penale non può quindi operare una diretta e immediata applicazione, in ragione del potenziale conflitto con altri principi, quali quelli della certezza del diritto e dell'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, "d'indubbio interesse generale e di rilievo costituzionale" (così Corte cost., sentenza n. 15 del 2012, punti 3.2. e 3.3. del considerato in diritto); principi che potrebbero, in concreto, risultare prevalenti rispetto al principio di retroattività della lex mitior, con l'effetto di dovere necessariamente investire della relativa questione il Giudice costituzionale.

6.3.4.- Siffatta ricostruzione, da ultimo, non si pone in contrasto neppure con la successiva pronuncia n. 39977/2019 della Suprema Corte, che concerne infatti un'ipotesi di abolitio sine abragatione, riferita ai nuovi limiti scriminanti di cui agli articoli 52 e 55 del codice penale, introdotti dall'articolo 1 della L. 26 aprile 2019, n. 36.

7. Sulla questione di costituzionalità in sintesi.

7.1.- Alla luce delle ragioni sopra elucidate, che giustificano la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui proposta, deve pertanto disporsi la sospensione del presente giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, affinché si pronunci sulla legittimità costituzionale dell'articolo 6 del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, per contrasto con gli articoli 73, terzo comma, e 77, secondo comma, nonché con il coordinato disposto degli articoli 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione sia all'articolo 7, primo paragrafo, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848, sia all'articolo 15, primo comma, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 23 marzo 1976, ratificato e reso esecutivo con L. 25 ottobre 1977, n. 881.

7.2.- Si tratta di una questione articolata su piani e livelli distinti, ma tuttavia legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità logica.

7.3.- La norma che si ricava dal denunciato articolo, infatti, in via preliminare contrasta con la previsione dell'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, per essere stato adottato il D.L. 31 ottobre 2022, n. 162 in palese difetto dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza che legittimano ed abilitano il Governo ad esercitare funzioni legislative, desunto e ricavato dall'assenza di un'unitaria finalizzazione delle eterogenee norme in esso raccolte e, quindi, di una complessiva ratio giustificativa del medesimo.

7.4.- Segue poi, in ordine logico, il menzionato contrasto con l'articolo 73, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui, prevedendosi un (nuovo) termine di entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, si interferisce su una disciplina di rango costituzionale qual è quella relativa alla formazione delle leggi e degli atti ad esse equiparati, costituita in particolare dalla fase cd. integrativa dell'efficacia di tali atti, benché la norma interferente sia concretamente inidonea ad operare valide deroghe a disposizioni della Costituzione, essendo contenuta in un atto avente rango e valore di legge.

7.5.- Da ultimo, l'articolo 6 del D.L. n. 162 del 2022 contrasta, altresì, con il coordinato disposto degli articoli 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione sia all'articolo 7, primo paragrafo, CEDU, sia all'articolo 15, primo comma, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, nella parte in cui, stabilendo un (nuovo) termine di vacatio legis al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, impedisce di applicare, a decorrere dal 1 novembre 2022, le modifiche mitigatrici disposte all'art. 2, primo comma, lettere e) ed n) del citato d.lgs., precludendo così il riconoscimento di già maturate fattispecie estintive della punibilità, in evidente assenza di sufficienti ragioni che possano giustificare il diverso e più deteriore trattamento penale che consegue alla vigenza della censurata disposizione.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI SIENA

Visti gli artt. 134 Cost., nonché 1 L.Cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 L. 11 marzo 1953, n. 87,

DICHIARA

rilevante e non manifestamente infondata, nei termini di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 6 del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162 (Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali), in riferimento agli articoli 73, terzo comma, e 77, secondo comma, nonché al coordinato disposto degli articoli 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'articolo 7, primo paragrafo, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848, e all'articolo 15, primo comma, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 23 marzo 1976, ratificato e reso esecutivo con L. 25 ottobre 1977, n. 881.

SOSPENDE

il presente giudizio sino alla decisione sulla proposta questione di legittimità costituzionale.

ORDINA

l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale della presente ordinanza, insieme con gli atti del giudizio e con la prova delle notificazioni e comunicazioni di seguito disposte.

DISPONE

che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata all'imputato e alla Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché comunicata alle Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Conclusione

Così deciso in Siena, all'udienza pubblica del giorno 11 novembre 2022.

Depositata in Cancelleria il 11 novembre 2022.