Giu La "pubblica fede" e il principio dell'affidamento nell'aggravante dell'esposizione alla pubblica fede
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 11 maggio 2023 N. 20025
Massima
Il collegio ritiene di condividere, in tema di sussistenza della circostanza aggravante dell'esposizione alla pubblica fede, l'interpretazione tradizionale, secondo la quale il fondamento giuridico della più profonda tutela delle cose "esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede" è rappresentato proprio dall'allentamento della custodia da parte del proprietario, che, in determinate situazioni, è obbligato o quantomeno facoltizzato a "sostituire" l'apprestamento di presidi individuali con il diritto di confidare nel senso di rispetto da parte degli altri consociati.

La "pubblica fede", nell'evocare il principio dell'affidamento posto nei terzi a che sia rispettato il diritto di proprietà o il possesso di un bene, rappresenta esplicazione del più generale principio di buona fede e di correttezza nei rapporti giuridici tra privati e non è tanto rivolto a vincolare chi ne sia titolare ad una sempre più scrupolosa attivazione di meccanismi di vigilanza sulla cosa o di "assicurazione" della cosa, quanto - piuttosto - ad imporre agli altri il dovere di non profittare indebitamente di una più agevole possibilità di sottrazione, determinata proprio da un'assenza di custodia generalmente giustificata dal contesto.

Ed è sulla base di tale ratio, incentrata su quel "senso del rispetto da parte di terzi" e sul "senso di affidamento verso la proprietà altrui" (su quest'ultimo punto, cfr. Cass. Sez. 4, n. 12196 del 11/01/2017, Cuomo, Rv.269393), che si ritiene di convenire con l'opzione della Corte territoriale, la quale, nell'applicare ai due furti "in sequenza" l'aggravante di cui all'art. 625, comma 1, n. 7, c.p., si è evidentemente riferita a una nozione di consuetudine rilevante per il caso di specie - corrispondente "alla pratica di fatto, rientrante negli usi e nelle abitudini sociali di un determinato luogo, di lasciare incustodite certe cose in determinate circostanze" (Sez. 2, n. 12014 del 21/04/1976, Rv. 134784 - 01; recentemente, sez. 5, n. 37288 del 07/072022, Tripodo, non massimata); e con tale scenario sono pienamente compatibili la collocazione ai margini del campo di calcio dello zaino, contenente gli effetti personali necessari, tra cui il telefono cellulare, prima di giocare con gli amici, e la sistemazione temporanea della bicicletta, usata per recarvisi, fuori dal perimetro dell'area sportiva.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 11 maggio 2023 N. 20025

La sentenza impugnata è della Corte d'appello di Perugia del 14 marzo 2022, che - in riforma della sentenza assolutoria del tribunale monocratico di Terni e sull'appello del Procuratore Generale della Repubblica - ha condannato A.A. alla pena di anni uno, mesi sei di reclusione ed Euro 200 di multa per due episodi di furto aggravato, ritenuta la continuazione ed applicato l'aumento per la recidiva specifica, reiterata, infraquinquennale a lui contestata.

Avverso detta sentenza ha promosso ricorso per cassazione il A.A., che ha articolato sette motivi di ricorso, qui enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..

1. Il primo motivo si duole dell'inosservanza della legge penale, dell'inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità e del vizio di motivazione per violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza, a causa della "indicazione" di una circostanza aggravante diversa - e ritenuta contestata in fatto - rispetto a quella formalmente contestata di cui all'art. 625, comma 1, n. 2, c.p.; la Corte d'appello avrebbe condannato il A.A. per furto aggravato dall'esposizione della cosa alla pubblica fede, circostanza non espressamente contestata e, dunque, in violazione del diritto di difesa del ricorrente.

2. Il secondo motivo lamenta inosservanza della legge penale e vizio di motivazione, per mancata derubricazione della condotta contestata nei due capi d'imputazione come furto tentato anzichè consumato, in quanto la persona offesa, B.B., non avrebbe mai perso la disponibilità di fatto del proprio telefono cellulare e della bicicletta, immediatamente recuperati.

3. Il terzo motivo lamenta violazione di legge penale e vizio di motivazione per l'insussistenza della circostanza aggravante dell'esposizione alla pubblica fede, in quanto la persona offesa avrebbe abbandonato i beni - telefono cellulare in uno zaino a bordo campo prima di giocare a calcio e bicicletta, appoggiata ad un muro, immediatamente fuori dal campo - in assenza di minimali presidi di sicurezza e comunque li avrebbe lasciati alla mercè di terzi al di fuori di ogni consuetudine di vita.

4. Il quarto motivo lamenta vizi motivazionali e violazione di legge, rilevando che sarebbe sufficiente la prova dell'attribuibilità dei fatti all'imputato, ritenuto responsabile dei reati sulla scorta di un riconoscimento fallace, tramite la consultazione dei socia/ network.

5. Il quinto motivo invoca, in relazione alla violazione di legge e al vizio di motivazione, la mancata applicazione della condizione di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p..

6. Il sesto motivo si duole, sempre in relazione ai medesimi vizi, del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, che avrebbero potuto essere concesse per la non grave connotazione dei reati e per il buon comportamento, anche processuale, del A.A..

7. L'ultimo motivo - rimarcando il vizio di violazione di legge e quello di motivazione - si concentra sul mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

In ultimo, in calce ai motivi di ricorso, la difesa del ricorrente ha dichiarato di reiterare "la eccezione di tardività ed inammissibilità dell'appello proposto dalla Procura Generale presso la Corte d'appello di Perugia, con ogni conseguenza".

8. Il procedimento è stato trattato in forma cartolare, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, e dell'art. 16, comma 1, D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15. Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Dott.ssa Kate Tassone ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto, in relazione ai motivi di ricorso nn. 1, 2, 3 e 7, annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

9. Il difensore dell'imputato ha fatto pervenire una memoria difensiva con cui ha insistito per l'accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

1. Il motivo di impugnazione, posposto alla struttura espositiva dei singoli motivi di censura relativo ad una presunta tardività e dunque inammissibilità del gravame promosso dal Procuratore generale avverso la sentenza di primo grado - presta il fianco, in primo luogo, ad un evidente difetto di specificità, in quanto limitato al richiamo lapidario dell'identica eccezione sollevata nel giudizio d'appello, disattesa dalla Corte territoriale.

L'appello proposto dal Procuratore Generale è comunque ammissibile e tempestivo, in quanto presentato il 31 luglio 2018 - tale è la data di spedizione della raccomandata, contenente l'atto di gravame, trasmessa al Tribunale di Terni, nel rispetto dell'art. 583, comma 2, c.p.p. all'epoca vigente - ovvero entro i quindici giorni previsti dalla legge, decorrenti dalla data di comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza di primo grado - depositata dal giudice in udienza, con motivi contestuali - al Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Perugia, avvenuta il 16 luglio 2018, mediante posta elettronica certificata (art. 585, comma 1, lett. a) e comma 2, lett. d), c.p.p.).

La questione è dunque anche manifestamente infondata.

2. Il primo motivo di ricorso è generico e manifestamente infondato.

L'aggravante dell'esposizione alla pubblica fede è stata contestata espressamente e chiaramente nei due capi d'imputazione ("con aggravante del fatto commesso su cose esposte per necessità e consuetudine a pubblica fede"), formalizzati sin dal processo di primo grado a carico dell'imputato.

Tanto esclude qualsiasi equivoco derivante dal formale richiamo che, invece, ha svolto la contestazione all'art. 625, comma 1, n. 2, c.p., trattandosi di un mero errore materiale nell'indicazione dell'articolo di legge.

E' giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione che "in tema di contestazione dell'accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all'indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia descritto in modo puntuale, la mancata o erronea individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa" (v., di recente, Sez. 1, n. 30141 del 5/4/2019, Poltrone, Rv. 276602).

Sicchè - avuto riguardo al tenore testuale dell'imputazione - deve anche ritenersi che sia stato puntualmente rispettato il canone della "prevedibilità" della contestazione, tratto dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo sin dal caso Drassich contro Italia del 11 dicembre 2007, nel senso che la decisione non venga adottata "a sorpresa", senza consentire alla difesa dell'imputato di interloquire sulla questione, perchè non altrimenti conosciuta nè prevedibile, nonchè di esercitare eventualmente, a riguardo, i diritti difensivi derivanti dal profilo di novità così introdotto (tra le molte, Sez. U n. 31617 del 26/06/15, Lucci, Rv. 264438; Sez. 6, n. 422 del 19/11/2019, Petittoni Charly, Rv. 278093; Sez. 2, n. 15585 del 23/02/2021, Casamonica, Rv. 28118;).

Nè il ricorrente ha specificamente indicato, sul punto, quali facoltà difensive egli non avrebbe potuto legittimamente esercitare nel corso del processo.

3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.

In tema di furto, ai fini dell'impossessamento e della sottrazione è sufficiente che la cosa sottratta sia passata - anche per breve tempo e nello stesso luogo in cui la sottrazione si è verificata - sotto il dominio esclusivo dell'agente (Sez. 2 n. 9446 del 1/6/1989, Secchi, Rv. 184768; più di recente, Sez. 5 n. 36022 del 14/07/2022, Borisov, Rv. 283649 - 0).

A.A. si è impadronito - prima - del telefono cellulare, che ha custodito per un certo tratto sulla persona e quando si era già allontanato dal luogo dell'asportazione, estraendolo dalla tasca solo dopo essere stato scoperto dalla vittima, che lo ha indotto a restituirlo; e dopo - ha asportato, dandosi con essa alla fuga, la bicicletta della persona offesa.

In entrambi i casi egli ha fuor di dubbio acquisito piena signoria sulle cose sottratte, il cui successivo recupero non ha influito sull'avvenuta consumazione dei furti.

4. Il terzo motivo è infondato.

Va premesso che nel fascicolo processuale vi è denuncia-querela presentata dal genitore del minore cui i beni erano stati sottratti, a sua volta presente alla redazione dell'atto.

Il collegio ritiene di condividere, in tema di sussistenza della circostanza aggravante dell'esposizione alla pubblica fede, l'interpretazione tradizionale, secondo la quale il fondamento giuridico della più profonda tutela delle cose "esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede" è rappresentato proprio dall'allentamento della custodia da parte del proprietario, che, in determinate situazioni, è obbligato o quantomeno facoltizzato a "sostituire" l'apprestamento di presidi individuali con il diritto di confidare nel senso di rispetto da parte degli altri consociati.

La "pubblica fede", nell'evocare il principio dell'affidamento posto nei terzi a che sia rispettato il diritto di proprietà o il possesso di un bene, rappresenta esplicazione del più generale principio di buona fede e di correttezza nei rapporti giuridici tra privati e non è tanto rivolto a vincolare chi ne sia titolare ad una sempre più scrupolosa attivazione di meccanismi di vigilanza sulla cosa o di "assicurazione" della cosa, quanto - piuttosto - ad imporre agli altri il dovere di non profittare indebitamente di una più agevole possibilità di sottrazione, determinata proprio da un'assenza di custodia generalmente giustificata dal contesto.

Ed è sulla base di tale ratio, incentrata su quel "senso del rispetto da parte di terzi" e sul "senso di affidamento verso la proprietà altrui" (su quest'ultimo punto, cfr. Cass. Sez. 4, n. 12196 del 11/01/2017, Cuomo, Rv.269393), che si ritiene di convenire con l'opzione della Corte territoriale, la quale, nell'applicare ai due furti "in sequenza" l'aggravante di cui all'art. 625, comma 1, n. 7, c.p., si è evidentemente riferita a una nozione di consuetudine rilevante per il caso di specie - corrispondente "alla pratica di fatto, rientrante negli usi e nelle abitudini sociali di un determinato luogo, di lasciare incustodite certe cose in determinate circostanze" (Sez. 2, n. 12014 del 21/04/1976, Rv. 134784 - 01; recentemente, sez. 5, n. 37288 del 07/072022, Tripodo, non massimata); e con tale scenario sono pienamente compatibili la collocazione ai margini del campo di calcio dello zaino, contenente gli effetti personali necessari, tra cui il telefono cellulare, prima di giocare con gli amici, e la sistemazione temporanea della bicicletta, usata per recarvisi, fuori dal perimetro dell'area sportiva.

5. Il quarto motivo è generico e comunque manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha esplicitato, con motivazione lineare e immune da censure, le ragioni che consentono, oltre ogni ragionevole dubbio, di attribuire all'imputato la responsabilità dei reati commessi.

La persona offesa ha visto bene, in viso, a breve distanza e per un tempo apprezzabile, l'autore del furto, di cui - in un secondo tempo, tramite confidenze di conoscenti - ha appreso il probabile cognome, "A.A.", soggetto del resto noto nella collettività del luogo perchè aduso a commettere reati contro il patrimonio; navigando sul web, ne ha tratto il profilo "social" e lo ha riconosciuto senza esitazioni.

Solo congetturali ed esplorativi appaiono i rilievi, formulati nel ricorso, in ordine ad un eventuale "furto d'identità" che l'imputato potrebbe aver subito nella esposizione del profilo Facebook; nè rileva che gli amici della persona offesa, che avrebbero informato quest'ultima delle probabili generalità del responsabile dei furti, non siano stati sentiti nel corso del processo, perchè, per un verso, sarebbe stato onere della parte, trattandosi di testimoni di riferimento, richiederne la citazione, senza che la loro mancata audizione possa influire sull'utilizzabilità delle dichiarazioni del teste de relato (per tutte, Sez. 6, n. 12982 del 20/2/2020, L., Rv. 279259) e perchè, per altro verso, la loro testimonianza è superflua in quanto deve ritenersi superata dal riconoscimento fotografico effettuato, in termini di certezza, dalla persona offesa.

6. Il quinto motivo di ricorso è dedotto in modo del tutto generico e si palesa comunque manifestamente infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte "ai fini dell'applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis c.p., il giudizio sulla tenuità dell'offesa dev'essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all'art. 133, comma 1, c.p., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti" (sez. 6, n. 55107 del 8/11/18, Milone, Rv. 274647; Sez. 7, n. 10481 del 2022, Deplano, Rv. 283044).

Ebbene, il fatto è stato razionalmente ritenuto dalla Corte territoriale come di discreta gravità, perchè sono stati perpetrati due furti in rapida successione, l'imputato si è dato alla fuga dopo essersi sottratto alla vittima, non senza intimidirla con il lancio di uno zaino contro un ostacolo fisso; A.A., inoltre, è persona pregiudicata anche per delitto specifico.

7. Il sesto motivo di ricorso, che contesta la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato in presenza (si vedano pag. 7 e 8 della sentenza impugnata) di una motivazione esente da evidenti illogicità, anche considerato il principio affermato da questa Corte, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).

8. Il settimo motivo è manifestamente infondato, in quanto, in di Spa rte la stessa genericità della richiesta rivolta alla Corte territoriale, la pronuncia di diniego del beneficio previsto dall'art. 175 c.p. è argomentata implicitamente attraverso la motivazione con cui il giudice ritiene di dover applicare la recidiva contestata all'imputato, dal momento che il legislatore fa dipendere la concessione della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale dalla valutazione degli elementi indicati dall'art. 133 c.p. (Sez. 3, n. 19648 del 27/02/2019, Pescoller Andreas, Rv. 275748; sez. 2, n. 11992 del 18/02/2020, Nether, Rv. 278572).

9. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 17 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2023