Giu reato di detenzione per la vendita di prodotti alimentari "invasi da parassiti"
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 18 maggio 2023 N. 21182
Massima
Ai fini della configurabilità del reato di detenzione per la vendita di prodotti alimentari "invasi da parassiti", di cui all'art. 5, comma 1, lett. d), L. 30 aprile 1962, n. 283, è necessario che risulti accertato, alla stregua di tutti gli elementi fattuali e di criteri non arbitrari, che i parassiti abbiano occupato in gran numero o riempito una sostanza alimentare, ma, la questione avente ad oggetto l'ampiezza della contaminazione costituisce questione di mero fatto non suscettibile di formare oggetto di ricorso per cassazione. La tematica in esame è fortemente condizionata dalla evidenza della presenza dei parassiti, dovendo essere tanto più rigoroso il giudizio sulla ricorrenza dell'essere la sostanza alimentare "invasa dai parassiti", quanto più questi elementi appaiono evidenti anche ad un primo esame visivo del prodotto. Il concetto di "invasione" non va inteso, in una sorta di concezione antropomorfica della fattispecie indotta dalla suggestione semantica del termine usato dal legislatore, come ampia diffusione dei parassiti sul prodotto, quasi che il termine evochi una specie di diffusa "occupazione territoriale" di esso da parte di tali elementi estranei, stando, invece, lo stesso a significare che il prodotto alimentare deve mostrare la presenza corpi estranei, provenienti dall'esterno di esso, appartenenti al mondo animale (per lo più insetti) o vegetale che, attraverso la loro intrusione all'interno del prodotto, dimostrino la mancanza del requisito della sicura e salubre perdurante destinazione del prodotto all'uso alimentare. È, pertanto, evidente che anche la presenza di uno solo di tali corpi estranei, se abbia la efficacia dimostrativa di cui sopra - ed è certo che la presenza di una blatta in un prodotto alimentare pronto per il consumo immediato sia espressiva di tale inidoneità - sia fattore idoneo ad integrare il concetto di "invasione" necessario ai fini della ricorrenza del reato.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 18 maggio 2023 N. 21182

Il ricorso è fondato nei limiti e con gli effetti di cui infra si dirà.

Ritiene il Collegio di dovere esaminare prioritariamente il secondo motivo di ricorso, posto che lo stesso, attenendo alla tenuta motivazionale della ricostruzione materiale dei fatti, ove accolto, sarebbe assorbente dei restanti motivi di ricorso; con esso è stata, infatti, lamentata, sotto il profilo del vizio di motivazione, la legittimità della sentenza nella parte in cui in essa è stato dato pieno credito alla versione dei fatti riferita dal soggetto costituitosi parte civile, essendo questo l'elemento principale di accusa sul quale si fonda l'ipotesi criminosa confermata in sede di giudizio.

Quello ha, infatti, riferito che, dopo avere acquistato presso la gelateria gestita dal prevenuto un cono gelato ed essendosi recato, come è abituale costume, al di fuori del locale in questione per consumarlo, si avvedeva, una volta mangiata la parte esterna rispetto alla cialda, che, all'interno di quest'ultima era presente una blatta (cioè l'insetto che viene abitualmente denominato "scarafaggio").

Questo è il racconto riportato in sentenza come fatto dalla persona offesa.

In ordine ad esso, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il sindacato esperibile in sede di legittimità è piuttosto ristretto in quanto, attenendo la valutazione in ordine alla attendibilità delle testimonianza ad un complessivo giudizio di merito, esso è suscettibile di essere verificato di fronte al questa Corte nei limitati casi della manifesta contraddittorietà della motivazione ovvero della sua natura meramente congetturale, cioè laddove la stessa consista in ipotesi non fondate sull'id quod pierumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche laddove ancorata ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 16 marzo 2020, n. 10153), il che vale anche nel caso in cui il teste si sia costituito parte civile nel giudizio penale, evento che, lungi dal modificare la valenza probatoria delle sue dichiarazioni, suggerisce solamente al giudicante di merito un più intenso vaglio della attendibilità del propalante ma non rende solo per questo sospette le dichiarazioni da questo rese (Corte di cassazione Sezione V penale, 24 aprile 2020, n. 12920).

Nel caso in esame il ricorrente ha inefficacemente dedotto la manifesta illogicità della motivazione sostenendo che il Tribunale non avrebbe considerato "le palesi discrasie tra quanto riferito dal sig. B.B. (cioè la parte civile ndr) in dibattimento e quanto dallo stesso dichiarato ai medici del Pronto soccorso".

In tale sede, infatti, riferisce il ricorrente, il B.B. avrebbe parlato della "ingestione di blatte nel gelato", mentre in dibattimento ha riferito che egli, prima di completare la ingestione del prodotto alimentare avrebbe visto uscire, dalla parte finale del gelato all'interno del vertice del cono di cialda, due "antenne", appartenenti all'insetto in questione.

Il rilievo formulato dal ricorrente è privo dii significato, sol che si rifletta sulla circostanza che le prime dichiarazioni sono evidentemente il frutto della percezione da parte dei redattori dell'atto del racconto fatto ai medici del Pronto soccorso dalla parte civile, la cui sintesi, certamente non ascrivibile al B.B., ben può essere affetta da talune imprecisioni ricostruttive; è, d'altra parte, manifestamente illogico ritenere che il soggetto abbia dichiarato di avere ingerito delle blatte che erano nel gelato, posto che gli insetti in questione presentano, in natura, una evidenza macroscopica che, laddove non ci sia una diretta volontà in tal senso, portano ad escludere che la loro ingestione, addirittura in forma plurale, possa essere il frutto di un evento non voluto.

L'espressione contenuta nell'atto redatto presso il Pronto soccorso - non attribuibile, comunque, al B.B. nel suo puntuale contenuto in quanto si tratta di atto non da lui redatto nè di verbale fidefacente rappresentativo di sue dichiarazioni, ma semplicemente di una relazione medica posta a giustificazione della sintomatologia da quello denunziata di fronte al medici del Pronto soccorso - non è tale da porre in discussione la valutazione sulla attendibilità di quanto riportato, con dovizia di particolari, in dibattimento dalla parte civile.

Quanto alla censura riferita alle modalità attraverso le quali l'insetto si sia introdotto all'interno del cono gelato consumato dal B.B., la natura smaccatamente fattuale dell'argomento esime da ogni ulteriore esame da parte di questo Collegio di legittimità, ove si eccettui il rilievo che, essendo stato riferito dalla parte civile che l'insetto si trovava al di sotto della crema gelata che occupava integralmente, come è d'uso, la base del cono, di fatto sigillandola rispetto all'ambiente esterno, non si capisce come esso possa essere entrato nel prodotto alimentare, come parrebbe ventilare la ricorrente difesa, dopo che questo era già stato confezionato.

Parimenti irrilevante è che, ad un controllo eseguito in un tempo successivo al fatto, le condizioni igieniche del locale gestito dal A.A. siano risultate corrette, essendo evidente che non è della condizione generale, peraltro postuma, dell'esercizio commerciale che si è discusso di fronte al Tribunale di Lecce, ma del singolo precedente episodio occorso.

Venendo a questo punto ad esaminare il primo dei motivi di impugnazione si rileva che, ai fini della integrazione del reato in contestazione non è necessaria, come apparirebbe sostenere la ricorrente difesa, una imponente presenza di parassiti all'interno del prodotto alimentare contaminato, essendo sufficiente che lo stesso, tanto più ove gli elementi estranei, indicativi di scarsa igiene, abbiano una loro consistenza materiale così evidente da non potere passare inosservata, palesi la effettiva presenza di tali elementi.

Ora, è ben vero che in un assai recente passato questa Corte ha ritenuto che ai fini della configurabilità del reato di detenzione per la vendita di prodotti alimentari "invasi da parassiti", di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, comma 1, lett. d), si è detto che è necessario che risulti accertato, alla stregua di tutti gli elementi fattuali e di criteri non arbitrari, che i parassiti abbiano occupato in gran numero o riempito una sostanza alimentare (Corte di cassazione; Sezione III penale, 12 gennaio 2022, n. 499), ma, oltre a rilevarsi che nella medesima occasione questa Corte ebbe anche ad affermare che la questione avente ad oggetto l'ampiezza della contaminazione costituisce questione di mero fatto non suscettibile di formare oggetto di ricorso per cassazione; deve, altresì, considerarsi che la tematica in esame è fortemente condizionata dalla evidenza della presenza dei parassiti, dovendo essere tanto più rigoroso il giudizio sulla ricorrenza dell'essere la sostanza alimentare "invasa dai parassiti", quanto più questi elementi appaiono evidenti anche ad un primo esame visivo del prodotto.

Si vuole rappresentare che il concetto di ‘Invasione" non va inteso, in una sorta di concezione antropomorfica della fattispecie indotta dalla suggestione semantica del termine usato dal legislatore, come ampia diffusione dei parassiti sul prodotto, quasi che il termine evochi una specie di diffusa "occupazione territoriale" di esso da parte di tali elementi estranei, stando, invece, lo stesso a significare che il prodotto alimentare deve mostrare la presenza corpi estranei, provenienti dall'esterno di esso, appartenenti al modo animale (per lo più insetti) o vegetale che, attraverso la loro intrusione all'interno del prodotto, dimostrino la mancanza del requisito della sicura e salubre perdurante destinazione del prodotto all'uso alimentare.

E', pertanto, evidente che anche la presenza di uno solo di tali corpi estranei, se abbia la efficacia dimostrativa di cui sopra - ed è certo che la presenza di una blatta in un prodotto alimentare pronto per il consumo immediato sia espressiva di tale inidoneità - sia fattore idoneo ad integrare il concetto di "invasione" necessario ai fini della ricorrenza del reato.

Rileva, tuttavia, il Collegio che il fatto contestato, integrante una fattispecie di reato contravvenzionale, è stato commesso in data 12 settembre 2017; in relazione ad esso è, pertanto, ad oggi maturata, a decorrere dal 12 settembre 2022, in assenza di fattori sospensivi della stessa, la prescrizione, tale da condurre alla estinzione del reato stesso.

La circostanza che il ricorso oggi esaminato non sia inammissibile, ma, quanto all'aspetto ora esaminato, solamente infondato, avendo comunque ciò determinato la costituzione del rapporto processuale, impone a questa Corte, una volta riscontrata la intervenuta estinzione del reato contestato, di annullare senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento al profilo penale della stessa.

Non rimane che da esaminare, stante la previsione di cui all'art. 578 c.p.p., la eventuale fondatezza del ricorso con riferimento all'aspetto risarcitorio civile.

Sul punto, tenuto conto della impugnazione formulata dal ricorrente, si osserva che il Tribunale, pur non avendo proceduto alla sola condanna generica al risarcimento del danno, ha provveduto in termini apodittici alla quantificazione del danno patito dal ricorrente, richiamando genericamente una sua quantificazione eseguita "equitativamente", senza in alcun modo indicare quale sia stato il percorso logico che ha condotto alla quantificazione operata (Corte di cassazione, Sezione IV penale,, 22 ottobre 2018, n. 48066), ma neppure ha verificato, al di là del danno contrattuale derivante dall'avvenuto acquisto da parte del B.B. di un prodotto alimentare contaminato, l'esistenza di indici rivelatori dell'ammontare di un ulteriore danno, non potendo esso, data anche la modestia della vicenda penale occorsa, essere ritenuto rilevante sulla base del mero sussistere del fatto di reato (in relazione alla legittimità della mera condanna generica nelle ipotesi in cui che le prove acquisite non consentano la liquidazione del danno con conseguenti effetti sull'onere di allegazione e prova spettante alla parte civile, cfr.: Corte di cassazione, Sezione IV penale, 10 febbraio 2017, n. 6380).

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata anche in relazione alla condanna del A.A. al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, questa volta con rinvio al giudice civile competente in grado di appello, il quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese relative al profilo civilistico del giudizio in relazione alla presente fase di legittimità.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, perchè il reato è estinto per prescrizione.

Annulla, altresì, la sentenza impugnata agli effetti civili e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda anche la regolamentazione delle spese fra le parti.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2023