Giu Cariche elettive e commissioni di reati contro la P.A.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - SENTENZA 09 agosto 2022 N. 7061
Massima
La permanenza in carica di chi sia stato condannato anche in via non definitiva per determinati reati che offendono la pubblica amministrazione può comunque incidere sugli interessi costituzionali protetti dall’art. 97, secondo comma, Cost., che affida al legislatore il compito di organizzare i pubblici uffici in modo che siano garantiti il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, e dall’art. 54, secondo comma, Cost., che impone ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche ‘il dovere di adempierle con disciplina ed onore

Testo della sentenza
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - SENTENZA 09 agosto 2022 N. 7061

Pubblicato il 09/08/2022

N. 07061/2022REG.PROV.COLL.

N. 09846/2020 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9846 del 2020, proposto da
Comune di Tartano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alessandro Dal Molin, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, al viale Bruno Buozzi, n. 49;

contro

-OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato Antonio Mastri, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;

nei confronti

Ministero dell'Interno, Prefettura di Sondrio, non costituiti in giudizio;
-OMISSIS-, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Milano, sez. I, n.-OMISSIS-, resa tra le parti

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2021 il Cons. Giovanni Grasso e preso atto della richiesta di passaggio in decisione, senza discussione, presentata dall'avv. Mastri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

1.- In data -OMISSIS- si svolgevano le operazioni di votazione per l’elezione diretta del Sindaco e del Consiglio comunale di Tartano per il quinquennio -OMISSIS-, alle quali partecipavano le due liste “-OMISSIS-” (con candidato sindaco il sig. -OMISSIS-) e “-OMISSIS-” (con candidato sindaco il sig. -OMISSIS-).

Il Sindaco uscente -OMISSIS- era stato condannato per il reato di cui all’articolo 314 c.p. con sentenza non definitiva n. -OMISSIS-del 26 febbraio 2019, pervenuta via pec il -OMISSIS- alla Prefettura di Sondrio. Per tal via, successivamente al deposito della sentenza, con nota prot. n. -OMISSIS- del 12 marzo 2019, la locale Prefettura formulava richiesta di parere al Ministero dell’Interno in relazione alla possibilità per il ridetto -OMISSIS-di ricandidarsi alle elezioni comunali, in quanto sospeso ex lege dalla carica di Sindaco conseguente alla richiamata sentenza di condanna.

Nelle more, con decreto prot. n. -OMISSIS-del 18 aprile 2019, acquisito al protocollo del Comune il 19 aprile successivo al prot. n. -OMISSIS-, la Prefettura dichiarava la sussistenza della causa di sospensione del -OMISSIS-dalla carica di Sindaco, ai sensi dell’art. 11, comma 5, d. lgs. n. 235/2012 (c.d. legge Severino), disponendo contestualmente l’invio della nota stessa al Segretario Comunale per la notifica ai componenti del Consiglio Comunale.

All’esito del ridetto parere ministeriale (reso nei sensi che la condanna non definitiva non fosse, per sé, ostativa alla candidatura, essendo semmai destinata a sortire effetti con esclusivo riguardo alla eventualità di esito vittorioso della nuova competizione elettorale), il -OMISSIS-decideva di ricandidarsi alle elezioni comunali in qualità di Sindaco.

La sua lista otteneva n. -OMISSIS- voti e n. 7 seggi in Consiglio, mentre la lista del candidato -OMISSIS- otteneva n. 50 voti e n. 3 seggi, assegnati ai signori -OMISSIS-, -OMISSIS-. Per l’effetto, in data -OMISSIS-, il -OMISSIS-veniva proclamato Sindaco del Comune di Tartano.

All’esito della relativa proclamazione, in pari data, il Sindaco neoeletto nominava quali assessori della nuova Giunta Comunale -OMISSIS-, designando quest’ultimo quale Vicesindaco.

Solo successivamente alla nomina della Giunta Comunale, nella stessa data ma in orario posteriore, perveniva al Comune il provvedimento prefettizio di sospensione di diritto del -OMISSIS-dalla carica di Sindaco, ai sensi del richiamato art. 11, comma 5, del d. Lgs. n. 235/2012, per il periodo residuo, in continuità con il provvedimento di sospensione n. -OMISSIS-.

Il Segretario comunale, con nota prot. n. -OMISSIS-, riferiva allora alla Prefettura di aver informato il Sindaco del provvedimento di sospensione, preannunciando altresì la notifica del provvedimento a tutti i consiglieri comunali, ciò che avveniva con nota prot. n. -OMISSIS- del giorno successivo.

Infine, con deliberazione n. -OMISSIS-, il Consiglio comunale, all’unanimità dei presenti e nella assenza dei consiglieri -OMISSIS- e -OMISSIS-, deliberava la convalida delle elezioni dei candidati eletti, previo accertamento della regolarità delle condizioni di eleggibilità del Sindaco e di tutti i Consiglieri. Gli organi comunali (Consiglio, Giunta e Vicesindaco) assumevano quindi le determinazioni necessarie al fine di non bloccare l’attività amministrativa del Comune.

2.- Con ricorso dinanzi al TAR per la Lombardia, alcuni consiglieri di minoranza, odierni appellati, impugnavano i provvedimenti assunti dal Comune.

Nel rituale contraddittorio delle parti, con sentenza n. -OMISSIS-, il TAR adito accoglieva il ricorso.

Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, ha interposto gravame il Comune di Tartano, assumendo erronea ed ingiusta la decisione, ed auspicandone l’integrale reiezione.

Si sono costituiti in giudizio, in resistenza, -OMISSIS-.

Alla pubblica udienza del 25 novembre 2021 la causa è stata riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello è fondato e va accolto.

2.- Con duplice motivo di censura, che legittima una valutazione unitaria, il Comune appellante si duole che la decisione impugnata – chiamata a pronunziarsi sulla questione se il provvedimento prefettizio di sospensione, adottato ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 235/2012 operasse di diritto, a far data, quindi, già dalla pubblicazione della sentenza di condanna pronunziata a carico dell’interessato, avesse natura costitutiva, con effetti decorrenti solo dalla sua adozione e comunicazione – abbia, in guisa inopinata ed asseritamente erronea, concluso per la natura dichiarativa, traendone il corollario della illegittimità delle determinazioni interinalmente assunte, a fini della designazione dei componenti della Giunta comunale.

2.1.- La censura è fondata.

2.1.1.- Importa premettere, sul punto, che l’art. 11, commi 1 e 2 del d. lgs. 235/2012 (recante il Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190, c.d. legge Severino) prevede, per quanto di interesse ai fini della presente lite, la sospensione “di diritto” dalle cariche elettive negli enti locali di cui all’art. 10, comma 1 di coloro nei cui confronti: 1) sia stata pronunziata condanna non definitiva “per uno dei delitti indicati all'articolo 10, comma 1, lettere a), b) e c); 2sia stata pronunziata – con sentenza di primo grado, successiva alla elezione o alla nomina e confermata in appello per la stessa imputazione – condanna “ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per un delitto non colposo3) sia stata adottata, con provvedimento non definitivo dell’autorità giudiziaria, “una misura di prevenzione in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all'articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”; 4) sia stata disposta l'applicazione “di una delle misure coercitive di cui agli articoli 284, 285 e 286 del codice di procedura penale nonché di cui all'articolo 283, comma 1, del codice di procedura penale, quando il divieto di dimora riguarda la sede dove si svolge il mandato elettorale”.

Si tratta, come è noto, di misure di carattere lato sensu afflittivo, ma non strettamente sanzionatorio o punitivo (cfr. Corte Cost., n. 236/2015, n. 276/2016 e n. 35 del 2021, nonché Corte EDU, sez. I, 17 giugno 2021, Galan c. Italia, ricorso n. 63772/16) – nella specie operanti in funzione segnatamente cautelare – che prefigurano, nella prospettiva di cui agli artt. 2, 51, 54 e 97 Cost., forme specifiche di indegnità al ricoprimento di cariche elettive e di proporzionata (e temporanea) compressione dei diritti politici, determinate dal peculiare allarme sociale indotto da determinate condotte di rilievo penale.

Lo scopo perseguito dal legislatore è, in sostanza, quello di interdire in via provvisoria l’esercizio di cariche elettive nei confronti chi abbia commesso determinati reati, in attesa della definitività della relativa condanna. La disposizione contempera, bilanciandoli, il diritto di elettorato passivo e il buon andamento dell’amministrazione a fronte di una sentenza non ancora passata in giudicato, posto che “la permanenza in carica di chi sia stato condannato anche in via non definitiva per determinati reati che offendono la pubblica amministrazione può comunque incidere sugli interessi costituzionali protetti dall’art. 97, secondo comma, Cost., che affida al legislatore il compito di organizzare i pubblici uffici in modo che siano garantiti il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, e dall’art. 54, secondo comma, Cost., che impone ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche ‘il dovere di adempierle con disciplina ed onore’” (cfr. Corte cost, n. 236/2015).

Il punto di equilibrio è stato, dunque, ragionevolmente individuato dal legislatore nell’assegnare prevalenza per un periodo temporalmente circoscritto alla salvaguardia della funzione di amministrazione nelle more della definizione giudiziale, comprimendo in tale torno di tempo il diritto di elettorato passivo, che però, alla scadenza, si riespande, divenendo, oltre il suddetto termine, recessive le esigenze pubblicistiche a presidio della misura.

2.1.2.- Ciò posto, sotto il profilo procedimentale, il comma 5 dell’art. 11 cit. prevede che i provvedimenti giudiziari “che comportano la sospensione” siano “comunicati al prefetto” (a cura della cancelleria del tribunale o della segreteria del pubblico ministero), il quale a) “accert[a] la sussistenza di una causa di sospensione” e b) provvede, di conserva, “a notificare il provvedimento agli organi che hanno convalidato l’elezione o deliberato la nomina

Il dato strettamente letterale del riassunto ordito normativo non è sufficiente, di per sé, ad intendere il ruolo, la natura e gli effetti rimessi al provvedimento prefettizio (segnatamente rilevanti, come nella specie, sotto il profilo della relativa decorrenza temporale).

Per un verso, infatti, la previsione che la sospensione operi (e cessi) “di diritto” (cfr. commi 1 e 4), cioè a dire in virtù di un automatico effetto di legge (correlato al mero ed obiettivo verificarsi dei relativi presupposti), indurrebbe a qualificare, come ha fatto il primo giudice, meramente dichiarativa la comunicazione prefettizia, in quanto preordinata ad una funzione essenzialmente notiziale e partecipativa (di “notifica”), non integrativa dell’efficacia.

Si tratterebbe, con ciò, di un mero atto amministrativo, privo di consistenza provvedimentale costitutiva e di autonoma lesività sul piano effettuale (non essendo, per tal via, suscettibile di diretta impugnazione in sede giurisdizionale).

Per altro verso, nondimeno, il riferimento ad uno specifico e circostanziato potere di “accertamento” (che onera il prefetto di una puntuale e concreta verifica dell’effettivo perfezionamento di una fattispecie sospensiva) sollecita l’intendimento di una sua posizione e funzione attiva, con un ruolo di mediazione formale tra i (meri) presupposti legali e la (effettiva) misura sospensiva, in tal caso operante (bensì nei “casi previsti”, ma pur sempre) ex actu.

In tal caso, si tratterebbe di vero e proprio provvedimento amministrativo, conclusivo di un apposito procedimento (cfr. artt. 2 e 3 l. n. 241/1990), avente consistenza decisionale e dotato della ordinaria valenza costitutiva e della relativa efficacia (cfr. artt. 21 bis ss. l. n. 241/1990), appartenente, proprio per la sua natura di riscontro e di qualificazione, in concreto, di un fatto ad effetti legalmente predeterminati, al genus dei c.d. “accertamenti costitutivi”.

2.1.3.- A sostegno della natura dichiarativa sono stati addotti vari argomenti, essendosi in particolare evidenziato:

a) che si tratta, come è pacifico, di determinazione del tutto priva di discrezionalità, in quanto preordinata al “mero accertamento” di circostanze integralmente predefinite, anche relativamente agli effetti, dal paradigma normativo (con il che dovrebbe ritenersi misura priva di connotazione autoritativa e di valenza propriamente provvedimentale, e di rilievo servente e strumentale);

b) che la stessa non è, come tale, idonea ad incidere né sulla durata, né sulla decorrenza della sospensione (in ragione dell’automatismo legale, preclusivo di una potenziale “soluzione di continuità”, affidata alla mediazione di un autonoma fase amministrativa sovrapposta alle determinazioni assunte in sede giurisdizionale penale);

c) che ciò sarebbe, sul piano formale, confermato dal carattere non recettizio del provvedimento prefettizio, per il quale è positivamente prevista la comunicazione alle autorità di cui a comma 5, ma non già la notifica al diretto interessato: il che – ove si trattasse, in tesi, di provvedimenti costitutivamente limitativi di facoltà giuridiche private – sarebbe, per un verso, distonico rispetto alla previsione generale di cui all’art. 21 bis l. n. 241/1990 (legittimando, a fini esegetici, l’attivazione dell’argomento apagogico) e, per altro verso, addirittura potenzialmente incostituzionale (imponendo, per questo profilo, la valorizzazione della direttiva di interpretazione conforme);

d) che, sotto un profilo sistematico, l’opzione alternativa finirebbe per affidare, anziché al dato obiettivo della legge, alla aleatorietà (o, quanto meno, alla tempestività) della iniziativa prefettizia (e, prima ancora, degli atti di impulso rimessi alle cancellerie ed alle segreterie) l’efficacia della misura cautelare, frustrando obiettive esigenze di certezza correlate alla funzione dell’istituto.

2.1.4.- Si tratta, ad avviso del Collegio, di argomenti rilevanti, ma complessivamente non persuasivi (in tal senso, cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. III, 6 luglio 2020, n. 4340; cfr., altresì, Cass., sez. I, n. 16052/2009).

Importa, in diverso senso, osservare:

a) che – sotto il profilo della razionalità della previsione normativa (fondata sulla direttiva ermeneutica secondaria che postula un legislatore non ridondante) – il duplice passaggio procedimentale dell’accertamento di competenza prefettizia e di successiva notificazione per il prosieguo di competenza sarebbe del tutto superfluo (e sarebbe stato allora “sufficiente prevedere la comunicazione da parte della cancelleria direttamente all'organo consiliare”: cfr. Cass., sez. I, n. 16052/2009 cit.);

b) che – sotto il profilo della completezza della previsione normativa (fondata sulla direttiva conservativa di massimizzazione della utilità degli esiti esegetici) – deve intendersi che il prefetto non sia chiamato ad una mera e neutra “presa d’atto” (e al pedissequo e neutro inoltro) dei provvedimenti giurisdizionali, ma sia chiamato (nella prospettiva del relativo e qualificato “accertamento”) alla verifica che la sospensione sia stata concretamente disposta (potendo darsi il caso che il dispositivo di condanna della sentenza non la preveda espressamente) e che la condanna riguardi specificamente uno dei reati per i quali è prevista: si tratta di una serie di attività di vaglio preventivo (appunto di riscontro e qualificazione), in difetto delle quali l’effetto sospensivo potrebbe risultare incerto od esplicarsi in forme virtuali, potenzialmente pregiudizievoli per il corretto funzionamento dell’ente di cui l’organo consiliare o sindacale è espressione (in tal senso, ancora e condivisibilmente, Cass., sez. I, n. 16052/2009);

c) che trova, in tale prospettiva, più adeguata e coerente spiegazione – in base ad una direttiva esegetica di coerenza sistematica – il diverso meccanismo previsto dall’art. 11, comma 4, per l’ipotesi di conferma in appello della sentenza di condanna (nel qual caso si prevede la proroga automatica dell’effetto sospensivo direttamente per effetto della sentenza e senza la mediazione di un nuovo vaglio prefettizio): ipotesi che si legittima alla luce del rilievo che, solo in tal caso, l'organo consiliare è già a conoscenza dello stato di sospensione in cui versa un suo membro e, quindi, ha ragione di attivarsi per conoscere gli sviluppi del procedimento penale e riammettere eventualmente il suddetto membro sospeso.

2.2.- Alla luce delle esposte considerazioni, deve ribadirsi il ruolo di accertamento costitutivo del provvedimento prefettizio, alla cui adozione (e comunicazione) rimontano, in definitiva, gli effetti della sospensione legale. Sicché, in definitiva, il primo motivo di appello è fondato e deve essere accolto

3.- Ne discende a guisa di corollario – avuto riguardo al secondo motivo di gravame, che concerne propriamente la legittimità delle determinazioni assunte dai soggetti interessai nelle more del perfezionamento del relativo procedimento – che parimenti fondate sono le ragioni del Comune appellante.

Invero, contrariamente all’avviso del TAR – che trae fondamento dalla ritenuta natura dichiarativa del provvedimento prefettizio – gli atti in questione sono stati adottati allorché, non essendo stato ancora ricevuto il provvedimento prefettizio, la sospensione dalla carica, legittimamente conseguita, nella incontestata assenza di una causa di incandidabilità, all’esito del procedimento elettorale, non era ancora operante.

4.- Alla luce delle esposte considerazioni, l’appello deve essere complessivamente accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado, proposto dagli odierni appellati, deve essere respinto.

Le peculiarità della fattispecie e le obiettive incertezze del quadro normativo di riferimento giustificano l’integrale compensazione, tra le parti costituite, delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Vista la richiesta dell'Amministrazione interessata e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità delle parti in causa, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2021 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Angela Rotondano, Consigliere

Stefano Fantini, Consigliere

Giovanni Grasso, Consigliere, Estensore

Alberto Urso, Consigliere