che:
1. Con il primo motivo, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti rimproverano alla Corte territoriale di aver violato e/o falsamente applicato gli artt. 110,167,171,476 c.c., art. 346 c.p.c. e art. 111 Cost..
La sentenza d'appello aveva ritenuto passata in giudicato la decisione di prime cure nei confronti di Pe.Gi. e Ma.Fr., perchè non avevano proposto appello, senza considerare che per parte di Ma.Fr. l'atto di appello era stato introdotto da A.L., nella qualità di erede di Ma.Fr., come risultante dal certificato di morte e dallo stato di famiglia, che la sua qualità di erede non era stata contestata, che la esplicazione da parte del chiamato di un'attività incompatibile con la volontà di rinunciare e non rientrante in quella conservativa del patrimonio del de cuius integra gli estremi dell'accettazione tacita.
Il motivo è fondato.
Nel caso di azione proposta da un soggetto che si qualifichi erede in virtù di un determinato rapporto parentale o di coniugio, la produzione del certificato dello stato di famiglia è idonea a dimostrare l'allegata relazione familiare e, dunque, la qualità di soggetto che deve ritenersi chiamato all'eredità, ma non anche la qualità di erede, posto che essa deriva dall'accettazione espressa o tacita, non evincibile dal certificato; tuttavia, tale produzione, unitamente alla allegazione della qualità di erede, costituisce una presunzione iuris tantum dell'intervenuta accettazione tacita dell'eredità, atteso che l'esercizio dell'azione giudiziale da parte di un soggetto che si deve considerare chiamato all'eredità, e che si proclami erede, va considerato come atto espressivo di siffatta accettazione e, quindi, idoneo a considerare dimostrata la qualità di erede (Cass. 26/06/2018, n. 16814).
La statuizione errata relativa al passaggio in giudicato della sentenza di prime cure relativamente a Ma.Fr. va pertanto cassata. La fondatezza della censura esclude il passaggio in giudicato della sentenza di prime cure nei confronti di Ma.Fr..
Peraltro, per le ragioni che si vanno ad esporre con l'esame degli ulteriori motivi, tale conclusione non incide sull'esito complessivo del ricorso per cassazione. A.L. quale erede di Ma.Fr., infatti, propose insieme con gli odierni ricorrenti l'appello che fu rigettato.
La stessa ha proposto ricorso per cassazione - sempre unitamente agli altri odierni ricorrenti - contestando con le censure che si vanno ad esaminare con i motivi secondo e terzo le conclusioni della Corte d'Appello. Tali conclusioni però non sono condivisibili.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 224 del 1995, art. 21 bis, convertito in L. n. 341 del 1995, come successivamente modificata dalla L. n. 148 del 2005, del D.L. n. 75 del 1981, convertito in L. n. 219 del 1981, artt. 112, 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte d'Appello ritenuto che gli alloggi loro assegnati non fossero quelli previsti dalla L. n. 341 del 1995, art. 21 bis, cioè abitazioni mobili e ad elementi componibili da riservare alle famiglie colpite dal sisma, atteso che per detti immobili era prevista l'assegnazione formale e non la locazione ai sensi della L. n. 392 del 1978.
Il motivo è inammissibile.
La censura, benchè introdotta attraverso la deduzione di un error in iudicando, sollecita un diverso accertamento dei fatti che è incompatibile con i caratteri e con i limiti del giudizio di legittimità, perchè la Corte di Cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale, ma esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa.
Va altresì osservato che il vizio di violazione di legge, consistendo in un'erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa, avrebbe richiesto non solo la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche la deduzione di specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina.
3. Con il terzo ed ultimo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 341 del 1995, art. 21 bis, convertito in L. n. 341 del 1995, del D.L. n. 75 del 1981, convertito in L. n. 219 del 1981, artt. 112, 115 e 116 c.p.c., per avere la sentenza impugnata disatteso, perchè generico, il motivo di appello con cui, a confutazione di quanto ritenuto dal giudice di prime cure, avevano dedotto la natura prevalentemente provvisoria ed amovibile degli alloggi di cui erano assegnatari.
Tale motivo presenta caratteristiche analoghe a quelle del motivo precedente, sicchè ad esso si confanno le stesse conclusioni.
Ancor più evidente è, infatti, il tentativo dei ricorrenti di ottenere una rivalutazione di quanto, già oggetto di accertamento del giudice a quo, aveva indotto quest'ultimo a ritenere generiche le censure mosse alla sentenza del Tribunale: genericità che aveva portato all'inammissibilità del motivo di appello in maniera, peraltro, non assertiva, bensì supportata da specifici rilievi mossi agli argomenti confutativi degli appellanti, odierni ricorrenti.
4. In definitiva, il ricorso è rigettato.
5. Non deve provvedersi alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, attesa la tardività del controricorso.
La sentenza è stata, infatti, depositata il 29 maggio 2018; il ricorso risulta notificato il 7 dicembre 2018; il controricorso del Comune di Potenza è stato consegnato all'Ufficiale giudiziario il 26 febbraio 2019, quindi ben oltre il termine di cui all'art. 370 c.p.c..
6. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021