Giu Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato
Corte di Cassazione Civile, Sez 5 - ORDINANZA 06 ottobre 2022 N. 29084
Massima
Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell'autonomia dei periodi d'imposta, in quanto l'indifferenza della fattispecie costitutiva dell'obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d'imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all'applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d'altronde coerente non solo con l'oggetto del giudizio tributario, che attraverso l'impugnazione dell'atto mira all'accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell'accertamento dell'Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell'annullamento dell'atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l'efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale norma agendi cui devono conformarsi tanto l'Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell'individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d'imposta”.

Casus Decisus
RILEVATO CHE A seguito di verifica fiscale eseguita nei confronti della E. T. SPA, per i periodi di imposta dal 2004 al 2008, l’Agenzia delle entrate, recependo i rilievi contenuti nel processo verbale di constatazione, emetteva nei confronti della E. T. SPA, in relazione all’anno di imposta 2005, vari atti impositivi, tutti notificati nel 2010, e in particolare, per quello che qui rileva in quanto oggetto di giudizio, l’avviso n.TJB030800258 diretto alla Società in qualità di consolidata, con cui veniva negata la deduzione di costi relativi a due operazioni che rientravano in un processo di riorganizzazione aziendale e, precisamente: a) costi sostenuti nell’ambito di un processo di esternalizzazione di parte di un ramo di attività denominato NR OMISSIS in favore del gruppo I. OMISSIS; b) nell’ambito del medesimo processo di esternalizzazione E. aveva versato ad A. (che aveva frattanto acquisito la restante parte del ramo di azienda, ossia quella che non rappresentava il core business di E., denominato R.R.I.) contributi per la gestione, ovvero costi di start up per continuare l’esercizio della predetta attività aziendale acquisita da A. L’Ufficio aveva ritenuto non sussistenti le condizioni per la deduzione dei costi in questione, in quanto per entrambe le operazioni sussistevano gli estremi dell’illecito penalmente rilevante, ciò comportando il divieto di deduzione dei costi ai sensi dell’art.14 della legge n.537 del 1993 e in ogni caso, entrambe le operazioni difettavano del requisito dell’inerenza e per l’operazione sub b) si poneva in discussione anche la stessa oggettiva esistenza dell’operazione. L’Ufficio, in forza dei predetti rilievi, procedette, quindi, al recupero a tassazione dei costi e con l’avviso, oggetto del presente giudizio, recuperò l’IRAP e l’IVA. Avverso l’avviso di accertamento la Società propose ricorso che venne rigettato dall’adita Commissione tributaria provinciale. La decisione, appellata dalla Società, è stata riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale del Lazio (d’ora in poi C.T.R.) la quale ha annullato l’avviso di accertamento impugnato. In particolare, il Giudice di appello -rilevato di avere già deciso, in senso favorevole alla parte privata, analoghe fattispecie e che era in atti la richiesta di archiviazione da parte del P.M. per il procedimento penale a carico degli amministratori della Società- riteneva che l’Ufficio, in assenza di inizio dell’azione penale (ovverossia di richiesta di rinvio a giudizio) non poteva sostenere, ai sensi dell’art.14, comma 4-bis, della legge n.537 del 1993, l’indeducibilità dei costi e delle spese. Secondo la C.T.R., quanto esposto oltre ad assorbire tutte le altre eccezioni sollevate da parte contribuente e dell’Ufficio, anche di rilevanza costituzionale della normativa più volte richiamata, conduce ad affermare l’illegittimità delle rettifiche fiscali poste in essere dall’Ufficio finanziario in virtù dell’art.14, comma 4 bis della legge 537 del 1993, anche per quanto attiene alla sostenuta indetraibilità dell’imposta sul valore aggiunto, poiché oltre che in contrasto con la normativa nazionale, lo è ancora di più con le norme comunitarie, come confermato dalle interpretazioni che ne ha dato la Corte di Giustizia europea. Avverso la sentenza l’Agenzia delle entrate propone, affidandosi a tre motivi, ricorso cui resiste, con controricorso, la E- T. S.p.A. Il ricorso è stato avviato, ai sensi dell’art.380 bis-1 cod.proc.civ., in camera di consiglio, in prossimità della quale la controricorrente ha depositato memoria.

Testo della sentenza
Corte di Cassazione Civile, Sez 5 - ORDINANZA 06 ottobre 2022 N. 29084 Sorrentino Federico

CONSIDERATO CHE

1.L’Agenzia delle entrate, premesso che, con il ricorso, intende censurare la decisione con esclusivo riferimento al capo di sentenza in cui la C.T.R., dopo avere ritenuto che il divieto di deduzione dei costi, previsto dall’art.14, comma 4-bis, della legge n.537 del 1993, non era operante nella fattispecie in esame, ha statuito: “Tutto quanto precede, oltre ad assorbire tutte le altre eccezioni sollevate da parte contribuente e dell’Agenzia …conduce ad affermare l’illegittimità delle rettifiche fiscali poste in essere dall’Ufficio finanziario in virtù dell’art.14 comma 4-bis della legge 537 del 1993, anche per quanto attiene all’indetraibilità dell’imposta sul valore aggiunto”, articola i seguenti mezzi di impugnazione: 1.1.con il primo motivo deduce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che hanno fatto oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art.360, primo comma, n.5 cod.proc.civ., con riferimento alla statuizione con cui la Commissione regionale aveva affermato che le verifiche fiscali erano state poste in essere dall’Ufficio finanziario “in virtù dell’art.14, comma 4-bis della legge n.537 del 1993” laddove in tutti i gradi del giudizio si era rilevato, come emergente anche dagli atti impositivi, che le operazioni erano state contestate non solo in quanto integranti reato ma anche in quanto prive dei requisiti di inerenza e, per le operazioni oggetto del secondo rilievo, perché anche oggettivamente inesistenti. Con la conseguenza, secondo la prospettazione difensiva, che la decisione era del tutto svincolata dal reale contenuto della controversia e dalle questioni oggetto del giudizio;

1.2. con il secondo motivo la ricorrente, deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num.4 cod.proc.civ., la nullità della motivazione, perché apparente, laddove la C.T.R. aveva ritenuto assorbite tutte le altre eccezioni sollevate da parte dell’Agenzia delle entrate. In realtà, secondo la prospettazione difensiva, la sentenza impugnata era nulla in quanto, aveva riformato la decisione di primo grado senza pronunciare sul distinto capo di quella pronuncia che aveva ritenuto non deducibili i costi in esame per difetto di inerenza.

1.3. con il terzo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.109 del d.P.R. n.917 del 1986 laddove la C.T.R. aveva accolto integralmente l’appello della Società senza alcun vaglio sulla sussistenza dei requisiti di cui all’art.109 TUIR. 2.E. T. S.p.A., con il controricorso, eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso perché la notificazione, effettuata a mezzo p.e.c. è priva della relata di notifica e, per tardività, essendo stato l’atto notificato dopo le ore 21 dell’ultimo giorno utile per l’impugnazione.

2.1. Le eccezioni sono infondate. La prima perché dalla relata agli atti e dall’attestazione di conformità risulta la corretta notificazione del ricorso e, in ogni caso, perché secondo il costante orientamento di questa Corte (v.Cass. n.3805 del 16/02/2018; n.14042 del 1.6.2018; n.26489 del 19.10.2018) l'irritualità della notificazione di un atto (nella specie, ricorso per cassazione) a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica ha, comunque, prodotto il risultato della conoscenza dell'atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale dello stesso, in omaggio alla regola generale sancita dall'art. 156, terzo comma, cod. proc. civ.: ne deriva che è inammissibile l'eccezione con la quale si lamenti esclusivamente detto vizio procedimentale, senza prospettare un concreto pregiudizio per l'esercizio del diritto di difesa. La seconda essendo intervenuta, sulla questione, la Corte Costituzionale la quale, con sentenza n. 75 del 19 marzo 2019, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 16- septies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dall'art. 45-bis, comma 2, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114, nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta.

3. Inoltre, la controricorrente -premesso in fatto che oggetto della controversia era, da un lato, l’indebita deduzione di costi connessi alle operazioni di riorganizzazione aziendale poste in essere da T.E. SPA con il gruppo I. nel corso del 2005 e l’indebita detrazione dell’IVA a essi relativa, e dall’altro, l’indebita deduzione dei costi erogati ad A.- eccepisce l’inammissibilità del ricorso, per violazione dell’art.2909 cod. civ. e dell’art.324 cod. proc. civ., essendo intervenute, per gli altri avvisi di accertamento emessi sulla base degli stessi rilievi relativamente alle altre annualità, pronunce passate in cosa giudicata, e in particolare:

3.1.la sentenza della CTR del Lazio n.4624/1/15, depositata il primo settembre 2015, di identico contenuto a quella oggi impugnata con il presente ricorso per cassazione, che era passata in giudicato, per mancata impugnazione, come da relativa attestazione, avente ad oggetto l’avviso di accertamento cd. di primo livello, per IRES della stessa annualità 2005, notificato alla T.E. spa, in qualità di consolidata;

3.2.la sentenza della C.T.R. del Lazio n.3138/15, depositata in data 1 giugno 2015, relativa all’annualità 2004, e avente ad oggetto il solo rilievo sui costi sostenuti da T.E. SPA a favore del gruppo I.;

3.3.la sentenza n.3574/1/14, depositata il 29 maggio 2014, anch’essa relativa all’annualità 2004, concernente tra l’altro, il tema delle fatture emesse da A., la quale pur essendo oggetto di ricorso per cassazione, poi rigettato da questa Corte con l’ordinanza n.2229/2022 deposita il 29.01.2022, esclusivamente su altro rilievo, non era stata impugnata per il rilievo, qui di interesse, della deducibilità dei costi sostenuti da T.E. spa;

3.4.la sentenza della Commissione tributaria provinciale n.23318/5/14, depositata il 17 novembre 2014, le cui statuizioni - relative al periodo di imposta 2006 e riguardanti entrambi i rilievi oggetto del presente giudizio- risultano divenute definitive a seguito di rinuncia all’appello da parte della Direzione Regionale del Lazio;

3.5 in memoria, la ricorrente, nel ribadire l’inammissibilità del ricorso, ha allegato ulteriori giudicati, intervenuti dopo la proposizione del controricorso, dati dalla sentenza della C.T.R. del Lazio n.1380/9/2016, depositata il 16.03.2016, che annullò gli avvisi di accertamento relativa a IVA, IRAP e IRES dell’anno 2007, e la sentenza della C.T.P di Roma n.16082/1/16, depositata il primo luglio 2016, avente ad oggetto l’avviso di accertamento emesso ai fini dell’IRAP dell’anno 2008, anch’esso annullato.

4.A parte la preliminare considerazione che il ricorso, nei termini in cui è formulato, non attinge specificamente la sentenza impugnata nella parte in cui la C.T.R. decide, con motivazione espressa, in senso favorevole alla Società la questione relativa all’indetraibilità dell’IVA, assume ulteriore carattere preliminare l’analisi dell’eccezione di giudicato esterno, sollevata dalla controricorrente, che è fondata per le ragioni di seguito indicate.

4.1. In ordine all’applicabilità ai rapporti di durata, in materia tributaria, dell’efficacia del giudicato esterno, con riguardo al medesimo tributo, in relazione a un diverso periodo di imposta, questa Corte, nella sentenza a sezioni unite n.13196 del 16.6.2006 ha affermato il seguente principio di diritto “Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell'autonomia dei periodi d'imposta, in quanto l'indifferenza della fattispecie costitutiva dell'obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d'imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all'applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d'altronde coerente non solo con l'oggetto del giudizio tributario, che attraverso l'impugnazione dell'atto mira all'accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell'accertamento dell'Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell'annullamento dell'atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l'efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale norma agendi cui devono conformarsi tanto l'Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell'individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d'imposta”. In applicazione di tali principi è stato chiarito che, in materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, opera nei casi in cui vengano in esame fatti che per legge hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, ed in cui l’elemento della pluriennalità, come affermato dalle Sezioni Unite nella citata sentenza, costituisce un elemento caratterizzante della fattispecie normativa, che unifica più annualità d’imposta in una sorta di maxi periodo: gli esempi tipici sono quelli delle esenzioni o agevolazioni pluriennali, o della “spalmatura” in più anni dell’ammortamento di un bene, o, in generale, della deducibilità di una spesa ovvero nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata (cfr. Cass.13.12.2018 n.32254; Cass.7.09.2018 n.21824; Cass. 11.03.2015 n.4832). Tali principi risultano ulteriormente seguiti da questa Corte (cfr. Cass.7.12.2021 n.38743; Cass.4.03.2021 n.5939; Cass.28.11.2019 n.31084 tutte in materia di IVA) la quale ha statuito che >. Di recente, sempre sulla scia dei principi citati, questa Corte (cfr. Cass.28.12.2018 n.33572; Cass.15.10.2021 n.28384) ha riconosciuto la sussistenza del giudicato esterno nel caso in cui l’Ufficio aveva ripetuto per più annualità la contestazione d’inerenza, statuendo che >. 4.2. Alla luce di tale condiviso orientamento giurisprudenziale, non appare revocabile in dubbio l’operatività, nel caso in esame, del giudicato esterno, favorevole alla Società, e pregiudizievole rispetto al ricorso proposto dall’Avvocatura. A ciò conduce, l’identità degli elementi costitutivi, come sopra illustrati, delle pretese impositive formulate per le annualità dal 2004 al 2008, rispetto a quelle, oggetto del giudizio, relative all’annualità 2005. Tutte le sentenze allegate a conforto dell’eccezione di giudicato e sopra meglio indicate disconoscono i presupposti fattuali posti alla base dei due recuperi di imposta, oggetto di controversia, e tali presupposti si ripetono identici in tutte le controversie conclusisi con giudicati favorevoli alla Società, con riguardo a entrambe le imposte per cui è causa, essendosi accertato, con pronunce passate in cosa giudicata, non solo l’inoperatività per entrambe le operazioni societarie dell’illecito penale, ma la legittimità del progetto di ristrutturazione della T. E. spa con riferimento alla cessione del ramo di azienda RNO e l’inerenza dei relativi costi (v. in particolare, tra le altre, C.T.P di Roma n. 16082/1/16, depositata il primo luglio 2016, relativa a IRAP 2008) nonché dell’operazione e dei relativi costi sostenuti nei confronti dell’A. (v. CTR Lazio n.357471/14 cit.; C.T.P. di Roma n.23318/2014 cit.; CTR Lazio n.1380/16 cit.).

5.Ne consegue il rigetto del ricorso.

6.La soluzione della controversia, dovuta a giudicati formatosi dopo la proposizione del ricorso, induce a compensare integralmente tra le parti le spese processuali.

7.Nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, non sussistono i presupposti processuali per dichiarare l'obbligo di versare, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non potendo tale norma trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass.n.1778 del 29/01/2016).

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese processuali