Giu Dolo intenzionale nell’abuso di ufficio
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - SENTENZA 25 maggio 2021 N. 20789
Massima
In tema di abuso d’ufficio, l’intenzionalità del dolo non è esclusa dalla compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta del pubblico ufficiale, dovendosi ritenere necessario, perché venga meno la configurabilità dell’elemento soggettivo, che il perseguimento del pubblico interesse costituisca l’obiettivo principale dell’agente, con conseguente degradazione del dolo di danno o di vantaggio da dolo di tipo intenzionale a mero dolo diretto od eventuale. Pertanto, l’elemento del dolo intenzionale dell’abuso di ufficio non va inteso quale dolo esclusivo ed unico dell’azione potendo concorrere la volontà di arrecare un ingiusto profitto al privato con la realizzazione del pubblico interesse dovendo però il primo costituire l’obiettivo principale dell’azione.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - SENTENZA 25 maggio 2021 N. 20789 Pres. Diotallevi – est. Pardo

Ritenuto in fatto

 

1.1 Con ordinanza in data 19 giugno 2020, il tribunale della libertà di Reggio Calabria, in parziale accoglimento dell’istanza di riesame avanzata nell’interesse di M.F. avverso l’ordinanza di arresti domiciliari del G.I.P. di Reggio Calabria del 30-4-2020, escludeva la sussistenza dell’aggravante di mafia e sostituiva la misura inflitta al predetto indagato, in relazione a varie ipotesi di concorso in frode in pubbliche forniture, truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche ed abuso di ufficio, con quella della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio per mesi 8.

1.2 Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, avv.to Milicia, deducendo con distinti motivi:

- violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione agli artt. 356 e 640 bis c.p., violazione di legge e carenza assoluta di motivazione, in relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato di frode in pubbliche forniture e di truffa aggravata ed all’omessa indicazione dei presupposti indiziari della partecipazione dolosa alle condotte fraudolente previste. Il provvedimento impugnato non aveva indicato alcun elemento dal quale potesse ricavarsi che l’omessa verifica del regolare svolgimento del processo amministrativo e dei lavori da parte della ditta appaltante dipendesse da un adesione del ricorrente ad un accordo criminoso e non da semplice negligenza, superficialità o errore; tale circostanza, doveva ritenersi avere valore decisivo anche con riferimento alla contestazione della truffa aggravata non essendo stato evidenziato alcun elemento dal quale desumere la condivisione degli interessi dei privati beneficiari degli illeciti. Analogamente doveva ritenersi quanto alle condotte di abuso d’ufficio oggetto della contestazione provvisoria, avendo, peraltro, i giudici del riesame, escluso l’aggravante mafiosa, così da eliminare ogni possibile riferimento a rapporti tra il ricorrente e gli aggiudicatari delle opere riferibili ad imprese mafiose tali da determinare l’originaria contestazione di agevolazione di tali ditte;

- violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all’art. 323 c.p. violazione di legge e carenza assoluta di motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato di abuso d’ufficio; si deduceva al proposito, l’omessa indicazione dei presupposti indiziari della finalizzazione della condotta al conseguimento degli effetti richiesti per l’integrazione della fattispecie, visto che, la struttura del dolo del delitto di cui all’art. 323 c.p., prevede quale elemento imprescindibile il dolo intenzionale da configurarsi soltanto in presenza di condotte mirate a procurare un vantaggio patrimoniale ingiusto per sé o per altri come conseguenza diretta ed immediata della propria azione; di conseguenza, quando l’evento sia una semplice conseguenza accessoria dell’operato dell’agente, il quale persegue in via primaria l’obiettivo di pubblico interesse di preminente rilievo, l’evento voluto non deve ritenersi oggetto di dolo intenzionale; su tale aspetto del tutto carente doveva ritenersi l’indagine compiuta nel provvedimento impugnato nel contesto del quale si faceva anche riferimento ad ipotesi di dolo eventuale incompatibile con il contestato delitto e, comunque, con le specifiche prese di posizione del ricorrente nei confronti di imprenditori del gruppo B. che potevano desumersi da alcuni atti amministrativi allegati al ricorso.

1.3 Con parere ritualmente depositato il procuratore generale presso questa corte premesso che "l’intenzionalità del dolo non è esclusa dalla compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta del pubblico ufficiale, nella specie poco ravvisabile, invero, nè presuppone l’accertamento dell’accordo collusivo con la persona che si intende favorire ma può essere desunta dalla macroscopica illegittimità dell’atto e/oda una serie di indici fattuali quali quelli evidenziati nel provvedimento impugnato" chiedeva il rigetto del ricorso.

 

Considerato in diritto

 

2.1 Entrambi i motivi non sono fondati ed il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

Ed invero, quanto alla prima doglianza, con la quale si contesta violazione di legge e difetto di motivazione in ordine all’elemento psicologico dei contestati reati, va sottolineato come in sede cautelare, al fine dell’emissione del provvedimento, deve essere valutata la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non soltanto sotto il profilo oggettivo, ma anche sotto quello psicologico. Tale accertamento non può tuttavia spingersi fino al punto di essere equiparato a quello da effettuare in fase di "piena cognitio". L’apprezzamento relativo può essere quindi eseguito sulla base dell’intera vicenda processuale e sugli stessi fatti, che costituiscono i dati essenziali della condotta materiale (Sez. 3, n. 1740 del 30/07/1993, Rv. 195211). Nel caso in esame, il tribunale della libertà, non ha omesso l’analisi dell’elemento psicologico affermando, per ciascun gruppo di reati, che il ruolo assunto dal ricorrente, di responsabile del procedimento o collaudatore dei lavori, il numero e la consistenza delle difformità tra i progetti approvati e finanziati e le opere realizzate, facesse desumere il concorso del M. nei delitti portati a termine nell’interesse degli aggiudicatari attuatori di opere caratterizzate da notevoli ritardi e difformità e, nonostante tutto, liquidate in misura superiore alle somme ritenute dovute.

Deve, quindi, ritenersi che il provvedimento impugnato non sia incorso nei denunciati vizi avendo sottolineato per ciascuna delle opere oggetto di verifica e contestazione le pluralità di irregolarità riferibili all’operato del M. tali da denotare il volontario e consapevole contributo al verificarsi dell’evento di danno per la P.A. con contestuale profitto ingiusto degli appaltatori.

2.2 In relazione alla seconda doglianza va sottolineato come, secondo l’orientamento cui si intende aderire, in tema di abuso d’ufficio, l’intenzionalità del dolo non è esclusa dalla compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta del pubblico ufficiale, dovendosi ritenere necessario, perché venga meno la configurabilità dell’elemento soggettivo, che il perseguimento del pubblico interesse costituisca l’obiettivo principale dell’agente, con conseguente degradazione del dolo di danno o di vantaggio da dolo di tipo intenzionale a mero dolo diretto od eventuale. (Sez.6, n. 51127 del 17/09/2019, Rv. 278938).

Ne deriva, pertanto, affermare che l’elemento del dolo intenzionale del contestato reato di abuso di ufficio non va inteso quale dolo esclusivo ed unico dell’azione potendo concorrere la volontà di arrecare un ingiusto profitto al privato con la realizzazione del pubblico interesse dovendo però il primo costituire l’obiettivo principale dell’azione; effetto questo che implicitamente il tribunale ha ritenuto sussistere nella condotta del M. valutando molteplicità e reiterazione delle condotte senza che la posizione assunta in altri e separati appalti possa avere, quantomeno nella presente fase cautelare e sede di legittimità, valore decisivo.

In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi infondata; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Sentenza a motivazione semplificata.

Materie
Azioni