Giu delitto di intestazione fittizia di beni con riferimento alla costituzione di una nuova attività d'impresa esercitata in forma societaria
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 08 giugno 2022 N. 22417
Massima
Ai fini dell'integrazione del delitto di intestazione fittizia di beni con riferimento alla costituzione di una nuova attività d'impresa esercitata in forma societaria, è necessaria la duplice dimostrazione della riconducibilità al soggetto interessato a non far apparire la sua titolarità delle risorse destinate ai conferimenti nel costituendo patrimonio sociale e del perseguimento dello scopo di eludere, in tal guisa, l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali, ragion per cui non rilevano gli apporti diversi da quelli meramente finanziari (quali, ad esempio, il contributo d'opera o lo sfruttamento di relazioni personali), in quanto non suscettibili di divenire oggetto di misure ablative, salvo che assurgano ad indici di un contributo concorsuale alla realizzazione dell'altrui condotta di intestazione fraudolenta" (Sez. 2, n. 19649 del 03/02/2019, Amato, Rv. 281423; cfr. anche Sez. 1, n. 42530 del 13/06/2018, C., Rv. 274024, ove si è precisato che "non è sufficiente l'accertamento della mera disponibilità del bene da parte di chi non ne risulti essere formalmente titolare, in quanto occorre verificare la provenienza dal predetto delle risorse economiche impiegate per il suo acquisto e la finalità di eludere l'applicazione di misure di prevenzione").

Inoltre, si è sottolineato che il delitto in esame "può essere commesso anche da chi non sia ancora sottoposto a misure di prevenzione patrimoniali e ancora prima che il relativo procedimento sia iniziato, occorrendo solo, ai fini della configurabilità del dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, che l'interessato possa fondatamente presumere l'avvio di detto procedimento" (Sez. 5, n. 1886 de 17/12/2021, dep. 2022, Delli Carri, Rv. 282645), essendosi altresì chiarito che il delitto è ravviabile "anche in presenza di condotte aventi ad oggetto beni non provenienti da delitto, in accordo con la "ratio" dell'incriminazione che persegue unicamente l'obiettivo di evitare manovre dei soggetti potenzialmente assoggettabili a misure di prevenzione, dirette a non far figurare la loro disponibilità di beni o altre utilità, a prescindere dalla provenienza di questi" (Sez. 2, n. 28300 del 16/04/2019, Russo, Rv. 276216).

Va infine ribadito che il reato ha natura istantanea e che peraltro nel caso in cui la condotta si articoli in una pluralità di attribuzioni fittizie, esso si consuma nel momento in cui è realizzata l'ultima di esse (Sez. 2, n. 38053 del 05/10/2021, Vitagliano, Rv. 282129, principio che può declinarsi anche prospettando condotte plurime o frazionate, con consumazione coincidente nel momento in cui si stabilizza e si rende definitiva la nuova apparenza: sul punto Sez. 6, n. 1587 del 30/09/2021, Meluzio, Rv. 282662).

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 08 giugno 2022 N. 22417

Motivi della decisione

1. I primi due motivi, esaminabili congiuntamente, risultano infondati e in parte inammissibili, in quanto non si confrontano pienamente con la motivazione dell'ordinanza impugnata.

1.1. Il Tribunale ha dato conto dell'insorgenza delle ragioni che avevano indotto il ricorrente ad elaborare una strategia volta a salvaguardare beni e capacità operativa nel settore degli appalti, attraverso la creazione di una nuova società, la (OMISSIS) s.r.l., fittiziamente intestata ad una dipendente degli S., nonchè attraverso successivi aumenti di capitale e attraverso l'acquisizione da parte di (OMISSIS) delle quote della società (OMISSIS) scarl.

In particolare, ha sottolineato come all'indomani dell'invio a S.E. nell'ottobre 2013 dell'avviso di conclusione di indagini preliminari per il reato di favoreggiamento, aggravato ai sensi del D.L. 152 del 1991, art. 7, convertito dalla L. 203 del 1991, il ricorrente avesse nel corso di una conversazione (citata a pag. 12 dell'ordinanza impugnata) manifestato allarme in relazione alle possibili conseguenze per il gruppo di società facenti capo e lui e al fratello, tanto che, di seguito, aveva dato concreta attuazione alla costituzione di una nuova società, anche in ragione del fatto che in quel periodo egli era stato escusso nell'ambito di ulteriore procedimento riguardante un'estorsione in danno delle sue aziende, nel corso della quale aveva negato di aver subito richieste estorsive, ciò che avrebbe poi dato luogo ad un procedimento a suo carico, in conseguenza del quale nel 2019 avrebbe riportato condanna per il delitto di favoreggiamento e falsa testimonianza, aggravati ex D.L. 152 del 1991, art. 7, convertito dalla L. 203 del 1991.

Ha rilevato il Tribunale come la (OMISSIS) fosse stata costituita nel giugno 2014 con sede fittizia e con attribuzione delle quote alla dipendente C.R. e in minima parte a tale Banditelli, ciò cui era seguita l'acquisizione di un ramo di azienda da (OMISSIS) s.r.l., facente capo ai fratelli S., con trasferimento alla (OMISSIS) di personale e mezzi, tanto più in corrispondenza del periodo in cui le società degli S. erano state raggiunte da interdittiva antimafia.

Ha dato conto, inoltre, il Tribunale dei due aumenti di capitale del 2020, il secondo di Euro 500.000, in gran parte intestato alla citata C., nonchè delle operazioni che avevano riguardato la società (OMISSIS), costituita originariamente da i Consorzio (OMISSIS) scarl e da (OMISSIS) s.r.l., il cui capitale era stato successivamente per intero acquisito da (OMISSIS) s.r.l., da ultimo con acquisto nel marzo 2017 del residuo 10%, di cui era titolare la (OMISSIS) s.r.l.

Orbene, il Tribunale ha specificamente illustrato gli elementi sulla base dei quali ha ritenuto che la veste di titolare delle quote attribuita a C.R. fosse fittizia, avendo in particolare segnalato, attraverso il richiamo di plurime conversazioni dal contenuto inequivoco, come la stessa operasse quale mera dipendente agli ordini dei veri titolari della società, in primo luogo l'odierno ricorrente, e come tutte le operazioni fossero state propiziate dall'utilizzo di provviste provenienti dal ricorrente, mediante il previo versamento di somme su conto intestato a C.R., poi da costei utilizzate (si richiamano le movimentazioni riportate alle pagg. 20 segg. dell'ordinanza impugnata), ferma restando l'incompatibilità dei redditi della predetta con gli esborsi, a rigore, da lei sostenuti ai fini dell'acquisizione delle società e dell'attuazione degli aumenti di capitale.

In tal modo il Tribunale ha suffragato l'assunto che le operazioni si fossero risolte nell'intestazione fraudolenta di beni, in primo luogo rappresentati dalla titolarità delle quote societarie, a soggetto diverso dall'effettivo titolare, risultante anche dall'effettiva provenienza delle somme movimentate, e che le stesse fossero state effettuate allo scopo di mettere al riparo beni e attività dal rischio di misure ablatorie e impeditive, in frangenti nei quali siffatto rischio era particolarmente avvertito, ciò, per quanto detto, sia nel 2013/2014 sia nel 2017, quando erano venute in rilievo situazioni tali da far prospettare una collateralità di S.E. a contesti di tipo mafioso e si erano poi concretamente manifestate le conseguenze di ciò attraverso le interdittive antimafia.

1.2. Si tratta di valutazione che, contrariamente alle deduzioni -in parte generiche- del ricorrente, risulta pienamente coerente con principi consolidati.

E' stato infatti affermato che "ai fini dell'integrazione del delitto di intestazione fittizia di beni con riferimento alla costituzione di una nuova attività d'impresa esercitata in forma societaria, è necessaria la duplice dimostrazione della riconducibilità al soggetto interessato a non far apparire la sua titolarità delle risorse destinate ai conferimenti nel costituendo patrimonio sociale e del perseguimento dello scopo di eludere, in tal guisa, l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali, ragion per cui non rilevano gli apporti diversi da quelli meramente finanziari (quali, ad esempio, il contributo d'opera o lo sfruttamento di relazioni personali), in quanto non suscettibili di divenire oggetto di misure ablative, salvo che assurgano ad indici di un contributo concorsuale alla realizzazione dell'altrui condotta di intestazione fraudolenta" (Sez. 2, n. 19649 del 03/02/2019, Amato, Rv. 281423; cfr. anche Sez. 1, n. 42530 del 13/06/2018, C., Rv. 274024, ove si è precisato che "non è sufficiente l'accertamento della mera disponibilità del bene da parte di chi non ne risulti essere formalmente titolare, in quanto occorre verificare la provenienza dal predetto delle risorse economiche impiegate per il suo acquisto e la finalità di eludere l'applicazione di misure di prevenzione").

Inoltre, si è sottolineato che il delitto in esame "può essere commesso anche da chi non sia ancora sottoposto a misure di prevenzione patrimoniali e ancora prima che il relativo procedimento sia iniziato, occorrendo solo, ai fini della configurabilità del dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, che l'interessato possa fondatamente presumere l'avvio di detto procedimento" (Sez. 5, n. 1886 de 17/12/2021, dep. 2022, Delli Carri, Rv. 282645), essendosi altresì chiarito che il delitto è ravviabile "anche in presenza di condotte aventi ad oggetto beni non provenienti da delitto, in accordo con la "ratio" dell'incriminazione che persegue unicamente l'obiettivo di evitare manovre dei soggetti potenzialmente assoggettabili a misure di prevenzione, dirette a non far figurare la loro disponibilità di beni o altre utilità, a prescindere dalla provenienza di questi" (Sez. 2, n. 28300 del 16/04/2019, Russo, Rv. 276216).

1.3. Va infine ribadito che il reato ha natura istantanea e che peraltro nel caso in cui la condotta si articoli in una pluralità di attribuzioni fittizie, esso si consuma nel momento in cui è realizzata l'ultima di esse (Sez. 2, n. 38053 del 05/10/2021, Vitagliano, Rv. 282129, principio che può declinarsi anche prospettando condotte plurime o frazionate, con consumazione coincidente nel momento in cui si stabilizza e si rende definitiva la nuova apparenza: sul punto Sez. 6, n. 1587 del 30/09/2021, Meluzio, Rv. 282662).

1.4. A fronte di ciò, non forma oggetto di specifiche censure l'analisi riguardante la provenienza delle provviste dal ricorrente, solo sul piano sintomatico essendo stata condotta la verifica del Tribunale relativa al carattere fittizio della veste di amministratore assunta da C.R..

D'altro canto, non assume alcun rilievo, nel quadro di un'operazione concepita strategicamente in un determinato lasso di tempo e poi proseguita coerentemente, la circostanza che il primo procedimento a carico del ricorrente si fosse concluso con archiviazione, essendo stato dato conto della finalità elusiva perseguita con l'attuazione del complessivo disegno, non potendo rilevare, a ritroso, neppure la circostanza che le società del gruppo, raggiunte da interdittiva antimafia, fossero state di seguito ammesse al controllo giudiziario ex D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 34-bis.

Inconferente risulta altresì la circostanza che il ramo d'azienda di (OMISSIS) fosse stato sottoposto a stima giudiziale, essendo invece rilevante la circostanza che (OMISSIS) avesse acquisito quel valore, nel quadro dell'attribuzione apparente ad altro soggetto della qualità di proprietario.

Con riguardo poi alle operazioni riguardanti (OMISSIS) scarl, il Tribunale ha correttamente proceduto ad un unitario inquadramento della progressiva attribuzione a (OMISSIS) delle quote di originaria partecipazione di Consorzio (OMISSIS) e di (OMISSIS) s.r.l, rilevando solo ab extrinseco i rilievi difensivi incentrati sull'utilizzo di società consortile, riflettente le quote di partecipazione ad ATI, ed assumendo invece significato il fatto stesso di quella progressiva acquisizione delle partecipazioni da parte di (OMISSIS), peraltro con modalità riconducibili ad una sostanzialmente omogenea modalità operativa, nel caso di specie manifestatasi in epoca di poco precedente all'adozione delle interdittive antimafia.

2. Il terzo motivo, avente ad oggetto i delitti di autoriciclaggio contestati ai capi 3) e 4), è fondato.

2.1. L'assunto accusatorio, recepito dal provvedimento impugnato, si incentra sulla movimentazione di somme, per lo più provenienti dal Consorzio (OMISSIS) e ricevute dalle società (OMISSIS) e (OMISSIS), poi trasferite ad altre società rientranti nel gruppo facente capo ai fratelli S..

Si è dunque ritenuto che il delitto di cui all'art. 648-ter.1 c.p. potesse dirsi integrato in ragione della provenienza delle somme dal delitto presupposto di cui all'art. 512-bis c.p., e dal loro successivo impiego in altre attività imprenditoriali, in modo da occultarne la provenienza delittuosa.

2.2. Deve al riguardo osservarsi che il delitto di cui all'art. 648-ter.1 c.p. è ravvisabile allorchè dopo la commissione di un delitto non colposo il soggetto impiega, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa.

Nel caso di specie, il delitto presupposto è stato, come detto, individuato proprio nell'intestazione fraudolenta delle due società (OMISSIS) e (OMISSIS), essendosi prospettato che per tale via sarebbe stata possibile ai fratelli S. la libera disponibilità di risorse, poi concretamente riversate sui conti di altre società, essendosi escluso che la mera tracciabilità dei versamenti valesse a rendere riconoscibile la provenienza del denaro.

2.3. Va rilevato che in più occasioni è stata riconosciuta la possibilità di individuare nel delitto di intestazione fraudolenta il delitto presupposto del delitto di riciclaggio o impiego di beni di provenienza illecita di cui agli artt. 648-bis e 648-ter c.p., in ragione di condotte di riciclo e reimpiego di beni effettuate in ambito societario e volte a schermare le disponibilità facenti capo all'imputato e a sottrarle al pericolo di confisca (sul punto Sez. 2, n. 33076 del 14/07/2016, Moccia, Rv. 267694; Sez. 2, n. 39756 del 05/10/2011, Ciancimino, Rv. 251193).

Va però rimarcato che la struttura del delitto di cui all'art. 512-bis c.p. è imperniata sul significato qualificante del dolo specifico, avente ad oggetto il fine di eludere le misure di prevenzione o di commettere i delitti di ricettazione, di riciclaggio o di reimpiego.

In linea di massima può affermarsi che in tutti i casi la norma miri a scongiurare la circolazione o la persistente disponibilità di beni di cui possa prospettarsi la provenienza illecita, tale da giustificare, a seconda dei casi, l'assoggettamento ad una misura di prevenzione o la configurabilità dei reati di riciclaggio.

Sta di fatto che la misura di prevenzione, ferma restando la perimetrazione dell'ambito temporale della pericolosità del soggetto, secondo le figure tipiche previste dal D.Lgs. n. 159 del 2011, non implica, in positivo, la prova specifica della provenienza illecita, costituente solo uno dei presupposti, in alternativa a quello della sproporzione e della mancanza di giustificazione della liceità.

Il delitto di riciclaggio presuppone invece che la cosa, il denaro o l'utilità provenga specificamente da delitto non colposo.

A ben guardare, non vi è un rapporto di presupposizione necessaria tra il delitto di intestazione fraudolenta e quello di reimpiego di cui all'art. 648-ter c.p., atteso che le condotte di reimpiego richiedono una derivazione causale materiale da delitto dei beni reinvestiti e non un mero collegamento con ipotesi delittuose, quale quella della interposizione, che semmai tale provenienza postulano (sul punto Sez. 2, n. 20684 del 09/03/2017, Simeoli, Rv. 269993). Nel contempo, secondo quanto pare preferibile ritenere, "il reato di intestazione fittizia o di fraudolento trasferimento di denaro, beni o altra utilità al fine di eludere le disposizioni di legge sulle misure di prevenzione patrimoniale - previsto dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, conv. in L. n. 356 del 1992 - non costituisce, avuto riguardo alla sua struttura, delitto presupposto del reato di riciclaggio, avendo una sua autonoma e distinta valenza strumentale, con la conseguenza che esso concorre con il riciclaggio di denaro provento delle attività illecite di un sodalizio mafioso, le quali integrano, invece, il reato presupposto del riciclaggio".

2.4. Tali rilievi possono essere formulati, a maggior ragione, con riguardo all'ipotesi dell'autoriciclaggio, oggetto delle contestazioni formulate in questa sede.

Va infatti sottolineato che, se il trasferimento fraudolento è volto a realizzare una forma strumentale di occultamento, tale da creare solo un'apparente alterità, che di per sè prelude alla persistente conservazione dei beni o al loro sfruttamento, tuttavia, non rientra tra le finalità contemplate dall'art. 512-bis c.p. la commissione del delitto di autoriciclaggio, ciò che ha indotto parte della dottrina ad ipotizzare un rapporto di reciproca consunzione, a seconda dell'ipotesi di autoriciclaggio e della pena edittale ad essa applicabile, in rapporto alla clausola di sussidiarietà di cui all'art. 512-bis c.p..

In ogni caso, se nel rapporto con l'autoriciclaggio potrebbe assumere rilievo solo la finalità elusiva, cioè l'intento di sfuggire a misure ablatorie, che postulano lato sensu l'illecita provenienza, in quanto correlata ad una figura soggettiva di pericolosità, ma non specificamente la riferibilità del bene ad un delitto individuato, sembra che debba da ciò desumersi che l'eventuale autoriciclaggio sia ravvisabile solo nel caso in cui il bene, di cui la condotta fraudolenta ha consentito la disponibilità, provenga effettivamente da delitto aliunde connotato.

Deve aggiungersi che nel caso di trasferimento fraudolento di partecipazioni societarie o di attività imprenditoriali, il bene oggetto di trasferimento non coincide con i flussi finanziari che discendono dallo svolgimento dell'attività e che potrebbero formare oggetto di riciclaggio, a dimostrazione della necessità di una verifica della specifica provenienza di quei flussi.

A fronte di ciò, va rilevato come il Tribunale non abbia in alcun modo prospettato l'autonoma provenienza illecita delle somme in varia guisa movimentate, omettendo qualsiasi verifica delle ragioni sottese a quelle movimentazione sia in entrata sia uscita, essendosi solo apoditticamente prospettata per quelle in uscita la strumentalità, peraltro non suffragata da una puntuale analisi, quando le produzioni e deduzioni difensive davano conto delle ragioni per cui il Consorzio (OMISSIS) avesse effettuato i bonifici riscontrati nel quadro della gestione dei vari appalti.

E neppure è stata prospettata la strumentalità dell'inserimento nelle operazioni del Consorzio (OMISSIS) e del ruolo assunto dalla (OMISSIS) o dalla (OMISSIS), non essendo stato neppure ipotizzato che si trattasse di entità prive di concreta operatività e che i rapporti con altre realtà imprenditoriali, sia pur all'interno del gruppo, fossero fittizi.

Inoltre, deve rimarcarsi come in tutti i casi sia stata ravvisata la capacità decettiva di operazioni in entrata e in uscita, che pur risultavano debitamente documentate o comunque agevolmente tracciabili ab origine, senza necessità di faticose ricostruzioni documentali, frutto di elaborate indagini.

Se dunque deve convenirsi che "in tema di autoriciclaggio, il criterio da seguire ai fini dell'individuazione della condotta dissimulatoria è quello della idoneità "ex ante", sulla base degli elementi di fatto sussistenti nel momento della sua realizzazione, ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del bene, senza che il successivo disvelamento dell'illecito per effetto degli accertamenti compiuti (nella specie, grazie alla tracciabilità delle operazioni poste in essere fra diverse società), determini automaticamente una condizione di inidoneità dell'azione per difetto di concreta capacità decettiva" (Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, Fabbri, Rv. 279407), deve tuttavia osservarsi che la concreta valenza dissimulatoria non può non correlarsi al tipo di operazione di volta in volta compiuta, che deve di per sè sottendere un'artificiosa strumentalità, che nel caso di specie è stata tuttavia solo apoditticamente prospettata, ma non dimostrata.

Su tali basi deve dunque escludersi la configurabilità della gravità indiziaria con riguardo alle ipotesi di autoriciclaggio di cui ai capi 3) e 4), relativamente ai quali l'ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio.

3. Il quarto e il quinto motivo, riguardanti le contestazioni di cui ai capi 5) e 6) ed esaminabili congiuntamente, sono fondati.

Pur dovendosi riconoscere in astratto la configurabilità del concorso esterno anche con riguardo ad associazioni per delinquere diverse da quelle di stampo mafioso (sul punto si rinvia ad esempio a Sez. 5, n. 33874 del 05/07/2021, Giglio, Rv. 281770), tuttavia assume nel caso di specie rilievo dirimente la stessa ricostruzione contenuta nell'ordinanza impugnata, dalla quale si desume che il ricorrente non era consapevole di far parte di strutture associative, nelle quali i compartecipi ricoprissero ruoli e funzioni precise, e nel contempo che gli affiliati non facevano conto preventivamente sull'appoggio fornito dal ricorrente.

Al contrario, il Tribunale rileva che S.E. non era a conoscenza di chi ricoprisse funzioni di vertice e che non era dato sapere quali fossero le ragioni degli incontri con G., potendosi ritenere che il ricorrente agisse per ragioni di arricchimento personale.

A ben guardare, la prospettazione incentrata sul concorso esterno di S. risulta del tutto evanescente, non comprendendosi neppure se e come il predetto avesse contezza di rapportarsi ad una strutturata associazione e avesse effettivamente inteso fornire un contributo eziologica mente efficace, accompagnato dalla consapevolezza e dalla volontà di assicurarne l'esistenza e consentire lo sviluppo del suo programma.

Deve inoltre aggiungersi che le operazioni, prese in considerazioni, non sono state specificamente analizzate, al fine di verificarne l'effettivo carattere fittizio, al di là del generico riferimento al ricorso a società "cartiere".

In ogni caso quelle operazioni, secondo quanto rilevato dal Tribunale, erano destinate ad assicurare al ricorrente risparmi fiscali nell'interesse delle sue società, al di fuori di qualsivoglia prospettiva di tipo associativo o implicante un ausilio riconoscibile, tale da consentire il rafforzamento e la concreta operatività del sodalizio.

Anche in questo caso si impone dunque l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata.

4. Il sesto motivo, riguardante l'inutilizzabilità del dato probatorio desumibile dalla messaggistica whatsapp, rinvenuta nel telefono cellulare sequestrato al ricorrente nell'ambito di procedimento della Procura della Repubblica di Roma, è infondato.

La censura si fonda su un non corretto inquadramento del tema.

Va al riguardo osservato che il dato, ritenuto rilevante in questa sede, è stato acquisito in un diverso procedimento, a seguito del sequestro del telefono cellulare di S.E., peraltro nel pieno rispetto delle modalità al riguardo previste dall'art. 247 c.p.p. per il caso in cui si debbano reperire informazioni o tracce di un reato in un sistema informatico, essendosi proceduto, fra l'altro, alla formazione di copia forense e, di seguito, all'estrapolazione dei dati reputati in varia guisa probatoriamente significativi.

Gli elementi venuti in rilievo nel corso della separata indagine sono stati esaminati, al fine di valutare specificamente la posizione di S.E. e sono stati dunque acquisiti attraverso la verifica del materiale probatorio emergente dagli atti di indagine del separato procedimento e la formazione di copie, ciò che ha poi formato oggetto di analisi nelle informative di polizia giudiziaria trasmesse nell'ambito di questo procedimento.

Da ciò discende che il materiale concretamente utilizzabile è costituito dai dati in tal modo acquisiti e criticamente esaminati nelle informative di polizia giudiziaria e dalle copie cartacee trasfuse in tali informative o ad esse allegate.

Dalle stesse produzioni difensive risulta peraltro che la polizia giudiziaria ha esaminato il materiale probatorio del diverso procedimento e ha acquisito copia di quanto ritenuto rilevante, non avendo peraltro direttamente esaminato per momentanei problemi tecnici le copie forensi e non avendo proceduto alla materiale acquisizione delle stesse, ma avendo fatto riferimento alle estrapolazioni effettuate e al materiale raccolto.

Ciò significa che la copia forense esiste ma non è stata materialmente acquisita nel presente procedimento, facendo comunque parte del compendio probatorio presente nel separato procedimento della Procura della Repubblica di Roma.

A fronte di ciò, va rimarcato che per i dati informatici non valgono i principi elaborati in materia di intercettazioni e di acquisizione di corrispondenza, dovendosi ritenere che "i messaggi "whatsapp" e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell'art. 234 c.p.p., sicchè è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione nè la disciplina delle intercettazioni, nè quella relativa all'acquisizione di corrispondenza di cui all'art. 254 c.p.p. " (Sez. 6, n. 1822 del 12/11/2019, dep. 2020, Tacchi, Rv. 278124; in senso analogo Sez. 5, n. 1822 del 21/11/2017, dep. 2018, Parodi, Rv. 272319).

Ciò significa che il dato probatorio è stato nel caso di specie acquisito nel presente procedimento nella forma idonea a renderlo concretamente valutabile, non essendo indispensabile l'acquisizione integrale degli atti del separato procedimento e della copia forense, la quale, peraltro, ben avrebbe potuto essere esaminata nell'interesse del ricorrente mediante richiesta rivolta, se del caso, non al Procuratore della Repubblica di Catanzaro ma a quello di Roma, non essendo rilevanti, da un lato, la circostanza che non risulti presente l'atto autorizzativo, di cui la difesa aveva l'onere di dimostrare la mancanza sulla base di una verifica effettuata nel separato procedimento (principio affermato in materia di intercettazioni: Sez. U. n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv. 229245), e dall'altro la vana domanda di acquisizione della copia forense rivolta dalla difesa alla Procura della Repubblica di Catanzaro.

Men che mai risulta fondata la deduzione incentrata sulla violazione dell'art. 309, comma 5, c.p.p., giacchè la stessa deve essere correlata al materiale concretamente trasmesso e valutato dal G.I.P. in sede di emissione dell'ordinanza genetica (sul punto Sez. 5981 del 17/10/2019, Monaco, Rv. 278436), da alcun elemento potendosi desumere che in quella sede il G.I.P. disponesse di materiale probatorio ulteriore e in particolare della copia forense.

5. Il settimo motivo, riguardante il delitto di corruzione in atti giudiziari, di cui al capo 7), è in larga misura inammissibile e comunque nel suo complesso infondato.

5.1. Il ricorrente ha contestato l'assunto accusatorio, incentrato sul patto corruttivo intervenuto con il maresciallo M., indicando gli elementi a tal fine valutabili, e sottolineato come l'ondivago andamento delle indagini svolte nei confronti del ricorrente non consentisse di ravvisare la gravità indiziaria.

Va tuttavia rilevato che il Tribunale ha dato conto dell'insorgenza dei contatti tra il ricorrente e il maresciallo M. fin dal luglio 2016, dopo che S. aveva cercato l'ausilio di un amico giornalista per reperire contatti utili.

E' stato sottolineato come le due immagini costituenti file di cache, riportate a pag. 43 dell'ordinanza impugnata, diano prova di una chat whatsapp intercorrente tra S. e M., che sulla base di indiretti ma precisi elementi di valutazione (cfr. la note in calce a pag. 43), è stata collocata tra la fine di giugno e i primi giorni di luglio 2016.

Nel contempo il Tribunale ha segnalato che il collegamento tra il ricorrente e M. era desumibile anche dai colloqui intercorsi nel gennaio e marzo 2017 tra S. e l'amico giornalista Pollichieni, elemento con cui la difesa non si confronta, che è stato invece non illogicamente valorizzato per segnalare il tentativo fatto dal soggetto noto ai due interlocutori per rappresentare S. come vittima ("per farmi cadere da vittima") e per dar conto delle informazioni di cui S. disponeva tramite M..

Inoltre, è stato posto in evidenza il concreto mutamento di rotta delle indagini pendenti a carico di S., nei cui confronti l'originaria ipotesi di accusa, riguardante la partecipazione ad associazione mafiosa, era stata derubricata a favoreggiamento aggravato, ciò sulla base di informative e note redatte anche da M..

Ed ancora, il Tribunale ha rilevato sulla base di quanto desumibile dalla chat whatsapp, che M., non solo nel corso del 2017 aveva palesato stretta vicinanza a S. e alle sue vicende giudiziarie, ma era anche interessato ad ottenere il trasferimento alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che S. avrebbe in concreto propiziato attraverso l'ausilio dell'amico on. A., e aveva altresì chiesto a S. di far sì che un suo collega più anziano, il quale avrebbe potuto aiutarlo nel nuovo apparato, potesse fruire di condizioni favorevoli nell'acquisto di una vettura presso una concessionaria Audi, incombenza di cui S. aveva incaricato un suo collaboratore.

5.2. Senza che possa assumere rilievo la circostanza che note e informative della polizia giudiziaria fossero firmate anche da altri soggetti e che il cambio di rotta fosse stato correlato a divergenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia, il Tribunale ha, dunque, fornito una coerente chiave di lettura del compendio indiziario, dando conto dell'atteggiamento di favore manifestato da M. nei confronti di S., influente in sede di indagini, e nel contempo sottolineando come il ricorrente avesse remunerato l'ausilio ricevuto, arrecando a M. una significativa utilità, rappresentata sia dall'incarico presso i servizi di informazione, propiziato dall'intervento dell'on. A. su sua indicazione, sia dall'opera di intermediazione nell'acquisto di una vettura da parte di un collega di M., utilità di cui è stata sottolineata la valenza di tipo sinallagmatico, a fronte di un'attività compiuta nella veste di ufficiale di polizia giudiziaria nell'ambito di procedimento penale a vantaggio del soggetto indagato (si richiamo al riguardo il principio secondo cui "la nozione di "altra utilità", quale oggetto della dazione o promessa, ricomprende qualsiasi vantaggio patrimoniale o non patrimoniale, che abbia valore per il pubblico agente o per un terzo, ivi compresi i benefici leciti, che nondimeno assumono rilevanza penale nel caso in cui s'inseriscano in una relazione sinallagmatica di tipo finalistico-strumentale o causale rispetto all'esercizio dei poteri o della funzione ovvero al compimento dell'atto contrario ai doveri d'ufficio" (Sez. 6, n. 51765 del 13/07/2018, Ozzimo, Rv. 277562).

D'altro canto, il Tribunale ha segnalato come tale utilità, peraltro sollecitata da M., assuma rilievo anche nell'ottica di una remunerazione ex post, essendo parimenti configurabile la corruzione susseguente, con riguardo alla corruzione in atti giudiziari (Sez. U. n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246581), ferma restando la sostanziale contrarietà dell'attività dedotta nel patto ai doveri di ufficio del pubblico ufficiale.

6. L'ottavo motivo, riguardante il delitto di rivelazione di segreto di ufficio, di cui al capo 8), non è fondato in sè, in quanto il Tribunale ha dato conto del concorso del ricorrente nella rivelazione da parte di M. di notizie riservate, inerenti al procedimento in corso: tuttavia per tale reato deve comunque pronunciarsi annullamento senza rinvio, in quanto, una volta esclusa l'aggravante di cui all'art. 7 D.L. 152 del 1991 (oggi trasfusa nell'art. 416-bis.1), la pena edittale prevista non consente ai sensi dell'art. 280 c.p.p., l'emissione di misura cautelare.

7. Il nono motivo e il corrispondente motivo aggiunto, relativi al delitto di cui all'art. 356 c.p., contestato al capo 9), sono infondati.

7.1. Deve premettersi che in sede cautelare forma oggetto di vaglio la sussistenza della gravità indiziaria, che postula una "probatio minor", connotata dalla diversità dell'oggetto della delibazione, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata invece all'acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell'imputato" (Sez. U. n. 36267 del 20/05/2006, Spennato, Rv. 234598).

In tale prospettiva, per quanto non possa escludersi la rilevanza di una verifica tecnica, può tuttavia ritenersi che alla luce degli elementi acquisiti e valutati dal Tribunale il giudizio espresso nell'ordinanza impugnata sia conforme al canone sopra richiamato.

7.2. E' stato infatti rilevato come i responsabili della (OMISSIS), in primo luogo S., il cui ruolo emerge da conversazioni intercettate, avessero preso atto, nella fase di realizzazione di lavori appaltati dall'(OMISSIS), riguardanti manutenzione straordinaria e ripristino di elementi strutturali del (OMISSIS) e i muri della SS280, che non vi era ulteriore disponibilità della malta BASF, fino a quel momento usata, e che avrebbe dovuto utilizzarsi, per ragioni di risparmio di spesa, anche a fronte dell'elevato ribasso praticato in sede di aggiudicazione, altra specie di malta, qualificata nel corso delle conversazioni, coinvolgenti anche B.S., ingegnere dell'(OMISSIS), incaricato della direzione dei lavori, come una "schifezza", che in altre circostanze aveva dato pessimi risultati e a fronte della quale avrebbe dovuto procedersi a lavori di "bocciardatura", tuttavia onerosi anche sotto il profilo temporale, per cui alla resa dei conti si era proceduto solo con l'esecuzione di fori, volti a favorire l'adesione della malta.

7.3. A fronte di ciò il Tribunale ha correttamente ritenuto configurabile il delitto di cui all'art. 356 c.p., avendo sottolineato che dalle conversazioni intercorse era risultata con chiarezza la malafede contrattuale dei responsabili della (OMISSIS) e la compiacenza del direttore dei lavori, essendosi utilizzato per mere ragioni di risparmio di spesa un prodotto con la piena consapevolezza della sua scarsa qualità rispetto ai risultati attesi, in quel preciso contesto operativo, senza far risultare oltre la sfera dei soggetti coinvolti nell'opera, quel minor standard qualitativo: a tale stregua il giudizio del Tribunale, incentrato sulla difformità della fornitura rispetto a quanto richiesto da un'esecuzione effettuata nel rispetto delle legittime aspettative correlate alla buona fede contrattuale -e peraltro ben distinta dall'ipotesi dell'inadempimento, di cui all'art. 355 c.p., implicante la mancanza di cose o opere necessarie per una struttura pubblica-, risulta in linea con i principi elaborati dalla giurisprudenza, anche con quella maggiormente rigorosa nell'interpretazione della nozione di frode, intesa quale malafede contrattuale, consistente nel porre in essere un espediente malizioso o ingannevole, idoneo a far apparire l'esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti (sul punto Sez. 6, n. 45105 del 28/10/2021, Calderone, Rv. 282267; Sez. 6, n. 28130 del 18/09/2020, Canalis, Rv. 279721), espediente nel caso in esame ravvisabile, avuto riguardo alla peculiare natura del lavoro appaltato, proprio nel subdolo silenzio volto a non far emergere l'utilizzo in corso d'opera di un tipo di malta diversa e di minor qualità, accompagnato da accorgimenti, peraltro diversi da quelli auspicati, destinati a favorirne la presa.

Non valgono a disarticolare tale quadro i rilievi difensivi volti a segnalare aspetti tecnici concernenti l'appalto pubblico riguardante il (OMISSIS), assegnato alla (OMISSIS) nel novembre 2020.

8. Il decimo motivo e il corrispondente motivo aggiunto, riguardanti il delitto di truffa aggravata di cui al capo 10), sono infondati.

8.1. La Corte ha con precisione descritto l'operazione attraverso la quale la società (OMISSIS), tramite la sua apparente titolare, cioè C.R., che ha specificamente speso tale sua qualità, è riuscita ad ottenere un mutuo di Euro 1.500.000,00, in danno di Invitalia, trattandosi di mutuo erogato da Banca Progetto con la garanzia del Fondo di cui alla L. 662 del 1996, in base alla normativa legata alle provvidenze correlate all'emergenza pandemica.

Orbene, posto che, come già rilevato, la società (OMISSIS) faceva capo ai fratelli S., essendo la C. apparente intestataria e semplice dipendente, e posto che all'epoca le società del gruppo riconducibile ai fratelli S. erano soggette ad interdittiva antimafia, anche se di fatto ammesse al controllo giudiziario di cui all'art. 34-bis D.Lgs. n. 159 del 2011, deve ritenersi che avesse assunto effettivo rilievo, come ritenuto dai Giudici di merito, l'apparenza realizzata attraverso l'intestazione della società a C.R., inverata nella fase della richiesta del mutuo e della connessa garanzia, ciò che di per sè fa risaltare l'infondatezza del motivo aggiunto, volto a segnalare la risalenza dell'apparente intestazione.

8.2. Sta di fatto che in base alla normativa di riferimento, da ravvisarsi nel D.L. 23 del 2020, art. 13, comma 5, convertito dalla L. 40 del 2020, per le imprese che accedevano al Fondo di garanzia, qualora la documentazione antimafia non fosse immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati nazionale unica prevista dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 96, avrebbe potuto concedersi l'aiuto richiesto sotto condizione risolutiva in assenza della documentazione medesima, fermo restando che nel caso in cui fosse stata accertata una causa interdittiva sarebbe stata disposta la revoca di cui al D.Lgs. n. 159 cit., art. 92, commi 3 e 4, mantenendo tuttavia la garanzia.

A tale stregua risultava decisivo il momento genetico, in quanto in quella fase risultava cruciale che fornisse o meno indicazioni la banca dati nazionale, la quale non conteneva elementi riguardanti la (OMISSIS) o non ne conteneva di negativi, correlati al quadro proprietario e amministrativo In tal modo proprio il fatto che il mutuo e l'attivazione della garanzia fossero richiesti da soggetto immune da pregiudizi era tale da propiziare, nella fase della diretta consultazione della banca dati, rimessa all'ente responsabile del Fondo, il buon esito dell'operazione, di seguito potendosi determinare solo l'eventuale revoca ma con conferma della garanzia a tutela dell'istituto erogatore, con conseguente perdurante disponibilità di risorse pubbliche.

Così inquadrato il tema, risulta corretta la ricostruzione del Tribunale, che ha ravvisato il delitto contestato, non potendosi reputare rilevante in senso contrario la circostanza che altre società del gruppo S. avessero fruito dell'ammissione al controllo giudiziario di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 34-bis, peraltro allo scopo di superare gli effetti dell'interdittiva antimafia, da cui era rimasta indenne proprio la (OMISSIS).

Di qui la configurabilità anche in parte qua della gravità indiziaria e l'infondatezza dei motivi di ricorso.

9. Venendo infine all'undicesimo motivo relativo alle esigenze cautelari, deve prendersi atto che il ridimensionamento del quadro accusatorio, per effetto delle plurime ragioni di annullamento dell'ordinanza impugnata con riguardo a singole contestazioni, vale a disarticolare di per sè la valutazione operata dal Tribunale, imponendo un nuovo esame sul punto, esteso all'adeguatezza della misura in corso di esecuzione, con conseguente rinvio al Tribunale di Catanzaro.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata limitatamente ai capi di imputazione sub 3), 4), 5), 6) e 8) e rinvia per nuovo esame sulle esigenze cautelari al Tribunale del riesame di Catanzaro.

Rigetta il ricorso nel resto.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2022