Giu possibilità di ritenere legittima la riqualificazione del reato di ricettazione in quello di furto e viceversa, ai sensi degli artt. 521 e 522 c.p.p.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 08 agosto 2022 N. 30770
Casus Decisus
È legittima la riqualificazione sia della ricettazione in furto che viceversa sulla base della considerazione che ciò che conta ai fini della verifica non è la continenza degli elementi di fattispecie dell'una ipotesi nell'altra bensì la eventuale, concreta lesione o meno dei diritti di difesa, desunta dalla contestazione e dalla possibilità che l'imputato abbia avuto durante il dibattimento di confrontarsi con una ricostruzione dei fatti piena che copra anche i punti focali del reato riqualificato. Le disposizioni che disciplinano le nuove contestazioni, la modifica dell'imputazione e la correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza (artt. 516 e 522 c.p.p.) sono difatti funzionali ad assicurare il contraddittorio sul contenuto dell'accusa al fine di garantire il pieno esercizio del diritto di difesa dell'imputato, sicchè, tenendo conto delle finalità alle quali esse sono dirette, non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto da una modificazione dell'imputazione che pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato. Si è, inoltre, sostenuto, alla luce della regola di sistema desumibile dalla pronuncia della Corte EDU Drassich c. Italia del 11 dicembre 2007, che, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, la diversa qualificazione del fatto effettuata dal giudice di appello non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, poichè è consentito all'imputato di contestarla nel merito con il ricorso per cassazione (Sez. 5, n. 19380 del 12/2/2018, Adinolfi, Rv. 273204; Sez. 2, n. 17782 del 11/4/2014, Salsi, Rv. 259564; Sez. 3, n. 2341 del 7/11/2012, dep. 2013, Manara, Rv. 254135).

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 08 agosto 2022 N. 30770

Motivi della decisione

La disamina del ricorso non rifletterà l'ordine dei motivi seguito nella loro illustrazione, ma gli adattamenti funzionali alla più compiuta e conveniente trattazione delle questioni sviluppate in sede di impugnazione.

1. Il primo motivo dell'atto a firma dell'avv. Senatore e il corrispondente quarto motivo dell'atto a firma dell'avv. Provenzano sono inammissibili perchè interamente versati in fatto, oltre che manifestamente infondati.

Non negata l'azione (l'imputato non ha contestato la materialità della condotta a lui riferita), il tema difensivo è esclusivamente quello della qualificazione giuridica del fatto alla stregua di omicidio preterintenzionale (o al più di omicidio colposo) in luogo del contestato e ritenuto omicidio volontario. Tanto sulla scorta della prospettazione resa dall'imputato negli interrogatori (ossia di avere agito con l'intenzione di attingere la vittima alle gambe, mentre lo sparo al volto era stato determinato da mero errore esecutivo nella gestione del fucile) e della visione del filmato che ne riscontrerebbe la narrazione.

A ragione della conferma della condanna del F. per il delitto di omicidio volontario (l'imputato "non poteva non rappresentarsi l'evento morte come conseguenza pressochè certa della sua condotta, per il tipo di arma utilizzata, per la distanza del bersaglio e per la parte di corpo attinta"), la Corte di assise di appello, dopo aver illustrato il percorso informativo dell'antecedente decisione, cui ha fatto integrale rinvio (pp. 4 e ss), e il compendio probatorio formato dalle riprese della video camera di sorveglianza, dalle dichiarazioni dei testimoni, dalle dichiarazioni dello stesso imputato, dai rilievi di polizia giudiziaria, dall'esame autoptico e dalla consulenza tecnica, ha ineccepibilmente osservato che la visione diretta del filmato, in tesi pretermessa dal primo decidente, non lasciava spazio alcuno alle alternative ricostruzioni proposte dalla difesa nè dubbi sulla qualificazione giuridica del fatto giacchè, se era vero che il F. era entrato nel locale con il fucile abbassato, risultava altresì che il medesimo si era immediatamente diretto verso la vittima, alzando il fucile ed esplodendo un colpo da distanza ravvicinata, distanza stimata dalla polizia giudiziaria, sulla base dei rilievi metrici eseguiti sul posto, in circa 140/150 cm.

A fronte della giustificazione resa -esplosione del colpo dopo che l'arma era stata portata in posizione parallela al terreno- le deduzioni sviluppate ripetono, tal quali, ipotesi ricostruttive alternative già esaminate dai giudici del merito e da questi, concordemente e più che plausibilmente, per gli aspetti decisivi, completamente smentite. Consistono dunque essenzialmente in argomenti in fatto, non riproponibili in questa sede.

Nè sussiste alcuna delle antinomie denunziate.

1.1. Quelle relative alla contraddizione esterna della motivazione, per contrasto con i dati acquisiti, riferite all'asserito diverso contenuto del filmato, non attengono in realtà ad alcun, neppure ipotetico, "travisamento" dei dati esposti (nell'unica accezione ammissibile in questa sede, dell'errore revocatorio, per omissione o invenzione, sui significanti), ma hanno semmai ad oggetto i significati loro attribuiti e, dunque, la possibilità di una diversa interpretazione degli elementi indicati dai giudici di appello. Sicchè neppure occorre soggiungere che le pretese allegazioni a sostegno sono intrinsecamente inidonee a sostenere le tesi interpretative, qui inopinatamente ripetute, tanto emergendo dagli stessi argomenti spesi nel ricorso, laddove non si esclude che F., avvicinandosi alla vittima, abbia alzato il braccio cui ha fatto seguito l'esplosione del colpo, ma si assume che il braccio destro e, con esso l'arma, tenuta nella mano, dapprima si sia sollevato per assecondare il movimento del corpo, quindi sia stato volontariamente ulteriormente alzato, ma il peso del fucile ne avrebbe comportato una torsione verso l'esterno e, nel frangente, il "probabile" involontario schiacciamento del grilletto.

Il vizio denunziato non cade, dunque, sul significante, ma sulla possibilità di una sua diversa interpretazione, tali essendo, nella sostanza, le delineate censure, tutte attinenti alla plausibilità della valutazione compiuta dai giudici di merito, cui è meramente e semplicemente contrapposta una lettura alternativa, nemmeno combaciante, dal momento che nell'atto a firma dell'avvocato Provenzano, si afferma che il colpo era stato accidentalmente esploso quando il fucile era ancora rivolto verso il basso, mentre nell'atto a firma dell'avvocato Bartolo si assume che il sollevamento dell'arma avrebbe determinato una torsione dell'arto dovuta al peso del fucile, portato come una pistola, e il conseguente inopinato schiacciamento del grilletto.

Del resto i difensori (che non mancano di rimarcare le ridotte dimensioni del locale; la posizione della vittima, seduta presso il banco di mescita a tre metri di distanza dall'ingresso; la possibilità per l'imputato di mandare a segno il colpo, senza necessità di avvicinarsi al B.) assumono che la tesi sostenuta da F., intenzionato solo a intimidire il B., o al più a colpirlo alle gambe, sarebbe riscontrata dalle immagini filmate, ma omettono di confrontarsi con le dichiarazioni dello stesso imputato (sintetizzate nella sentenza di primo grado) che ha ammesso di "aver sparato" con l'intenzione di attingere la vittima alle gambe, affermazione in insanabile contrasto con l'asserito schiacciamento involontario del grilletto. Nemmeno il diretto interessato, dunque, pur nel tentativo di ridimensionare le proprie responsabilità, ha mai sostenuto di aver accidentalmente esploso il colpo, affermando al contrario di aver premuto il grilletto, seppur mirando alle gambe dell'avversario.

1.2. Anche le censure relative a presunte contraddizioni interne alla sentenza impugnata sono, da un lato, ancora in fatto e, dall'altro, manifestamente infondate, perchè per lo meno fraintendono, se non apertamente travisano, i brani della motivazione che pretendono di denunziare.

L'affermazione che il colpo, risultato esiziale, diversamente da quanto opinato dalle difese, era stato esploso con l'intenzione di attingere parti vitali e con animus necandi è sorretta difatti: dalla puntuale ricostruzione dell'antefatto (il diverbio verbale e la chiara esternazione del proposito di vendetta); dalla diretta percezione dell'azione dell'imputato mediante la visione del filmato (che ne ha documentato l'ingresso nel locale, l'immediato avvicinamento alla vittima, il sollevamento dell'arma, l'esplosione del colpo e il subitaneo allontanamento) e dalla conforme descrizione fornita da tutti gli avventori presenti all'interno del pub (cfr. p. 10 della sentenza di primo grado); dalle caratteristiche dell'arma usata che, come rilevato dai giudici di merito, era già pronta all'uso, essendo stata caricata dall'imputato immediatamente prima del suo ingresso nel locale (come documentato dalle immagini); dalla distanza, traiettoria e direzione del colpo a zona vitale, tanto in considerazione anche della posizione della vittima, che si trovava seduta. E tutte codeste osservazioni, basate su di una lettura dei dati di fatto non suscettibile di rivalutazione in questa sede, hanno portato a conclusioni in diritto incensurabili.

1.3. Manifestamente infondata è quindi la doglianza che l'elemento soggettivo sarebbe stato individuato senza verificare approfonditamente la volontà dell'agente nè considerare l'unicità del colpo. In assenza di strumenti introspettivi sono normalmente le circostanze di fatto che devono essere indagate quali elementi sintomatici dell'atteggiamento soggettivo, mentre dell'unicità del colpo i giudici di merito si sono implicitamente occupati, per indurre proprio dalle sue caratteristiche di direzione, dalla distanza dello sparo, dalle posizioni di vittima e sparatore, la tranquillante certezza dell'intenzione dell'agente. E siffatte considerazioni non solo risultano articolate e coerenti con i dati fattuali esposti, ma consentono di ritenere, in diritto, del tutto corretta la conclusione della evidenza di un'azione offensiva sorretta se non dolo intenzionale quanto meno da dolo diretto alternativo.

2. Infondate sono, poi, le censure che lamentano il mancato riconoscimento della provocazione.

2.1. Correttamente la Corte di appello ha confermato il diniego dell'invocata attenuante, osservando che, considerati l'antefatto (un semplice diverbio verbale con la vittima), la condotta fredda e determinata tenuta successivamente dell'imputato, la concreta dinamica dell'azione omicidiaria, risultava evidente l'assoluta sproporzione, rispetto all'ingiustizia asseritamente subita, della preordinata azione ritorsiva, sorretta dall'intenzione di infliggere una punizione al presunto offensore e, dunque, costituente autonomo movente del gravissimo atto delittuoso.

2.2. In particolare, della c.d. provocazione per accumulo riferisce soltanto l'imputato, che ha giustificato la sua reazione evocando reiterate vessazioni asseritamente inflittegli dalla vittima per il mancato pagamento di un debito per acquisto di droga. Ma tale prospettazione difensiva è rimasta priva di riscontri oggettivi e, d'altronde, neppure sull'episodio scatenante il ricorso si confronta con il dato probatorio acquisito, puntualmente illustrato nella sentenza di primo grado. I testi I.K., C.M., T.C., S.C. hanno, infatti, concordemente riferito di un diverbio intercorso esclusivamente tra B. e N.M. che aveva avuto luogo all'interno del pub mentre F. si trovava all'esterno intento a colloquiare con un altro avventore; solo M. ha aggiunto che l'imputato aveva inopportunamente deciso di entrare per salutare il B., il quale, vedendolo, lo aveva diffidato ad allontanarsi, dicendogli "vattene infame non sei buono".

Ed allora le considerazioni svolte dai giudici di merito, che hanno rimarcato l'evidente sproporzione tra la pretesa offesa e la reazione, osservando come l'epiteto ingiurioso fosse stato mero pretesto e non causa della soverchiante reazione, appaiono complessivamente adeguate e non sono censurabili in questa sede perchè si fondano sull'apprezzamento di aspetti fattuali esaurientemente scandagliati e plausibilmente valutati.

2.3. In diritto è quindi assolutamente corretta l'osservazione che l'attenuante della provocazione è inapplicabile, pur in presenza di fatti apparentemente ingiusti della vittima, allorchè la reazione appaia sotto ogni profilo eccessiva e così inadeguata rispetto all'episodio dal quale trae spunto, da fare escludere la sussistenza di un ragionevole nesso causale tra offesa e reazione, ossia la sussistenza di quella condizione di intensa eccitazione caratterizzata da perdita di controllo nella quale si risolve tradizionalmente lo stato d'ira, facendo propendere invece per l'esistenza di uno stimolo psichico affatto diverso, connotato ad esempio da sentimenti di rancore o di vendetta.

A risultare decisivo nel caso in esame, al fine dell'esclusione dell'attenuante, è l'affermata impossibilità di predicare, secondo l'insindacabile valutazione dei giudici del merito, nell'occasione una reazione in stato d'ira.

E invero, è proprio la sussistenza della connotazione soggettiva, costituita dallo "stato d'ira" che muove l'azione offensiva, a rappresentare la ragione giustificatrice del riconoscimento di una minore gravità del fatto e a tipizzare la circostanza attenuante evocata. Occorre pur sempre, insomma, "che l'azione del colpevole costituisca una reazione e che questa reazione avvenga mentre permane lo stato d'ira"; e se anche "il requisito della simultaneità, della immediatezza, non è espresso dalla formula del testo", e non è perciò richiesto, "ciò che conta è che il colpevole, provocato, reagisca in stato d'ira" (Rel. Guardasigilli sub art. 62, p. I, pag. 114).

Mentre nel caso concreto, stando a quanto affermano i giudici di merito, a fronte della semplice ingiuria labiale, l'imputato non aveva esitato a tornare a casa, ad armarsi e a ritornare indietro, avendo cura di celare il volto con un passamontagna prima di fare ingresso nel locale, dimostrando così fredda determinazione nella preparazione e esecuzione del reato, sicchè la pretesa ingiustizia aveva rappresentato solo il pretesto per dare sfogo a sentimenti di malanimo e di sopraffazione e l'occasione di "poter affermare la propria personalità criminale".

In definitiva, non è stata ritenuta dubbia una reazione in stato d'ira, ma è stato argomentatamente escluso che potesse ravvisarsi siffatta situazione.

3. Infondate sono pure le censure che involgono la riqualificazione operata all'esito del giudizio di appello dell'imputazione di furto di cui al capo a) in quella di ricettazione (secondo motivo ricorso avv. Bartoli e primo motivo ricorso avv. Provenzano).

3.1. Sulla questione della possibilità di ritenere legittima la riqualificazione del reato di ricettazione in quello di furto e viceversa, ai sensi degli artt. 521 e 522 c.p.p., vi è stato contrasto in passato nella giurisprudenza di legittimità.

Attualmente, tuttavia, è dominante l'atteggiamento interpretativo che ritiene legittima la riqualificazione sia della ricettazione in furto che viceversa sulla base della considerazione che ciò che conta ai fini della verifica non è la continenza degli elementi di fattispecie dell'una ipotesi nell'altra bensì la eventuale, concreta lesione o meno dei diritti di difesa, desunta dalla contestazione e dalla possibilità che l'imputato abbia avuto durante il dibattimento di confrontarsi con una ricostruzione dei fatti piena che copra anche i punti focali del reato riqualificato (Sez. 2, n. 38889 del 16/09/2008, Depau, Rv. 241446; Sez. 2, n. 18729 del 14/04/2016, Russo, Rv. 266758; Sez. 2, n. 11627 del 14/12/2018, Scardina, Rv. 275770; Sez. 5, n. 36157 del 30/04/2019, Gugliotta, Rv. 277403).

Le disposizioni che disciplinano le nuove contestazioni, la modifica dell'imputazione e la correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza (artt. 516 e 522 c.p.p.) sono difatti funzionali ad assicurare il contraddittorio sul contenuto dell'accusa al fine di garantire il pieno esercizio del diritto di difesa dell'imputato, sicchè, tenendo conto delle finalità alle quali esse sono dirette, non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto da una modificazione dell'imputazione che pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato.

Si è, inoltre, sostenuto, alla luce della regola di sistema desumibile dalla pronuncia della Corte EDU Drassich c. Italia del 11 dicembre 2007, che, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, la diversa qualificazione del fatto effettuata dal giudice di appello non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, poichè è consentito all'imputato di contestarla nel merito con il ricorso per cassazione (Sez. 5, n. 19380 del 12/2/2018, Adinolfi, Rv. 273204; Sez. 2, n. 17782 del 11/4/2014, Salsi, Rv. 259564; Sez. 3, n. 2341 del 7/11/2012, dep. 2013, Manara, Rv. 254135).

3.2. Nel caso al vaglio, il ricorrente lamenta che vi sia stata violazione del diritto di difesa conseguente alla modifica dell'imputazione, poichè mancherebbero, nel delitto di furto inizialmente contestato (sulla base della confessione resa dal prevenuto, dichiaratosi autore della sottrazione del fucile, poi utilizzato per la commissione dell'omicidio), gli elementi di fattispecie della ricettazione, costituiti dalla condotta di acquisto, ricezione, occultamento di cose provenienti da un qualsiasi delitto.

3.3. Deve premettersi che con l'atto di appello la difesa dell'imputato aveva chiesto l'assoluzione dal reato di furto per non aver commesso il fatto, rilevando come il primo giudice avesse basato la condanna sulle sole dichiarazioni confessorie dell'imputato senza tener conto, da un lato, che solo uno dei tre fucili sottratti era stato rinvenuto, due anni dopo il furto, nella disponibilità del F. e, dall'altro, del franco giudizio di inattendibilità che lo stesso primo giudice aveva formulato sul complesso delle dichiarazioni rese dall'imputato nel corso del procedimento.

La Corte di assise di appello, in accoglimento del motivo di gravame, è pervenuta alla riqualificazione del fatto sub a) come ricettazione limitatamente al fucile Beretta cal. 12, osservando che se doveva ritenersi pacificamente provato il possesso da parte del F. del suddetto fucile impiegato nell'esecuzione dell'omicidio, non poteva ritenersi provato che il furto ai danni del M. fosse stato commesso dall'imputato, sia perchè la sottrazione delle armi era avvenuta due anni prima dell'omicidio, sia perchè la dichiarazione confessoria non appariva attendibile, in quanto generica e assolutamente imprecisa quanto al luogo e al tempo dell'azione predatoria asseritamente perpetrata.

3.4. Ed allora, non può sottacersi, da un lato, che la contestazione relativa al furto riferisce specificamente la data di commissione del fatto, la proprietà dell'abitazione dove esso è avvenuto, l'oggetto della refurtiva, elementi dai quali, in uno all'incontestato possesso da parte dell'imputato di uno dei fucili sottratti, quello impiegato per eseguire l'omicidio, si può senza particolari problemi cognitivi e logici individuare il contenuto della condotta di acquisto e ricezione, prodromica all'accertato e non controverso possesso del dispositivo; dall'altro, neppure può porsi, nel caso di specie, alcun problema in punto di prevedibilità e di attuazione del contraddittorio, posto che l'intervenuta riqualificazione non è frutto di un atto a sorpresa del giudice, avendo proprio l'atto di impugnazione di fatto introdotto nel giudizio la questione della riqualificazione giuridica del fatto a fronte della pacifica disponibilità da parte del F. dell'arma di provenienza furtiva, rinvenuta nel luogo, in cui era stata occultata dopo la commissione dell'omicidio, sulla scorta delle indicazioni fornite dallo stesso imputato. La diversa qualificazione non ha determinato, dunque, alcuna compressione del diritto di difesa e l'imputato non solo non l'ha contestata nel merito con il ricorso per cassazione, ma nemmeno può dolersi di un conseguente, ma indimostrato, aggravamento sanzionatorio in violazione del divieto di reformatio in peius.

4. Quanto al denunziato vizio di motivazione in relazione "all'affermazione di responsabilità dell'imputato per il furto dei restanti fucili" (secondo motivo del ricorso a firma dell'avv. Provenzano), effettivamente va riscontrato il difetto grafico nella parte dispositiva della corrispondente statuizione per quella parte della imputazione non oggetto di riqualificazione. Ma tale carenza non comporta che sia stata mantenuta ferma la pronuncia di condanna per il reato di furto dei fucili di cui ai n. 1 e 2 del capo a) di rubrica (evenienza della quale apertamente dubita lo stesso ricorrente), la cui riferibilità all'imputato è stata chiaramente esclusa in motivazione con conseguente assoluzione dal reato di detenzione e porto dei tre fucili, contestato come commesso il (OMISSIS), data di consumazione del furto. Si è in presenza, dunque, di un'omissione meramente formale, alla quale può porre rimedio questa Corte, ai sensi dell'art. 620 lett. I), c.p.p., annullando senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di furto dei fucili Benelli cal. 12 e alla carabina "Saint Etienne" cal. 9, perchè l'imputato non ha commesso il fatto.

5. Manifestamente infondato è, invece, il terzo motivo dell'atto a firma dell'avv. Provenzano, con cui si lamenta il mancato riconoscimento della continuazione tra il capo a) come riqualificato e il reato di omicidio. Ad avviso della difesa, l'intervenuta riqualificazione del fatto da furto in ricettazione non consentirebbe di rintracciare con esattezza il momento in cui l'imputato era venuto in possesso del fucile e, dunque, in base al principio del favor rei avrebbe dovuto ritenersi l'acquisizione dell'arma pressochè contestuale all'esecuzione dell'omicidio e, conseguentemente, la medesimezza del disegno criminoso.

Ma tale assunto mostra semplicemente di ignorare le contrarie acquisizioni probatorie deponenti senza incertezza per la previa detenzione dell'arma; basti considerare al riguardo le dichiarazioni del teste M. e dello stesso imputato (dopo il diverbio con la vittima, F. si era recato a casa, si era armato e senza soluzione di continuità aveva fatto ritorno al pub, consumando l'omicidio), come pure le dichiarazioni dell'ex compagna e della figlia del prevenuto (sintetizzate a p. 5 della sentenza di primo grado) concordi nel riferire il possesso da parte del congiunto di un fucile da caccia detenuto nella propria abitazione. Non è dato, pertanto, rilevare alcuna unitaria matrice ideativa e deliberativa accomunante la ricettazione dell'arma e il suo successivo impiego nell'esecuzione del delitto.

Impropriamente evocato è, poi, il principio del favor rei che, secondo l'assunto difensivo, dovrebbe comportare il riconoscimento della continuazione, anche in costanza del dubbio in merito alla sussistenza del medesimo disegno criminoso. L'affermazione, ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte, che l'istituto della continuazione è informato al principio del favor rei si riferisce, invero, alla funzione dell'istituto in virtù del quale, attraverso la finzione giuridica della continuazione, più reati concorrenti vengono considerati come unico reato allo scopo di attenuare il rigore del cumulo materiale delle pene. Ma il presupposto di tale trattamento di favore è pur sempre l'acquisizione di specifici elementi che consentano di ravvisare una comune cornice ideativa e deliberativa tra i fatti-reato. Viceversa, resta del tutto estraneo ogni collegamento tra il favor rei e l'accertamento della continuazione: essa deve sempre formare oggetto di positivo accertamento, non potendo il dubbio suffragare l'accertamento dell'identità del disegno criminoso, ineludibile presupposto del trattamento sanzionatorio di favore.

6. Manifestamente infondato è anche il motivo relativo all'applicazione della contestata recidiva. Non sussistono all'evidenza nè la denunziata violazione di legge (solo labialmente evocata nell'atto a firma dell'avv. Provenzano) nè il vizio di motivazione, avendo i giudici di appello richiamato i numerosi precedenti penali dell'imputato anche per reati in materia di armi ed uso di violenza, annotando come "il grave fatto omicidiario oggetto di imputazione, alla luce della dinamica dell'azione lesiva e della fredda determinazione dimostrata nell'esecuzione del reato costituisca espressione di incrementata capacità a delinquere".

La motivazione sul punto è tutt'altro che inesistente o meramente apparente, essendo stata chiaramente espressa la convinzione che il tipo e la gravità dei precedenti penali dell'imputato coloravano di estremo allarme i fatti in esame. E tanto basta a giustificare la non esclusione dell'aggravante e l'incremento di pena da essa conseguente, in nulla inficiati dalle contrarie deduzioni difensive, peraltro nemmeno autosufficienti, che spendono argomenti quali la risalenza nel tempo dei precedenti, la proclamata, ma indimostrata, modestia degli stessi, la condotta formalmente immune da ricadute tenuta medio tempore dall'imputato e la natura estemporanea della condotta offensiva in danno del B., rispetto alla quale si valorizzano aspetti (provocazione e animus laedendi), motivatamente esclusi dai giudici del merito.

E' appena il caso di aggiungere, in risposta all'ulteriore osservazione articolata con i motivi nuovi, che, "ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata, non è necessaria una precedente dichiarazione di recidiva contenuta in altra sentenza di condanna dell'imputato,... ma è sufficiente che al momento della consumazione del reato l'imputato risulti gravato da più condanne definitive per reati che, in relazione a quello oggetto di giudizio, manifestano una sua maggiore pericolosità sociale". (Sez. 2, n. 15591 del 24/03/2021, Di Maio, Rv. 281229. In termini: Sez. 2, n. 21451 del 05/03/2019, Gasmi Adel, Rv. 275816; Sez. 5, n. 47072 del 13/06/2014, Hoxha, Rv. 261308; Sez. 2, n. 18701 del 07/05/2010, P.G. in proc. Arullani, Rv. 247089 Sez. 5, n. 41288 del 25/09/2008, Moccia, Rv. 241598, e molte altre ancora); mentre impropriamente evocato è il principio fissato da Sez. 2, n. 37063 del 26/11/2020, Kassimi Soufiane, Rv. 280436, secondo cui "E' preclusa l'applicazione della recidiva reiterata, di cui all'art. 99, comma 4, c.p., nel caso in cui non sia mai stata precedentemente applicata la recidiva, semplice, aggravata o pluriaggravata, per la mancanza del presupposto formale dell'anteriorità della data di irrevocabilità della precedente sentenza rispetto a quella di commissione del nuovo reato", presupposto, nel caso in esame, insussistente e nemmeno dedotto dal ricorrente.

7. Non colgono nel segno neanche le doglianze articolate con riguardo al trattamento sanzionatorio e alle circostanze innominate.

7.1. La Corte di assise di appello ha motivatamente negato le circostanze attenuanti generiche, evidenziando l'assenza di elementi positivi idonei a rifluire nel giudizio di attenuazione ai sensi dell'art. 62 bis c.p., e al contrario l'esistenza di plurimi elementi negativi, ostativi all'invocato riconoscimento: le gravissime modalità del fatto, la lucida determinazione dimostrata dall'imputato nella preordinazione (reperimento dell'arma e travisamento) e nella esecuzione dell'omicidio, così ineccepibilmente richiamando criteri desumibili dall'art. 133 c.p., plausibilmente stimati di prevalente portata, e insindacabilmente ritenendo ininfluente il successivo comportamento dell'imputato, peraltro improntato al costante ridimensionamento del grave gesto compiuto.

7.2. Anche con riferimento alla determinazione nel massimo edittale della pena inflitta per il reato di omicidio, la motivazione fornita è inappuntabile, essendo stati valorizzati i precedenti penali dell'imputato in materia di armi, l'allarmante gravità del fatto in sè, le modalità esecutive dell'azione, l'intensità del dolo, il gravissimo danno cagionato alle parti civili per la perdita del congiunto poco più che ventenne.

Mentre all'evidenza priva di pregio è la tesi difensiva, secondo cui si sarebbe inammissibilmente duplicata la rilevanza penalistica degli stessi elementi di fatto per determinare la pena per l'omicidio, applicare l'aggravamento sanzionatorio per la recidiva e negare le circostanze attenuanti generiche. Giova in proposito rammentare il principio di diritto in forza del quale, ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto di uno stesso elemento che abbia attitudine a influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del "ne bis in idem" (cfr., tra le molte, Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, M, Rv. 275904 che ha ritenuto immune da vizi la motivazione della Corte d'appello che aveva fatto riferimento ai medesimi elementi indicativi della gravità del fatto per determinare la pena in misura superiore al minimo e per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; Sez. 6, n. 45623 del 23/10/2013, Testa, Rv. 257425, che ha escluso l'utile evocazione del principio del cosiddetto ne bis in idem sostanziale, valido nell'ambito di operatività dell'art. 15 c.p., per negare che il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale in punto di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e determinazione della sanzione ex art. 133 c.p., possa utilizzare più volte lo stesso fattore per giustificare le scelte operate in ordine agli elementi la cui determinazione è affidata al suo prudente apprezzamento, purchè il fattore stesso presenti un significato polivalente, così ritenendo legittima la decisione impugnata che, attraverso il riferimento alla gravità del fatto e ai precedenti penali, aveva negato le circostanze attenuanti generiche ed esercitato al tempo stesso in senso sfavorevole la facoltà di ritenere la recidiva, applicando l'aumento di pena corrispondente).

8. Infine non merita considerazione il terzo motivo dell'atto a firma dell'avv. Bartoli, con cui si lamenta la violazione del "principio di stretta legalità della pena" in cui il giudice sarebbe incorso nella determinazione del trattamento sanzionatorio, non avendo precisato in che misura e per quali reati la pena base era stata aumentata e portata a trenta anni di reclusione, posto che gli aumenti applicabili sia per la recidiva che per la continuazione avrebbero potuto essere contenuti anche nel limite di un solo giorno.

I giudici del merito hanno indicato la pena base per il reato di omicidio in 24 anni di reclusione, osservando che detta sanzione, tenuto conto della recidiva e del concorso degli altri reati, poteva essere aumentata, in forza del combinato disposto di cui agli artt. 66 (recte, art. 64) e 78 c.p., al massimo sino a anni 30 di reclusione, ridotta nella misura applicata per la diminuente del rito.

Ora, sembra sfuggire al ricorrente che il solo aumento per la recidiva generica reiterata (come contestata e ritenuta con riferimento al capo f di rubrica) è fissato dall'art. 99, comma 4, c.p., nella metà, salvo lo sbarramento quantitativo previsto dall'art. 99, ultimo comma, c.p., mentre l'aumento da imputare alla continuazione non può essere inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, sempre che l'imputato sia già stato dichiarato recidivo reiterato con precedenti condanne.

Nel caso in esame, già il solo aumento per la recidiva (come confermato dalla lettura del certificato del casellario giudiziale, dal quale peraltro risulta che l'imputato è già stato dichiarato recidivo reiterato) ha comportato l'applicazione del criterio mitigatore di cui all'art. 64, comma 2, c.p., correttamente evocato.

E, d'altro canto, la censura si concreta esclusivamente nella doglianza della mancata indicazione dell'aumento per la recidiva, per la continuazione e per i singoli reati, tema nemmeno devoluto all'attenzione del giudice di appello con conseguente implicita acquiescenza sul punto, mentre nessuno specifico rilievo è stato articolato sulla denunziata illegalità della pena irrogata e nemmeno risulta allegato uno specifico interesse alla quantificazione degli aumenti apportati.

9. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al capo a) della rubrica per i fucili di cui ai n. 1) e 2) perchè l'imputato non ha commesso il fatto. Nel resto il ricorso, nel complesso quanto meno infondato, va rigettato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo a) della rubrica per i fucili di cui ai numeri 1) e 2) per non aver commesso il fatto.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2022