Giu Il delitto di illecita influenza sull'assemblea ex art. 2636 cod. civ.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 23 settembre 2022 N. 36000
Massima
Il delitto di illecita influenza sull'assemblea ex art. 2636 cod. civ., nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 61 del 2002, è integrato da qualsiasi operazione che artificiosamente consenta di alterare la formazione delle maggioranze assembleari, rendendo così di fatto possibile il conseguimento di risultati vietati dalla legge o non consentiti dallo statuto della società.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 23 settembre 2022 N. 36000

Motivi della decisione

1. I ricorsi sono complessivamente infondati e devono essere rigettati.

2. Il primo motivo, di ordine processuale, è inammissibile.

Anzitutto, è necessario chiarire che, al fine di verificare le eccezioni di nullità in tale motivo proposte, può prescindersi dalla questione relativa a se il rinvio, disposto all'udienza preliminare del 21 novembre 2017 (per l'udienza del 6 febbraio 2018) andasse o meno stabilito, sul presupposto che la notifica dell'avviso per l'udienza fosse stata eseguita, benchè in unica copia, al difensore anche nella veste di domiciliatario dei ricorrenti ovvero solo nella sua veste di patrocinatore (sul tema, che afferisce pacificamente ad una mera irregolarità e non ad un'ipotesi di nullità, cfr. Sez. 2, n. 19277 del 13/4/2017, La Marra, Rv. 269916; Sez. 2, n. 50976 del 17/9/2015, Petrarca, Rv. 265759; Sez. 1, n. 14012 del 7/3/2008, Petrisor, Rv. 240138; nonchè Sez. 2, n. 8887 del 17/1/2019, Sabattini, Rv. 276528; Sez. 1, n. 12309 del 29/1/2018, Viggiani, Rv. 272313, che hanno ampliato le ragioni della tesi che sostiene la legittimità dell'invio dell'atto di citazione per l'udienza in unica copia al difensore domiciliatario con esplicito riguardo alle notifiche via pec).

Ed infatti, anche a voler ammettere quanto sostiene la difesa, e cioè che la nullità sussistesse, poichè la notifica via pec dell'avviso per l'udienza preliminare era stata effettuata al difensore non indicandone la sua qualità di domiciliatario dei ricorrenti, questa è stata già sanata attraverso il rinvio disposto dal giudice dell'udienza preliminare per la successiva data fissata al 6.2.2018, in accoglimento proprio delle ragioni eccepite dalla difesa.

Dunque, non vi è questione di nullità che attenga a tale aspetto, già sanato in sede di udienza preliminare.

Quanto alla legittimità della notifica ai ricorrenti della citazione per l'udienza di rinvio, che, pur nel resto completa, mancherebbe dell'allegazione cli copia del verbale contenente la data del rinvio, appare corretta - anche rispetto agli insegnamenti di Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, dep. 2005, Palumbo, Rv. 229539 - l'impostazione della Corte d'Appello, che ha valorizzato la presenza del difensore in udienza, il 21.11.2017, quale legale che rappresentava ed assisteva entrambi i ricorrenti e che, pertanto, ha potuto direttamente essere destinatario dell'informazione relativa al rinvio, in accoglimento della sua stessa eccezione di nullità.

Ed anche a voler ammettere la sussistenza di una qualche violazione delle regole sulle modalità di esecuzione della notifica stessa - giammai, infatti, potrebbe ragionarsi in termini di nullità assoluta in una simile ipotesi, che non attiene nè ad un'omessa notifica nè ad una notifica che, eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato - essa si atteggerebbe nelle forme, al più, di una nullità a regime intermedio, sanata dalla mancata eccezione all'udienza di rinvio da parte del difensore, che nulla ha osservato al riguardo neppure nel motivo di ricorso proposto dinanzi al Collegio.

3. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato e, a monte, privo di interesse.

Infatti, i ricorrenti deducono la violazione delle regole processuali che sovrintendono al meccanismo di sospensione della prescrizione senza evidenziare II decorso del termine relativo e l'estinzione del reato per tale causa; la prescrizione del reato, peraltro, si collocherebbe al 13 ottobre 2022, a prescindere da qualsiasi periodo di sospensione dei termini, di cui, dunque, non è necessario tener conto nel giudizio di legittimità.

In ogni caso, qualsiasi illegittima statuizione relativa alla sospensione dei termini di prescrizione, visti i caratteri predeterminati normativamente della dichiarazione di sospensione, non avrebbe conseguenze, poichè l'illegittima disposizione del giudice non può avere effetti negativi per l'imputato (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 47160 del 22/10/2019, Monticone, Rv. 277893).

4. Non è fondato il terzo motivo di ricorso.

4.1. Il reato previsto dall'art. 2636 c.c. - contestato ai ricorrenti nelle forme della condotta di illecita influenza sull'assemblea dei soci della società cooperativa a r.l. (OMISSIS), per la formazione di maggioranza attraverso atti simulati e fraudolenti (consistiti nella falsificazione del libro dei soci di detta società, retrodatando al 24.11.2014 la data dell'ingresso come soci di alcuni degli imputati), in vista dell'assemblea dei soci del 13.4.2015, in cui poi, parallelamente, si deliberava l'esclusione dei soci Gi. e P. per asseriti inadempimenti e per asserita indegnità, procurandosi il profitto costituito dal pieno controllo della società - è posto a tutela dell'interesse al corretto funzionamento dell'organo assembleare e ciò che rileva è che la condotta abbia effettivamente inciso sulla formazione della maggioranza assembleare.

In altre parole, il delitto di illecita influenza sull'assemblea ex art. 2636 c.c., nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 61 del 2002, è integrato da qualsiasi operazione che artificiosamente consenta di alterare la formazione delle maggioranze assembleari, rendendo così di fatto possibile il conseguimento di risultati vietati dalla legge o non consentiti dallo statuto della società (Sez. 2, n. 20451 del 4/2/2020, Panza, Rv. 279432; Sez. 5, n. 17939 del 21/5/2013, Colombo Rv. 260192; Sez. 5, n. 555 del 14/10/2011, Riggio, Rv. 252661; Sez. 1, n. 17854 del 3/3/2009, Di Pietro, Rv. 243675, in motivazione).

La condotta tipizzata dalla norma incriminatrice richiede - rispetto al previgente art. 2630 c.c., comma 1, n. 3, - un elemento di frode integrato da comportamenti artificiosi aventi carattere simulatorio idoneo a realizzare un inganno, sicchè il precetto sanzionato si configura come reato a forma vincolata; inoltre - essendo il reato posto a tutela dell'interesse al corretto funzionamento dell'organo assembleare - per la sua consumazione è necessario che la condotta abbia effettivamente inciso sulla formazione della maggioranza, trattandosi di fattispecie criminosa costruita come reato di evento, diversamente da quella contemplata dal previgente art. 2630 c.c. (Sez. 5, n. 17939 del 21/5/2013, Rv. 260192, cit.).

Si tratta, dunque, di un reato di evento a forma vincolata che, sotto il profilo psicologico, è caratterizzato dal dolo specifico, in quanto l'agente, oltre ad avere la consapevolezza di determinare la maggioranza assembleare mediante atti simulati o fraudolenti, deve agire al fine di perseguire per sè o per altri un ingiusto profitto, che può essere anche di natura non patrimoniale.

Ed è condivisa opinione ritenere che la nozione di "atti simulati" contenuta nell'art. 2636 c.c., non deve essere intesa in senso civilistico, con esclusivo riferimento all'istituto della simulazione regolato dall'art. 1414 c.c. e segg., ma deve essere inquadrata in una tipologia di comportamenti più ampia, che include qualsiasi operazione che artificiosamente permetta di alterare la formazione delle maggioranze assembleari, rendendo possibile il conseguimento di risultati vietati dalla legge o non consentiti dallo statuto della società (così la sentenza del 2009, Di Pietro, cit.).

In questa cornice sistematica sono state individuate alcune situazioni "tipo", riconducibili nella fattispecie di reato prefigurata dall'art. 2636 c.c.:

a) il comportamento del socio, che si avvalga di azioni o quote non collocate, intendendo per tali quelle non vendute, ovvero quelle per le quali il socio non abbia effettuato, nei termini prescritti, il versamento di quanto dovuto;

b) il comportamento del socio che, occultando la mora nei versamenti, che gli precluderebbe il diritto di voto, tragga in inganno l'assemblea, facendosi apparire come portatore di un diritto di voto, del quale in realtà non è titolare;

c) le dichiarazioni mendaci o reticenti, provenienti dagli amministratori o dai terzi, con le quali l'assemblea od i singoli soci vengano tratti in inganno sulla portata o convenienza di una delibera;

d) l'incetta di deleghe fraudolentemente realizzata in violazione dei limiti posti dall'art. 2372 c.c.;

d) la maliziosa convocazione di un'assemblea in tempi o luoghi tali da precludere un'effettiva partecipazione dei soci;

e) i possibili abusi funzionali della presidenza dell'assemblea, a qualsiasi soggetto affidata ex art. 2371 c.c., quali l'artificiosa o fraudolenta esclusione dal voto di soggetti aventi diritto o, all'inverso, l'ammissione al voto di soggetti non legittimati;

f) la falsificazione della documentazione relativa all'assemblea dei soci. In tutte le citate situazioni "tipo" è possibile individuare ipotesi di "illecita influenza sull'assemblea", in quanto la illiceità della condotta è connotata dalla presenza di atti simulati o fraudolenti che hanno avuto efficacia determinante per l'adozione di deliberazioni assembleari assunte in violazione di divieti legali o statutari.

4.2. Alla luce dell'inquadramento generale sinora esposto, che illumina la ratio della fattispecie penale, deve essere esaminata la condotta dei ricorrenti.

Ebbene, essi, in realtà, non contestano che la loro condotta abbia influito sulla corretta formazione della maggioranza assembleare, ma intendono rivalutare, in fatto - e, dunque, per questa parte della ragione di ricorso, inammissibilmente (cfr. Sez. l'esistenza della necessaria componente fraudolenta del reato.

Si dimentica, al riguardo, che entrambe le sentenze di merito hanno individuato indicatori di configurabilità, nel caso di specie, del reato di illecita influenza sull'assemblea dei soci; vale a dire:

- la predisposizione di atti fraudolenti, consistiti nella falsificazione del libro soci;

- la creazione di una maggioranza assembleare non genuina in cui l'estromissione delle parti civili era stata deliberata dai soci che non avevano diritto al voto;

- il nesso di causalità tra gli atti fraudolenti e la determinazione della maggioranza assembleare "alterata";

- il dolo specifico consistente nel volersi procurare un profitto costituito dal controllo totalitario della società.

Quanto al danno per le parti civili o all'ingiusto profitto per i ricorrenti, tali elementi, pur ritenuti provati dalle sentenze di merito, sono irrilevanti per la configurazione del reato poichè non rientrano nella sua struttura normativa, così come ricostruita: l'unico evento contemplato dalla disposizione incriminatrice è quello di aver inciso (fraudolentemente) sulla determinazione dell'assemblea.

Le censure che i ricorrenti, dunque, rivolgono alla sentenza impugnata, sostenendo l'assenza di danno per le parti civili sono fuori fuoco.

5. Infine, il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La Corte d'Appello ha esplicitamente rilevato, al fine di motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche, e la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, che la pena inflitta ai ricorrenti era, a suo giudizio, fin troppo benevola, mentre alcun elemento positivo emergeva in loro favore, tale da far propendere per una concessione del beneficio richiesto.

Le ragioni addotte non sono manifestamente illogiche e, d'altra parte, esprimono compiutamente, per quanto sinteticamente, la valutazione del disvalore penale che il giudice d'appello ha ritenuto adeguata, mentre alcuna nota irragionevole proviene dal richiamo all'essere venuti meno i ricorrenti al patto imprenditoriale comune, evidentemente solo un argomento retorico rafforzativo della ratio principale del diniego già esposta.

Del resto, la Corte territoriale si è uniformata all'indirizzo interpretativo secondo cui l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richieda elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590; conforme in precedenza Sez. 1, n. 3529 del 22/09/1993, Stelitano, Rv. 195339).

6. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite, che si ritiene congruo liquidare in complessivi Euro 5.000, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre accessori di legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2022