Giu esclusa qualsivoglia applicazione estensiva delle cause di ricusazione
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 22 novembre 2022 N. 44436
Massima
La prima questione che pone il ricorrente è volta a sindacare la tesi secondo cui le cause di ricusazione sono di stretta interpretazione e l'art. 37 c.p.p. non consente, neppure sulla base di un'interpretazione analogica, di ricomprendervi anche quelle "gravi ragioni di convenienza", che consentono l'astensione del giudicante ai sensi dell'art. 36 c.p.p., lett.h). Direttamente collegato a tale aspetto è anche il dubbio di legittimità costituzionale (dedotto al punto 1.5 del ricorso) per ritenuta violazione dei principi in tema di esercizio del diritto di difesa e garanzia dell'imparzialità del giudice.

Sul tema è opportuno premettere che sussiste una consolidata giurisprudenza che esclude qualsivoglia applicazione estensiva delle cause di ricusazione, sul presupposto che i casi di ricusazione sono tassativamente indicati dall'art. 37 c.p.p. e tra questi non è richiamato l'art. 36, lett.h), c.p.p. (Sez.6, n. 2902 del 10/7/1995, Rv.202329; Sez.3, n. 42193 dell'1/20/2003, Urbini, Rv. 226693; Sez.1, n. 12467 dell'11/3/2009, Cariolo, Rv.243562; Sez.1, n. 30033 dell'11/09/2020, Bilancia, Rv. 279732).

La nozione di "interesse" contenuta all'art. 36, lett.a), c.p.p., si presta ad un'interpretazione in senso estensivo, tale da farvi rientrare non solo l'interesse prettamente patrimoniale, ma anche l'interesse non patrimoniale che, tuttavia, deve essere specifico, giuridicamente rilevante e direttamente incidente sulla sfera soggettiva del magistrato, non potendo assumere rilievo anche un generico interesse ideologico solo indirettamente collegato all'oggetto del procedimento, la cui affermazione è intrinsecamente insuscettibile di tradursi in un vantaggio personale.

Casus Decisus
1. Con l'ordinanza impugnata, la Corte di appello di Perugia rigettava la ricusazione proposta dal ricorrente nei confronti di due componenti del collegio giudicante del Tribunale di Perugia, dinanzi al quale era tratto a giudizio. La ricusazione veniva proposta evidenziando che i giudici in questione, essendo aderenti all'Associazione nazionale magistrati, non avrebbero potuto giudicare nel processo a carico di A.A., nel quale la predetta associazione aveva dichiarato di volersi costituire parte civile. L'appartenenza dei suddetti magistrati all'associazione, che è parte nel giudizio, inficerebbe la loro imparzialità. 2. Il ricorrente, pur proponendo formalmente un unico motivo di ricorso per violazione di legge e vizio di motivazione, ha in realtà dedotto plurime ed autonome questioni. 2.1. La prima questione dedotta concerne la ritenuta irrilevanza, con riguardo alle cause di ricusazione, delle "gravi ragioni di convenienza" che, ai sensi dell'art. 36 c.p.p., lett.h), consentono la sola astensione. Si assume che la regola secondo cui le ipotesi di ricusazione sono so(o quelle tassativamente indicate dall'art. 37 c.p.p. - che non richiama l'art. 36 c.p.p., lett.h), non garantirebbe il principio di imparzialità del giudice. 2.2. Il secondo argomento concerne il vizio di motivazione relativamente al mancato riconoscimento di un "interesse" all'esito del procedimento penale nei confronti dei due componenti del collegio iscritti all'Associazione nazionale magistrati, costituitasi parte civile e, quindi, portatrice di una pretesa risarcitoria nei confronti di A.A.. Si afferma che l'eventuale accoglimento dell'azione risarcitoria, comportando un accrescimento in favore dell'ANM, si tradurrebbe in un vantaggio patrimoniale anche per ogni singolo associato, in considerazione del fatto che l'attività associativa si sostanzia anche in prestazioni economicamente rilevanti in favore dei singoli iscritti (a titolo esemplificativo, sottoscrizioni di convenzioni per il trasporto o assicurative; remunerazione di consulenti incaricati di seguire problematiche stipendiali o, comunque, di natura strettamente sindacale). Peraltro, la evidenzia che, ove pure si pervenisse allo scioglimento dell'ANM, i singoli soci otterrebbero ugualmente un vantaggio economico, in quanto l'art. 57 dello Statuto prevede la devoluzione del fondo residuo all'Istituto di previdenza fra magistrati che, a sua volta, eroga sussidi economici di vario genere. Proprio quest'ultimo rilievo inficierebbe l'argomento utilizzato dalla Corte di appello per escludere "l'interesse" dei magistrati iscritti all'ANM, secondo cui la devoluzione del fondo ad altro ente dimostrerebbe l'impossibilità per i singoli associati di conseguire un vantaggio patrimoniale. Evidenzia il ricorrente, peraltro, che l'argomento facente leva sull'art. 57 dello Statuto era stato prospettato nella memoria della suddetta associazione, che la stessa Corte di appello aveva espunto dal giudizio, ritenendone l'inammissibilità. L'utilizzo di un'argomentazione dedotta dall'ANM, nonostante la formale dichiarazione di inammissibilità della memoria, dimostrerebbe di per sè il grado di influenza che l'ente collettivo determinerebbe sui singoli associati chiamati a giudicare sulle sorti di un giudizio in cui l'associazione è parte. 2.3. Altro profilo di censura concerne l'esclusione di una "coincidenza" tra l'interesse morale di cui si è fatta portatrice I'ANM nel procedimento a carico di A.A. e la condivisione dei medesimi principi da parte dei magistrati iscritti all'associazione. La Corte di appello avrebbe errato nell'escludere che la condivisione dei principi di autonomia e indipendenza della magistratura non vada in alcun modo da inficiare la terzietà del giudicante, trattandosi di principi costituzionali, nè i giudizi ricusati avrebbero palesato, sotto un profilo soggettivo e oggettivo, ragioni di avversione tale da far dubitare della loro imparzialità. Sostiene il ricorrente, infatti, come sia la giurisprudenza costituzionale, che quella convenzionale, individuano l'imparzialità del giudice quale un requisito oggettivo che, nel caso di specie, viene meno per la semplice appartenenza all'ANM. A supporto si invoca anche un precedente costituito da Sez.3, n. 28676 del 24/6/2020, Costa, relativo alla ricusazione proposta nei confronti di un giudice iscritto ad un'associazione portatrice di interessi collettivi. In quell'occasione, pur essendo stata rigettata la ricusazione, in quanto l'ente non si era costituito parte civile, la Cassazione avrebbe implicitamente ritenuto che proprio la costituzione in giudizio costituirebbe il discrimine tra la sussistenza o meno dei presupposti per inficiare l'imparzialità del giudicante. Sulla base dei principi ivi enunciati e stante la dichiarazione di costituzione dell'ANM nel procedimento a carico di A.A., i giudici, iscritti alla medesima associazione nei cui confronti saranno chiamati a pronunciarsi, non possono essere ritenuti imparziali. 2.4. Al quarto punto del ricorso si sollecita il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea delle norme in tema di ricusazione, per ritenuto contrasto con l'art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali. Occorre precisare che, in epigrafe, il ricorrente richiama le norme in tema di ricusazione previste dal codice di procedura civile, nonchè la disciplina in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, ma si tratta chiaramente di un refuso, salvo restando che l'esposizione del motivo consente di cogliere l'effettiva portata dello stesso con riguardo alla disciplina della ricusazione nel processo penale. Il ricorrente ha espressamente formulato il quesito che andrebbe sottoposto alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, incentrandolo proprio sulla compatibilità dell'art. 47 cit. con un'interpretazione della normativa interna che non consente di far valere l'imparzialità del giudice nel caso di specie. 2.5. Infine, il ricorrente ha chiesto che sia sollevata questione di legittimità costituzionale, ritenendo che l'esclusione delle "gravi ragioni di convenienza" tra le ipotesi che possono dar luogo alla ricusazione del giudice, si porrebbe in contrasto con i principi espressi dagli artt. 15, 17, 18, 24, comma 2, 27 comma 2 e 111, comma 1 e secondo, Cost.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 22 novembre 2022 N. 44436

1. Il ricorso è infondato.

2. La prima questione che pone il ricorrente è volta a sindacare la tesi secondo cui le cause di ricusazione sono di stretta interpretazione e l'art. 37 c.p.p. non consente, neppure sulla base di un'interpretazione analogica, di ricomprendervi anche quelle "gravi ragioni di convenienza", che consentono l'astensione del giudicante ai sensi dell'art. 36 c.p.p., lett.h). Direttamente collegato a tale aspetto è anche il dubbio di legittimità costituzionale (dedotto al punto 1.5 del ricorso) per ritenuta violazione dei principi in tema di esercizio del diritto di difesa e garanzia dell'imparzialità del giudice.

Sul tema è opportuno premettere che sussiste una consolidata giurisprudenza che esclude qualsivoglia applicazione estensiva delle cause di ricusazione, sul presupposto che i casi di ricusazione sono tassativamente indicati dall'art. 37 c.p.p. e tra questi non è richiamato l'art. 36, lett.h), c.p.p. (Sez.6, n. 2902 del 10/7/1995, Rv.202329; Sez.3, n. 42193 dell'1/20/2003, Urbini, Rv. 226693; Sez.1, n. 12467 dell'11/3/2009, Cariolo, Rv.243562; Sez.1, n. 30033 dell'11/09/2020, Bilancia, Rv. 279732).

Tale condivisibile principio non è in alcun modo scalfito dall'osservazione del ricorrente, secondo cui il riconoscimento a livello costituzionale e convenzionale del diritto ad un giudice imparziale risulterebbe di per sè incompatibile con la previsione di motivi tassativi di ricusazione, in quanto l'individuazione di un numero chiuso di fattispecie necessariamente non consentirebbe di apprezzare anche situazioni, difficilmente preventivabili e, quindi, tipizzabili, che possono ugualmente incidere sull'imparzialità del giudice.

Invero, l'obiezione non coglie nel segno, posto che la necessità di tipizzare i casi di ricusazione è direttamente collegata alla salvaguardia del principio della precostituzione del giudice, avente parimenti rilievo costituzionale ex art. 25 Cost.

2.1. Nè è sostenibile l'argomento secondo cui l'imparzialità del giudice, costituendo il presupposto legittimante la giurisdizione, non consentirebbe di qualificare la ricusazione come un istituto di carattere eccezionale e, quindi, soggetto al principio di tassatività.

Invero, il carattere fondante dell'imparzialità è cosa diversa dalla modalità di conformazione degli istituti che sono posti a presidio della stessa. L'imparzialità del giudice è un dato presunto ed insito nell'esercizio stesso della giurisdizione, motivo per cui le ipotesi di ricusazione assumono carattere eccezionale, andando ad inficiare un prerequisito garantito dall'ordinamento. Inoltre, poichè le ipotesi di ricusazione determinano limiti all'esercizio del potere giurisdizionale ed alla capacità "in concreto" del giudice, consentendo l'intervento delle parti sul principio della predeterminazione del giudice, la tassatività dei casi è posta a garanzia del fatto che la sottrazione dal giudice naturale è consentita solo ove strettamente imposta dalle esigenze di imparzialità della giurisdizione.

Ma vi è di più. L'istituto della ricusazione, pur finalizzato alla concreta attuazione del principio di imparzialità, costituisce una deroga al dovere di ius dicere, che il magistrato assume entrando a far parte dell'ordine giudiziario, pertanto, le ipotesi in cui il giudice è esonerato da tale dovere, in quanto eccezionali, sono necessariamente tipiche e tassativamente predeterminate dal legislatore, senza alcun margine di discrezionalità.

2.2. Gli argomenti sopra esposti sono funzionali anche ad affermare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata in relazione all'artt. 36, comma 1, lett. a) e lett. h), per come interpretati dalla consolidata giurisprudenza che esclude la rilevanza, ai fini della ricusazione, dei "gravi motivi di convenienza".

Sul tema si registra un sia pur risalente precedente, secondo cui è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 c.p.p., nella parte in cui non prevede la possibilità di ricusare il giudice in presenza delle "gravi ragioni di convenienza" previste quale mera causa di astensione dall'art. 36, comma 1, lett. h), c.p.p., in quanto la mancata inclusione di tale causa di astensione (che ha natura residuale) tra i casi di ricusazione è giustificata dalla sua indeterminatezza, sicchè essa, in caso contrario, si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali del giudice naturale e della ragionevole durata del processo, consentendo il proliferare di dichiarazioni di ricusazione pretestuose e strumentali (Sez.2, n. 27611 del 19/6/2007, Berlusconi, Rv. 239215).

Il ricorrente confuta tale conclusione evidenziando come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 113 del 2000, ha già avuto modo di affermare che il principio che impone all'interprete di optare, tra più soluzioni astrattamente possibili, per quella che renda la disposizione di legge conforme alla Costituzione, oltrechè una lettura logico-sistematica delle norme, impedisce di attribuire un significato ristretto alla locuzione "altre gravi ragioni di convenienza" di cui all'art. 36 c.p.p., comma 1 lett.h).

La lettura offerta dalla Corte costituzionale è sicuramente condivisibile e, peraltro, ha trovato conferma anche in altre pronunce che, tuttavia, hanno sempre riguardato la possibilità di attribuire alle "gravi ragioni di convenienza" una portata ampia, tale da farvi rientrare anche quei condizionamenti che possono dipendere dallo svolgimento dell'attività giurisdizionale con riguardo al medesimo procedimento o procedimenti diversi in cui viene, sia pur indirettamente, vagliata la posizione del soggetto nei cui confronti il giudice decida di astenersi.

Tale principio, tuttavia, non inficia in alcun modo la diversa questione - in questa sede rilevante - dei rapporti tra l'astensione ex art. 36, lett. h), c.p.p. ed i casi di ricusazione.

Non può, pertanto, ritenersi irragionevole la mancata ricomprensione tra i casi di ricusazione anche dell'ipotesi di astensione per "gravi ragioni", posto che tale differenziazione è finalizzata ad attuare una tutela ad incisività crescente sul principio di precostituzione, ricollegando conseguenze maggiori (la ricusazione) solo ai casi di un oggettivo deficit di imparzialità del giudice e relegando le "gravi ragioni di convenienza" alla sola astensione, in tal modo consentendo al giudice di dar rilievo anche a motivi personali, in concreto idonei ad incidere sulla percezione della propria imparzialità da parte dello stesso giudicante.

In conclusione, si ritiene che la disciplina della ricusazione sia perfettamente idonea a garantire i principi di natura costituzionale che, secondo il ricorrente, risulterebbero lesi, non potendosi ritenere che il mancato richiamo alle ipotesi di cui all'art. 36, lett. h), c.p.p. sia irragionevole o, comunque, lesivo del principio di imparzialità del giudice.

3. Le argomentazioni proposte al secondo e terzo punto del ricorso introducono quello che è il tema centrale del ricorso e, cioè, se magistrati iscritti all'ANM siano o meno portatori di un interesse coincidente con quello dell'associazione, che li renda incompatibili a giudicare nel processo in cui quest'ultima intende costituirsi parte civile.

La Corte di appello ha esaminato l'eventuale sussistenza di un "interesse" dei magistrati iscritti all'ANM escludendone la ricorrenza sia sotto il profilo prettamente economico che morale.

3.1. Con riguardo al primo aspetto, si è ritenuto che l'eventuale condanna al risarcimento dei danni di A.A. in favore dell'ANM non si risolverebbe in alcun caso in un vantaggio patrimoniale per i singoli iscritti.

La motivazione resa dalla Corte di appello è immune da censure, essendosi correttamente sottolineato come l'accrescimento patrimoniale dell'associazione non determinerebbe in alcun caso, neppure nell'ipotesi di teorico scioglimento della stessa, un accrescimento del patrimonio dei singoli associati.

A tal riguardo, si ritiene che l'interesse che può far dubitare della parzialità del giudicante deve necessariamente essere concreto ed attuale, nel senso che deve tradursi in un vantaggio economico, diretto e non meramente eventuale, derivante dalla sentenza che il giudice è chiamato a rendere, comportando un immediato accrescimento patrimoniale dello stesso.

Non può, invece, inficiare l'imparzialità del giudicante un vantaggio meramente teorico ed eventuale che, peraltro, non si tradurrebbe in alcun caso in un accrescimento diretto della sua sfera patrimoniale.

A ben vedere, neppure il ricorrente riesce a dare sostanza e concretezza al vantaggio patrimoniale, limitandosi ad affermare che un accrescimento economico dei fondi a disposizione dell'ANM potrebbe comportare un aumento nei servizi, di natura prettamente sindacali, resi in favore degli iscritti.

Si tratta, invero, di un tipico esempio di vantaggio non solo indiretto, ma anche del tutto eventuale, presupponendo che i magistrati ricusati siano interessati, in futuro, ad ottenere un qualche tipo di assistenza sindacale dall'ANM e che il medesimo servizio non sarebbe garantito, con le medesime modalità, in assenza dell'incremento patrimoniale che potrebbe derivare dall'accoglimento della domanda risarcitoria.

3.2. L'altro aspetto, in relazione al quale l'ordinanza impugnata è stata censurata, concerne la presunta coincidenza dell'interesse "morale" dei magistrati iscritti all'ANM e la pretesa da quest'ultima avanzata nel giudizio nei confronti di A.A..

Si è affermato che la tutela dei principi di autonomia ed indipendenza della magistratura, dei quali l'ANM si fa portatrice, rispondono ad un interesse generale e costituzionalmente previsto che, pertanto, è comune a qualunque cittadino.

Il punto controverso, pertanto, richiede di verificare se l'adesione dei magistrati all'ANM determini una comunanza di interesse non patrimoniale alla definizione del procedimento in un determinato senso, tale da minarne l'imparzialità.

A supporto di tale assunto, il ricorrente ha richiamato il fatto che A.A. è stato espulso dall'ANM a seguito di un'assemblea generale aperta alla partecipazione di tutti i magistrati, circostanza che di per sè farebbe venir meno il profilo dell'imparzialità.

Si tratta di un assunto non condivisibile.

Il fatto che l'ANM abbia deliberato l'espulsione di A.A. e che ciò sia avvenuto all'esito di un'assemblea generale non costituisce di per sè la dimostrazione di un fatto inficiante la presunzione di imparzialità dei singoli magistrati, chiamati a giudicare il predetto nell'ambito di un procedimento penale.

La questione si sarebbe potuta porre qualora fosse risultato che i giudici ricusati avessero preso parte e votato l'espulsione di Palarnara, ma in tal caso il motivo di ricusazione andava ravvisato non tanto nell'esistenza di un interesse al procedimento, quanto nell'aver manifestato il proprio convincimento - sia pur su fatti non del tutto coincidenti con l'oggetto dell'imputazione - al di fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie (ex art. 36, lett.c, c.p.p.).

Tale evenienza, tuttavia, non è stata neppure dedotta dal ricorrente, sicchè deve ritenersi che i giudici ricusati non hanno avuto alcun ruolo nella vicenda associativa che ha coinvolto il A.A..

3.3. Al netto di quanto detto, pertanto, il motivo di ricusazione rimane circoscritto alla comunanza di interesse non patrimoniale che, tuttavia, nel caso di specie si configura come un generico interesse di natura ideologica, in quanto concernente l'affermazione di principi di rango costituzionale, rispetto ai quali non è neppure ipotizzabile una esclusiva riferibilità all'ANM, ovvero ai singoli magistrati in quanto tali, anche se aderenti alla predetta associazione.

A tal riguardo, pertanto, è stata correttamente invocata quella giurisprudenza che, sia pur con riferimento al condizionamento derivante da ragioni di interesse politico, ha avuto modo di precisare che il motivo di ricusazione previsto per il caso in cui il giudice abbia interesse nel procedimento (art. 36 lett. a) deve circoscriversi all'influenza che possa avere la soluzione in un certo senso della controversia in relazione alla sfera patrimoniale del magistrato (intesa in senso lato). Non può, pertanto, ricomprendersi nella nozione di interesse nel procedimento quello "politico" o "ideologico", trattandosi di fenomeno indifferenziato, comune a ogni cittadino. Perchè questo interesse non prevalga sull'imparzialità del giudicante, l'ordinamento predispone gli strumenti normativi diretti alla scelta e alla formazione professionale del magistrato, le regole deontologiche e l'istituto della responsabilità disciplinare (Sez.6, n. 855 del 9/03/1999, Craxi, Rv. 213668; si veda anche Sez.6, n. 6, n. 1711 dell'11/05/1998, Cuccurullo, Rv. 211132; Sez.6, n. 4452 del 14/11/1997, dep.1998, Strazzullo, Rv. 210839; Sez.1, n. 4336 del 25/06/1996, Vitalone, Rv. 205633).

Il richiamato principio conferma ulteriormente l'assunto di partenza, secondo cui l'interesse che inficia l'imparzialità del giudicante deve tradursi in un vantaggio specifico, personale e giuridicamente rilevante, essendo escluso in tutti quei casi in cui vi può essere al più il coinvolgimento nel giudizio di valori generali e rispondenti ad un interesse diffuso, la cui affermazione è intrinsecamente insuscettibile di tradursi in un vantaggio personale.

3.4. Deve conseguentemente affermarsi il principio secondo cui la nozione di "interesse" contenuta all'art. 36, lett.a), c.p.p., si presta ad un'interpretazione in senso estensivo, tale da farvi rientrare non solo l'interesse prettamente patrimoniale, ma anche l'interesse non patrimoniale che, tuttavia, deve essere specifico, giuridicamente rilevante e direttamente incidente sulla sfera soggettiva del magistrato, non potendo assumere rilievo anche un generico interesse ideologico solo indirettamente collegato all'oggetto del procedimento, la cui affermazione è intrinsecamente insuscettibile di tradursi in un vantaggio personale.

4. Sempre nell'ambito dell'esame dell'interesse che avrebbero i magistrati iscritti all'ANM, il ricorrente richiama i principi affermati da Sez.3, n. 28676 del 24/6/2020, Costa, che si è pronunciata sulla richiesta di ricusazione proposta nei confronti di un magistrato chiamato a pronunciarsi su un reato di violenza sessuale e che, al contempo, era anche presidente onorario e legale rappresentante di un'associazione di tutela delle vittime di tali reati, sostenuta da un ente locale che si era costituito parte civile.

Pur nell'obiettiva diversità della fattispecie scrutinata, non si ritiene - a differenza di quanto sostenuto dalla difesa - che tale precedente fornisca una chiave di lettura utile nel presente caso, posto che la Cassazione non ha affatto ipotizzato un possibile interesse in capo al magistrato che aderisca ad associazioni portatrici di interessi diffusi e potenzialmente lesi dalla commissione di un determinato reato. Il profilo concernete l'eventuale costituzione di parte civile dell'associazione cui il magistrato aderisce non è stato esaminato, proprio perchè in quella fattispecie l'associazione, di cui il magistrato era presidente onorario, non era costituita quale parte civile.

5. Il ricorrente ha più volte richiamato a sostegno della propria tesi la giurisprudenza della Corte costituzionale, in particolare della sent. n. 66 del 2019, nonchè della Corte EDU, evidenziando come il principio di imparzialità del giudice sia sempre declinato nell'ottica di garantire non solo l'effettiva insussistenza di elementi idonei a minare la terzietà, ma anche ad escludere che si possano realizzare condizioni idonei a far venir meno la semplice apparenza di imparzialità del giudice.

La Corte costituzionale, nel richiamare la giurisprudenza CEDU, ha evidenziato come il giudice "debba essere imparziale soggettivamente e oggettivamente. Sotto il primo profilo (criterio soggettivo), nessun componente del tribunale deve avere pregiudizi personali verso l'imputato o un interesse personale a giudicare il singolo caso: tale imparzialità si presume fino a prova contraria. Sotto il secondo profilo (criterio oggettivo), occorre escludere ogni legittimo dubbio sull'imparzialità del giudice, anche apparente e non dipendente dalla sua condotta personale.

A questo proposito, la Corte di Strasburgo ha sottolineato come anche le apparenze possano avere una certa importanza, in quanto "non si deve fare solo giustizia, ma si deve anche vedere che essa è fatta". Ciò perchè in una società democratica i giudici debbono ispirare fiducia nel pubblico, a cominciare dalle parti del processo" (così Corte Cost., sent. n. 66 del 2019; nonchè Corte EDU Castillo Algar c. Spa gna, p. 45; Morice c. Francia, p. 78; Skrlj c. Croazia, p. 43).

Facendo leva sulla necessaria "apparenza di imparzialità", il ricorrente lamenta che nel caso di specie l'appartenenza dei giudici all'associazione, che è parte nel processo, inficerebbe di per sè la presunzione di imparzialità.

Si tratta di una conclusione non condivisibile, non solo sotto il profilo della legislazione nazionale, ma anche secondo quella è che la consolidata interpretazione dell'art. 6 CEDU. La Corte EDU, procedendo con l'approccio casistico che le è proprio, da un lato descrive la possibilità che l'imparzialità del giudice possa venir meno sotto il profilo soggettivo o oggettivo, ma al contempo rimanda ad un vaglio specifico delle condotte, dei rapporti con le parti e dell'interesse ravvisabile in capo al giudice in ordine ad una data definizione del giudizio.

Nel far ciò la Corte EDU ha in primo luogo chiarito che il punto di vista di chi solleva la questione concernente la mancanza di imparzialità va preso in considerazione, ma non svolge un ruolo decisivo, dovendosi stabilire se le preoccupazioni dell'interessato possano essere considerate oggettivamente giustificate (Corte Edu Ferrantelli e Santangelo c. Italia, p. 58; Corte Edu Padovani c. Italia, p. 27). Qualora si deduca che l'imparzialità sia venuta meno in considerazione dei legami (che possono essere di vario tipo) tra il giudice ad una delle parti in causa, non è sufficiente accertarne l'esistenza per superare la presunzione di imparzialità, dovendosi verificare in concreto se la natura e il grado del legame in questione sia tale da dimostrare il venir meno della terzietà (Corte Edu Pulla c. Regno Unito, p. 38).

Applicando tali principi al caso di specie, ne consegue che l'imparzialità dei giudici iscritti all'ANM non può essere esclusa sulla base del mero riscontro del dato formale costituito dall'adesione all'associazione, dovendosi vagliare se in concreto, sulla base delle dimensioni dell'associazione, delle funzioni svolte, dell'eventuale incidenza sull'attività degli iscritti, sull'esistenza di vantaggi rilevanti derivanti dall'iscrizione, si possa determinare un effettivo vulnus rispetto al principio di terzietà.

Tale valutazione è stata compiuta dalla Corte di appello che da un lato ha escluso qualsivoglia possibilità che i soci dell'ANM traggano un vantaggio personale dall'accoglimento dell'azione risarcitoria e, al contempo, non ha individuato alcun elemento ulteriore sulla cui base ritenere che il mero dato formale dell'essere soci di una associazione di categoria possa alterare il criterio di giudizio nel processo a carico dell'odierno ricorrente.

6. Il ricorrente ha sollecitato il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, sostenendo che la disciplina interna, non consentendo la ricusazione nel caso di specie, si porrebbe in contrasto con l'art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali, in base al quale "Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge".

L'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea attribuisce alla Corte di giustizia la competenza a pronunciarsi sull'interpretazione dei trattati, in seguito a richiesta di un organo giurisdizionale di uno stato membro, precisando altresì che quando la questione "è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte".

Occorre in primo luogo interrogarsi, pertanto, se nel caso di specie la Corte di cassazione sia tenuta al rinvio pregiudiziale, in quanto giudice di ultima istanza, ovvero se debba comunque valutare l'eventuale manifesta infondatezza della stessa.

Il tema è stato affrontato dalla Corte di giustizia che, con la sentenza del 6 ottobre 1982, Srl CILFIT e Lanificio di Gavardo Spa contro Ministero della sanità, si è pronunciata sull'obbligo del rinvio, all'epoca previsto dall'art. 177 del Trattato CEE, il cui contenuto è stato trasfuso nell'art. 267 TFUE, sicchè deve considerarsi tuttora valida l'affermata esclusione dell'obbligatorietà del rinvio, in presenza di questioni manifestamente infondate o non rilevanti.

La giurisprudenza interna, sia pur in sede civile, ha recepito tale principio, ritenendo che non sussiste alcun diritto della parte all'automatico rinvio pregiudiziale alla CGUE ai sensi dell'art. 267 TFUE, ogni qualvolta la Corte di cassazione non ne condivida le tesi difensive, bastando che le ragioni del diniego siano espresse, ovvero implicite laddove la questione pregiudiziale sia manifestamente inammissibile o manifestamente infondata (Sez.L, n. 14828 del 7/6/2018, Rv. 648997).

In tal senso, peraltro, si sono espresse anche le Sezioni Unite civili, affermando che il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea non costituisce un rimedio giuridico esperibile automaticamente a sola richiesta delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la necessità (Sez.U.civ., n. 20701 del 10/9/2013, Rv. 627458).

Tali precedenti consentono di affermare che, pure in sede penale, la Corte di Cassazione non è obbligata a disporre il rinvio pregiudiziale alla CGUE sulla base della mera richiesta di parte, dovendo preliminarmente verificare se la questione dedotta attiene o meno all'interpretazione del diritto comunitario e se è rilevante nel giudizio de quo, nonchè se la disposizione comunitaria ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero se la corretta applicazione del diritto comunitario si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi.

6.1. Applicando tale principio al caso di specie, occorre rilevare come recentemente le Sezioni unite civili (n. 22301 del 4/8/2021), proprio pronunciando sul ricorso proposto da A.A. avverso la condanna in sede di disciplinare, hanno esaminato la similare questione ivi dedotta circa la compatibilità della disciplina in tema di ricusazione prevista nel processo civile con l'art. 47 TFUE. In quel giudizio la questione è stata risolta sotto il profilo dell'irrilevanza per ragioni di fatto che qui non ricorrono, tuttavia, le Sezioni unite hanno affermato anche il condivisibile principio secondo cui la carenza di un criterio di collegamento non consente di richiedere l'intervento interpretativo della Corte di Lussemburgo evocando a sostegno l'art. 47 CDFUE, giacchè, ai sensi dell'art. 6, par. 1, TUE e art. 51, par. 2, CDFUE, l'efficacia delle disposizioni della stessa Carta e, quindi, dei diritti fondamentali da essa contemplati rimane pur sempre all'interno del perimetro applicativo del diritto dell'Unione (tra le altre: CGUE, 15 novembre 2011, in C-256/11; CGUE, 6 marzo 2014, causa C-206/13; CGUE, Grande Camera, 19 novembre 2019, in cause riunite C-585/18, C-624/18 e C625/18; CGUE, 4 giugno 2020, n. C-32/20; Corte Cost., sentenze n. 63 del 2016, n. 194 del 2018, n. 254 del 2020 e n. 30 del 2021).

Si tratta di un'affermazione dirimente nel presente giudizio, nel quale il ricorrente sollecita il rinvio pregiudiziale sul seguente quesito: "se posa essere considerato terzo ed imparziale un collegio giudicante del quale facciano parte (anche con ruoli apicali) due giudici che - al di fuori e pria del compiersi del relativo dibattimento - facciano parte della associazione nazionale dei magistrati che ha dichiarato di volersi costituire parte civile nei confronti di un imputato nei confronti del quale nel proprio ambito ha già emesso un provvedimento di espulsione".

Il quesito formulato non concerne l'interpretazione della normativa comunitaria, bensì richiede una valutazione circa la compatibilità con l'art. 47 TFUE di una interpretazione della norma interna collegata ad una specifica situazione di fatto.

In siffatta ipotesi non sussistono i presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione Europea, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, in quanto la parte si limita a censurare direttamente l'incompatibilità con il diritto dell'Unione delle conseguenze "di fatto" derivanti dall'interpretazione del diritto interno, senza sollecitare un'interpretazione generale ed astratta della normativa interna ritenuta incompatibile con quella Europea (in termini, Sez.6 civ., n. 6862 del 24/3/2014, Rv. 630701).

Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea presuppone il dubbio interpretativo su una norma comunitaria, che non ricorre allorchè l'interpretazione sia autoevidente oppure il senso della norma sia già stato chiarito da precedenti pronunce della Corte, non rilevando, peraltro, il profilo applicativo di fatto, che è rimesso al giudice nazionale a meno che non involga un'interpretazione generale ed astratta (Sez.5 civ., n. 15041 del 16/6/2017, Rv. 644553; si veda anche Sez.0 civ., n. 12067 24/05/2007, Rv. 597142).

7. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2022