Giu il giudice di merito non ritiene di condividere le conclusioni del perito
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 19 dicembre 2022 N. 47804
Massima
Nel caso in cui il giudice di merito non ritenga di condividere le conclusioni del perito, è tenuto a motivare sulle ragioni del suo dissenso ed è tenuto a chiedere al perito ulteriori chiarimenti, o a disporre una nuova perizia, soltanto nel caso in cui non sia in grado di fornire direttamente spiegazioni in via meramente logica (cfr., da ultimo, Sez. 1, n. 46432 del 19/04/2017, Fierro, Rv. 271924, nonchè Sez. 5, n. 9831 del 15/12/2015, dep. 2016, Minichini, Rv. 267566, che, proprio in tema di responsabilità medica, ha spiegato che il giudice di merito che intenda discostarsi dalle conclusioni del perito d'ufficio è tenuto ad un più penetrante onere motivazionale, illustrando accuratamente le ragioni della scelta operata, in rapporto alle prospettazioni che ha ritenuto di disattendere, attraverso un percorso logico congruo, che evidenzi la correttezza metodologica del suo approccio al sapere tecnico-scientifico, a partire dalla preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni scientifiche disponibili ai fini della spiegazione del fatto).

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 19 dicembre 2022 N. 47804

1. Il ricorso dell'imputato - discusso in presenza, a seguito del tempestivo deposito delle istanze di trattazione orale da parte della difesa del ricorrente e del responsabile civile -, è fondato limitatamente al secondo motivo, relativo alla condanna al pagamento delle spese del giudizio di rinvio, mentre va rigettato nel resto, come pure quello del responsabile civile.

2. Giova premettere, in punto di fatto, che l'8 agosto 2011 Pietro F.F., durante un soggiorno a bordo di una nave da crociera con la moglie, era stato colpito da malore mentre la nave si trovava al largo delle coste groenlandesi. Si era quindi recato presso l'help desk della nave e, dopo aver scritto la parola "infarto" su un bigliettino (non riuscendo a parlare poichè colto da afasia), era stato visitato dal medico di bordo, il Dottor A.A.. Questi, dopo aver somministrato al paziente Bentelan, Aspirinetta e Mannitolo, lo aveva dimesso, rassicurando lui e la moglie. Nondimeno, il Dottor A.A. aveva comunicato al F.F. e alla moglie (e annotato nel giornale medico di bordo) che sarebbe stato opportuno sottoporre il paziente a visita nEurologica in occasione dello sbarco, il giorno successivo, nella cittadina di Ilulissat dove, affermava il Dottor A.A., era presente un reparto di nEurologia. Secondo quanto riferito dalla moglie del F.F., il giorno successivo (9 agosto 2011), di mattina, essa si era recata in infermeria ed era stata avvisata dal Dottor A.A. che presso l'ospedale di (Omissis) non vi era un nEurologo. Nelle ore tarde della mattinata di quello stesso giorno, il F.F. era stato nuovamente colto da malore, anche se in forma apparentemente meno preoccupante rispetto al giorno precedente. Tuttavia, il medico aveva rassicurato lui e la moglie, affermando che si trattava di semplici strascichi dell'episodio più grave del giorno precedente. Il Dottor A.A. ha dichiarato di aver sottoposto il F.F. a una visita di controllo alle ore 17 del 9 agosto, visita che aveva avuto esito negativo; nonostante l'esito rassicurante, il medico si era riservato di consigliare al paziente una risonanza magnetica dell'encefalo. La sera del 9 agosto, alle ore 22 e 30, il F.F. aveva accusato un terzo episodio di malore, i cui sintomi sono stati ritenuti quasi univocamente riconducibili ad ictus. Il medico di bordo, dopo aver visitato il paziente, dà atto della emiplegia destra con babinski destro spontaneo e somministra Mannitolo, Bentelan da 4 mg. Il F.F. era stato quindi condotto all'ospedale di (Omissis) e lì affidato all'unico medico presente, il quale però era specializzato in ginecologia. Era quindi stato tenuto in osservazione e sottoposto a visita nEurologica solo la mattina successiva. In occasione di tale visita, la nEurologa aveva informato il paziente e la moglie circa le terapie più adeguate al caso e circa i centri dove le medesime avrebbero potuto essere eseguite. Nella notte del 10 agosto Costa Crociere aveva iniziato a organizzare i soccorsi, che erano stati presi in carico dalla società Mondial Assistance, la quale, però, aveva comunicato la disponibilità a effettuare il trasferimento soltanto il 12 agosto, nonostante gli addetti I.I. e L.L. avessero richiesto che il trasferimento avvenisse il più presto possibile. Visto il mancato tempestivo intervento da parte della società incaricata del trasbordo, la famiglia del F.F. aveva deciso di organizzare il trasferimento privatamente, riuscendo dunque ad ottenere il trasferimento e il successivo ricovero del paziente presso l'Ospedale Niguarda il giorno 11 agosto. Pietro F.F. moriva in ospedale il 13 agosto per una ischemia cerebrale acuta, secondaria a una trombosi dell'arteria cerebrale media sinistra.

3. Il Tribunale di Milano, con sentenza del 20 luglio 2015, aveva quindi dichiarato A.A. responsabile del reato di cui all'art. 589 c.p., condannandolo alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile, in solido con il responsabile civile.

La colpa in cui era incorso l'imputato, secondo il giudice di primo grado, era stata quella di aver errato la diagnosi e di aver nascosto al paziente e alla famiglia la gravità della situazione.

Tale sentenza era stata impugnata dall'imputato, dal responsabile civile Costa Crociere e dalle parti civili e la Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 2 marzo 2017, in riforma della sentenza di primo grado, aveva assolto l'imputato perchè il fatto addebitatogli non costituisce reato, revocando le statuizioni civili. Secondo la Corte d'Appello di Milano il medico di bordo aveva eseguito una diagnosi corretta, seppur non annotata nel giornale medico di bordo, avendo somministrato al paziente la terapia corrispondente. Inoltre, al medico non poteva essere rimproverato il mancato approfondimento diagnostico strumentale, funzionale alla effettuazione di diagnosi differenziale con evento emorragico, non essendo stato quest'ultimo la causa della morte. Sarebbe, poi, stata corretta la decisione del medico di bordo di non ordinare il trasporto immediato del F.F. a seguito del primo episodio ischemico, poichè le linee guida nazionali e internazionali non prevedono, nel caso in cui il rischio di ictus sia (come nel caso di specie si riteneva fosse) medio-basso, la ospedalizzazione del paziente, ma soltanto la sua osservazione per le 48 ore successive all'episodio acuto; tenuto conto, per di più, del fatto che, viste le basse temperature dei luoghi che la nave da crociera stava attraversando durante la giornata dell'8 agosto 2011, il trasbordo non era scevro da rischi di diverso tipo. Viste le condizioni di salute precarie del F.F., la Corte d'Appello di Milano ha quindi ritenuto ragionevole la scelta del medico di bordo di attendere il giorno successivo per effettuare una visita presso l'ospedale della città di (Omissis), considerando anche il fatto che il giorno del primo episodio ischemico il trasbordo sarebbe avvenuto in condizioni comunque rischiose, affinchè il F.F. fosse sottoposto a visita in un ospedale non fornito di stroke unit.

4. Con la sentenza del 25 gennaio 2018, la Quarta Sezione Penale di questa Corte ha annullato la sentenza di assoluzione, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della medesima Corte d'Appello di Milano. La Quarta Sezione ha ritenuto che la questione determinante al fine di ricostruire correttamente il profilo della colpa dell'imputato non sia quella della scelta tra la somministrazione della terapia disponibile in nave e il trasferimento del paziente in una struttura ospedaliera in sè e per sè, quanto quella fra la somministrazione della terapia e il trasferimento in una struttura specializzata, per dare in tal modo la possibilità ad altri medici di provvedere in tempi utili alla trombolisi, cui non era possibile dar corso sulla nave o in ospedale non all'uopo attrezzato. La Quarta Sezione ha ritenuto che nulla possa essere rimproverato al Dottor A.A. sotto il profilo della imperizia, avendo egli effettuato correttamente la diagnosi differenziale e avendo conseguentemente somministrato, dopo il primo episodio di T.I.A., la corretta terapia. Il profilo che viene in rilievo, invece, è quello della imprudenza. Il giudice d'appello si era limitato a dare atto del fatto che la decisione del Dottor A.A. di curare il paziente a bordo, attendendo un futuro sbarco per effettuare una visita nEurologica, era stata assunta tenendo in considerazione idonee regole di prudenza, poichè il rischio di ictus era stato correttamente valutato come medio-basso e poichè il trasferimento immediato (a seguito, cioè, del primo attacco ischemico e prima della somministrazione di qualsiasi terapia a bordo) del F.F. non era scevro da rischi, date le temperature estremamente basse. E' stato ritenuto, però, che il comportamento del medico dovesse essere valutato alla stregua delle particolari condizioni logistiche nelle quali si sono prodotti gli eventi. E ciò non soltanto nel senso delle difficoltà di uno sbarco immediato del F.F. dal punto di vista del rischio di un simile trasbordo, ma anche avuto riguardo a quei criteri di prudenza che avrebbero dovuto permeare la condotta del medico proprio in ragione delle condizioni di difficoltà in cui gli eventi si verificarono, condizioni che avrebbero dovuto lasciar presagire una situazione irrimediabile nel caso in cui rictus avesse effettivamente (come poi peraltro avvenne) colpito il F.F.. E' stata richiamata quella giurisprudenza di legittimità secondo cui, al fine di valutare una determinata condotta umana come causa di uno specifico evento, occorre procedere al cosiddetto giudizio controfattuale, che consiste nell'eliminare dalla realtà dei fatti, dal punto di vista mentale, una determinata condotta umana effettivamente realizzatasi, ed interrogarsi se, senza quella condotta umana, il fatto si sarebbe in ogni caso verificato, giungendo alla conclusione che una determinata condotta umana è condizione causale di un evento soltanto se, a seguito di tale operazione mentale di "eliminazione", si dovesse arrivare alla conclusione che l'evento non si sarebbe verificato. Una tale operazione logica può trovare applicazione anche nel caso in cui la condotta umana abbia natura omissiva, nel qual caso l'operazione consisterà nella verifica della idoneità della condotta omessa ad evitare l'evento; solo in caso di esito positivo di una tale valutazione, la condotta omissiva potrà considerarsi causa dell'evento. In tema di responsabilità medica e in base alla sentenza delle Sezioni Unite Franzese (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138, nonchè le successive conformi), il nesso causale tra condotta omissiva del medico ed evento lesivo dovrà considerarsi sussistente nel caso in cui, in base al giudizio controfattuale, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa, l'evento lesivo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Solo in questo caso, può ritenersi processualmente certa la conclusione in base alla quale la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto grado di credibilità razionale".

La Corte territoriale si era, invece, limitata a valutare come prudente il comportamento del medico, senza interrogarsi sulla percorribilità di una strategia differente rispetto a quella effettivamente seguita, e senza condurre il giudizio controfattuale di cui sopra.

E' stato quindi demandato al giudice del rinvio di verificare, in primo luogo, se il medico avrebbe potuto pianificare un intervento diverso rispetto alla somministrazione della terapia a bordo e, in secondo luogo e solo successivamente alla prima valutazione, di condurre il giudizio controfattuale, e quindi di verificare se risulta processualmente certa nel caso di specie la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "elevato grado di credibilità razionale".

5. Il giudice del rinvio, dopo aver rilevato l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione, ha esaminato, al fine di pronunciarsi sulle statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado, le alternative concretamente disponibili per l'imputato al momento del primo attacco ischemico del F.F.. Il medico avrebbe potuto (come effettivamente ha fatto) trattare con terapia farmacologica il paziente, tranquillizzarlo e tenerlo sotto osservazione sulla nave, che in quel momento si trovava lontana da un qualsiasi ospedale debitamente attrezzato per trattare casi clinici quale quello del signor F.F.; oppure avrebbe potuto richiedere che fosse organizzato un trasbordo del paziente in un ospedale specializzato, così da assicurare al F.F., nel caso di un peggioramento delle sue condizioni di salute, di essere trattato con le migliori cure disponibili e da medici specializzati. Il dottor A.A. ha effettuato una scelta influenzata, principalmente, dalla valutazione del rischio di ictus ischemico a seguito del primo episodio acuto, rischio ritenuto basso, con una prevedibile incidenza di ictus nelle 48 ore successive pari all'1/0. Peraltro, le linee guida, a fronte di tale bassa percentuale di rischio, raccomandano una visita nEurologica e una diagnostica per immagini, non invece un ricovero ospedaliero. Tuttavia, ritiene il giudice di rinvio, per valutare quale fosse la scelta più prudente nel caso specifico, è necessario tenere in specifica considerazione le condizioni logistiche in cui una tale scelta è stata effettuata. Infatti, al momento del primo attacco ischemico del F.F., la nave si trovava al largo delle Coste della Groenlandia, lontano da qualsiasi ospedale in grado di fornire cure tempestive in caso di ictus (il cui relativo rischio era sì basso, ma non inesistente) del F.F.. In condizioni di questo tipo, ritiene la Corte territoriale, era ragionevole richiedere al medico di bordo un grado di prudenza ancora maggiore rispetto a quello che sarebbe stato a lui richiesto se l'episodio acuto si fosse verificato in un contesto civilizzato che rende accessibile in tempi rapidi una struttura ospedaliera specializzata.

Alla luce di queste considerazioni, e del fatto che le linee guida, pur non richiedendo la ospedalizzazione in caso di rischio medio-basso di ictus, indicano la necessità, in caso di T.I.A., di avviare il paziente a immediati approfondimenti diagnostici, il giudice del rinvio ha valutato la decisione del Dottor A.A. di non trasferire immediatamente il paziente in una stroke unit come "assolutamente imprudente".

Il giudice del rinvio si è poi premurato di verificare che il trasferimento fosse concretamente possibile: solo nel caso di esito positivo, il rimprovero di imprudenza avrebbe potuto essere correttamente mosso al Dottor A.A.. La Corte territoriale, tenendo conto in particolare delle deposizioni testimoniali del teste M.M., giunge ad affermare che il trasferimento era certamente possibile. Infatti, lo stesso M.M. si era occupato di organizzare privatamente il rientro in Italia dei coniugi, quando ancora la situazione clinica del paziente non era precipitata, e tale organizzazione, seppure non si fosse rivelata agevole, di certo non si presentava impossibile. Dunque, il trasporto era una alternativa concretamente praticabile, anche se difficile da organizzare, e avrebbe dovuto essere scelta, poichè il Dottor A.A. era perfettamente consapevole del fatto che l'ospedale più vicino, quello della città di (Omissis), non avendo un reparto di nEurologia, non avrebbe potuto apprestare, in caso di ictus del F.F., le cure più indicate per evitare l'esito infausto. Il giudice del rinvio si esprime, poi, in merito al giudizio controfattuale, interrogandosi su cosa sarebbe accaduto se il comportamento omissivo non avesse avuto luogo, e quindi se la condotta più prudente di trasferimento in ospedale specializzato del F.F. fosse stata tenuta. Nel pervenire alla conclusione che, qualora il F.F. fosse stato trasportato in ospedale specializzato a seguito del primo attacco ischemico, l'evento morte con elevato grado di credibilità razionale non si sarebbe verificato, incidenza centrale hanno avuto le conclusioni del consulente G.G., il quale aveva ritenuto che, poichè il T.I.A. può essere un epifenomeno di una dissezione vascolare, sarebbe stato necessario sottoporre il F.F. a una congrua diagnostica, al fine di individuare la causa del T.I.A. e di trattarla opportunamente. In questo modo, il rischio di ictus fatale si sarebbe ridotto, a detta del consulente G.G., dell'80 90%. La Corte territoriale non ha condiviso le diverse conclusioni cui è pervenuto il perito H.H. nella sua relazione, secondo il quale la condotta alternativa dell'invio presso un ospedale specializzato non era in grado di scongiurare, con alto grado di probabilità razionale, l'evento infausto. In particolare, la relazione peritale è stata ritenuta carente e incompleta, avendo il perito preso in considerazione, quale terapia praticabile, la sola trombolisi (disattendendo il contenuto del quesito peritale), e non avendo lo stesso esaminato le potenzialità salvifiche del ricovero ospedaliero e del conseguente approfondimento diagnostico in grado di individuare la causa della lesione. Ancora, il giudice di rinvio non condivide quanto dichiarato nella propria relazione dal perito H.H., circa la non censurabilità della decisione del Dottor A.A. di attendere qualche giorno prima di disporre il ricovero ospedaliero, decisione assunta non essendo i sintomi presentati dal F.F. in occasione del primo episodio ischemico univocamente riconducibili a T.I.A. Infatti, ritiene il giudice territoriale, la valutazione del perito sul punto si fonda su un presupposto errato, ovvero che il Dottor A.A. non aveva effettuato la corretta diagnosi in occasione della prima visita medica successiva all'episodio acuto dell'8 agosto. Come ammesso dallo stesso Dottor A.A., e come confermato indirettamente dal fatto che lo stesso aveva sin dal primo momento somministrato al paziente la terapia corretta, la premessa del discorso valutativo del perito è errata e, pertanto, le conclusioni cui il perito H.H. giunge non possono ritenersi corrette.

6. Alla luce di tutti questi elementi, la Corte d'Appello di Milano, quale giudice del rinvio, ha ritenuto la condotta del A.A. gravemente imprudente, poichè lo stesso avrebbe avuto la possibilità di adottare quella soluzione (trasferimento immediato in ospedale specializzato) idonea a consentire che il paziente potesse ricevere le cure necessarie in caso di aggravamento delle sue condizioni di salute, ma non l'ha fatto. Un intervento di questo tipo avrebbe consentito di ridurre consistentemente (in altre parole, con elevato grado di credibilità razionale) le probabilità che l'evento infausto si verificasse.

E' giunta, dunque, a dichiarare estinto il reato per prescrizione e quindi non doversi procedere nei confronti dell'appellante, e ha confermato le statuizioni civili di cui alla sentenza appellata, condannando l'imputato e il responsabile civile in solido fra loro alla rifusione in favore della parte civile delle spese di proseguita difesa per i precedenti gradi di appello, cassazione, e per il giudizio di rinvio, e lo stesso A.A. al pagamento delle spese processuali del giudizio di rinvio.

7. Ritiene dunque il Collegio che la doglianza, formulata sia nel ricorso dell'imputato sia in quello del responsabile civile, in ordine al vizio della motivazione nella parte relativa all'accertamento del nesso causale tra la condotta tenuta dall'imputato e la morte di F.F., sia infondata.

Il giudice del rinvio ha ritenuto sussistente il nesso causale, riconoscendo un profilo di grave imprudenza nella condotta del Dottor A.A. per non aver il medesimo deciso il trasferimento, già in occasione del primo attacco ischemico, del paziente in un ospedale sulla terraferma che fosse dotato di unità specializzata in grado di far fronte in maniera tempestiva a un eventuale successivo aggravamento delle condizioni di salute del soggetto.

Sulla base della terapia prontamente somministrata dal medico di bordo, risulta evidente come la diagnosi di T.I.A. (attacco ischemico transitorio, il quale può essere, secondo la letteratura scientifica, un primo "avvertimento" di possibili fenomeni di ictus successivi) era stata correttamente effettuata.

Alla luce di una simile e non rassicurante diagnosi, la regola di prudenza applicabile al caso di specie avrebbe opportunamente richiesto al medico di tenere un comportamento diverso da quello effettivamente tenuto, e cioè quello di assicurarsi che quanto prima il F.F. potesse essere sottoposto a più specifici accertamenti diagnostici (non praticabili a bordo), così da consentire che potesse essere individuata la causa specifica della lesione e, di conseguenza, la terapia farmacologica o chirurgica più indicata.

Benchè le linee guida, sia nazionali che internazionali, nel caso in cui il rischio di ictus a seguito di un primo episodio ischemico acuto sia (come nel caso in esame si riteneva fosse) medio-basso, non indicano quale unica soluzione praticabile la ospedalizzazione, occorreva condurre (e in tal senso il ragionamento condotto dalla Corte territoriale è pienamente logico) una valutazione che tenesse conto delle particolari condizioni logistiche in cui l'imputato si trovava ad operare la sera dell'8 agosto 2011. Infatti, se sulla terraferma, in zona che permetta di raggiungere un ospedale specializzato in tempi rapidi in caso di aggravamento delle condizioni cliniche del paziente, può considerarsi sufficientemente prudente la condotta del medico che si sia limitato a rispettare le indicazioni contenute nelle linee guida, in un contesto quale quello che viene in rilievo nel caso di specie, e cioè su una nave da crociera al largo delle coste groenlandesi, lontano da qualsiasi complesso ospedaliero con unità specializzata in grado di fornire pronto e potenzialmente salvifico intervento in caso di ulteriore episodio ischemico o, addirittura, di ictus, la prudenza richiesta al medico è maggiore.

La valutazione circa la necessità di adottare la condotta alternativa, poi, non è stata compiuta, a differenza di quanto affermato nel ricorso del responsabile civile, ex post, poichè già la sera dell'8 agosto 2011 l'imputato era consapevole della gravità dell'episodio occorso al F.F., e, quantomeno alla data del 9 agosto 2011, consapevole del fatto che gli ospedali più facilmente accessibili con rapido trasbordo non sarebbero stati idonei ad assicurare le cure più efficaci in caso di aggravamento delle condizioni di salute del F.F..

Peraltro, in base alle circostanze emerse nel corso del giudizio (in particolare, dalle dichiarazioni rese da testi univocamente orientate in tal senso), il trasporto in ospedale specializzato era decisamente possibile, anche se non agevole.

La sussistenza del nesso causale tra la condotta del medico e l'evento morte del F.F. è stata affermata a seguito del giudizio controfattuale, che la Corte territoriale ha eseguito in modo approfondito e immune da vizi logici. Richiamandosi alle dichiarazioni del consulente G.G., il giudice del rinvio ha ritenuto che, con elevato grado di credibilità razionale, se il F.F. fosse stato trasportato tempestivamente in ospedale specializzato (come quello di (Omissis)), lo stesso avrebbe potuto essere lì sottoposto ad accertamenti diagnostici mirati, così che potesse essere individuata la causa della lesione e, conseguentemente, la terapia più indicata, la quale, considerate le condizioni cliniche generali del paziente non allarmanti, avrebbe potuto avere un effetto salvifico, in particolare con possibile riduzione del rischio di ictus dell'80-90%. La Corte d'appello ha, poi, spiegato in modo logico le ragioni per le quali si è discostata dalle conclusioni alle quali era pervenuto il perito H.H., indicando, in maniera puntuale e specifica su singoli punti della relazione peritale, le ragioni del suo dissenso.

Va, al riguardo ricordato che nel caso in cui il giudice di merito non ritenga di condividere le conclusioni del perito, è tenuto a motivare sulle ragioni del suo dissenso ed è tenuto a chiedere al perito ulteriori chiarimenti, o a disporre una nuova perizia, soltanto nel caso in cui non sia in grado di fornire direttamente spiegazioni in via meramente logica (cfr., da ultimo, Sez. 1, n. 46432 del 19/04/2017, Fierro, Rv. 271924, nonchè Sez. 5, n. 9831 del 15/12/2015, dep. 2016, Minichini, Rv. 267566, che, proprio in tema di responsabilità medica, ha spiegato che il giudice di merito che intenda discostarsi dalle conclusioni del perito d'ufficio è tenuto ad un più penetrante onere motivazionale, illustrando accuratamente le ragioni della scelta operata, in rapporto alle prospettazioni che ha ritenuto di disattendere, attraverso un percorso logico congruo, che evidenzi la correttezza metodologica del suo approccio al sapere tecnico-scientifico, a partire dalla preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni scientifiche disponibili ai fini della spiegazione del fatto).

Nel caso in esame la Corte d'appello ha dato conto, contrariamente a quanto sostenuto in entrambi i ricorsi, delle ragioni del proprio dissenso rispetto alle conclusioni del perito H.H., evidenziando che questi aveva esaminato solamente la potenzialità salvifica della terapia di trombolisi, senza analizzare (tra l'altro in contrasto con quanto richiesto nel quesito peritale) altre possibili terapie (anche chirurgiche) che la diagnostica per immagini avesse in ipotesi rilevato quali le soluzioni migliori per trattare il caso di specie. E' stato anche sottolineato come il Perito abbia fondato la propria indagine su un presupposto erroneo, costituito dalla insussistenza del nesso causale tra la condotta del medico e la morte del F.F., in quanto i primi sintomi di malessere del paziente sarebbero stati potenzialmente riconducibili a un ventaglio di diagnosi molto vasto (tra cui malori temporanei e non gravi, come emicrania con aura).

In contrasto con quanto ritenuto dal perito, risulta invece inequivocabilmente certo che l'imputato aveva compreso che i sintomi del F.F. erano riconducibili a T.I.A., poichè la terapia prontamente somministrata al paziente era perfettamente coerente con una simile diagnosi, e non invece con tutte le altre che il perito afferma far parte di quel ventaglio di patologie possibili, cosicchè sono state ritenute condivisibili le conclusioni alle quali è pervenuto il consulente delle parti civili prof. G.G., che ha condotto la propria indagine, in ordine alla probabilità, in caso di condotta alternativa tenuta dal Dottor A.A., che l'evento infausto non si sarebbe verificato, tenendo conto di tutte le possibili terapie che, a seguito di una approfondita analisi diagnostica della patologia del paziente, avrebbero potuto essere apprestate per evitare la morte del F.F..

Tale motivazione costituisce corretta applicazione dei criteri ricordati, in quanto la Corte d'appello ha motivato adeguatamente circa le ragioni che l'hanno indotta a discostarsi dalle conclusioni del perito, e a basare il proprio giudizio sui passaggi logici di carattere scientifico contenuti nelle dichiarazioni del consulente prof. G.G..

Ne consegue, in definitiva, l'infondatezza dei rilievi sollevati con il primo motivo di entrambi i ricorsi.

8. La questione di legittimità costituzionale dell'art. 578 c.p.p., prospettata in entrambi i ricorsi in relazione all'art. 6, comma 2, CEDU ed in relazione all'art. 3 e 4 della Direttiva 2016/UE/343 e all'art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, quali parametri interposti degli artt. 11 e 117, comma 1, Cost., è manifestamente infondata.

Sul punto la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione con sentenza del 30 luglio 2021, n. 182, osservando che con la disposizione di legge di cui si discute, il legislatore ha operato un bilanciamento tra, da un lato, il principio di accessorietà dell'azione civile rispetto all'azione penale (che, trovando la sua principale espressione nella regola secondo la quale il giudice penale decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno quando pronuncia sentenza di condanna, escluderebbe la decisione sul capo civile in caso di proscioglimento), e le esigenze di tutela dell'interesse del danneggiato che si è costituito parte civile.

Come osservato da questa Corte con le sentenze n. 12807 del 8 aprile 2007 e n. 41316 del 16 aprile 2013, la ratio dell'art. 578 c.p.p. è quella di evitare che le cause di estinzione del reato che non dipendano dalla volontà delle partì (quale l'intervenuta prescrizione del reato) possano frústrare il diritto al risarcimento e alle restituzioni in favore della persona danneggiata dal reato, qualora sia già intervenuta (come nel caso in esame era già intervenuta) sentenza di condanna in primo grado.

Anche sulla base di queste considerazioni, è stato ritenuto che, nella "piramide" dei valori di rilevanza costituzionale, la tutela del diritto al risarcimento del danno anche non patrimoniale del danneggiato dal reato deve essere assicurata al pari della tutela che all'imputato deriva dalla presunzione di innocenza, con la conseguente infondatezza della questione sollevata dalla Corte d'appello di Lecce e riproposta dai ricorrenti.

9. Il secondo motivo di ricorso dell'imputato, riferito alla condanna alle spese del giudizio disposta con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato, è fondato.

L'art. 535 c.p.p., infatti, prevede che venga posto a carico del condannato l'onere del pagamento delle spese processuali soltanto all'esito di sentenza di condanna, la quale non può essere ritenuta assimilabile alla sentenza di non doversi procedere per sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione. Se, infatti, come ricordato, in omaggio al principio di economia processuale, è imposto l'accertamento in sede penale del fondamento della responsabilità civile dell'imputato anche quando il reato a lui ascritto è estinto per prescrizione, la disamina della sussistenza della responsabilità dell'imputato, necessaria affinchè il giudice penale possa pronunciarsi sulle statuizioni civili, non conduce, in caso di esito positivo, ad una pronuncia assimilabile a quella di condanna (cfr., in tal senso, in motivazione, Sez. 1, n. 43292 del 09/11/2007, Neri, Rv. 238690).

Conseguentemente, le spese processuali del relativo grado di giudizio non possono essere poste a carico dell'imputato, potendo esserlo solo a carico del condannato, quale non è l'imputato nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per essere il reato ascrittogli estinto per prescrizione.

10. La sentenza impugnata deve, quindi, essere annullata senza rinvio nella parte in cui condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali del grado di appello, con eliminazione della relativa statuizione. Nel resto, il ricorso di A.A. deve esser rigettato, a cagione della infondatezza del residuo motivo al quale è stato affidato e della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, peraltro prospettata anche dal responsabile civile.

Deve, infine, essere rigettato anche il ricorso del responsabile civile Costa Crociere Spa , con condanna ex art. 616, c.p.p. al pagamento delle spese processuali, attesa, per le ragioni esposte, l'infondatezza del primo motivo al quale è stato affidato e della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, peraltro prospettata anche dall'imputato.

Consegue la condanna di entrambi i ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, giusta l'applicazione del D.M. n. 147 del 13/08/2022, pubblicato sulla G.U. n. 236 dell'8/10/2022, in vigore dal 23 ottobre 2022 (Valore della Causa: Indeterminabile - complessità bassa; Fase di studio della controversia, valore medio: Euro 2.336,00 - Fase introduttiva del giudizio, valore medio: Euro 1.969,00 Fase decisionale, valore medio: Euro 1.208,00 = Compenso tabellare (valori medi) Euro 5.513,00; aumento del 90 % per presenza di più parti aventi stessa posizione processuale (art. 12, comma 2, secondo cui "il compenso unico può essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 30 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti") Euro 4.961,70 = Compenso maggiorato comprensivo degli aumenti C 10.474,70, oltre IVA e CPA).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali, statuizione che elimina. Rigetta, nel resto, il ricorso di A.A. e rigetta il ricorso del responsabile civile Costa Crociere Spa , che condanna al pagamento delle spese processuali.

Condanna altresì i ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, che liquida in complessivi Euro diecimilaquattrocentosettantaquattro,70 oltre accessori di legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2022