Giu la prova dell'animus necandi nel tentato omicidio
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 02 gennaio 2023 N. 6
Massima
Rispetto all'omicidio tentato la prova dell'animus necandì, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell'imputato, ha natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più adatti ad esprimere il fine perseguito dall'agente. In quest'ottica assume valore determinante l'idoneità dell'azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi postuma riferita alla situazione che si presentava all'imputato sul momento, in base alle condizioni umanamente prevedibili.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 02 gennaio 2023 N. 6

1.La Corte osserva che il ricorso è infondato e che, pertanto, deve essere respinto.

1.1. Anzitutto, poichè nel caso in esame si è in presenza di una "doppia conforme", va ricordato il condivisibile principio in base al quale il travisamento della prova, per assumere rilievo nella sede di legittimità, deve, da un lato, immediatamente emergere dall'obiettivo e semplice esame dell'atto, specificamente indicato, dal quale deve trarsi, in maniera certa ed evidente, che il giudice del merito ha travisato una prova acquisita al processo, ovvero ha omesso di considerare circostanze risultanti dagli atti espressamente indicati; dall'altro, esso deve riguardare una prova decisiva, nel senso che l'atto indicato, qualunque ne sia la natura, deve avere un contenuto da solo idoneo a porre in discussione la congruenza logica delle conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito.

Invero, il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione in ipotesi di doppia conforme sia nel caso in cui entrambi i giudici siano incorsi in travisamento della prova, sia in quello in cui il giudice di appello, per rispondere alle censure della difesa, abbia richiamato elementi probatori non esaminati dal primo giudice, ma in questo ultimo caso la preclusione opera comunque rispetto a quelle parti della sentenza che abbiano esaminato e valutato in modo conforme elementi istruttori comuni e suscettibili di autonoma valutazione (Cass. Sez.V, 13/2/2017, Cadore, Rv. 269906), mentre, in relazione alla ipotesi di duplice travisamento, lo stesso deve emergere in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio tra le parti (Cass., Sez. II, 9/1/2018, L. e altro, Rv.272018).

1.2. Nella fattispecie deve escludersi qualsiasi travisamento della prova, considerato che la Corte di appello (così come il Tribunale) nel confermare la responsabilità dell'imputato, con motivazione adeguata e non contraddittoria, ha dato rilievo a quanto riferito dalle due persone offese e, soprattutto, dalla testimone D.D. - la quale aveva personalmente assistito ai fatti da un balcone di un edificio posto nelle vicinanze ed aveva filmato parte dell'aggressione posta in essere dal A.A. - ed ha, inoltre, sottolineato alcune incongruenze riscontrate rispetto a quanto dichiarato dall'odierno ricorrente.

1.3. I fatti sono stati ricostruiti da entrambi i giudici di merito nei seguenti termini, la sera del 9 novembre 2019, intorno alle ore 20.00, in (Omissis), le due persone offese, dopo avere fatto visita alla madre del B.B. ed appena saliti a bordo dell'autovettura Fiat Panda di proprietà della C.C., venivano aggredite dal A.A.. In particolare, il B.B. che si trovava al sedile di guida vedeva aprirsi d'improvviso lo sportello del proprio lato e riceveva un colpo sul ginocchio infertogli con una mazza da baseball da parte di un soggetto che lo insultava e che egli riconosceva immediatamente come l'odierno ricorrente, a lui noto come assuntore di sostanza stupefacente di tipo crack il quale ultimamente lo aveva minacciato di morte mediante messaggi telefonici, con i quali aveva chiesto la restituzione di soldi asseritamente prestatigli nel mese di giugno.

Sceso dall'auto, il B.B. aveva iniziato una colluttazione con il A.A. e veniva aiutato anche dalla C.C. scesa anche lei dal veicolo; l'imputato, però, aveva estratto un coltello (con una lama di 30 centimetri secondo la C.C.) con il quale colpiva la donna dietro la schiena e poi il B.B. all'altezza dell'ombelico.

Nonostante stessero perdendo molto sangue dalle ferite, i due aggrediti avevano cercato di fuggire in un parco sito nelle vicinanze, ma l'imputato li aveva inseguiti ed aveva continuato a colpire varie volte il B.B. con la mazza da baseball alle braccia ed alle gambe, nonostante la vittima caduta in terra urlasse di avere "l'intestino di fuori a causa della coltellata ricevuta poco prima e la C.C., dal canto suo, cercasse di colpire il A.A. con una bottiglia.

Le due persone offese riuscivano poi a risalire sulla loro auto (anche se l'odierno ricorrente cercava di impedire il loro allontanamento aprendo lo sportello della Panda e cercando di divolgerlo) e si recavano presso l'Ospedale Sandro Pertini dove poi venivano sottoposti entrambi ad intervento chirurgico per le lesioni subite.

Alla fase finale dell'aggressione, come sopra indicato, aveva assistito D.D. che si trovava su di un balcone di un appartamento sito nelle vicinanze (in quanto invitata a cena a casa di amici), la quale aveva visto il A.A. colpire più volte il B.B. con la mazza, aveva anche filmato la scena con il proprio telefono cellulare ed aveva dichiarato che l'aggressore era poi andato via con un'auto Car To Go (che poi è stato accertato essere stata noleggiata a nome di E.E., amico dell'imputato) dopo avere urtato violentemente il marciapiede nel fare retromarcia.

Lo stesso imputato, sentito nel corso del giudizio di primo grado, aveva ammesso di avere avuto una colluttazione con i due)anche se aveva sostenuto che le armi (il coltello e la mazza) erano in realtà del B.B. e che egli era riuscito ad impossessarsene durante lo scontro; il A.A. aveva poi sostenuto che il motivo del suo dissidio con il B.B. era legato alla mancata restituzione da parte di quest'ultimo di una somma di denaro (1.400 Euro); debito che, però, è stato negato dalla persona offesa.

Entrambi i giudici di merito hanno ritenuto credibile la versione fornita dalle persone offese in quanto logica e coerente, nonchè suffragata dalla teste D.D., nonchè da quanto dichiarato da E.E. al quale il A.A., subito dopo i fatti, aveva confidato di avere accoltellato il B.B. e la C.C..

Al contrario, la Corte territoriale (come già il Tribunale) ha considerato non credibile la versione dell'imputato a causa delle contraddizioni della stessa rispetto al possesso delle armi utilizzate ed alla dinamica dei fatti.

2. Premesso quanto sopra, risulta infondato il motivo riguardante la richiesta di riqualificazione del reato di tentato omicidio in quello di lesioni personali, poichè con esso il A.A. vorrebbe giungere ad una diversa valutazione degli elementi di fatto, adeguatamente e logicamente scrutinati dalla Corte territoriale; operazione che, come è noto, non è consentita in sede di legittimità.

2.1. Deve comunque rilevarsi che, come da questa Corte ripetutamente affermato (Sez. 1, n. 35006 del 18/04/2013, Polisi, Rv. 257208; Sez. 1, n. 30466 del 07/07/2011, Miletta, Rv. 251014; Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, Di Salvo, Rv. 241339), rispetto all'omicidio tentato la prova dell'animus necandì, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell'imputato, ha natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più adatti ad esprimere il fine perseguito dall'agente. In quest'ottica assume valore determinante l'idoneità dell'azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi postuma riferita alla situazione che si presentava all'imputato sul momento, in base alle condizioni umanamente prevedibili.

Da tale corretto approccio ermeneutico i giudici di merito - le cui decisioni ben possono essere lette in sinossi tra loro, stante la concorde analisi e valutazione degli elementi di prova in esse contenute (Cass. Sez. 3, n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv. 257595; Cass. Sez. 3, n. 13926 dell'1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615; Cass. Sez. 2, n. 5606 del 10/1/2007, Conversa, Rv. 236181) - non si sono discostati, avendo essi ritenuto raggiunta la prova dell'elemento psicologico contestato sulla base di elementi, quali la potenzialità offensiva delle armi usate (coltello con lama di 30 centimetri e mazza da baseball), il numero delle coltellate inferte e la loro direzione verso aree vitali delle due persone offese (addome e reni), elementi tutti ineccepibilmente apprezzati nel ravvisato contesto di dolo omicidiario.

Analogamente, va ricordato che l'entità delle lesioni subite dalla vittima così come il fatto che questa non si sia trovata, in concreto, in pericolo di vita non sono circostanze idonee ad influire sulla valutazione della volontà omicida, sia per la non correttezza metodologica della ricostruzione dell'idoneità dell'azione in base ai risultati prodotti, sia perchè tali esiti possono essere determinati anche da fattori indipendenti dall'intento dell'agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 1, n. 52043 del 10/6/2014, Vaghi, Rv. 261702).

Infine, va evidenziato che, sempre con motivazione adeguata e con contraddittoria, la Corte di appello ha escluso la configurabilità di una desistenza da parte dell'imputato considerato che erano state le due persone offese a fuggire e che egli, per sua stessa ammissione, aveva cercato di bloccarne la fuga afferrando lo sportello dell'auto cercando di piegarlo all'indietro.

3. Inammissibile risulta il motivo di ricorso riguardante la recidiva poichè esso è aspecifico considerato che non si confronta in modo specifico con il ragionamento svolto, anche in questo caso in modo congruo e logico, dalla Corte territoriale per confermare la recidiva (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata).

4. Infondato è infine il motivo di ricorso riguardante la mancata concessione delle circostanze generiche; in particolare tale rifiuto è stato argomentato nella sentenza impugnata, con motivazione adeguata e non contraddittoria, per l'assenza di qualsiasi elemento di carattere positivo da valorizzare a tal fine, nonchè sul comportamento non collaborativo del ricorrente al momento del suo fermo giacchè egli (dopo non essersi reso irreperibile la sera dei fatti) aveva cercato di non farsi trovare dai Carabinieri nascondendosi all'interno di uno sgabuzzino dell'abitazione della madre, dove poi era stato trovato dai militari dell'Arma.

Al riguardo va ribadito che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purchè sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli pur sempre indicati nell'art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899); come parimenti avvenuto nella specie, mediante il puntuale richiamo ai medesimi indici di cui sopra (ben possibile, v. da ultimo Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi, Rv. 264378).

Analogamente risultano del tutto generiche le censure riguardanti l'aumento della pena per la continuazione (fissata in anni quattro), considerato che la Corte territoriale, con motivazione adeguata e non contraddittoria, lo ha ritenuto adeguato in considerazione della gravità del danno, dell'elevata capacità a delinquere, del movente economico e della circostanza che i due reati sono stati commessi in un unico contesto.

5. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; infine il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza in difesa della parte civile costituita C.C. nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile C.C., che liquida in complessivi Euro 3.660,00, oltre accessori di legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 16 settembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 gennaio 2023